Aldrovandi e l'America


Ulisse Aldrovandi e l'America
del Professor Mario Cermenati
Prolusione al Corso ufficiale di Storia delle scienze naturali
nella Regia Università di Roma per l'anno scolastico 1905-1906
letta il 23 novembre 1905

Annali di Botanica
Volume IV – Fascicolo 4°
pubblicato il 20 settembre 1906

I.

Il mio illustre maestro, ed or collega, prof. Oreste Mattirolo, che insegna botanica nell'Università torinese, ha pubblicato l'anno scorso, nelle Memorie dell'Accademia delle scienze di Torino — dopo averne fatto cenno preliminare in una delle sedute del Congresso storico internazionale tenutosi in Roma nel 1903[1] — una serie di lettere inviate, fra il 1577 ed il 1604, dal naturalista Ulisse Aldrovandi ai due granduchi della Toscana: Francesco I e Ferdinando I[2] .

Tali lettere — in numero di 48, e delle quali solo quattro avevano avuto per l'avanti l'onore della stampa a cura di Giuseppe Palagi[3] — sono davvero importanti, sia perchè forniscono nuovi elementi ad illustrazione della vita e dell'opera scientifica del grande naturalista bolognese — del quale, dirò fra parentesi, ai 4 maggio di quest'anno ricorreva il terzo centenario della morte, centenario trascorso quasi inosservato, tranne isolate manifestazioni[4], mentre per la memoria, più o meno opportuna, di tante mediocrità si sanno escogitare feste e gazzarre ufficiali d'ogni sorta sia perchè rivelano alcuni dati, fin qui sconosciuti o poco apprezzati, relativi alla storia delle scienze naturali nel secolo decimosesto.

Devesi, quindi, saper grado al prof. Mattirolo, che le ha opportunamente dissepolte dall'archivio di stato fiorentino, aggiungendo così una nuova, interessantissima memoria alle assai pregevoli da lui precedentemente pubblicate[5] per rilevare e documentare — di fronte al silenzio, od alla erronea o monca interpretazione degli storiografi della botanica, dal Tournefort allo Sprengel, dal Meyer al Sachs[6]  — i meriti eccezionali dell'Aldrovandi anche nel campo della scientia amabilis.

E doppiamente grati bisogna essere — come italiani e come naturalisti — poichè Ulisse Aldrovandi sta fra le glorie più belle e genuine del nostro paese, che non furono ancora integralmente rivendicate ed è uno degli uomini che in maggior misura hanno contribuito, con l'opera sagace di osservazione e di scoperta, col pensiero profondamente filosofico ed originale, con la diuturna attività indefessa di collezionista mai sazio e insistente abbondantissima corrispondenza con tutti gli studiosi del tempo, al progresso delle scienze della natura.

Tale egli appare, più che dalle poche opere stampate (la maggior parte delle quali, avendo egli cominciato a pubblicare :a tardissima età, sono postume, e quindi prive dell'ultima sua. revisione, quando non siano alterate e guaste da' suoi manipolatori ed editori, donde i non lusinghieri o non precisi giudizi di taluni critici) dall'immenso cumulo de' suoi manoscritti, rimasti per tre secoli dimenticati a Bologna, in due stanze del Palazzo nuovo del Comune prima, negli scaffali dell' Istituto delle scienze poi, ed infine nella Biblioteca dell'Università, ove trovansi attualmente.

Ho detto « immenso » e l'aggettivo non è certamente iperbolico, chè sono per davvero moltissimi i manoscritti che l'Aldrovandi ci ha lasciato in retaggio inediti, e che tali sono rimasti anche. dopo le pubblicazioni, non condotte felicemente, ripeto, nè con razionali criteri, dagli incaricati dall'antico Senato bolognese, perchè, mentre riprodussero ad esuberanza, e senza la selezione più ovvia ed elementare, il materiale d'erudizione che l'Aldrovandi aveva, per suo uso, radunato, viceversa trascurarono quasi tutto ciò che risultava direttamente dalle sue ricerche e dal suo pensiero, e costituiva pertanto la di lui vera opera originale.

Già fino dal suo testamento, in data 10 novembre 1603 — che leggesi in calce alla bella biografia stesane da Giovanni Fantuzzi[7] — l'Aldrovandi avvertiva che lasciava manoscritti ben duecento volumi circa in folio, quattordici in quarto, ottanta nella forma stretta ed allungata che si chiama vacchetta, ed otto ancora slegati: un totale, quindi, di oltre trecento volumi. Lui morto, fu divulgata un'incisione con la sua effigie in età di ottant'anni (tolta al volume degli Insetti, edito dal Bellagamba nel 1602), sotto la quale dicevasi, fra l'altro, che « immensam librorum suppelletilem scriptam reliquit, in qua centum viginti opera distincte numerantur, sicque inter clarissimos Patriae suae scriptores nemini secundi ».

Nel 1623 Pasquali Alidosi Gio. Nicolò, che già aveva appellate « miracolose »[8]  le opere manoscritte lasciate dall'Aldrovandi, nel render conto della di lui abbondantissima produzione, dava un elenco sommario delle opere stampate ed inedite, noverandone ventidue con illustrazioni e novantotto senza figure[9]; e questo elenco fu poi riprodotto integralmente, nel 1640, da Giovanni Imperiali[10], e nel 1666, in parte, da Lorenzo Crasso[11].

Verso il 1770, il bibliotecario dell'Istituto delle scienze, Ludovico Montefani Caprara, redigendo un accurato catalogo dei manoscritti aldrovandiani — che nel frattempo erano stati diversamente distribuiti e rilegati — li classificò in 153 opere, formanti 363 volumi; ed il Fantuzzi, già citato, nel 1774, corredando la biografia di un particolareggiato elenco delle opere stampate ed inedite del fecondo naturalista, ne annoverava 14, in 18 volumi, fra le prime, comprese le postume, e 264, in 461 volumi o fascicoli, fra le seconde.

Oggigiorno, secondo il vigente catalogo della Biblioteca universitaria di Bologna, quei manoscritti sono raggruppati in 124 numeri: e stanno là, in svariati sesti e spessori, dal grande al piccolo formato, parte autografi (in calligrafia minutissima, irta di correzioni e quindi difficilmente decifrabile), parte trascritti da amanuensi, ed accompagnati da grossi volumi di artistiche pitture pregiatissime, a formare un inestimabile tesoro, quasi ancor vergine — si può dire — per la storia delle scienze naturali!

Ora e appunto dallo studio attento e critico di queste numerosissime carte inedite dell'Aldrovandi, condotto di pari passo con l'esame di tutti gli altri cimeli di quel sommo — e cioè, di quanto rimane del celebratissimo Museo, dei sedici volumi dell'erbario, e delle tavolette incise (silografie), che in origine dovevano essere oltre cinquemila — e da questo studio, voglio dire, che, la figura scientifica sua dovrà balzar fuori vieppiù gigante e luminosa.

Man mano si trarranno dall'oblio e, con oculata cernita e logica coordinazione, si renderanno di pubblico dominio, si troverà nuovissima e brillante copia di argomenti per istabilire in lui uno scopritore, un innovatore, un precursore di questa o quella verità o dottrina scientifica, un pretto sistematico e morfologo, e non semplicemente — come fu detto e ripetuto, e tuttodì si pensa da taluno — un formidabile erudito, un fortunato dilettante, un appassionato raccoglitore; o peggio — come severamente sentenziò Buffon[12], che nulla seppe dei manoscritti — un credulo compilatore di notizie per nove decimi inutili!

E nelle stesse carte si rintraccieranno senza dubbio, in quantità insperata, tante e tante cose che figurano pensate o raggiunte da altri, e che, allo stato attuale delle conoscenze storiche, brillano, coi meriti della priorità indiscussa, accanto ai nomi di parecchi naturalisti europei del Seicento. Si vedrà così che, se l'Aldrovandi ha messo assieme tutto quanto, prima di lui, era stato detto in fatto di animali, di piante e di minerali, egli ha saputo anche aumentare, con osservazioni e scoperte personali, ed ordinare, con un proprio sistema di classificazione (del quale faranno specialmente luminosissima fede, una volta pubblicate, le tre Syntaxis: animalium, plantarum, fossilium) tutto questo materiale, contrariamente a quanto ne disse Saint-Lager, che nelle collezioni soltanto vide la gloria aldrovandiana, e prodigò, per questa ragione unicamente, lodi entusiastiche al nostro naturalista[13].

Occorre fare con l'Aldrovandi ciò che si è gia iniziato, da oltre un trentennio, per Leonardo da Vinci: esaminarne, cioè, ordinarne, trasceglierne e pubblicarne via via i manoscritti. L'immortale autore del Codice Atlantico, per poco meno di trecent'anni, fu considerato appena quale un artista esimio; e cominciò a rivelarsi scienziato, del pari grandissimo, solo il giorno in cui — a principiare dal Venturi[14], seguito dal Libri[15] e da una pleiade di valenti — si presero a sfogliare i suoi codici autografi, pieni zeppi di appunti e di disegni del più alto valore scientifico. Allo stesso modo Ulisse Aldrovandi potrà essere compreso nella sua vera grandezza di naturalista, di medico, di filosofo e di scrittore enciclopedico, soltanto dopo che le sue opere inedite (alcune delle quali — proprio come avvenne dei codici vinciani della Biblioteca Ambrosiana di Milano — ci furono rapite nel 1796, e portate a Parigi, ove il Cuvier le vide ed ammirò, e donde a noi tornarono complete — con maggior fortuna dei cimeli leonardeschi — quattordici anni più tardi)[16], saranno state studiate, e, se non integralmente tutte, almeno nella loro parte migliore, originale ed utile, pubblicate.

A questa impresa — necessaria e doverosa insieme — dovrebbe attendere, senza indugi, il patrio governo, se non si vorrà vedere, quanto prima, piovere. dalla Germania, o dalla Francia,..o da altre civili nazioni, fior di studiosi, avidi di nuovi argomenti, pieni di energia e di entusiasmo — e provvisti anche di larghi mezzi finanziari — a frugare nelle carte aldrovandiane, e trovarvi materia di numerose, splendide pubblicazioni!

Or siano costoro, in nome del cosmopolitismo della scienza, la quale non deve conoscere barriere, nè confini — siano i benvenuti, se a tale scopo intenderanno venire. Ma per le ragioni non meno alte e sante del patriottismo, certo non sarebbe bello che l'Italia ufficiale non sapesse provvedere da sè alla esumazione ed alla stampa delle opere inedite di uno degli italiani più grandi, e — doloroso a dirsi — più trascurati!

Tornando alla recente pubblicazione del prof. Mattirolo — primo saggio delle edizioni da farsi del materiale aldrovandiano giacente a Bologna — dico subito che — occupato io pure da oltre un decennio intorno alle opere stampate ed inedite del sommo naturalista bolognese, per uno studio (ormai condotto a fine) sul di lui Museo — ho letto col più vivo piacere quelle lettere, tanto più che esse mi hanno fornito alcune eccellenti notizie pel mio argomento.

Difatti, uno dei motivi, che più di frequente si ripetono nella corrispondenza epistolare dell'Aldrovandi coi due granduchi della. Toscana, è quello che si riferisce alla incetta di prodotti naturali, ad incremento del proprio Museo e dell'Orto botanico, del quale teneva la direzione. Nè egli chiede soltanto per sè, ma offre e manda del suo; tanto che fra lui ed il principe toscano si stabilisce uno scambio di oggetti, nè plù nè meno di ciò che si costuma fra collezionisti. Così, mentre invia diversi rari campioni o pitture di animali e vegetali poco noti, fa richiesta di quel che più gli preme di avere, nella certezza di essere esaudito; e, occorrendo, ripete la domanda.

Fra i suoi desiderata — per esempio — troviamo, nella seconda delle lettere pubblicate dal Mattirolo, in data dei 19 settembre 1577 (la prima non è che un biglietto di congratulazione per la nascita di un erede a Francesco I) « la pittura di quei doi serpenti, cioè del Ceraste et Ammodite, che mi donò vivi, perchè non havendo potuto haver il mio Pittore, non li ho potuto far dipingere ; et uno di quelli è morto, qual ancora si sia magrito per essersi nutrito di sua flemma, non avendo mai mangiato. Lo fo essiccare per mettere nel mio museo »[17].

Ma poichè il granduca non corrispose, per dimenticanza od altro motivo, a tale desiderio, l'Aldrovandi tornò all'assalto con la lettera degli 8 settembre 1578: « Supplico V. A. che mi faccia favore di farmi havere la pittura del Ceraste e del Hammodite serpenti, che l'anno passato fece dipingere al suo pittore, acciò le possa porre nelle mie historie; perchè io non potè far dipingere quelli che mi donò l'A. V. non havendo potuto havere il mio pittore avanti moressero ». Ed una terza volta, il 18 febbraio 1580, ripetè la domanda, con una sua lettera non compresa fra le edite dal Mattirolo: e finalmente venne esaudito, come si può dedurre dalle figure relative nelle Serpentum et draconum historiae [18].

Nella stessa lettera. 8 settembre 1578 il nostro naturalista pregò Francesco I di fargli avere dalla Polonia « la pittura di sei sorti di topi selvatici et del Varo » e, per essere più preciso, gli accluse un pro-memoria intitolato: Catalogus quorundam animalium, quorum icones ad vivum depictas e Polonia Ulysses Aldrovandus desiderat. Da questo catalogo appare che egli bramava avere dipinti al vivo — come gli zoologi odierni desiderano le fotografie — alcuni degli animali che a' suoi giorni conoscevansi solo per le pregiate pelliccie provenienti dai paesi settentrionali; ed in particolar modo quelli di cui parlò il Gessner siccome peculiari della Polonia, ed in grande voga nelle ricercate pelliccerie dei nobili. Voleva, insomma, le figure; prese dall'animale vivente, della martora, dello zibellino, dell'ermellino (gronosthay), dello scoiattolo comune (vuenvork) e dello scoiattolo grigio (varo, sciurus varius, sciurus cinereus, mus ponticus, ecc.), con le due varietà ricordate dal Gessner: popieliza e novogrodel, entrambe certamente adoperate per la confezione del vaio e del petit-gris.

