Lessico


Sanniti

I Sanniti furono un antico popolo italico stanziato in un territorio, detto Sannio, corrispondente agli attuali territori della Campania settentrionale, dell'alta Puglia, del Molise, del basso Abruzzo, e dell'alta Lucania (Basilicata).

Questi erano in realtà una confederazione di popoli, discendenti in larga parte dai Sabelli (popolazioni indoeuropee imparentate con gli Osci, gli Umbri, ma anche, più alla lontana, coi Latini), e dispersi su di un vasto territorio delimitato a nord dai monti della Maiella, nell'alto Abruzzo, al confine con gli Umbri, i Piceni (a nord-est) e con i Sabini (a nord-ovest); a sud e a est dal Tavoliere delle Puglie e dalle coste adriatiche; a ovest dal Mar Tirreno, dalle terre dei Volsci, degli Aurunci, dei Sidicini e dei Latini. I Sanniti si suddividevano in quattro gruppi: Caudini, Irpini, Pentri e Carricini. Parlavano la lingua osca, una lingua indoeuropea del gruppo italico.

Le loro attività economiche ruotavano principalmente intorno alla caccia, alla pastorizia e al commercio, ma sappiamo che anche la guerra era un'attività molto importante, tanto che i Sanniti vennero spesso scelti come mercenari poiché ritenuti combattenti di grande valore. Erano tra i più tenaci e bellicosi fra gli Italici, dediti al culto della guerra in primo luogo, come era tipico fra gli indo-europei .L'organizzazione e l'addestramento militare era particolarmente curato: di fatto alcune innovazioni come lo scudo quadrato e la disposizione a scacchiera delle truppe sul campo di battaglia, furono introdotte originariamente dai Sanniti e solo successivamente adottate anche dagli eserciti avversari.

Recenti studi mostrano in realtà anche una società civile molto più avanzata di quanto si pensasse: lo stato era organizzato in una forma repubblicano-confederata tra i vari gruppi, ed esistevano figure come quella di questore e magistrato a cui probabilmente gli stessi Romani si ispirarono.

Il territorio occupato dalla loro confederazione si espanse progressivamente, ma giunti a toccare il basso Lazio e la zona di Napoli dovettero confrontarsi con i Romani, coi quali stipularono in primo luogo un patto di amicizia nel 354 aC, ma 11 anni dopo (343 aC) la città etrusca di Capua, sentendosi minacciata dai Sanniti chiese aiuto al Senato di Roma, etrusco per metà. Il Senato accettò la richiesta e i Sanniti vennero a scontrarsi duramente con gli stessi Romani, in una lotta (le cosiddette tre guerre sannitiche che tanto rilievo hanno nella storiografia romana) durata ben tre secoli.

I Sanniti sconfissero i Romani soltanto nel secondo dei tre conflitti, presso le gole di Caudio (Forche Caudine), costringendo poi i soldati dell'esercito romano a sfilare disarmati, e con il capo abbassato in segno di sottomissione, sotto a un giogo formato da tre lance incrociate. (Battaglia delle Forche Caudine).

Alla fine, nel 290 aC furono sconfitti e integrati forzatamente nel sistema capitolino anche mediante deportazioni di massa e distruzioni di interi villaggi. Prova di questa integrazione è l'inserimento di Sanniti nella classe dirigente romana: uno dei più famosi fu, probabilmente, Ponzio Pilato, Prefetto della Giudea ai tempi di Cristo. Tuttavia ciò avvenne molto lentamente, poiché essi conservarono sempre una fiera ostilità nei confronti del dominio romano e non persero occasione di dimostrare il loro spirito di rivolta nei confronti degli oppressori: appoggiarono le guerre di Pirro, l'avanzata di Annibale, fino a ricomparire sulla scena politica con Spartaco nel 71 aC e con Catilina nel 63 aC. Soltanto a distanza di qualche secolo si ottenne una relativa pacificazione poiché i Romani, per garantire la stabilità dei territori assoggettati nonché una valvola di sfogo contro ulteriori ribellioni, concessero lentamente la cittadinanza a tutte le popolazioni italiche.

