Lessico


Metrica greca e latina

Metrica è la scienza che studia le modalità di formazione dei versi e le loro varie combinazioni. Notizie e indicazioni, non sempre univoche e sicure, ci forniscono sulla metrica greca e latina (che è quantitativa, cioè basata su un'ordinata e armonica alternanza di sillabe lunghe e brevi) gli antichi metricologi: tra i greci, Aristosseno di Taranto (sec. IV-III aC) ed Efestione (sec. II dC), tra i latini Terenziano Mauro (sec. II dC), Caio Mario Vittorino (sec. IV) e Diomede (sec. IV).

Nella metrica greca, soprattutto, vi erano metri recitati o cantati con accompagnamento musicale (lirica monodica e corale). Il verso che si trova alle origini della letteratura greca è l'esametro (Omero, Esiodo). In unione con il pentametro esso forma la più antica e semplice strofa lirica che, per essere stata usata dai poeti elegiaci, ebbe il nome di distico elegiaco.

Molto antico è anche il trimetro giambico che ebbe uno dei suoi maggiori artisti in Archiloco di Paro (VII sec aC), e che diventerà il verso più comune delle parti dialogate della commedia e della tragedia. Una grande varietà e armonia di ritmi caratterizza la lirica monodica (Alceo, Saffo, Anacreonte) e corale (Simonide, Pindaro, Bacchilide) i cui metri, generalmente brevi e agili, si raggruppano nelle più elaborate composizioni strofiche.

Dai Greci i Latini derivarono tutti i metri della loro poesia, tranne il saturnio che cadde presto in oblio. Ennio introdusse l'esametro, ripreso poi da Lucilio e continuato da Lucrezio e Virgilio; il trimetro giambico, col nome di senario giambico, fu anche a Roma uno dei principali metri drammatici; il distico elegiaco è la forma metrica classica anche dell'elegia romana (Tibullo, Properzio, Ovidio); la varietà e molteplicità dei versi lirici greci sono stati ripresi dalla poesia neoterica (quella del gruppo dei nuovi poeti lirici latini – poetae novi - attivi intorno alla metà del I secolo aC che segnarono un grande rinnovamento nell’ambito del repertorio formale e tematico della poesia latina) e soprattutto da Orazio.

La letteratura greca e quella latina conoscono anche una prosa metrica caratterizzata, soprattutto nella parte finale del periodo, da clausole ritmiche sempre ottenute con l'armonica combinazione di sillabe lunghe e brevi. Ne è ritenuto inventore il retore greco Trasimaco di Calcedonia (sec. V aC) e fu usata specialmente dagli oratori, e tra i latini in particolare da Cicerone che ne ha esposto la teoria nell'Orator e nel De oratore.

Metrica italiana

Fin dal sec. IV, per la perdita del senso prosodico della quantità delle sillabe, la metrica latina si trasformò da quantitativa in ritmica, cioè fondata sull'accento ritmico che nelle lingue neolatine è diventato l'accento tonico. Questa innovazione metrica avvenuta nel tardo latino sta alla base della versificazione accentuativa delle letterature romanze e quindi anche di quella italiana: il verso italiano infatti si fonda sul numero delle sillabe su cui cadono determinati accenti ritmici che normalmente coincidono con l'accento tonico della parola.

Si può dire che la metrica italiana, e quindi la sua storia, sorga quando, attraverso l'innografia medievale, la ritmica entra a far parte della metrica ufficiale. Il primo tentativo di teorizzare tutti gli schemi di versificazione volgare era stato operato da Dante nel De vulgari eloquentia: il Duecento è il periodo, infatti, in cui si vengono formando i versi italiani che hanno mantenuto una continuità abbastanza uniforme nei loro tipi principali. Le prime norme metriche e rimarie sono estremamente complicate e simili al modo del trobar clouz; rime al mezzo, rime equivoche, assonanze, allitterazioni sono gli schemi usati per lo più dai poeti della scuola siciliana. I metri sono quelli della canzone, della ballata, del sonetto, che, sebbene attribuito alla teorizzazione di Iacopo da Lentini, compare per la prima volta proprio nella scuola siciliana sia pure, forse, per aver dato autonomia metrica a una stanza di canzone di particolare struttura.