Ho scelto — fra i tanti — questi due esempi per mostrare l'insistenza che l'Aldrovandi metteva in opra al fine d'ottenere ciò che desiderava, nonchè il sistema di ripetere in un memorandum a parte le cose di cui aveva fatto domanda nella missiva. Il prof. Mattirolo ha giustamente rilevato in queste lettere una certa graziosa malizia, usata dal nostro naturalista per meglio predisporre l'animo del compiacente mecenate a fare i doni richiesti; ora interessandolo ai bisogni del museo di Firenze, colmati i quali avrebbe poi potuto approfittarne largamente quel di Bologna; ora dichiarandosi così smanioso di vedere alcune cose che il granduca andava raccogliendo, da affrontare lì per lì le peripezie di un viaggio, pur di levarsi tanta soddisfazione; il che voleva dire: risparmiatemi di venire fino a Firenze, mandandomi gli oggetti o le rispettive pitture!

Nell'ultima lettera scritta a Francesco I — poco avanti la morte di questi — lo supplicò a continuargli i doni, specialmente di uccelli rari, lasciandogli intravvedere che avrebbe fatta degna e larga menzione nella .Ornitologia, e nelle altre sue opere, delle « magnanime doti » del donatore..Le stesso richieste pel Museo appaiono nella corrispondenza epistolare con Ferdinando I, al quale, appena salito al trono, l'Aldrovandi mandò un fervido saluto — precursore di abbondanti richieste — dicendogli di saperlo « doversi dilettare di cose naturali, come è cognizione degna di principe ».

Il Mattirolo ha poi richiamata l'attenzione degli studiosi dei cimeli aldrovandiani su alcune lettere che danno ragguagli sul numero dei disegni e dei campioni raccolti nel Museo, e che, tra l'altro, fanno domanda di un'aquila e di un avoltoio, vivi o morti, per poterli figurare e notomizzare, a maggior perfezione dell'opera sugli uccelli. Il che dimostra — come risulta, d'altronde, anche dalle opere stampate e dai volumi delle pitture — che l'Aldrovandi non si accontentò di studiare gli animali solo sulle pelli e sulle effigi; ma fece esperimenti sopra gli esseri vivi, praticò sezioni anatomiche sui cadaveri e preparò buon numero di scheletri, istituendo indagini di anatomia comparata, con speciale considerazione dei caratteri osteologici[19].

A questo riguardo ho notato una coincidenza fra l'Aldrovandi e Leonardo da Vinci, che mi compiaccio di ricordare. Nell'ultima delle lettere a Francesco I, dei 26 luglio 1587, scrisse l'Aldrovandi: « Ho veduto una cosa mirabile nella specie de' Pici, sì come ancora nel Torcicollo e nella Cersia, che hanno una lingua lunga come un nervetto, la qual tirando fuori si vien stendendo più di quatro dita, e poi la tira a se, che cibandosi questi uccelli di formiche et altri animaletti, nascosti et generati fra le corteccie de gli arbori, cavano fuori detta lingua, et subito riempiendosi d'essi, la ritira in bocca et se ne ciba, ma mi è parso una cosa notabile che havendo fatto anatomia del capo de l'uno e de l'altro ho ritrovato dui nervetti dentro il collo, et hanno ligamento con la lingua. Di più si vede nella sommità della lingua un aculeo assai lungo e sotile che se ne serve per uccidere gli animaletti che piglia; et questo ho fatto dipingere nella anatomia degli uccelli come si vedrà nell'opera mia... » [20].

Or bene: in tale studio anatomico della lingua del picchio, l'Aldrovandi ha avuto in Leonardo un precursore veramente degno di lui. Infatti nei frammenti di anatomia, conservati negli originali vinciani, oggidì presso la reale biblioteca di Windsor, trovasi l'annotazione: Scrivi la lingua del picchio; il che vuol dire che il grande enciclopedico, nelle sue investigazioni d'anatomia umana e comparata, fermò l'attenzione anche sull'apparato boccale di quel comune rampicante!

Interessantissime sono dunque queste lettere aldrovandiane edite dal Mattirolo: ma esse non costituiscono l'intera corrispondenza epistolare e scientifica che il naturalista di Bologna tenne coi due granduchi della Toscana. Dal contesto della seconda lettera risulta che i rapporti fra l'Aldrovandi e Francesco I risalivano ad epoca più remota da quella segnata in calce alla lettera stessa, poichè vi si parla, coi dovuti ringraziamenti, di doni precedentemente avuti.

Altre lettere, di conseguenza, debbono essere state scritte, dello stesso genere, oltre alle conservate nell'archivio di stato di Firenze, tanto anteriori alla prima del 24 maggio 1577, quanto interpolate fra le successive. Con tutta probabilità parecchie saranno andate perdute; o tuttodì esisteranno, ma nascoste e sepolte in qualche armadio o cartella — a Firenze, a Pisa, o altrove — donde chissà quando potranno venir tratte alla luce da futuri studiosi!

Per di più manca all'epistolario pubblicato dal Mattirolo tutta la parte più direttamente scientifica che integrava; mancano, cioè, quei discorsi illustrativi e quei cataloghi ragionati con cui l'Aldrovandi — come nelle lettere stesse è fatta parola — accompagnava le pitture o gli oggetti naturali che spediva al granduca. E mancano al tutto le risposte che Francesco I e Ferdinando I, volta a volta, inviavano al loro amico per ringraziarlo delle cose mandate e dei complimenti fatti, o per annunciargli l'invio degli oggetti desiderati.

Ho quindi pensato — spulciando all'uopo ingente materiale manoscritto della Biblioteca di Bologna — di completare questo capitolo della vita e dell'attività scientifica dell'Aldrovandi: ed ho potuto raccogliere, oltre ai discorsi ed ai cataloghi accompagnatori, altre lettere del nostro Ulisse ai granduchi, nonchè parecchie risposte di costoro. Tutto questo farò di pubblica ragione tra poco, con una memoria alla stessa Accademia di Torino; memoria che non tornerà certo discara al collega Mattirolo, al quale l'ho già annunciata, ottenendone i migliori incoraggiamenti; nè inutile ai biografi dell'Aldrovandi ed agli storici delle scienze della natura.

Nella odierna prolusione il mio compito è ristretto a dire alcunchè intorno all'interessamento che l'infaticabile naturalista bolognese si prese dei prodotti naturali dell'America, molti esemplari dei quali egli ebbe in dono dagli stessi granduchi della Toscana, come dall'epistolario ripetutamente si rileva.

II.

La grande novità e l'infinita varietà delle cose che giungevano dall'America ebbero possente attrattiva sull'animo di Ulisse Aldrovandi, che si adoperò in mille guise per aver notizie intorno ad esse e per radunare nel proprio Museo il maggior numero possibile di campioni e di disegni, di pitture e di incisioni delle produzioni naturali del nuovo continente. All'uopo si procurò e lesse con attenzione, annotandoli e facendone, per proprio uso, traduzioni ed estratti, tutti gli scritti riferentisi alla natura americana; e di quelli che non arrivava a possedere, facevasi prestare copia dai suoi amici e corrispondenti, o quanto meno cercava di ottenerne sunti, coi brani di maggiore interesse.

Nel Cinquecento gli animali, le piante ed i minerali dell'America contavano già una discreta schiera, se non di illustratori in stretto senso scientifico, certo di rivelatori e di cronisti, a partire dallo stesso Cristoforo Colombo e dai successivi esploratori.

Lo scopritore del nuovo mondo, dotato di un vivissimo sentimento della natura e di un penetrante spirito d'osservazione, si era occupato anche di ricerche e di studi di storia naturale, come lo provano le sue postille autografe ad un Plinio del 1489; e fino dal suo primo viaggio aveva portato seco, non soltanto quell'oro e quelle perle per cui, tutti i volgari andarono in visibilio, ma non pochi altri prodotti naturali, come a dire frutti svariati e pelli di fiere, tanto che la regina Isabella — con lettera da Segovia del 1° agosto 1494 — lo eccitava a continuare nelle raccolte ed a fare sopra tutto incetta di novità ornitologiche.

Negli scritti del grande ligure si trovano, fra l'altre notizie importantissime di fisica terrestre, vari ragguagli intorno alla storia naturale delle terre da lui scoperte; e l'Humboldt, nel suo Examen critique de l'histoire de la géographie du nouveau continent et des progrès de l'astronomie nautique dans les XV et XVI siècles e nel suo Cosmos li ha, con entusiasmo e simpatia, raccolti e commentati[21].

Anche il Vespucci ci ha dato nelle sue lettere alcuni particolari naturalistici delle regioni da lui perlustrate e specialmente in quella epistola del 1504 al gonfaloniere di Firenze Pier Soderini, nella quale dipinse i costumi e le usanze degli indiani di occidente. Il Pigafetta[22] nelle sue Relazioni — fra cui interessantissima quella sulla Patagonia, che per la prima volta rivelavasi agli europei — non ha mancato di indicare, volta per volta, le notevoli produzioni naturali in cui s'è imbattuto. Massimiliano di Transilvania, nella sua lettera al cardinale di Salzburg, con la quale descrisse il viaggio magellanico di circumnavigazione, riferì particolari naturalistici[23]. E Fernando Cortes, nelle cinque. sue famose Relazioni a Carlo V intorno alla conquista del Messico, accennò alle miniere d'oro, alle pietre preziose, alle perle, agli aromi infiniti ed a parecchie forme vegetali, nuove per l'Europa ed utilissime, che formavano la ricchezza della contrada assoggettata[24].

Così pure l'amico di Cristoforo Colombo, Pietro Martire d'Anghiera[25] , che viveva alla corte di Spagna, nelle sue storie delle scoperte e delle conquiste geografiche compiute dal 1492 al 1526 — anno di sua morte — largheggiò in ragguagli sulle condizioni fisiche, sulla fauna e sulla flora delle terre americane, ricavando le notizie dalla viva voce dei singoli esploratori, e, meglio ancora, dai documenti e dalle relazioni ufficiali delle spedizioni, che egli, come membro del Consiglio delle Indie, poteva agevolmente aver sottomano. Tanto nel suo nutrito Epistolario (Opus epistolarum) quanto nelle sue preziose Decadi (De Orbo novo decades) egli discusse lungamente e ripetutamente intorno ai prodotti naturali del nuovo mondo, e ne rivelò ai corrispondenti ed ai contemporanei le infinite meraviglie.

Tra gl'informatori del D'Anghiera ci fu anche un naturalista abbastanza autentico: Gonzalo Fernandez de Oviedo, nativo di Madrid, il quale può considerarsi come il primo che abbia cominciato a studiare ad hoc le produzioni naturali dell'America, avendo egli avuto tempo e mezzi di esaminarle in posto; nei vari .viaggi da lui fatti dal 1516 al 1556 alle nuove terre, frammezzati da lunghi soggiorni colà per ragioni di pubblici uffici. Nel 1526 l'Oviedo dava fuori a Siviglia un trattato: De la natural hystoria de las Indias, in cui anticipò un sommario della parte naturalistica della sua grande opera più tardi compiuta; e quel trattato sarebbe pertanto l'incunabulo più antico sulla storia naturale americana. Dell'opera principale tripartita: Historia natural y general de las Indias, yslas y tierra firme del mar oceano, fu pubblicata la prima parte nel 1535 a Siviglia e ristampata a Salamanca nel 1547; un sol libro della seconda parte uscì a Valladolid nel 1557, e poichè in quell'anno stesso l'Oviedo venne a morte, tutto il resto giacque inedito fino agli anni 1851-55, allorchè in Madrid l'integrale lavoro vide finalmente la luce, nelle sue tre parti formanti cinquanta libri[26].

L'Oviedo fa pure in Italia e qui rimase dal 1498 al 1502, facendo conoscenza dei principali artisti e letterati dell'epoca, fra cui Leonardo da Vinci ed Andrea Mantegna[27], Michelangelo, il Pontano, il Sannazzaro ed il Bembo. In modo speciale contrasse viva amicizia con Gerolamo Fracastoro — del quale tutti conosciamo l'elegante poema della Sifilide, che ha un. canto intiero dedicato all'America[28]; — e appunto l'Oviedo fece ricerche speciali, fra le piante del nuovo mondo, per trovare un rimedio contro il terribile morbo; rimedio che egli additò pel primo nel guaiaco, o legno santo, che per lungo tempo fu poi ritenuto uno specifico miracoloso. Il Ramusio ci ha tramandato notizia delle lettere con cui l'Oviedo  annunciava al Fracastoro i suoi studi sulla storia naturale dell'America, e discorreva delle sue raccolte di parecchie centinaia di ritratti di piante e di animali, presi dal vero[29], nonchè di libri messicani, pieni di « certe figure d'animali, fiori et uomini fatti in diversi atti e modi », dei quali mandò in dono alcuni esemplari tanto al Fracastoro quanto al Ramusio.