Praticavano lotte rituali di tipo gladiatorio e secondo alcune fonti questa usanza fu esportata a Roma proprio dai Sanniti e non dagli Etruschi, come altri ritengono; un particolare tipo di gladiatore era detto appunto Sannita. D'altronde, molti fra i più rinomati gladiatori provenivano proprio dal Sannio e dalla Marsica. I Sanniti furono, insieme ad Annibale, le uniche figure storiche che misero realmente in dubbio il cammino romano verso la costruzione dell'impero.

Sannio

Il Sannio (in osco Safinim, in latino Samnium) era una regione storico-geografica dell’Italia centro-meridionale, abitata dal popolo dei Sanniti tra il 600 aC e il 290 aC. Il territorio dei Sanniti era in massima parte nella zona appenninica, fra l' Abruzzo il Molise, la Campania, la Lucania e la Puglia. I confini precisi non furono mai ben definiti, per quanto si tenda a identificarli con le valli dei fiumi Sangro, Volturno, Biferno e Trigno. Confinava a nord con le terre dei Marsi (Abruzzo centrale) e dei Peligni (Abruzzo centrale – Maiella); a sud con i territori dei Messapi (Lucania e Puglia) e delle colonie greche; a est con i territori dei Frentani (zone costiere dell'Abruzzo e della Puglia) e degli Apuli (Puglia settentrionale); a ovest con le terre dei Latini (Lazio centro-meridionale), dei Volsci (Lazio meridionale) e degli Aurunci, Sidicini e Campani.

Per la maggior parte della loro storia, i Sanniti non ebbero uno sbocco sul mare, che era impedito loro dai popoli confinanti, anche se per un breve periodo riuscirono ad affacciarsi su entrambi i litorali della penisola italiana; sulla costa tirrenica posero anche le basi della città di Pompei.

I Sanniti erano formati da almeno quattro tribù:

- i Pentri: la tribù più importante, che occupava l’aerea centrale del Sannio, con capitale Bovianum (oggi Bojano);
- i Carricini o Caraceni, che occupavano la zona Nord: le loro città principali erano Cluviae (oggi Casoli) e Juvanum (le cui rovine sono sparse fra Torricella Peligna e Montenerodomo);
- i Caudini, che occupavano la zona sud-ovest con capitale Caudium (nei pressi di Montesarchio);
- gli Irpini, che occupavano la zona sud: all'estremo nordoccidentale del loro territorio sorgeva Maleventum (nome originale Maloenton; più tardi Beneventum, oggi Benevento).

Successivamente a questi gruppi si unirono i Frentani, che occupavano la zona della costa adriatica a nord del Gargano, con capitale Larinum (l'odierna Larino).
Questi gruppi costituirono una lega, la cui capitale fu Bovianum, tranne un breve periodo fra il IV e il III secolo aC, in cui la capitale fu Aquilonia, distrutta dai Romani nel 293 aC.

Intorno al 7 aC, agli inizi del periodo imperiale, nel riordinamento dei territori effettuato da Augusto, con cui la penisola fu divisa in 11 regiones, il Sannio, unito ai territori dei Frentani, Marrucini, Vestini, Marsi, Peligni, Sabini, Equi, costituì la Regio IV Samnium. I suoi confini non cambiarono quando Adriano portò il numero delle regioni a 17; fu compreso nel 3° dei 4 Consulares in cui Adriano divise la penisola, insieme alla Campania. L'imperatore Costantino conservò le regioni di Adriano, solo che pose quelle del nord sotto la direzione del Vicario d'Italia e quelle del sud sotto il Vicario della città di Roma.

I centri principali del Samnium, oltre ai già citati Bovianum e Beneventum, erano:

Aesernia/Esernia, odierna Isernia);
Aufidena (Alfedena);
Venafrum (Venafro);
Allifae (Alife);
Abellium (Atripalda, nei pressi di Avellino).

Dopo la caduta dell'Impero romano il Sannio, dopo essere stato conteso fra Goti e Bizantini, fu conquistato nel 570 dai Longobardi che vi istituirono il Ducato di Benevento. Il ducato si dimostrò politicamente molto stabile, tanto che si mantenne indipendente anche dopo la presa del Regno longobardo del Nord Italia da parte di Carlo Magno nel 774.