Le canzoni si servono o dell'endecasillabo o del settenario (come le ballate), i sonetti di 14 endecasillabi. Alcune canzoni sono composte sotto forma di contrasto (vedi quello famoso di Cielo d'Alcamo), forma in cui i metri possono essere molto vari (alessandrini, endecasillabi, ecc.). Nella lirica popolare erano molto in uso il settenario e l'ottonario, ritmi veloci e semplici. La canzone acquistò sempre più importanza con i poeti del dolce stil novo ma soprattutto con Petrarca che le diede quella struttura che, pur nella varietà dei versi, ha mantenuto un carattere stabile attraverso i secoli.

Il verso umanistico non si differenzia molto dal tipo precedente: tutt'al più si assiste a un prevalere di una forma strofica sull'altra: l'endecasillabo ha ormai raggiunto un livello di perfezione altissimo (accento sulla sesta, rima isolata, verso che tende ad avere un'unità compiuta); la terzina aveva avuto con Dante il suo momento di massimo fulgore, però con il proseguire del tempo venne usata, soprattutto nel Quattrocento, per soggetti parodistici, caricaturali, satirici. Nell'ottava cinquecentesca l'endecasillabo salì ai più alti gradi dell'espressione poetica rinascimentale con le opere di Pulci, Boiardo, Ariosto, Tasso.

Nel clima polemico linguistico del Cinquecento, la questione metrica non venne quasi mai toccata: solamente Claudio Tolomei nel 1539 pubblicò le Regole della nuova poesia toscana. L'unica vera innovazione fu quella dell'endecasillabo sciolto che ha avuto molta fortuna in tutta la lirica posteriore. Il Seicento e l'Arcadia furono caratterizzati da una vasta varietà di metri, su cui dominò, oltre all'endecasillabo, il settenario in concomitanza con il prevalere della musica raffinata e sommamente innovativa di Benedetto Marcello, di Giovanni Battista Pergolesi, di Baldassarre Galuppi che, tra l'altro, musicò alcune commedie di Goldoni. L'endacasillabo è stato anche il metro delle opere più significative di Parini, Alfieri e Foscolo.

Con Leopardi si assiste a un ulteriore rinnovamento della metrica: le sue poesie sono sempre ricchissime di metri. Nate dal rinnovamento individualistico di Leopardi, presentano caratteri altrettanto individuali le composizioni di Carducci, Pascoli, D'Annunzio che concludono la stagione poetica italiana dominata da metri tradizionali. A Carducci spetta inoltre il merito di aver vivificato la questione sulla metrica con le sue Odi barbare.

Nel Novecento, età caratterizzata da contraddizioni ideologiche e da un sovrapporsi di culture, l'espressione poetica, e quindi la metrica, è mutata enormemente. La ricerca della lirica pura era l'antitesi della poesia ottocentesca, e venivano perciò ripudiati anche i moduli convenzionali con cui essa era espressa: sonetti, odi, rime sono stati abbandonati e si è teso sempre più a componimenti di essenzialità rarefatta che, ripudiando metri, generi, rime, esprimessero in assoluta libertà il moto interiore dell'animo. I crepuscolari, i futuristi e gli ermetici scardinarono il verso tradizionale, isolando le parole, sciogliendo i vincoli tradizionali per accogliere l'illuminazione o l'intuizione interiore.

Trimetro

Dal greco trímetros, da tri-, tri-, e métron, misura. Nella metrica greca e latina, verso di tre metri, ciascuno dei quali può essere costituito da un solo piede (come nel caso del dattilo) o da due piedi (come nel caso di giambi, trochei, anapesti). Pertanto un trimetro dattilico è formato di 3 dattili, un trimetro giambico di 6 giambi, un trimetro trocaico di 6 trochei, un trimetro anapestico di 6 anapesti.

Giambo

Dal greco íambos,  derivato a sua volta da iáptein, scagliare, e indicante non solo il metro, ma anche il genere della poesia giambica, o satirica. Archiloco di Páros (VII secolo a.C.) fu il primo ad adottare il giambo nella lirica. I giambo è il piede della metrica classica formato da una sillaba breve e da una lunga con l'ictus su quest'ultima, per cui il suo ritmo è ascendente. L'unione di due giambi, con un solo ictus principale sul primo piede, forma una dipodia che è il metro base dei versi giambici.