Lo stesso Ramusio tradusse nella lingua nostra, e pubblicò nel 1550, il Sommario naturalistico e la Prima parte della storia dell'Oviedo, ma, avanti la pubblicazione della celebre raccolta ramusiana — la quale, dirò di passaggio, è tutta interessantissima per nozioni di storia naturale — il Sommario era già uscito per le stampe fino dal 1534, assieme a due altri volumetti d'argomento americano[30]. Prima ancora, cioè nel 1520, era apparsa, senza luogo nè indicazione tipografica, una lettera anonima intorno agli uomini ed agli .animali trovati nel Yucatan durante la spedizione del Grijalva[31]. Contemporaneamente all'Oviedo, e successivamente, occuparonsi, in modo più o meno diretto e diffuso, della storia naturale dell'America — la cui conoscenza geografica andava sempre più completandosi, con l'allargarsi dei viaggi di scoperta e di esplorazione — altri viaggiatori e scrittori, fra i quali vanno ricordati: Francesco Allè da Bologna, Francesco de Xeres, Alvaro Nunez, detto Cabeça de Vaca, Francesco Lopez de Gomara, Pietro de Cieca, Agostino de Zarate, Girolamo Benzoni, Nicola Monardes, Carlo de l'Escluse, Andrea Thevet, Giovanni de Lery, Giuseppe Acosta, ecc. (1)[32] le opere dei quali, pubblicate nel Cinquecento assieme ad altre di carattere puramente geografico e storico, furono compulsate dall'Aldrovandi.

Abbondano, invero, nelle pagine edite e manoscritte del bolognese le descrizioni dei prodotti americani dei tre regni, con le relative indicazioni bibliografiche; e si avrebbe oggetto per un grosso volume, ove si volesse dare contezza di tutto il materiale ed il notiziario americano radunato, illustrato o commentato dall'Aldrovandi. Si può dire the egli abbia riassunto talora però accogliendo anche le meno esatte e credibili narrazioni —: tutto ciò che a' suoi tempi conoscevasi della fauna, della flora e del mondo inorganico dell'America; e niuno più di lui fu infiammato dal desiderio di conoscere intimamente gli innumeri tesori scientifici, che la terra scoperta da Colombo rivelava, fra lo stupore e l'ammirazione universale, alla vecchia Europa.

Anche ne' suoi manoscritti troviamo indicate, qua e là, le opere di soggetto americano ch'egli aveva più care. Nel volume che contiene: Bibliothecarum thesaurus penes titulos librorum, figurano, accanto al libro del Thevet: Historia dell'India Americana detta Francia antartica ed a quello di Gaudenzio Merula: De mirabilibus[33], una « Tabula Americae » di Girolamo Chaves e gli importantissimi scritti di Amerigo Vespucci: Annotationes in narratione de Novo Orbe e  Sommari delle sue navigationi al Mag. Pietro Soderini, consul, della Repubb. Fiorentina, N. Tom: p.° Navig.. Nel tomo IV del Perewrinarum room? Catalogue (miniera inesauribile di informazioni sull' opera scientifica dell' Aldrovandi, al pari degli altri volumi intitolati: Observationes variae) vi sono elenchi di cose naturali americane, che l'Aldrovandi compilò in gran parte sulla scorta della storia di Lopez de Gomara ed in un catalogo, recentemente trovato, che il Montefani Caprara compilò dei libri stampati posseduti dall'Aldrovandi, appaiono: un'altra edizione del Vespucci: Nuovo mondo e paesi nuovamente ritrovati (Venezia, 1521; in-8°); due edizioni di Colombo, così contrassegnate: « Colombi Christophori, De insulis Indiae supra Gangem nuper inventis in 4° — Colon. Christophorus, De prima Insularum in Mari Indico lustratione, V. Robertus de Bello contra Turcos; e la raccolta De insulis nuper inventis (Coloniae, 1532, in folio).

Io posseggo poi — per averla acquistata ad una recente asta libraria qui in Roma — una bellissima copia del libro del Monardes, prima edizione italiana del 1575, appartenuta all'Aldrovandi stesso, come risulta dalla sua firma autografa apposta in testa al frontespizio, colla dicitura comune a tutti i libri di sua proprietà, che ancora si conservano a Bologna: Ulyssis Aldrovandi et Amicorum; nonchè dalla dichiarazione, parimente autografa, in calce all'ultima pagina, che suona : «Totum perlegi ego Ulisses Aldrovandus die 2 octobris 1580» e da alcune postille marginali. Questo libro doveva essere tra i suoi favoriti; e lo interessava specialmente per le notizie circa la pianta del tabacco, tanto che di esse fece un estratto, voltandole in Latino, come appare dal manoscritto intitolato: Descriptio et Historia herba Tabaci a Nicolao Monardes hispanice scripta atque ab Ulisse Aldrovando in sermonem latinum translata.

E nella corrispondenza epistolare coi granduchi toscani, la sua insaziabile brama di avere prodotti dell'America, e libri e pitture ad essi inerenti, risalta continuamente da moltissime lettere, meditate e scritte a quest'unico scopo. E che Francesco prima e Ferdinando poscia largissero all'amico naturalista eccellente copia di cose americane — o « indiane » come le appella fanno testimonianza alcune delle lettere stesse, nelle quali l'Aldrovandi prodiga i più sperticati ringraziamenti verso l'augusto donatore, tenendo a fargli sapere che alcune delle dette cose, e cioè i semi delle piante, sono stati da lui « commessi alla terra » nell'Orto botanico, e le altre, ossia le pelli degli animali, i minerali, le pitture, ecc., sono state poste in mostra nel Museo, a perpetua memoria dell'offerente.

Una di queste lettere ha poi uno speciale valore per l'accenno ed il consiglio che vi si contengono circa un'opera inedita di inestimabile pregio, che allora esisteva in Ispagna sulla storia naturale americana. E la lettera XXI della pubblicazione del prof. Mattirolo, diretta a Francesco I in data 1° aprile 1586 in essa trovasi il seguente importantissimo periodo, dal Mattirolo messo in rilievo soltanto per mostrare gli artifizi, ai quali l'Aldrovandi ricorreva per avere dal granduca ciò che più desiderava.

« Mons. Segha[34], vescovo di Piacenza, mi disse che haveva veduto appresso la Maestà, del Re Filippo un libro di varie piante, animali, et altre cose indiane nove, dipinto; cosa veramente regale; perciò se piacesse a V. A. Ser.ma per il Sig.r suo Ambasciadore di Spagna, trarne ritratto di qualche figura degna, penso che non le potriano fursi esser discari ». « E tutto ciò — commenta il Mattirolo — per ottenerne in seguito le copie dal pittore granducale »!

Senza dubbio quest'opera veramente regale, cui allude l'Aldrovandi, doveva essere la grandiosa illustrazione della storia naturale del Messico, eseguita dal medico Francesco Hernandez di Toledo, per ordine di Filippo II, e le cui vicende formano uno dei capitoli più interessanti della storia delle scienze naturali nei secoli xvi e xvii, sebbene gli scrittori che ne tennero parola siano tutti caduti, chi più e chi meno, in errori ed inesattezze, in confusioni ed anacronismi.

Per la verità poco si è saputo intorno alla vita dell' Hernandez, che tanto monumento affidava ai naturalisti europei, e notizie incerte e contradditorie si sono date sul suo conto. Solo si conosce che dal 1571 al 1577 fu al Messico, e lo esplorò diligentemente, facendoci raccolte abbondanti di naturali prodotti, e mettendo assieme una serie numerosa di pitture rappresentanti al vero piante ed animali. Egli potè approfittare anche di parecchi dipinti del genere, che già aveva fatto eseguire, verso la metà, del Quattrocento, Nezahualeoiotl, re di Tezcuco, e di certe piante medicinali, che trovò ancora in vegetazione nel giardino di Huaxtepec, situato in prossimità di un ospedale, e — per questa ragione probabilmente — rispettato dai feroci conquistatori.

Il monarca spagnuolo — che aveva ordinata la spedizione dietro invito di sudditi studiosi, i quali, anzitutto dalle relazioni dei conquistatori, e poi dai saggi dati nel 1565, '69 e '71 dal Monardes su pochi prodotti recati dal nuovo mondo dai viaggiatori e dai mercanti, intuirono la messe abbondantissima e prelibata che se ne sarebbe fatta con apposita esplorazione in luogo — non lesinò sulle spese. Nei sette anni di residenza nel Messico l'Hernandez diede fondo alla vistosa somma di sessanta mila ducati, secondo alcuni; di settanta, ed anche ottanta, secondo altri, cifre per quei tempi davvero enormi, eccezionali.

Tornato in Ispagna, presentò al re il lavoro compiuto, e Filippo II lo sottopose per l'approvazione, prima di mandarlo alle stampe, ai suoi consiglieri. Ma: fosse invidia della fama in cui saliva l'Hernandez; o dispregio per cosa puramente scientifica senza utilità materiale immediata e palpabile; o preoccupazione finanziaria pel costo specialmente delle incisioni numerosissime, od altro più recondito fine, fatto è che gli esaminatori sentenziarono che, di fronte alla spesa incontrata, l'utile cavato era ben povera cosa; che molte delle piante descritte non avevano pregio di sorta, o non potevano utilizzarsi, data la troppa distanza dal luogo di produzione; e, per sopramercato, che la relazione era mal redatta, priva dell'ordine voluto: ergo, ne sconsigliavano la pubblicazione! Addoloratissimo per questo giudizio, l'Hernandez ne risentì danno alla salute, forse già resa malferma per le fatiche compiute, e non tardò molto a scomparire dalla scena del mondo.
A quanto si può arguire, egli deve aver lasciato intorno alla storia,naturale del Messico quindici volumi (alcuni dicono tredici, altri sedici, altri diciassette, altri diciotto, ma parmi più positiva la cifra di quindici) dei quali quattro di testo e undici di tavole dipinte. Dei volumi di testo, in lingua latina, tre riferivansi alle piante, divisi in ventiquattro libri, ed uno agli animali ed ai minerali, diviso in sei trattati; e delle pitture dieci volumi comprendevano la flora, ed uno la fauna, con un totale, fu detto, dai quattromila ai seimila ritratti circa. Completava la parte descrittiva e la iconografica un nutrito erbario in parecchi volumi, coi diversi campioni di vegetali messicani essiccati ed incollati sui singoli fogli.

Ben a ragione, quindi, il nostro Aldrovandi erasi acceso d'entusiasmo alla notizia datagli dal Sega dell'esistenza in Madrid di un'opera naturalistica di tanto momento. Se poi si pensa che tutte quelle splendide pitture, adunate dall'Hernandez, indi depositate, col testo e con l'erbario, nella reale biblioteca di San Lorenzo all'Escuriale, andarono distrutte nell' incendio che deturpò quel celebre fabbricato nel 1671, il consiglio del naturalista bolognese, di far copiare le figure più degne, appare ancor più importante pel carattere di profezia, di fatidica previdenza, dirò così, ch'esso assume.

Se il granduca di Toscana avesse accolto il nobile suggerimento, chi può dire che oggigiorno la letteratura naturalistica non potrebbe vantare la conservazione intera, nell'originale, o per lo meno in copia autentica, di così grandioso lavoro? Francesco I dei Medici era nelle migliori grazie di Filippo II, tanto più che, avanti di salire al trono, aveva passato lungo tempo alla corte di Madrid, inviatovi dal padre, Cosimo I, appunto per rendersi, benevolo quel potente sovrano, che possedeva già mezza Italia, e teneva così nel principe italiano una specie di luogotenente, oltre ai due governatori propri di Milano e di Napoli.

E però, con tutta probabilità, quand'anche il fedelissimo granduca di Toscana si fosse spinto a chiedere al monarca spagnuolo, non già un saggio delle figure od un estratto del testo, ma una copia intera del monumentale lavoro dell'Hernandez, il suo desiderio sarebbe stato appagato,- con quanto giubilo dell'Aldrovandi è facile immaginare e con qual largo profitto della scienza ognuno intende! Ed in seguito alla preparazione di una copia, sia integrale, o sia parziale, sarebbesi potuto verificare anche questo: che i quindici volumi, con l'annesso erbario, anzichè finire all'Escuriale, fossero rimasti in Madrid, e quindi al sicuro dall'incendio deplorato.

Invece, di quell'opera capitale, gravida di novità scientifiche, che stava così a cuore, e giustamente, ad Ulisse Aldrovandi, tutta la sezione iconografica originale andò, come già accennai, irremissibilmente perduta, assieme alle collezioni; e per due secoli i naturalisti non poterono utilizzare di tanto lavoro che un compendio elaborato dal solo punto di vista della materia medica (opera di un italiano, e poi variamente raffazzonato e commentato in due edizioni assai diverse) ed il volume di testo sugli animali e sui minerali, parimenti salvato per cura di altro italiano. Solo sullo scorcio del Settecento lo storiografo Munoz rinveniva nella biblioteca di S. Isidoro a Madrid una copia a mano, con correzioni autografe, di vari scritti dell'Hernandez, formanti cinque volumi ; e tra questi stavano i tre tomi di testo sulla flora messicana, i quali furono tosto pubblicati.

Il compendio cui allusi, è quello del medico Recchi: ed anche di esso l'Aldrovandi ebbe notizia e si adoprò, non appena informato, per ottenerne visione e magari qualche saggio, come aveva fatto per l'opera originale. E qui la nobilissima aspirazione sua viene ad integrarsi in uno degli atti maggiori compiuti dall'antica Accademia dei Lincei, fondata in questa Roma l'anno istesso in cui Ulisse Aldrovandi, al termine della propria carriera scientifica, ne stendeva il testamento, e due anni prima che quel Grande chiudesse gli occhi per sempre. Com'e noto, precipua cura di Federico Cesi e dei suoi valorosi compagni fu quella di pubblicare e commentare l'estratto eseguito dal Recchi sull'opera dell'Hernandez; ed è con tale impresa che i benemeriti instauratori della pia vecchia e gloriosa accademia scientifica del mondo si riallacciano idealmente al naturalista di Bologna.