Intorno al X secolo, il territorio del Sannio venne assorbito dal Regno dei Normanni. Nel 1077, a seguiti di accordi fra il Papa Leone IX e l'Imperatore Enrico III, Benevento e i dintorni passarono allo Stato Pontificio, in cui rimasero, salvo brevi interruzioni, sino al 1860, quando, a seguito delle imprese garibaldine passò sotto lo stato Sabaudo (3 settembre).

Dopo la costituzione del Regno d’Italia vi fu un movimento di pensiero, alimentato dai patrioti beneventani che avevano liberato nel 1860 la città dal dominio pontificio, che sosteneva la causa della ricostituzione, all’interno del regno, di un'entità politico-amministrativa del Sannio. La capitale di questa nuova Regione avrebbe dovuto essere Benevento. Il progetto era particolarmente sentito a Benevento e il movimento pro-Sannio coinvolgeva non solo la classe politica locale, ma anche intellettuali, scrittori e semplici cittadini. Sotto la spinta di questa iniziativa locale, anche il Parlamento del Regno si interessò alla questione fino al punto che, durante il governo Crispi, sembrò che la decisione fosse stata presa. Tanto la cosa sembrava fatta che il Consiglio provinciale di Benevento stanziò nel 1890 la somma, per i tempi considerevole, di due milioni di lire per realizzare il Palazzo del Governo, che avrebbe dovuto ospitare gli uffici della Regione Sannio, che si sarebbe dovuta costituire con l'annessione delle province di Avellino e Campobasso.

Ma il governo di Crispi cadde, e con lui il progetto. La Provincia di Benevento, costituita dopo l'unità, rimase, ma ben pochi comuni riuscì a strappare alle province vicine: se da una parte acquisì il mandamento di Airola (in Provincia di Caserta), non ottenne quelli di Alife (sempre in provincia di Caserta), Cervinara e Ariano (entrambi in provincia di Avellino): il sogno di un nuovo Sannio riuscì perciò molto ridimensionato.

Monetazione Sannitica

Per comprendere se, quando e con quali forme e modi tra le popolazioni sannitiche si introdusse l'uso di un'economia monetale, cioè se, quando e come i rapporti di scambio furono regolati attraverso la moneta, occorre indagare in due campi: da una parte quello della produzione di moneta autonoma, dall'altra quello della circolazione ossia della presenza nel territorio sannitico di moneta locale e/o straniera

Il termine iniziale del periodo cronologico preso in esame, cioè gli ultimi decenni del IV secolo aC, corrisponde alla fase di avvio nelle popolazioni italiche dell'uso della moneta coniata, fenomeno che tra le genti indigene dell'Italia antica non si verificò contemporaneamente nei vari ambiti territoriali, né con la stessa intensità, ma andò attuandosi a seconda delle dinamiche interne alla comunità e ai contatti intercorsi con l'esterno. Finanche Roma produsse le sue prime emissioni monetali in bronzo solo a partire da quegli anni che corrispondono al momento della sua espansione nel Mezzogiorno segnata dal secondo conflitto con i Sanniti. In precedenza, in maniera non dissimile da altre popolazioni italiche, i Romani avevano utilizzato come strumento dello scambio economico e misura del valore i capi di bestiame o il bronzo a peso.

Gli esiti delle guerre sannitiche e i rapporti intercorsi con Napoli e la Campania in occasione del secondo conflitto, costituirono un incisivo fattore di stimolo per una radicale trasformazione delle strutture economiche di Roma. La seconda guerra sannitica modificò anche il precedente assetto territoriale del Sannio. I contrasti presero spunto dalla fondazione nel 328 aC della colonia di Fregellae nella valle del fiume Liri, territorio laziale allora sotto il controllo sannitico, e si conclusero nel 304 quando fu stipulato un trattato tra i contendenti fortemente penalizzante per i Sanniti.

Per comprendere gli sviluppi della storia monetaria della regione occorre tenere ben presente l'assetto politico determinatosi nel territorio dopo i conflitti con Roma. I Sanniti avevano perso la valle del Liri, Teanum Sidicinum nella Campania settentrionale interna e Saticula (Sant'Agata dei Goti) in area caudina e, sul versante apulo, Luceria. Comunità diventate alleate di Roma come quelle dei Marsi, Peligni, Marrucini, Frentani e Larinum, che da allora acquisì la condizione di stato autonomo all'interno di quello dei Frentani, accerchiavano i Sanniti Pentri stringendoli in una insopportabile morsa. Inevitabilmente dopo pochi anni nel 294 aC scoppiò un nuovo conflitto a seguito del quale essi persero anche Venafro. I confini del loro stato a nord-ovest vennero quindi spostati al fiume Volturno, mentre a controllo del territorio a sud dell'Ofanto fu fondata la colonia di Venusia (291).

Dopo la guerra contro Pirro e Taranto, Roma completò l'opera di controllo del territorio fondando le colonie latine di Benevento (268) e di Aesernia (263). Se prendiamo in esame le monetazioni delle comunità campane e sannitiche sviluppatesi in tale contesto storico risulta evidente che i centri di emissione della moneta sono colonie latine o comunità alleate di Roma: è il caso di Benevento, di Aesernia, di Venafro e Telesia (a queste ultime due vengono attribuite con qualche incertezza rari esemplari in bronzo), di Cales, di Teano, di Suessa, dei Frentani e di Larino. In queste emissioni la tecnica e i tipi monetali utilizzati si ispirarono a quelli delle monete in bronzo napoletane, che come vedremo furono la valuta più attestata in circolazione nella zona nel secondo quarto del III secolo aC.

Allargando lo sguardo alla fascia alto-adriatica, anche le monetazioni di Rimini, di Atri, di Fermo, dei Vestini, e in ambito apulo di Lucera e di Venosa, che hanno invece caratteristiche formali tipiche dell'ambiente latino, furono emesse in connessione con la presenza di Roma nelle diverse aree e funzionali alle sue esigenze nei territori occupati. Emerge con chiarezza un dato: l'area geografica dell'Italia centro-meridionale, in cui è più scarsa la produzione monetale, è quella dei territori dei Sanniti Pentri, area corrispondente alla regione Samnium nella suddivisione dell'Italia di età augustea. Una possibile spiegazione va rintracciata nel tipo di relazioni intercorse tra i Sanniti Pentri e Roma. Infatti, nella prima fase della monetazione romana il volume della coniazione fu proporzionale all'entità delle spese militari e la paga dei soldati arruolati fu una delle cause principali dell'emissione di moneta. Alcune serie monetali delle colonie latine e dei centri alleati vennero coniate proprio per i contributi che essi erano tenuti a versare, in uomini e mezzi, per sostenere Roma nelle sue imprese militari: molto probabilmente, ad esempio, talune emissioni in bronzo di Neapolis e dei centri campani contrassegnate dalla sigla IS furono prodotte per contribuire al finanziamento della prima guerra punica. La scarsità di produzione monetale nel Sannio potrebbe corrispondere allora alla condizione di non alleanza con Roma.

I Sanniti Pentri non furono infatti aggiogati da Roma, e continuarono a rimanere organizzati in un'entità politica di tipo statale (in osco un touto). La comunità dei Pentri fu uno Stato con propria dignità politica: lo si deduce da una serie di indizi forniti sia dalla tradizione letteraria (non viene mai citata in occasione dei conflitti con Roma alcuna città autonoma, ma sempre l'etnico Samnites), sia da documenti epigrafici in lingua osca attestanti magistrature di tipo statale. Il nome di questo Stato in osco è "Safinim" e a documentarlo sono un'iscrizione di II secolo aC dal santuario di Pietrabbondante e una moneta coniata durante la guerra sociale, quando i Sanniti insieme alle altre popolazioni italiche si ribellarono contro Roma per acquisire a pieno titolo la cittadinanza romana. Su questa moneta ritorneremo in seguito a proposito delle emissioni del bellum sociale (91-87 aC) con cui si concluderà la nostra analisi perché gli esiti del conflitto - in seguito al quale lo stato romano allargò le sue basi per comprendere tutte le genti italiche - trasformarono totalmente l'organizzazione politica e territoriale del Sannio omologando la regione a quelle del resto d'Italia.