A pagina 251 del tomo XIII delle Observationes variae è segnata la seguente annotazione: « Come a Neapoli si trovi appresso un Dottore un libro delle piante et animali d'India per istanza del Re Philippo dipinto nell'Indie con 6060 figure ». Indubbiamente l'Aldrovandi s'affrettò a prendere questo appunto in seguito alla notizia fornitagli, a voce o per lettera, da qualche suo amico o corrispondente. Per di più, smanioso di verificare la cosa, e nella speranza di poter aver sott'occhio nuove forme naturali americane, non mancò di scrivere subito a Napoli al celebre Giambattista Della Porta, col quale era in ottima relazione, chiedendo a lui informazioni e pregandolo di farsi dare dal « dottore » copia di qualche pittura delle piante indiane.

Infatti, a pag. 294 della stessa vacchetta, e trascritta la risposta che il Della Porta, presumibilmente nell'agosto 1589, gli favorì in argomento: e poichè in questa lettera inedita stanno particolari ignorati da quanti scrissero sull'Hernandez e sul Recchi, è prezzo dell'opera sentirla per intero. Eccola qua :

« Dal negotio che V. S. mi scrisse delle piante, sappia che agli anni adietro fecero una petitione al Re nostro di Spagna i Spagnoli che havesse mandato alcun all'Indie a tor ritratto dell'herbe et animali di quelle parti et delle loro virtù atteso che de' scritti di Monardes, che non erano se non semplici relationi di marcadanti, pur si vedevano belle esperienze. Mandò il Re un dottor degno detto il Cortese con patenti mirabili che se gli fosse dato ogni anno denari e favori che fosse stato bisogno: andò il Cortese et in nove anni portò il ritratto di quattromila fra piante e animali et le loro virtù. Il Re fe veder lo libro dal Consiglio suo di Madrito e le fu riferito che la spesa era molta (che si erano spesi 80000 ducati) et del util poco; essendo l'herbe nell'India che loro non potevano servirsene in Spagna, e di più lo libro senza ordine, del che il povero medico si morì di doglia. Diedesi il carico di questo al Dottor Recco Ant. di Monte Corvino, che per allora era in Hispagna, et così lui ha ordinato il libro et fattolo in latino, et che ha eletto più di 600 herbe et animali, et il Re adesso lo sta facendo intagliare et l'havrem presto. Il predetto Dottore ha havuto 400 ducati di entrata, e venuto in Napoli con li originali et gli mostra cortesemente a tutti, et per certo son cose belle, rare, utili et stravagantissime. L'ho pregato intensamente per esser molto mio amico et mi dice che sappendosi che lui le pubblicassi prima che il Re, gli sarebbe pericolo non solo che il Re gli togliesse l'intrate; ma la vita, che è peggio, massime che fra pochi giorni saranno stampati, ecc... ».

Ed anche a Fabio Colonna si rivolse l'Aldrovandi per avere ragguagli sull'opera del Recchi, come arguisco da un periodo di una lettera di quel valentissimo botanico napoletano al naturalista bolognese, in data 30 settembre 1595, che suona precisamente così: « Quel libro che dice V. S. venuto d'India non ne so altro, perchè il medico Nardo Ant.o Recco di S. M.a morì l'estate passata ». Il qual periodo poi assume una speciale importanza, poichè ci fa sapere l'epoca della morte del Recchi, che non trovo indicata in nessuno degli autori ch'ebbero a parlarne; e chissà, quante altre notizie su questo stesso argomento dell'illustrazione naturalistica del Messico potrebbero venir fuori, qualora si esaminassero una ad una le pagine dei quattrocento e più volumi e fascicoli racchiudenti i manoscritti aldrovandiani!

Ma bastano già questi dati per dimostrare come l'Aldrovandi, dopo aver cercato d'avere un saggio dell'opera originale dell'Hernandez, siasi messo in moto per conoscere almeno il compendio del Recchi e trovarvi materia pe'suoi libri e per le sue annotazioni. E se anche in quest'ultimo desiderio non potè essere accontentato, stavolta non ne venne tuttavia danno al progresso della scienza, perchè il sunto tratto dal Recchi dai materiali hernandeziani, dopo una, serie di singolari peripezie, potè uscire, nella sua integrità, in sontuosa veste tipografica.

Parecchi valenti scrittori, dall'Odescalchi al Du Petit-Thouars, dal Proja al Rolli, e dal Carutti ai professori Pirotta e Chiovenda, hanno cercato di ricostruire — anche per emendare qualcuna delle principali inesattezze ch'ebbero corso al riguardo — la non breve istoria di quello che fu detto il Tesoro messicano. Vale la pena che pure noi la riepiloghiamo rapidamente, con qualche ulteriore correzione o nuovo particolare, compreso ciò che ci fa sapere il Della Porta nella lettera conservata nel fitto de' manoscritti aldrovandiani, ed a tutt'oggi rimasta sconosciuta, assieme ad un mondo di altre cose di quel prezioso deposito.

Dissi più su che re Filippo II fu dissuaso da' suoi consiglieri di ordinare la stampa del testo e le incisioni delle pitture formanti l'illustrazione del Messico compiuta dall'Hernandez, e che questi, nel frattempo, accasciato dal dolore, veniva a morte. In quell'epoca, e cioè fra il 1580 ed il 1585, trovavasi alla Corte di Madrid, pure in qualità di medico addetto alla persona reale, Nardo (Leonardo) Antonio Recchi da Montecorvino, in quel di Napoli, laureato nella celebrata scuola di Salerno ai 27 di febbraio del 1564. Questo brav'uomo fu appunto incaricato dal sovrano di prendere in esame il materiale naturalistico lasciato dall'Hernandez, per meglio riordinarlo e per trarne tutto ciò che poteva avere utilità dal lato dei bisogni medicinali.

Recchi si pose pertanto all'opera, e fece un largo estratto della materia medica contenuta nelle relazioni dell'Hernandez, corredandolo delle corrispondenti figure a colori copiate dalle pitture o dai campioni originali. Ne venne così un bel volume illustrato, diviso in dieci libri, ossia otto per i vegetali, uno per gli animali ed uno per i minerali: e questo lavoro, a quanto apprendiamo dalla lettera del Della Porta, e per la testimonianza anche di Giuseppe Acosta, era gia compiuto verso il 1588. Per di più gia fin d'allora si stava per mandarlo alle stampe, come pure si rileva dalle notizie fornite dal Della Porta all'Aldrovandi, e da un passo di Fabio Colonna, che nel 159! diceva esserne imminente la stampa, per commissione ed a spese di Filippo II.

Ma, come non era avvenuta la pubblicazione dell'opera dell'Hernandez, così non ebbe seguito allora neppure quella del sunto del Recchi; e può darsi che gli stessi parrucconi, che avevano impedita la prima, abbiano lavorato a mandare a monte anche la seconda, tanto più che il Recchi da Madrid se n'era tornato in patria, certo in seguito alla sua nomina ad archiatro generale del reame di Napoli. A Napoli, invero, lo troviamo fino dal 1589; e con sè aveva portato l'originale del suo lavoro, mentre a Madrid ne lasciò copia per la pubblicazione che doveva essere fatta.

Venuto il Recchi a morte nella estate del 1595, il manoscritto, coi relativi dipinti, passò al nipote ed erede suo Marco Antonio Petilio, giureconsulto di molto credito ed autore di pregiate pubblicazioni. Questi, compreso dell'alta importanza del lavoro ereditato, cercò di farlo conoscere, allo scopo di trovare il mecenate che desiderasse esserne editore; e, sia che il Colonna ne avesse tenuto parola al Cesi, sia che il Cesi ne avesse avuta conoscenza diretta, od anche visione, quando fu a Napoli nel 1604, (come pure dovette avere informazioni dall'Heck sull'opera dell'Hernandez depositata all'Escuriale) fatto sta che il prezioso manoscritto passò dalle mani del Petilio a quelle del munifico fondatore dell'Accademia dei Lincei, che si propose di pubblicarlo.

Attorno all'opera del Recchi — che nel 1611 fu esaminata attentamente anche da Galileo — si posero tosto a studiare i Lincei; e Giovanni Schreck (Terrenzio), prima che quell'anno finisse, aveva, già predisposta, con l'aiuto di Giovanni Faber, una serie di commenti ai dieci libri, descrivendo anche le piante delle quali ii Recchi aveva, dato soltanto la figura ed il nome messicano. E nello stesso 1611 si era posto mano alla stampa, come risulta da una lettera del Cesi al Galilei, in data 17 settembre, ove è scritto : « Di nuovo devo dirle che ho fatto incominciare a stampar il libro delle piante indiane, che V. S. vide, et il signor Terentio ci fa un puoco di coramento ».

Ma, non appena erasi iniziata la pubblicazione, si verificarono svariate cause di ritardo; e questo durò parecchi anni. Nel frattempo il Cesi volle che la parte zoologica del compendio recchiano avesse un maggiore, speciale commento, ed incaricò della bisogna il collega Giovanni Faber, che ampliò la trattazione del Recchi con nuovi dati, desunti da altri libri o dalla viva voce di viaggiatori reduci dalle Americhe, fra cui il padre Gregorio de Bolivar, che aveva vissuto cinque lustri nel Messico, nel Perù, ed in altri luoghi del nuovo continente. A Fabio Colonna commise poi di annotare il libro sui minerali, nonchè di fare all'opera intera tutte le chiose e le aggiunte che avesse ritenute necessarie od opportune. A Francesco Stelluti, infine, affidò la direzione tipografica ed iconografica dell'impresa, lavorando seco lui alla disposizione delle varie parti, alla correzione delle bozze e a far preparare le silografie, che vennero eseguite da Isabella Parasoli e da Giorgio Nuvoli.

Ma intanto che gli accademici lincei con entusiasmo e sagacia venivano predisponendo una bella edizione critica del lavoro recchiano, il medesimo, sott'altra veste ed in forma ben più dimessa e raccorciata, vedeva la luce oltre l'Atlantico, e precisamente nella città di Messico nel 1615, per opera del gesuita Francesco Ximenes. La copia del suo sunto, che il Recchi aveva lasciato presso la corte di Madrid, era stata riveduta dal celebre medico spagnuolo Valles Francesco; poi, un bel giorno, dopo che n'era stato abbandonato il progetto di pubblicazione, scomparve dalla biblioteca reale, e « por extraordinarios caminos » — si disse — finì nelle mani dello Ximenes, nel Convento di San Domenico a Messico.

Lo Ximenes, cambiando solamente la disposizione dei libri, ed alcuni punti riepilogando o corredando di lievi addizioni, non fece altro che tradurre in ispagnuolo il compendio del Recchi, il cui nome si accontentò di citare nella prefazione. Indi lo diede alle stampe senza però le figure, forse non pervenutegli, oppure non trovandosi allora al Messico incisori — col titolo: Quatro libros de la naturaleza y virtudes de lets planters y animales que estan recevidos en el use de Medicina en la Nueva-Espana y la methodo y correccion y preparation que para administrallas se requiem, con lo que el doctor Francisco Hernandez escribio en lengua latina.

Ma di quest' opera -- erroneamente ritenuta poi cosa distinta dal sunto recchiano — ben pochi esemplari pervennero in Europa, e forse i primi Lincei non ne ebbero precisa notizia; difatti il Faber ad un punto (pag. 706), riferendosi al lavoro del Recchi, esclama : Nunc primum mundo publicamus!

Nel 1626 Cassiano Dal Pozzo — che trovavasi a Madrid, addetto alla legazione del Cardinale Barberini — in una gita alla biblioteca dell'Escuriale, fece copiare il volume dell'Hernandez sugli animali ed i minerali del Messico, e s'affrettò a mandarlo al Cesi, che stabilì di aggiungerlo in calce al libro del Recchi.

Il Faber aveva consegnate le sue Esposizioni sopra gli animali alla fine del 1625, ed il Colonna, invece, non terminò le sue Annotazioni ed aggiunte che al 1° di luglio del 1628. Ulteriori ritardi debbonsi alla malferma salute ed alle domestiche faccende dello stesso Cesi, che intendeva anche corredare il volume delle sue Tavole fitosofiche; e finalmente nel 1630, dopo vent'anni di lavori e di ansie, il Tesoro Messicano stava per essere pubblicato, quando Cesi venne a morte, e, con la sua dipartita immatura, tutto fu sospeso!

A completare la pubblicazione del libro non restavano a stamparsi che sette delle tavole fitosofiche del Cesi, gli indici, la prefazione e la dedica, le quali parti mancanti non avrebbero richiesto, in tutto, che due o tre centinaia di scudi. Ma la vedova del Cesi, Isabella Salviati, tutrice delle due figlie, in cui proprietà passò l'edizione, non voile sobbarcarsi a questa spesa: e le copie incomplete — tranne alcune che furono, così come si trovavano, messe in circolazione, donde la cosidetta edizione del 1630 — rimasero giacenti, quasi carta inutile, in un magazzino del palazzo Salviati fino al 1648.

Ed ecco comparire in quell' anno uno spagnuolo a riprendere il progetto della pubblicazione del Tesoro Messicano, e precisamente Alfonso Las Torres, agente di Spagna in Roma, colto gentiluomo ed amatore dello scienze naturali. Il Las Torres, informato dallo Stelluti e da Cassiano Dal Pozzo — gli unici lincei superstiti — dell'edizione abbandonata, s'affrettò a comperarla da Don Paolo Sforza — marito d'Olimpia, figlia del Cesi — per la somma di mille scudi, ed incaricò lo Stelluti stesso di trarla a compimento.