La più antica attestazione del nome della comunità (in osco "Safinim" e in latino "Samnium") è data però da una moneta su cui appare in lingua greca e grafia osca (nella trascrizione riportata dal Sambon è retrograda e il sigma presenta tre tratti): "Saunitàn".

Si tratta dell'unica emissione monetale, oltre quelle cui accenneremo in seguito quando tratteremo delle emissioni durante il Bellum Sociale, attribuibile allo Stato sannitico e merita, pertanto, qualche parola di commento. La moneta presenta al dritto una testa femminile ricoperta da un velo cinto sulla fronte e ricadente in pieghe dalla nuca e al rovescio la cuspide di un giavellotto (in greco "saunìon") in corona di alloro.

L'iscrizione e il gioco erudito di utilizzare come immagine monetale un oggetto dal nome rapportabile a quello dell'autorità emittente sono di impronta greca; si è ritenuto, quindi, che la moneta fu coniata da Taranto per sancire rapporti di alleanza con i Sanniti (l'ipotesi avanzata alla fine del secolo scorso dal Garrucci è stata più recentemente ripresa dal Salmon e dal La Regina).

E infatti, sebbene la moneta vada considerata a tutti gli effetti un'emissione dello Stato sannitico come indica la legenda, in essa confluiscono più elementi che mostrano influenze greche e riportano ad ambiente tarantino: innanzi tutto queste rare monetine (ne sono noti soli tre esemplari) sono oboli di peso campano in argento come quelli coniati ad Allifae e a Phistelia, due centri al confine tra il Sannio e la Campania interna, la prima corrispondente all'odierna Piedimonte di Alife, l'altra non ancora identificata (la Plistica citata da Livio IX, 21, 6 e 22, 2-11 e da Diodoro XIX, 72,3 ?).

Ma gli oboli dei Sanniti soprattutto sono avvicinabili a quelli con la leggenda "Peripòlon Pitanatàn" (= moneta dei Pitanatae al controllo della frontiera). I Perìpoloi sono un servizio di guardia ai confini, che veniva svolto come servizio militare dai giovani spartani e i Pitanatae sono una comunità di Sanniti filoelleni di origine spartana, di cui resta menzione in Strabone (V,4,12).

 Su questi oboli è riprodotta una raffigurazione tipicamente tarantina: Eracle in lotta contro il leone nemeo, immagine ripresa da più monetazioni di centri indigeni di area apula e anche da Neapolis negli anni precedenti il "foedus aequum" con Roma (326 aC) quando in talune componenti cittadine prevalse un atteggiamento filo-tarantino.

Recenti contributi storici hanno evidenziato il ruolo di Taranto nella diffusione della tradizione mirata ad attribuire un'origine spartana alle popolazioni anelleniche dell'Italia meridionale; ben documentati appaiono anche i rapporti di amicizia intercorsi tra le popolazioni sannitiche e Taranto dalla prima metà del IV secolo aC, nell'età di Archita, fino alla seconda guerra sannitica quando furono cementati dai comuni interessi anti-romani.

Le emissioni di oboli in argento delle comunità campano-sannitiche si collocano in tale contesto storico; assai abbondante fu la produzione delle serie di Allifae e di Phistelia destinata a circolare soprattutto nelle aree al confine tra la Campania e il Sannio irpino, meno cospicua quella dei Pitanatae (esemplari ne sono stati rinvenuti in Campania interna e in Apulia settentrionale), rara quella con l'iscrizione Saunitàn nota da soli tre esemplari dei quali si ignora la provenienza. Non è facile intuire la funzione di queste frazioni che costituirono negli ultimi decenni del IV secolo a.C. - a quanto pare - un nominale caratteristico delle popolazioni italiche dell'Apulia interna, del Sannio e della Campania interna. Esse non ebbero una lunga durata e questo dato, comunque, lascia intuire che le motivazioni della loro emissione poco ebbero a che fare con durature pratiche di tipo commerciale: sembrano piuttosto il riflesso dell'alleanza antiromana tra Sanniti, Taranto e Napoli prima del "foedus aequum" tra Napoli e Roma.

Per tutto il III secolo aC non conosciamo altra emissione della comunità dei Sanniti Pentri, ad eccezione di una discussa serie in bronzo con legenda in osco Akudunniad, interpretata come Aquilonia. Di centri chiamati Aquilonia in area sannitica la tradizione letteraria ne tramanda due: uno in Irpinia, l'odierna Lacedonia, l'altro nella regione dei Pentri riconosciuto da più studiosi nell'abitato rinvenuto a Monte Vairano. Le monete di Aquilonia hanno al dritto una testa di Atena con elmo corinzio e al rovescio un guerriero in piedi con la patera nella mano, in atto di svolgere un sacrificio.

La testa di Atena con capelli raccolti sulla nuca e con lo stesso tipo di elmo crestato ricorre di frequente sulle monetazioni della prima metà del III secolo delle colonie latine o dei centri alleati di Roma (Alba Fucens, Aquino, Telesia, Venafro, Cales, Suessa, Teano, Caiatia, e sul versante orientale Larino, Azetium, Butuntum, Caelia, Teate, Venusia, Luceria), più originale l'immagine del guerriero. E su di essa, infatti, si è fermata l'attenzione dei numismatici del secolo scorso che hanno proposto di riconoscere nel soldato uno dei militi della celebre legio linteata, composta da truppe scelte della mobilitazione generale seguita alla sconfitta di Sentino che fece confluire ad Aquilonia pentra quarantamila armati per ricomporre l'esercito: da ciò scaturisce l'ipotesi (a mio parere assai improbabile) che sia un'emissione prodotta nel 293, in occasione della raccolta degli eserciti. Difficilmente la moneta si ricollega alle vicende della narrazione liviana; tra l'altro per il tipo del diritto e per il peso i bronzi di Aquilonia si collocano intorno al secondo venticinquennio del III secolo aC e si inquadrano, dunque, in orbita romana ne più ne meno di quelli delle colonie latine, prodotti da una comunità ormai totalmente ridotta all'alleanza (ipotesi questa già ventilata dal Salmon).

Adriano La Regina ritiene invece che Aquilonia possa aver coniato moneta esclusivamente per motivi di mero prestigio a imitazione delle città campane in virtù del suo ruolo di capitale dello Stato sannitico, posizione che la città avrebbe assunta nei primi anni del III secolo aC, prima che il capoluogo politico, sede del senato, divenisse Bovianum la cui ripresa fu favorita dalla realizzazione della strada di collegamento tra le due colonie di Beneventum e di Aesernia. Resterebbe da chiedersi, se così fosse, come mai in un touto come quello pentro, si ritrovi una moneta con il nome di un singolo centro. I bronzi di Aquilonia presentano le medesime caratteristiche di altre due comunità sannitiche alleate di Roma, quella dei Frentani e di una serie di Larino con la legenda osca, emesse anch'esse nel secondo venticinquennio del III secolo aC. Dunque essi si inseriscono meglio, a mio parere, tra le emissioni dei centri sanniti sottomessi a Roma: Aquilonia può aver coniato allo stesso titolo di comunità come Caiatia Venafro e Telesia (che peraltro ebbero gli stessi tipi dei bronzi di Teano, Cales, Suessa: testa di Atena con elmo corinzio/Gallo).