Nel 1649 la stampa era ultimata, ed alcuni esemplari furono in quell'anno distribuiti (donde la cosidetta edizione del 1640); ma passarono ancora due anni prima che il Tesoro messicano uscisse finalmente al pubblico in modo definitivo.

L'edizione del 1651 — che è da ritenersi la vera, sebbene stampata già quasi tutta vent'anni innanzi — reca un primo frontespizio con dicitura lievemente diversa quella del 1630, ma uguale a quella del 1649, tranne il nome dello stampatore; per di più ha un secondo frontespizio, con un nuovo titolo, che suona: Nova plantarum, animalium et mineralium mexicanorum Historia a Francisco Hernandez medico in Indijs praestatissimo primum compilata; dein a Nardo Antonio Reccho in volumen digesta; a Jo. Terentio, Jo. Fabro et Fabio Columna Lynceis Notis et additionibus longe doctissimis illustrata. Cui demum accessere aliquot ex principis Federici Caesii frontispiciis Theatri Naturalis Phytosophicae Tabulae una cum quam pluribus Iconibus, ad octingentas, quibus singula contemplanda graphice exhibentur. ROMAE MDCLI. Sumptibus Blasii Deversini et Zanobij Masotti Bibliopolarum. Typis Vitalis Mascardi. Superiorum permissu.

Così, sessantacinque anni dal giorno in cui Ulisse Aldrovandi — intuendo il grandissimo valore dell'opera di storia naturale « indiana », della quale aveva avuto notizia dal vescovo Sega — pregava il granduca di Toscana di fame tosto copiare le migliori pitture, e sessantadue circa dacchè i1 naturalista bolognese aveva saputo, per mezzo del Della Porta, del compendio facto di quell'opera « veramente regale », questo compendio veniva finalmente assicurato alla scienza nella sua forma integrale, dopo che l'Hernandez ed il  Recchi erano morti senza la soddisfazione di veder uscire dai torchi, come era stato promesso, il frutto dei loro sudori e delle loro veglie, e dopo che del compendio stesso era stata fatta al Messico, in veste spagnuola, una pubblicazione mutila, quasi ignota agli europei.

E questo notevolissimo acquisto per la letteratura naturalistica fu dovuto precipuamente al Cesi, morto anch'esso senza veder pubblicato il volume, pel quale tante cure e tante somme aveva prodigate ed aiutarono l'illustre patrizio romano due dotti naturalisti tedeschi, lo Schreck ed il Faber, e due non meno valenti naturalisti italiani, il Colonna e lo Stelluti. Quest'ultimo riuscì finalmente a trarre in porto l'impresa, dopo quarant'anni di costante lavoro, grazie alla cooperazione di un benemerito oriundo piemontese, il Dal Pozzo, ed alla liberalità di uno spagnuolo intelligente, il Las Torres, pubblicando nella città eterna ciò che Messico, Spagna ed Italia avevano prodotto, e che tanti ingegni superiori — primo fra tutti l'Aldrovandi — avevano ammirato e desiderato.

Or vien spontanea un'osservazione. Ripensando oggi a tutte queste infinite peripezie del Tesoro Messicano, spicca maggiormente l'importanza della proposta aldrovandiana al granduca Francesco I di Toscana, inquantoche, come già dissi, se il naturalista bolognese fosse stato ascoltato, un saggio abbondante dell'opera dell'Hernandez — e fors'anche l'intero corpo della stessa — si sarebbe per tempo venuto a conoscere dagli studiosi; ed i priori Lincei, anzichè spendere quasi tutte le loro energie attorno al compendio del Recchi, avrebbero potuto rivolgere studi e denari ad altre imprese, con evidente grandissimo vantaggio del progresso e della diffusione delle scienze naturali.

III.

Altra cosa degna di essere fatta conoscere, per confermare l'incessante interessamento che Ulisse Aldrovandi nutrì e mostrò nei riguardi dell'America, si è che egli, non solo smaniavasi per avere, da tutte le parti, naturali prodotti del nuovo mondo, ma vagheggiò persino, e propose formalmente, un'apposita spedizione scientifica a quelle terre; il che è rimasto completamente ignoto — ch'io sappia — a tutti i suoi biografi e commentatori, nonchè ai numerosi cultori e raccoglitori di libri e documenti antichi intorno all'America.

Giace inedito, fra i tanti manoscritti aldrovandiani, un lavoretto, dettato fra il 1569 ed il 1570 (e che io pubblicherò nell'illustrazione del Museo), così intitolato: Discorso naturale di Ulisse Aldrovandi, philosopho et medico, nel quale si tratta in generale del suo Museo et delle fatiche da lui usate per raunare da vane parti del mondo, quasi in un theatro di natura, tutte le cose sublunari come piante, animali et altre cose minerali. Et parimenti vi s'insegna come si dee venir nella certa et necessaria cognitione d'alcuni medicamenti incerti et dubbii, ad  utilità grandissima, non solo de' medici, ma d'ogni altro studioso. — All'Ill.mo et Ece.mo signor Giacomo Boncompagni, castellano di S. Angelo.

In tale discorso leggesi quanto segue: « Sono già da dieci anni che io entrai in questa fantasia d'andare nelle Indie novamente scoperte, per utile universale, tant'era il desiderio di giovare altrui; alhora volentieri avrei pigliata questa impresa quantunque laboriosa. Et disprezzata ogni fatica, a guisa di Cristoforo Colombo, mi sarei posto a fare questo viaggio; il quale ammiraglio Colombo, sempre hebbe desiderio d'indagare varii paesi; sapendo per ragioni philosophiche, che senza dubbio ritroverebbe nuova terra, movendosi principalmente dalla notizia de' venti che da quei luoghi respiravano, sapendo al certo come peritissimo nocchiero e buon Philosopho che da altri luoghi che dalla terra non nascevano quei venti.

« Laonde non rimase in alcun modo gabbato , ma infinite volte più retrovò paesi di quel che sperava, a utile grande e ricchezza et honore del Re Cattholico, et di se stesso, et consequentemente di tutta la Cristianità, essendosi portato da quei luoghi tant'oro insin ad hora et varietà d'aromati per uso delle speciarie. Et s'egli non rimase ingannato, quanto meno sarei io rimaso fraudato, sapendo al certo già li paesi ritrovati essere diversi climati dai nostri et nascere per conseguenza cose totalmente diverse, siano animali o piante, o altre cose, da quelle che nascono in Europa. »

E qui prosegue, osservando come a' suoi giorni non si avessero studi speciali sulla natura americana, fatti con vero e proprio intendimento scientifico, sebbene non scarseggiassero relazioni e trattati intorno a quei paesi. Infatti — egli dice — quegli spagnuoli e quegli italiani che sono stati da quelle parti, descrissero più che altro « le Historie e le guerre » e coloro che, come « Francesco Lopez, Gonzalo Oviedo et molti altri » hanno pur descritto « molte piante ed animali, che in varii luoghi in quelle regioni nascono », tuttavia « non hanno scritto principalmente di questa materia, ma solo accidentalmente, perciocchè mossi dalla copia infinita delle cose ritrovate e vedute sono stati sforzati a scrivere, et inserire come gioie nelle loro Historie tanta varietà di cose naturali, non facendo eglino manco il giuditio in quelle sotto a che genere prossimo di piante et animali et altri misti inanimati si debbono ridurre simil cose, nè manco methodicamente l'hanno descritte con tutte le loro parti, acciocchè più agevolmente in cognitione di quelle venire si potesse; et, quel che più importa, non hanno dato notizia della sua natura et temperatura, per la quale facilmente guidati per il vero sapore possiamo come accidente necessarissimo et utilissimo condursi nella vera notitia della natura delle piante e animali, mostrandosi la facultà che nasce dalla mistione di quattro elementi che realmente in quel composto se ritrovano, ne ci può gabbare d'un tantino, essendo per testimonio di Galeno il sapore il vero messaggero et authore certissimo in mostrarci la vera facultà de' corpi misti, che hanno origine dalla mistione et qualità manifeste, ancorchè io tenga per cosa certa essere nelle piante alcune facultà, occulte, le quali non hanno origine dalla mistione de' quattro elementi, ma solo dalla forma del composto che a noi è ignoto... ».

Vuole, in conclusione, l'Aldrovandi che, ad illustrare i prodotti naturali dell'America, attendano naturalisti di professione, pratici di tutte le esperienze et osservazioni necessarie », e però occorre — egli dice — che il re di Spagna mandi laggiù « varii dotti e scrittori, i quali non havessero attendere ad altro che a scrivere questa Historia delle cose naturali, che in Europa non si trovano, et certo maggiore honore et utile al Mondo di questo non potrebbe conseguire il Re di Spagna a commettere fusse eseguita questa impresa ».

E continua: « Io ancorchè sia di età di 47 anni forse quando piacesse al Re di Spagna per favore e mezzo di N. S. di servirsi dell'opera mia, forse mi risolverei di pigliare questa faticosa impresa. Et sapendo io quant'habbiano scritto in queste materie gli Arabi, Greci e Latini et altri scrittori, gran profitto farei al Mondo, se io andassi in quei luoghi; et se huomo in Europa è atto a far questo, credo (sia detto senza jattanza) poterlo fare io: di questo dando l'honore all'onnipotente Iddio, dal quale ogni bene dipende ».

Ed ecco come succintamente svolge il progetto : « Egli è ben vero che per fare compito questo negotio bisognarebbe armare un buon Naviglio di tutto quel che facesse necessario, ma sopratutto bisognarebbe ch'io havesse, e tenesse meco molti scrittori e pittori, et altre persone erudite, a ciò che per la morte ch'è comune a tutti non si mancasse da poter condurre al fine l'honorata impresa: acciò che in breve tempo in tanti varii luoghi si potesse scrivere l'historia et depingere ogni cosa rara et pellegrina, portando et conservando appresso di noi; oltra la Pittura, tutte le cose più notabili descritte ed avvertite da me, siccome animali e piante, et altre cose inanimate conservate al modo detto di sopra, acciocchè facilmente si potesse portare e godere, come veri esemplari, acciò si verificasse e toccasse con mano che tuttociò che havessimo scritto non fusse menzogna ».

Nè il progetto limitavasi alla perlustrazione delle Indie occidentali, ma anche delle orientali: insomma di tutte le terre extraeuropee allora conosciute. Entusiasmato del medesimo, prosegue : « Non è dubio che non solo si verrebbe in cognitudine de infinite cose. non descritte da alcuni antichi nè moderni,. ma si verificherebbero gran parte degli aromati degli antichi, de' quali tanti ne sono dubii et incerti; et quest'impresa tanto più tosto si redurria al desiato fine, quanto maggiore copia de' scrittori et pittori havesse, et altri huomini periti, perciochè faria mestieri in molti luoghi fermarsi per fare depingere, descrivere et fare anatomia di animali retrovati: siccome facea Aristotile nell'Alessandria di Egitto, con poca fatica, sendoli portati da varii luoghi per commissione di Alessandro; ma è ben vero che, se egli fusse andato in fatto, molto più cose avrebbe scritto et più veramente havendo alcuna volta per false relationi, scritte alcune cose che sono fintioni, sì come con ragione provo nell'Historia degli Animali ».

E conclude: « Chi non vede apertamente che maggior gloria di questa immortale non potria acquistare altiss.° et potentiss.° Re di Spagna possessore ancora dell'Indie occidentali, et parimenti il Ser.mo Re di Portogallo, il cui aiuto ci faria bisogno per la navigazione per li suoi paesi orientali ritrovati, per illustrare questa impresa della Philosophia naturale reale delli perfetti misti, che sono nell'Hemispherio nostro, et con poca spesa per la comoda navigazione, che se ha a quei luoghi, et non solo gran delettazione conseguirebbe per la varietà di tante belle Historie naturali, gioconde ad ogni sorta di persone intelligenti: ma molto maggior utilità ne conseguirebbero gli Medici presenti et posteri, venendo in cognitione di tanti bei segreti di natura, et facultà di nove piante con la verificatione delle antiche scritte da' Greci et Arabi, a beneficio della generatione humana soggetta a tante diversità di mali, da' quali del continuo da molti lati è assalita, sendo noi, di materia composti, esposti ad ogni alterazione (come è noto a ciascuno) di modo che fa mestieri subito ricorrere al Medico et conseguentemente agli medicamenti .semplici e composti che sono gli veri instrumenti per conseguire la sanità perduta. »

A parte le considerazioni che si potrebbero fare su questo frammento inedito — come, per esempio, su ciò che l'Aldrovandi scrive a proposito di Cristoforo Colombo; o sui ragionamenti diretti a dimostrare la necessità delle indagini naturalistiche fatte in posto, da persone pratiche, davanti ai prodotti viventi o appena presi, e debitamente notomizzati, e non a base di informazioni di viaggiatori, non sempre sinceri e intelligenti, o di esemplari alterati ed incompleti; oppure su quanto subodora della complicata chimica vegetale, allora un vero arcano per tutti; o sul pretto spirito scientifico che trapela fra le righe, malgrado le banali, utilitaristiche idee dominanti dell'epoca, e l'ostentato profitto medico dell'impresa, ragionamento questo indispensabile, come il più adatto a persuadere il sovrano ad ordinarla — non è chi non vegga quanto esso frammento sia importante, dacchè prova che il nostro naturalista, se fosse stato esaudito, avrebbe potuto compiere un'opera veramente grandiosa, aristotelica, d'inestimabile influenza pel Progresso della civiltà.