Si tratta di centri separati dal Sannio negli anni dopo Sentino, ubicati nella fascia nord-occidentale della regione pentra, in quell'area definita dal Salmon una zona cuscinetto tra il territorio romano e quello sannita. Una collocazione di Aquilonia in tale zona, come ha proposto Capini (e non a Monte Vairano), non sarebbe in contrasto con il quadro che emerge dall'evidenza numismatica. I bronzi di Aquilonia ebbero una circolazione locale, ne sono noti esemplari da Agnone e da Carife, e lo stesso peso di quelli delle città campane (circa 6-7 grammi). Essi presentano le medesime caratteristiche delle monetazioni di altre due comunità sannite, quella dei Frentani e di una serie di Larino con la legenda osca, emesse anch'esse nei decenni centrali del III secolo aC. Sono elementi che lasciano intuire per queste emissioni sannitiche in bronzo la stessa funzione: si tratta di nominali di basso valore, mezzo di uno scambio limitato sostanzialmente all'area geografica di appartenenza. I Sanniti Pentri, se anche Aquilonia emise moneta quando era ormai una delle città controllate da Roma, non ebbero una produzione monetale autonoma.

Passando all'altro campo di indagine, quello della presenza di moneta "estera" nel Sannio, riscontriamo una conferma a quanto emerge dai dati relativi alla produzione monetale: la data iniziale di arrivo nel Sannio di un cospicuo quantitativo di moneta non risale oltre i decenni intorno alla metà del III secolo aC.

La presenza di moneta "estera " di IV secolo non sembra particolarmente significativa: in molti casi sono esemplari ancora in circolazione nel III secolo aC, rinvenuti per lo più in contesti votivi (nel santuario della Mefite nella valle di Ansanto, a Pietrabbondante, a Campochiaro, a Campo Laurelli) e anche il tesoretto ritrovato a Morcone e quello di Benevento, che pure contiene monete del IV aC, forse sono stati seppelliti in quegli anni.

I rinvenimenti monetari si infittiscono piuttosto nel secondo quarto del III secolo aC: predominano (come del resto in tutta l'Italia centro-meridionale) le monete di Neapolis e dei centri campani, attestate a Pietrabbondante, a Isernia, San Giovanni in Galdo, Campochiaro, Monte Vairano. La presenza di moneta napoletana e dei centri campani deve essere stata motivo di stimolo per le emissioni dei Frentani, di Larino, di Aquilonia che furono però, come si è visto, assai limitate proprio per la natura degli scambi che si svolgevano in territorio sannita.

Altre emissioni di pieno III secolo documentate in Sannio sono quelle delle zecche apule di Arpi, Luceria, Salapia e Teate, di Paestum, di zecche siciliane, come Siracusa e Messana: pochi esemplari per ciascuno dei centri citati, la cui presenza è piuttosto comune nei depositi votivi dei santuari italici. Nella seconda metà del III secolo aC il ruolo in precedenza svolto dalla moneta napoletana fu assunto da quella di Roma, che andò sostituendosi dappertutto alle superstiti coniazioni autonome.

Le prime monete romane giunte nel Sannio sono le cd. romano-campane del tesoretto di Benevento e quelle di Campochiaro, i bronzi fusi di Gildone, i bronzi coniati e fusi rinvenuti a Pietrabbondante, a Carife, a Isernia, in area irpina nel santuario della valle di Ansanto. Più articolato e differenziato il quadro delle presenze monetali di II secolo aC: le monete di Roma (denari e vittoriati in argento e moneta divisionale in bronzo) divenute l'unico consistente mezzo monetario circolante in tutta la penisola, sono ovviamente presenti anche nel Sannio.

Ma accanto a esse, sporadici ritrovamenti di moneta straniera attestano contatti con l'esterno, da una parte con l'altra sponda dell'Adriatico e oltre, dall'altra con la Spagna meridionale. Paradigmatica, in questo senso, la documentazione di Monte Vairano, ben illustrata da G. De Benedittis. Qui sono state ritrovate due monete di Pharos, centro situato sulla costa slava, una di Apollonia, città greca nell'attuale Albania, una della lega epirota, una di Taso, isola dell'Egeo, un bronzetto di Ebusus, l'odierna Ibiza. Quest'ultima monetina non è isolata nel Sannio, altre sono state trovate a Pietrabbondante e a Campochiaro; ma l'area nella quale esse sono maggiormente attestate è quella della Campania meridionale, tra Pompei e Sorrento.