« Se fosse stato esaudito » ho detto: e, cioè, se il re di Spagna, accogliendo i consigli e le profferte dell'Aldrovandi, questi avesse incaricato, fornendogli i mezzi adeguati, di ordinare ed effettuare la progettata impresa. Ma chi ci può affermare che i suggerimenti del naturalista Bolognese non siano affatto giunti all'orecchio del monarca iberico? Chi ci può assicurare che essi siano completamente caduti nel vuoto e non abbiano proprio dato luogo a nessun tentativo del genere? A questo proposito io accarezzo una congettura, che non posso esimermi dal palesare. Ecco qua.

L'Aldrovandi dice di avere quarantasette anni nel momento in cui si offre di partire alla perlustrazione naturalistica delle nuove terre: essendo nato agli 11 di settembre del 1522, egli dettava, dunque, il suo Discorso fra il 1569 ed il '70; e, com'egli stesso premette, aveva cominciato a pensare alla spedizione, fors'anche parlandone con amici, conoscenti o mecenati, dieci anni prima, ossia fra il 1559 ed il '60. Ora noi sappiamo che l'Hernandez fu al Messico, a compiervi, d'ordine di Filippo II, la ricerca e lo studio di quei naturali prodotti, fra il 1571 ed il '77: non potrebbe darsi che a quel sovrano, od ai suoi consiglieri, l'idea di spedire appositamente un naturalista a perlustrare la regione messicana fosse sorta dopo avere avuto conoscenza, sia pure in via indiretta e non completa, dei progetti aldrovandiani? A quei tempi le relazioni fra Italia e Spagna erano strettissime, per la ragione — poco lieta invero — che noi italiani eravamo per molta parte politicamente soggetti agli spagnuoli, e di ciò che si faceva o si pensava qui, era facilissimo che ne fosse tosto edotta la corte di Madrid; e perciò non parmi improbabile the ci possa essere un nesso fra la proposta dell'Aldrovandi e la spedizione dell'Hernandez.

Comunque sia, quando si pensi che la prima spedizione naturalistica, scientificamente fruttifera, fatta dagli europei nelle terre del nuovo continente è quella cominciata solo nel 1637 — per iniziativa della Compagnia olandese delle Indie occidentali, e sotto gli ordini del principe Giovanni Maurizio di Nassau-Siegen, che seco condusse i due medici naturalisti Giorgio Marcgrav e Guglielmo Pison, i quali perlustrarono ed illustrarono il Brasile — più grande diventa il merito di Ulisse Aldrovandi, che circa ottant'anni innanzi aveva pensato di fare altrettanto, e con programma ancora più vasto, direi quasi universale!

Riassumiamo. Se si fosse messo in opra ciò che l'Aldrovandi, pel sacro fuoco che n'accendeva l'ingegno, aveva proposto ai potenti dell'epoca che fu sua, si sarebbe forse salvata ai posteri, nella originaria integrità, la monumentale opera dell'Hernandez sulla storia naturale del Messico, e le scientifiche, positive conoscenze naturalistiche sul nuovo continente sarebbero certamente state anticipate — con immenso vantaggio dell'umanità intera, ed a forte incremento delle scienze e della cultura — di un secolo circa.

Invece le due geniali proposte rimasero senza seguito ed oggi che si conoscono, servono a testimoniare viemmeglio della grandezza, della originalità e della modernità di Ulisse Aldrovandi, genio fatidico, precursore, innovatore.

Io chiudo il mio dire augurando che, se restarono lettera morta le due proposte aldrovandiane di cui v'ho parlato quest'oggi, sia almeno ascoltata — dopo tre secoli e mezzo circa di progressi e di diffusione delle scienze, e quindi, presumibilmente, di accresciuto interessamento scientifico da parte de' governanti — la proposta mia, che ripeto con tutte le forze dell'animo al governo del mio paese, e per esso al ministro della Istruzione pubblica, di provvedere, cioè — ed al più presto — ad una bella edizione completa e critica dei manoscritti inediti di Ulisse Aldrovandi nei quali sta il segreto della gloria di quest'uomo, che fu il più vivido faro che abbia illuminato le ricerche della natura nel secolo decimosesto; e coi quali alto servigio sarà reso facendoli noti a tutto il mondo civile — alla scienza ed alla patria, nonchè alla causa santa della verità della storia.



[1] Cfr. Atti del Congresso internazionale di scienze storiche; vol. XII. Atti della Sezione VIII: Storia delle scienze fisiche, matematiche, naturali e mediche. (Roma, tip. dei Lincei, 1904) pag. XII.

[2] Le lettere di. Ulisse Aldrovandi a Francesco I e Ferdinando I, granduchi di Toscana e a Francesco Maria II, duca di Urbino, tratte dall'Archivio di Stato di Firenze illustrate da Oreste Mattirolo (Memorie della Reale Accademia delle scienze di Torino, serie II, tomo IV, appr. nell'adunanza del 17 aprile 1904).

[3] Quattro lettere inedite di Ulisse Aldrovandi a Francesco I de' Medici granduca di Toscana. Pubblicazione fatta da Giuseppe Palagi per le nozze Aldrovandi-Martano il 1° settembre 1873 in Bologna. (Firenze, coi tipi dei successori Le Monnier, 1873). — Le lettere pubblicate corrispondono all'VIII (filza n. 715, 22), alla XIV (filza n. 774, 33), alla XVIII (filza n. 778, 654) ed alla XXIX (filza n. 788, 273) della serie pubblicata dal Mattirolo. Varie note corredano le quattro lettere.

[4] Il chiaro prof. G. B. De Toni, dell' Università di Modena, in commemorazione di questo centenario, pubblicò Cinque lettere di Luca Ghini ad Ulisse Aldrovandi (Padova, tip. Seminario, 1905); ed io dedicai allo stesso intento una dozzina di lezioni del mio corso all'Università. di Roma, illustrando con esse la vita e le opere dell'Aldrovandi. — A Bologna si costituì un Comitato per celebrare il centenario, ma la cerimonia fu rimandata al maggio 1907.

[5] L'opera botanica di Ulisse Aldrovandi (Bologna, tip. Fratelli Merlani, 1897) edita a cura del municipio di Bologna, inaugurandosi la sala destinata alle raccolte botaniche aldrovandiane, nell'Istituto botanico della R. Università di Bologna; La nuova « Sala Aldrovandi » nell' Istituto botanico della R. Università di Bologna (in Malpighia, anno XII, vol. XII, Genova, 1898); Illustrazione del primo volume dell'erbario di Ulisse Aldrovandi, (in Malpighia, anno XII, vol. XII, Genova, 1898).

[6] J. Pitton Tournefort, Isagoge in rem erbariam, introduzione storica al classico trattato : Institutiones rei herbariae, del quale si hanno due edizioni latine in tre volumi (Parigi, 1700 e 1719) e due francesi in tre e sei volumi (Parigi, 1694 e 1697); Kurt Sprengel, Historia rei herbariae (Leipzig, Brockhaus, 1807-8) e Geschichte der Botanik, neu bearbeitet (ivi, 1817-18); E. Meyer, Geschichte der Botanik (Könisberg, 1857, vol. IV, pag. 269-70); G. Sachs, Geschichte der Botanik von 16 Jahrhunderts bis 1860 (Monaco, Oldenbourg, 1875, pag. 20), trad. franc. di Henry de Varigny (Paris, Reinwald, 1892, pag. 18).

[7] Memorie della vita di Ulisse Aldrovandi medico e filosofo bolognese, con alcune lettere scelte d'uomini eruditi a lui scritte e coll'indice delle sue opere mss. che si conservano nella Biblioteca dell'Istituto, ecc. (Bologna, Lelio dalla Volpe, 1774).

[8] Instruttione delle cose notabili della città di Bologna et altre particolari; con tutte le Memorie Antiche cite si ritrovano nella Città, e Contà, et alcune altre cose curiose (Bologna, Nicolò Tebaldini, 1621) pag. 130.

[9] I dottori bolognesi di teologia, filosofia, medicina e d'arti liberali dall'anno 1000 per tutto Marzo del 1623. (Bologna, Nicolò Tebaldini, 1623), pagg. 181-190.

[10] Musaeum historicum et physicum (Venezia, apud Juntas, 1640) pagine 146-151.

[11] Elogii d'huomini letterati (Venezia, Combi e La Noù, 1666) pagg. 139-140.

[12] Ecco ciò che il Buffon scrive dell'Aldrovandi nel discorso De la manière d'étudier et de traiter l'histoire naturelle, premesso alla sua celebre Histoire naturelle générale et particulière, che ebbe tante edizioni e traduzioni dal 1749 ai giorni nostri: « Aldrovande, le plus laborieux et le plus savant de tous les naturalistes, a laissé, après un travail de soixante ans, des volumes  immenses sur l'Histoire Naturelle, qui ont été imprimés successivement, et la plupart après sa mort: on les reduiroit à la dixième partie, si on en ôtoit toutes les inutilités et toutes les choses étrangères à son sujet; à cette prolixité près, qui, je l'avoue, est accablante, ses livres doivent être regardés comme ce qu'il y a de mieux sur la totalité de l'Histoire Naturelle; le plan de son ouvrage est bon, ses distributions sont sensées, ses divisions bien marquées, ses descriptions assez exactes; monotones à la vérité, mais fidelles; l'historique est moins bon; souvent il est mêlé de fabuleux, et l'auteur y laisse voir trop de penchant à la crédulité...».

[13] « On n'a pas compris que la partie capitale de l'oeuvre d'Aldrovandi, c'est son Musée, c'est son Herbier, son Jardin botanique, sa Collection de dessins. C'est là qu'il faut chercher la grande pensée et le véritable titre de gloire de cet homme en qui était incarné le génie de la collection. Ses écrits ne sont eux-mêmes qu'une collection de tout ce qu'on savait touchant les minéraux, les plantes et les animaux. Aldrovandi a été tellement occupé pendant sa longue carrière à dresser la statistique de ce qui a été dit sur chaque être vivant et sur chaque production naturelle, qu'il n'a pas eu le temps d'ajouter ses propres observations à celles qu'ont avait faites avant lui. On ne lui doit aucune découverte, pas même un système bien ordonné de classification, mais a eu le mérite de démontrer à ses contemporains l'utilité de l'enseignement par les choses elles-mêmes, grande vérité, vulgaire et banale aujourd'hui, mais qui au milieu du xvi siècle, après la longue période scholastique, illuminait les sciences naturelles d'un jour nouveau » (Histoire des Herbiers par le Dr Saint-Lager, Parigi, Baillière, 1885) pag. 34.

[14] Essai sur les ouvrages physico-mathématiques de Léonard de Vinci, avec des fragments tirés de ses manuscrits, apportés de l'Italie; lu à la première classe de l'Institut national des sciences et arts, par G. B. Venturi, etc. (Parigi, Duprat, an. V [1797].

[15] Histoire des sciences. mathématiques en Italie, depuis la Renaissance des lettres jusqu'à la fin du dix-septième siècle, par Guillaume Libri (Parigi, J. Renouard et C., 1840, tome III, livre II).

[16] Furono portati a Parigi precisamente tutti i volumi che contengono le pitture, magistralmente eseguite, delle produzioni naturali e l'intero erbario dell'Aldrovandi. Il Cuvier, nelle sue lezioni sulla storia delle Scienze naturali, dedicò ben poche parole all'Aldrovandi, contrapponendolo a Corrado Gessner, come naturalista « ou l'on remarque moins de goût et même de science » ed accogliendo, come cosa possibile, la leggenda della sua morte all'ospedale, dopo essere caduto in miseria e diventato cieco! Unica cosa giusta detta dal Cuvier a proposito dell'Aldrovandi è nel periodo seguente : « On voit dans la bibliothèque publique de Bologne un nombre immense de manuscrits d'Aldrovande, beaucoup plus considérable que celui qui a été imprimé ». Indi accenna, con non eccessiva esattezza, alle pitture portate a Parigi: « Ce zélé naturaliste était parvenu à former jusqu'à vingt volumes in-folio de figures d'animaux, toutes peintes en couleur par les hommes habiles de ce temps, qui, je le répète, était très fécond en bons artistes. Ces vingt volumes de peintures sont conservés à l'Institut de Bologne. Pendant la révolution, ils avaient été transportés à Paris, au Muséum d'histoire naturelle; ils y ont été repris en 1814 » (Histoire des sciences naturelles depuis leur origine jusqu'à nos jours, chez tous les peuples connus, professée au Collège de France par Georges Cuvier, complétée, rédigée, annotée et publiée par M. Magdeleine de Saint-Agy, Parigi, Fortin, Masson et C., 1841, vol. II, pag. 92).

[17] Nel mio studio di prossima pubblicazione sul Museo di U. Aldrovandi spiego lungamente quali fossero i metodi di preparazione da questi adoperati, non conoscendosi allora l'uso dell'alcool, nè i sistemi tassidermici come si praticano oggidì, e che ridonano, per così dire, agli animali il loro atteggiamento caratteristico, come se fossero viventi. Si capisce quindi perchè l'Aldrovandi accordasse gran peso alle figure (disegni, pitture, silografie, ecc.) con le quali corredava le spoglie animali (pelli, corpi essiccati, membra varie, ossa, ecc.) raccolte nel Museo.

[18] Nelle Serpentum et draconuin historiae, coordinate da Bartolomeo Ambrosini sui materiali aldrovandiani e pubblicate a Bologna nel 1640, trovasi il disegno dell'Ammodites e del Cerastes. A fianco di quest'ultimo (p.175) detto .« Cerastes ex Libya, qui vivus ad Serenissimum Hetruriae Magnum Ducem, delatus fuit una cum Ammodyte ».