La presenza di moneta straniera si ricollega ai traffici che si svolsero in tutto il Mediterraneo dopo la seconda guerra punica a opera dei negotiatores italici, famiglie emergenti soprattutto della Campania costiera e di Capua, ma a quanto pare anche del Sannio, i cui nomi sono attestati peraltro tra quelli dei residenti a Delo, l'isola greca al centro dei commerci mediterranei. In questo senso le poche monete straniere che documentano lo spostamento di uomini nelle due direttrici di traffico indicate, tra Occidente e Oriente, insieme con la cospicua presenza di anfore rodie e quella meno abbondante di ceramica iberica e di anfore puniche, possono considerarsi una traccia dei flussi commerciali che investirono pur se parzialmente la regione pentra causando certamente anche qui delle forti differenziazioni nell'ambito del corpo sociale. Più volte è stato segnalato che sappiamo troppo poco della realtà economica nel II secolo di questa regione, ancora vincolata a modi di produzione sostanzialmente di tipo agro-pastorale; certo però la mancanza di emissioni monetali proprie non può essere considerata come prova dell'assenza di forze economiche in grado di inserirsi in un mercato più vasto di quello locale. I traffici internazionali non presuppongono necessariamente l'uso di moneta prodotta dalle comunità interessate e meno che mai in quest'epoca quando le uniche monete di un certo valore circolanti nella penisola furono quelle romane, essendo state interrotte fin dalla seconda metà del III secolo aC le superstiti emissioni in argento delle città magno-greche.

Molti altri indizi di natura letteraria e epigrafica mostrano invece come dalla prima guerra punica, e soprattutto dopo la guerra annibalica, in Sannio si verificarono situazioni di accumulo di notevoli ricchezze da parte di esponenti delle gentes locali: è il caso dei Decitii, degli Staii, degli Egnatii, membri di aristocrazie arricchitesi per lo sviluppo delle attività produttive tradizionali collegate al bestiame e alla vendita di prodotti dell'allevamento e dell'agricoltura. Il formarsi di élites sannitiche legate da rapporti clientelari a importanti famiglie romane, attive nei commerci regionali, ma anche presenti nella rete dei traffici internazionali, lo sviluppo del latifondo e del lavoro servile, l'acuirsi di una situazione sempre più precaria delle fasce economicamente più depresse, generarono la crisi sfociata poi all'inizio del secolo successivo nella guerra sociale.

Il conflitto, al quale parteciparono i Sanniti accanto agli altri popoli italici, scoppiò per la richiesta di ottenere la cittadinanza romana, che significava condividere i vantaggi dell'alleanza con Roma e non solo sostenerne il peso. In questa occasione gli Italici insorti coniarono una gran quantitativo di moneta in argento, non - come pure è stato suggerito - per affermare le loro capacità commerciali in contrapposizione a quelle romane, ma per finanziare le enormi spese di guerra. Le monete del "Bellum Sociale" sono denari in argento, cioè il nominale tipico di Roma comunemente utilizzato in gran parte della penisola, ma presentano la legenda "ITALIA" in latino o "VITELIV" in osco e riproducono, a eccezione di una prima serie che è del tutto simile ai denari di Roma, immagini fortemente propagandistiche, esaltanti l'accordo raggiunto tra i vari popoli o la virtus degli Italici: esempio eloquente dei due temi sono la raffigurazione della scena del giuramento che consolida l'alleanza tra i rappresentanti degli otto popoli insorti e il toro sannita che sconfigge la lupa romana. Tra i denari della guerra sociale una serie emessa da C. Papio Mutilo - il valoroso generale sannita, unico tra i confederati ad assumere il titolo di imperatore ("embradur" in osco) dopo le vittorie del 90 aC - presenta al posto del nome ITALIA comprensivo di tutte le genti, il nome Safinim (= Sannio). Questa serie, datata agli anni 89-88 aC quando lo sforzo economico e militare gravò soprattutto sul Sannio, raffigura un guerriero (per La Regina da identificare con Comio Castronio, il condottiero fondatore tra il V e IV secolo aC del touto Safinim) che schiaccia sotto il piede forse le spoglie della lupa romana, accanto a lui riposa il toro sannita. La moneta rappresenta l'ultima orgogliosa affermazione da parte dei Sanniti della loro autonomia politica da Roma.

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