[19] Nel torno XIII, carte 83 v. delle vacchette « Observationes variae » trovasi una lista degli uccelli che l'Aldrovandi notomizzò nel 1588: Index avium quarum, a nobis facta est anathome anno 1588: Scolopax, Upupa, Scolopachium, Porcellana, Fulica, Picus viridis major, Picus glandaria, Picus varius, Picus minor ex albo et nigro, Anatis quinea descriptio esterior, Accipiter frigilarius masculus, Accipiter frigillarius foemina, Anatis torquatae maris descriptio et anatome, Gallina domestica, Capella, Pica -caudata, Monedula secunda, Gallinago minor, Pluvialis, Bechassin, Porzana maior seu Gallina Cheoropos, Gallus Indicus mas, Gallina indica.

[20] Infatti a pag. 838 del vol. I della Ornitologia c'e una figura anatomica della lingua del picchio (Ornithologiae hoc est de avibus historiae libri XII; ediz. principe: Bologna, apud Franciscum de Franciscis senensem,1599 vol. I, ediz. post. Francoforte, 1610; Bologna, 1646, 1652, 1681).

[21] Examen critique, ecc.; pubblicato primieramente a Parigi in quattro volumi dal 1836 al '39, indi compreso, in due volumi, fra le Oeuvres d'Alexandre de Humboldt, dell'editore Morgand, nel 1864; tomo III, pag. 227 e segg. — Cosmos, trad. ital. di G. Vallini (Venezia 1a ediz. 1846, 3a ediz. 1861) vol. I, pag. 259 e 407 (nota 29) vol. II, pag. 43-45, 242 e 252 e segg.; idem di Vincenzo degli Uberti (Napoli 1850), vol. I, pag. 368; vol. II, pag. 68-70, 346, 360 e segg.

[22] Cfr. per la abbondante bibliografia di Colombo, Vespucci e Pigafetta la parte VI, vol. unico, della .Raccolta di documenti e studi pubblicati dalla Commissione Colombiana pel IV centenario della scoperta dell'America, che contiene: Bibliografia degli scritti italiani o stampati in Italia sopra Cristoforo Colombo, la scoperta del nuovo mondo e i viaggi degli italiani in America, compilata da Giuseppe Fumagalli con la collaborazione di Pietro Amat di San Filippo (Roma, 1894).

[23] La prima edizione di questa lettera, scritta in latino, e datata da Valladolid 24 ottobre 1522, è di Colonia, gennaio 1523. Seguono le due edizioni romane « in aedibus P. Minutii Calvi » del novembre 1623 e febbraio 1524: Maximiliani Transylvani Caesaris secretis Epistola, de admirabili et notissima Hispanorum, in Orientem navigatione, qua variae et nulli prius accessae Regiones inventae sunt, cum, ipsis etiam, Moluccis insulis beatissimis, optimo Aromatum genere refertis, ecc. Tradotta in italiano, figura nel volumetto: Il viaggio fatto dagli spagnuoli atorno al mondo (Venezia, 1536) assieme ad una traduzione del sommario francese del libro del Pigafetta fatto da Jacopo Fabbri in Parigi, e nel primo volume della notissima raccolta di Giambattista Ramusio (Navigationi et viaggi; I vol.,Venezia, Giunti, 1550, ediz. poster., ivi, 1663, 1588, 1606 ; II vol. ivi 1559, ediz. poster., ivi 1574, 1583, 1613 ; III vol. ivi 1556, ediz.. poster. ivi 1565, 1606, 1613). Con tutta probabilità il  Ramusio è autore anche della traduzione del 1536, perchè quasi identica a quella della raccolta.

[24] Cfr. per le prime edizioni e traduzioni delle Relazioni del Cortes, la Bibliotheca americana vetustissima dell'Harrisse (New-York, 1866) e Additions alla stessa (Parigi, 1872). Un breve estratto della seconda relazione del Cortes a Carlo V (1520) apparve in lingua italiana a Milano nel 1522: Noue de le Isole et Terra ferma nuouamente trovate in India per il capitano de l'armata de la Cesarea majestate. Il dott. Pietro Savorgnano da Forlì tradusse dallo spagnolo in latino la seconda e terza relazione: Praeclara Ferdinandi Cortesii de Nova mares Oceani Hyspania Narratio Sacratissimo ac Invictissimo Carolo Romanorum, Imperatori semper Augusto, etc.; Tertia Ferdinandi Cortesii Sac. Caesar et Cath. Majesta. In Nova Maris Oceani Hyspania generalis praefecti praeclara Narratio, etc. (Norimberga, 1524). La versione latina del Savorgnano della seconda relazione servì a Nicolò Liburnio per trarne una traduzione italiana: La preclara narratione di Ferdinando Cortese della Nuova Hispagna del Mare Oceano, ecc. ecc... dalla facondia latina al splendore della lingua volgare per Messere Nicolò Liburnio, con fideltà et diligenza tradotta, ecc. (Venezia, Bernardino de Viano de Lexona, 1524). Il Ramusio nel terzo volume della sua raccolta diede la traduzione italiana soltanto della seconda, terza e quarta Relazione, dichiarando di non aver potuto trovare la prima, e non avendo egli avuto contezza della quinta. - - - Invero, tanto la prima come l'ultima delle Relazioni del Cortes, non vennero allora stampate, e per lungo tempo furono introvabili, nonostante anche le diligentissime ricerche di Andrea Gonzales de Barcia, che pubblicò la pregevolissima collezione: Historiadores primitivos de las lndias (Madrid, 1749). Fu il celebre Robertson che sospettò dove potesse essere andata a finire la prima relazione, riflettendo al fatto che Carlo V dovette riceverla mentre trovavasi in Alemagna; e comunicata tale idea al ministro inglese a Vienna, Keith, questi, fatte le debite ricerche nella biblioteca imperiale, ivi rinvenne la relazione desiderata. Nello stesso tempo trovossi anche la quinta, (la quale dà notizia del cacao e di altri prodotti) in un codice a Vienna, senza data, ed in altro codice della Biblioteca Nazionale di Madrid; in quest'ultima copia la Relazione è datata da Temixtitan 3 settembre 1526. La prima relazione, riassunta dal Robertson, fu pubblicata integralmente nel 1842 nel primo volume, pag. 421-461, della Coleccion de docuinentos ineditos para la historia de Espana, compilata da Navarrete, Salva e Baranda (Madrid, 1812-65) ; e la quinta, assieme a tutte le altre, apparve per la prima volta. nel 1852 nella raccolta di Enrico de Vedia: Historiadores primitivos de Indias (Madrid, 1852-53 due tomi) che fa parte della Biblioteca de Autores Espanoles dell'editore Rivadeneyra. Altra edizione completa: Cortes, Cartas y Relaciones al Emperador Carlos V colegidas é illustradas por Pascual de Gayangos (Parigi, Chaix et C , 1866); trad. inglese del de Gayangos stesso (Londra, Hakluyt Society, 1868). In calce alla IV Relazione il Ramusio aggiunse la traduzione di una lettera di Pietro d'Alvarado, ove, fra l'altre cose, si discorre di due montagne messicane, una d'allume e l'altra di zolfo.

[25] La raccolta delle numerose lettere che Pietro Martire d'Anghiera scrisse dalla Spagna, dal 1488 al 1526, ai suoi amici e protettori d'Italia, uscì postuma nel 1530 ad Alcalà sull'Henares, la Complutum dei Romani (Opus epistolarum Petri Martyris Anglerii mediolanensis protonotarii apostolici atque a consiliis rerum Indicarum, nunc primum et natunt et mediocri cura excusum, quod quidem praeter stili venustatem nostrorum quoque temporum historia loco esse poterit: Compluti, anno Domini MDXXX, in fol.), e fu ristampata nel 1670 ad Amsterdam. Scorrettissima è l'antica edizione, e scorretta ancora, malgrado la revisione fattane, è la seconda; per cui sarebbe desiderabile, a parere di tutti i competenti, una terza edizione moderna, emendata dagli errori e debitamente commentata. Le Decadi sono otto, e furono pubblicate a più riprese e con diverso titolo. La prima uscì per le stampe a Siviglia nel 1511 all'insaputa, pare, dello autore stesso, ed assieme ad altri suoi scritti, col titolo di: Oceani decas. Nel 1515 Pietro Martire mandò una copia manoscritta di tre decadi a Leone X, che ne fu entusiasta; e l'anno successivo apparvero in pubblico ad Alcalà sull'Henares, col titolo: De Orbo Novo decades, [in fine] cura et diligentia viri celebris magistris Antonii Nebrissensis historici regi fuerunt hae .tres protonotarii Petri Martyris Decades impresse in contubernio Arnaldi Guillelmi, ecc. Più tardi, verso il 1520, pubblicò isolata una quarta decade, col titolo: De insulis nuper repertis simulatque incolarum moribus (c'e un'edizione di Basilea del 1521, ma si ritiene non sia la originale); e quando venne a morte nel 1526 lasciò inedite quattro altre Decadi. L'opera completa delle otto Decadi apparve per la prima volta nel 1530, ancora ad Alcalà sull'Henares, col titolo: De Orbe Novo decades Petri Martyris ab Angleria, mediolanensis, protonotarii, cesarei senatoris (Compluti, apud Michaelem de Eguia, MDXXX). In seguito si fecero diverse edizioni, l'ultima delle quali è di Parigi 1587 per cura di Riccardo Hakluyt: e l'opera fu anche tradotta e pubblicata più volte in inglese, in tedesco, in francese ed in italiano (Summario de la generale historia de l'Indie occidentali cavato da libri scritti dal signor Don Pietro Martyre, ecc.; Venezia, 1534 ed in Ramusio, Navigationi et Viaggi, tomo III). Intorno a Pietro Martire d'Anghiera (nativo di Arona sul Lago Maggiore, ed oriundo di Angera sullo stesso lago) cfr., fra gli altri biografi e bibliografi per incidenza, i seguenti: Ciampi: P. Martire d'Anghiera (in Nuova Antologia, settembre e dicembre 1875); Hermann A. Schumacher, Petrus Martyr, der Geschichtschreiber des Weltmeeres (New-York, 1879); Heidenheimer, Petrus Martyr Anglerius und sein Opus Epistolarum (Berlino, 1881); Gerigk, Das Opus epistolarum des Petrus Martyr, sin Beitrag zur Kritik der Quellen des Ausgehenden 15 und beg innenden 16 Jahrhunderts (Braunnsberg, 1881); Y. H. Mariekil, Pierre Martyr d'Anghera (Parigi, 1887); Bernays, Petrus Martyr Anglerius und sein Opus epistolarum (Strasburgo, 1891); Pennesi G., Pietro Martire d'Anghiera e le sue relazioni sulle scoperte oceaniche (in Raccolta colombiana cit. Parte V, vol. II. (Roma, 1894).

[26] Oviedo, de la natural hystoria de las Indias... [a tergo] Sumario de la natural y general istoria de las Indias que escribio Gonçalo Fernandez de Oviedo. [in fine] imprimio a costas del autor... por industria de maestre .Remon de Petras: y se acabo en la ciudad de Toledo a XV dias del mes de Febrero de MDXXVI años.

La historia general de las Indias. [a tergo] Primera parte de la historia natural y general de las Indias yslas y tierra firme del mar oceano, escripta por el capitan Gonçalo Hernandez de Oviedo y Valdes, etc. [in fine]... imprimio en la muy noble y muy teal ciudad de Sevilla en la emprenta de Juam Cromberger el postremo die del mes de setiembre ano de mil y quinientos y treynta y cinco años.

Coronica de las Indias. La hystoria general de las Indias agora nuevamente impressa corregida y emendada Y con is conquista del Perù. [retro] Primera parte de la hystoria natural y general de las Indias, yslas etc. [in fine]... Impreso en Salamanca por Juan de Junta acabose a Cinco dias del mes de Julio año del nascimento del nuestro senor Jesu Christo de Mil y quinientos y quaranta y siete años.

Libro XX. De la segunda parte de la general historia de las Indias. Escripta por, etc... Que trata del estrecho de Magellans. (Valladolid, por Francisco Fernandez de Cordova, MDLVII.

Tali le edizioni originali dell'opera storico-naturalistica dell'Oviedo apparse lui vivente. Sono volumi in folio piccolo, carattere gotico in doppia colonna; con rozze silografie, a disegni quasi schematici racchiusi in quadretti; nei cataloghi dei librai antiquari sono segnati oltre mille franchi! La prima parte consta di 19 libri, (tradotta anche in francese: Parigi, Michel de Vascosan 1556). Della seconda uno solo fu pubblicato; per cui rimasero inediti dopo la morte dell'autore 18 libri della seconda e tutti i 12 formanti la terza parte.

Questi libri inediti giacquero per lungo tempo ignorati qua e là per le biblioteche spagnuole ; e con essi trovavasi anche la copia della prima parte, che l'autore aveva di suo pugno notevolmente emendata ed accresciuta. Fu soltanto nell'ultimo quarto del Settecento che si cominciarono ad esumare tali importanti manoscritti; alcuni dei libri inediti si rinvennero nella biblioteca Colombina di Siviglia (i nove ultimi della seconda parte); ed altri vennero in possesso del marchese di Truxillo, che ne annunciò la pubblicazione, senza però effettuarla, contrariamente a quanto affermarono la Biographie universelle ed il Cuvier nelle sue lezioni sulla storia delle scienze naturali. I manoscritti posseduti dal Truxillo passarono poi in proprietà del conte di Torre-Palma, e da questi alla biblioteca patrimoniale del re di Spagna; ove più tardi si rinvennero da Michele Salvà; erano due grossi volumi contenenti copia di otto libri della seconda parte (dal XXI al XXVII) e di tutti e dodici quelli della terza. Contemporaneamente venivano in possesso del Salvà i codici autografi dell'opera di Oviedo, che erano passati per diverse mani (sul principio del seicento legati dal Maestreescuela della cattedrale di Siviglia, Andrea Gasco, alla « Casa de contratacion »; acquistati poi da Luigi de Salazar che li lasciò al monastero di Monserrate); e questi codici, benchè mancanti di alcuni fogli, servirono ad autenticare la copia già rinvenuta e che.era stata fatta fin dai tempi del Gasco. Ma disgraziatamente, tanto nella copia come nell'autografo, mancava il libro XXVIII: e questo finalmente fu scovato tra le carte del soppresso archivio dei Gesuiti a Madrid, in un grosso volume di 430 fogli, assieme ad alcuni altri capitoli del libro precedente.

Coi materiali così completi potè l'Accademia storica di Madrid, che da tempo vagheggiava it progetto, procedere ad una.edizione dell'opera dell'Oviedo, il che fece con quattro bei volumi, affidandone la cura a Giuseppe Amador de los Rios: Historia general y natural de las Indias, Islas y tierra-firme del Mar Oceano, por el Capitan Gonzalo Pernandez de Oviedo y Valdes, primer cronista del nuevo Mundo. Publicala la Real Academia de la Historia, cotejada con el codice original, enrequida con las enmiendas y adiciones del autor, e illustrada con la vida y el juicio de las obras del mismo por D. Jose Amador de los Rios, Individuo de Numero de dicho Cuerpo, Catedratico de Ampliacion de la Literatura Espanola en la Universitad de esta Corte; etc. (Madrid, Imprenta de la Real Academia de la Historia, 1851-1855). Il I vol. contiene la prima, il II ed il III la seconda, ed il IV la terza ed ultima parte. Le antiche silografie furono sostituite da nuovi disegni raccolti in tavole litografiche alla fine di ciascun volume.

[27] Parlando di certo albero, che bisognerebbe, per farlo ben conoscere, dipingere anzichè descrivere a parole, data la sua grande diversità da tutte l'altre piante, l'Oviedo così si esprime « Y es tanta (questa differenza), que no me sé determinar si es árbol ó mónstruo entre arboles; pero como yo supiere, diré lo que dél he comprehendido, remitiendome a quien mejor lo sepa pintar o dar a entender, porque es mas para verle pintato de mano de Berruguete otro excelente pintor como el, o aquel Leonardo de Vince, o Andrea Manteña, famosos pintores que yo conoci en Italia, que no para darle a entender con palabras »- (Hist gen. y nat etc., edit. Madrid, 1851, 1a p., Prohemio lib. X, pag. 362).

[28] La prima edizione di questo conosciutissimo poema è del 1530: Hieronymi Fracastorii, Syphilis sive Morbus Gallicus (Veronae, MDXXX mense Augusto). Ad essa seguono le edizioni di: Roma, apud Antonium Bladum Asulanum, 1531; Parigi, apud Ludovicum Cyaneum, 1531; Basilea, Bebelio, 1536; Parigi, apud Foucherium, 1539; Parigi, V. Gautherot, 1539, unito al trattato di Ferri Alfonso: De ligni Sancti multiplici medicina etc.; idem, 1512 ; Lione, apud Jo. Frellonium, 1517; Lione, Nicola Bacquenoys, 1550. — Indi fu ristampato numerose volte. Sonvi parecchie traduzioni in italiano; le prime sono di Vincenzo Benini (Padova 1738) e di Sebastiano degli Antonii (Bologna 1738); la terza è di Antonio Tirabosco (Verona 1739); la quarta di Gasparo Federigo (Padova 1788). Nel secolo decimonono si hanno le traduzioni di G. L. Zaccarelli (Cremona 1821), del Gugerotti (Verona 1840), dello Scolari (Venezia 1812) e del Manganotti (Verona 1885). Cfr. sul Fracastoro, oltre alle vecchie.biografie ed agli elogi del Ramusio, del Pola, del Ghillini, dell'Imperiali, del Freher, del Teissier, del Vossio, del Thou, del Panvini, del Maffei, ecc. Mencke E.O. De vita, moribus, scriptis, meritisque etc. H. Fracastori (Lipsia 1721); Conati G. B. Elogio di Gerolamo Fracastori veronese (Verona, Modoni, 1811); Giovanni Orti Manara, Intorno alla casa di Girolamo Fracastoro nella terra d'Incaffi (Verona, 1842); Rossi Giuseppe. Girolamo Fracastoro in relazione all'aristotelismo e alle scienze nel Rinascimento (Pisa, Spoerri, 1893); Barbarani E. Girolamo Fracastoro e le sue opere (Verona, 1897); Lioy Paolo, Fracastoro e le sue idee divinatrici della paleontologia (Venezia, in Atti del R. Istituto Veneto di scienze, lettere ed arti, tomo IX, serie VII, 1897-98).

[29] « ... il signor Gonzalo Fernando d'Oviedo, ch'è tanto amico dell'Eccellenza vostra, [scrisse un Sommario], il qual Sommario egli ampliò dapoi, et divise in tre parti, chiamandole l'Historie generali et naturali dell'Indie, delle quali n'è venuta in luce la prima, come si leggerà in questo volume. L'altre due, cioè la Seconda, che contiene il discoprir del Messico et la Nuova Spagna, et la Terza dell'acquisto della gran provincia del Perù, essendo, si come ho inteso, venuto il prefato S. Gonzalo gli anni passati dall'isola Spagnuola fino in Sibilia, per farle stampare (non so che cosa vogliamo dire che sia stata cagione) con gran danno delli studiosi di questa cognitione, egli poco da poi se n'è ritornato alla città di San Dominico nella Spagnuola, riportando seco dette due parti d'historia soppresse. Nelle quali secondo che egli medesimo scrisse all'Eccellenza vostra questi anni, v'erano più di 400 figure de ritratti delle cose naturali: come animali, uccelli, pesci, arbori, herbe, fiori et frutti delle dette due parti dell'Indie; il che è stato di gran perdita a gli studiosi, che desiderano di leggere et intender particolarmente, et più volentieri le cose sovradette dalla natura prodotte in quelle parti, dissimili da quelle, che nascono presso di noi, che di sapere le guerre civili che hanno fatte molt'anni gli Spagnuoli tra loro, ecc. ». (Discorso di M. Gio. Battista Ramusio sopra il terzo volume delle Navigationi et Viaggi nella parte del Mondo Nuovo: all'eccellente M. Hieronimo Fracastoro. Venetia XX di Giugno MDLIII; in Navig. et Viaggi, vol. III). Nello stesso terzo volume della sua raccolta il Ramusio pubblicò inoltre una lettera dell'Oviedo al cardinale Bembo, datata da San Domenico 20 gennaio 1543, col titolo: La Navigatione del grandissimo fiume Maragnon, posto sopra la terra ferma dell'Indie occidentali (carte 415-416).

[30] Summario de la Naturale et generale historia de l'Indie occidentali, composta da Gonzalo Ferdinando de Oviedo, altrimenti di Valde, natio della terra di Madril: habitatore et rettore de la città di Santa Maria antica del Darien, in terra ferma de l'Indie, il qual fu riveduto et corretto per ordine della Maestà dell'Imperatore pel suo real consiglio de le dette Indie, et tradotto di lingua castigliana in Italiana. Stampato in Vinegia nel mese di. Decembre del 1534. Questa traduzione, col titolo di Libro secondo delle Indie occidentali, trovasi frammezzo a due altri sommari relativi alle stesse Indie: Libro primo della Historia de l'Indie occidentali, [a tergo]: Summario de la generale istoria de l'Indie occidentali cavato da libri scritti dal signor Don Pietro Martire del Consiglio della Maestà dell'Imperadore, et da molte altre particulari relationi. — Libro ultimo del Summario delle Indie occidentali, [a tergo]: Libro ultimo del Summario de le cose de le Indie occidentali, dove si narra di tutto quello che è stato fatto nel trovar la provincia de Peru, over del Cusco, chiamata hoggi nuova Castiglia dalli capitani dell'Imperatore. In Vinegia del mese di ottobre 1534. Come dice il titolo, quel libro primo è un estratto dalle Decadi del D'Anghiera. Il libro ultimo è la traduzione del racconto anonimo, che precedette di tre mesi la pubblicazione del de Xeres e che porta per titolo: La conquista .del Perù, llamada la nueva Castilla: la qual tierra por divina voluntad fue maravillosamente conquistada en la felicissima ventura del Emperador y Rey nuestro senor: y por la prudencia y esfuerzo del muy magnifico y valeroso cavallero el capitan Francisco Pizarro Governador y Adelantado de la Nueva Castilla y de su hermano Hernando Pizarro y de sus animosos capitanos y fieles y esforzados companeros quo con el se hallaron. (Siviglia, « en casa de Bartolomeo Perez » aprile 1634.

[31] Littera mandata della Insula de Cuba de India in la quale se contiene de le insule Città Gente et animali novamente trovate de l'anno MDX1X p.li  Spagnuoli. — Esemplare alla Marciana di Venezia.

[32] Francesco Allè. Questo concittadino dell'Aldrovandi fu tra i primi francescani che recaronsi al Messico a far propaganda cristiana. Di là egli scrisse a' suoi superiori una lettera, che fu subito resa di pubblica ragione col titolo: La letera mandata dal R. Padre frate Francesco da Bologna, da Lindia, ouer noua Spagna: et dalla Città di Mexico al R. P. frate Clemente da Monelia, Ministro della Provincia di Bologna, et a tutti li venerandi padri di essa provincia. Tradotta in vulgare da uno frate dil prefato ordine de minori d'osservanza. Dove si narra la moltitudine de le persone che sono convertite et che si convertono alla fede ed il grande presente che li hanno mandato al nostro Papa Paulo terzo, la qualità dell'aere di detto Mondo novo, la grandezza del paese, l'oro, l'argento, e pietre preciose, la bontà delle acque, i costumi del vino, di monti, boschi, animali, et grande abondantia di formento et altri grani. La qualità de gli huomini et donne, gli esserciti, la fede, la ruina de loro Idoli et modi che teneano prima et altre infinite cose piacevole da intendere. (In Venetia per Paulo Danza). Tale lettera non reca data; secondo lo Zani (Genio vagante, P. IV, c. 8) essa fu scritta dal Messico nel 1534; il Panzer (Annales typogr., vol. XI, pag. 231) fu stampata dal Danza fra il 1526 ed il 1534; il Brunet cita una edizione bolognese, pure senza anno di stampa, « per Bartholomeo Bernardo e Marco Antonio Groscio ». Venne poi riprodotta dallo Zani (Aurelio degli Anzi) nel quarto volume (pag. 87-93) della sua raccolta Genio vagante, biblioteca curiosa di cento e più Relazioni di viaggi stranieri de' nostri tempi, ecc. (Parma Giuseppe dall'Oglio, Ippolito e Francesco Maria Rosati, 1691-93,, 4 vol.); dal Marmocciii nel tomo XI, in fine, nella sua Raccolta di viaggi, ecc. (Prato, tip. Giachetti, 1843) ; e dal P. Marcellino da Civezza a pag. 44-48 del Saggio di bibliografia storica etnografica sanfrancescana (Prato, 1879). Il Ternaux la tradusse in francese e la inseri a pag. 205-221 del Recueil des pièces relatives à la conquête du Mexique (Parigi, 1838). --- Francesco de Xeres. Verdadera relacion de la conquista del Perù y provincia del Cuzco llamada la nueva Castilla. Conquistada por el magnifico y estorcado cavallero Francisco Piçarro hijo del capitan Gonzalo Piçarro cavallero de la ciudad de Trugillo como capitan general de la cesarea y catholica magestad del emperador y rey nuestro senor: Embiada a su magestad por Francisco de Xeres natural de la muy noble y muy leal ciudad de Sevilla, secretario del sobredicho senor et todas las pruvincias y conquista de la nueva Castilla y uno de los primeros conquistadores della. (Siviglia « en, casa de Bartholome Perez » luglio 1534). — II ediz. (Salamanca, por Jouan de Junta 1547). — Questa relazione fu subito tradotta in italiano da Domenico Gaztelu o Gazulo: Libro primo de la conquista del Perù et provincia del Cuzco de le Indie occidentali (Venezia « per Maestro Stefano da Sabio » marzo 1535; Milano « per Domino Gotardo da Ponte a compagnia de Domino Io. Ambrosio da Borsano », 1535. Ed è compresa anche in Ramusio (tomo III) col titolo: La conquista del Perù et provincia del Cuzsco chiamata la nuova Castiglia, scritta et drizzata a sua Maestà da Francesco di Xeres secretario del capitan Francesco Pizzarro ccheite questi luoghi conquistò. --- Alvaro Nunez Cabeça de Vaca. — La relation que dio Alvar Nunez Cabeça de Vaca de lo acaescido enlas Indias enla armada donde yua por governador Pamphilo de Narvaez desde el aiio de veynte y siete hasta.el dito de treynta y seys que boluio a Sevilla con tres de su compania... (Zamora, Augustin de Paz e Juan Picardo, 1512). II ediz. Valladolid, Fernandez de Cordova. 1555; ristampata nelle moderne collezioni. Esiste la traduzione italiana in Ramusio .(tomo III) col titolo Relatione che fece Alvaro Nunez detto Capo di Vacca: di quello che intervenne nell'Indie dell'armata, della qual era governatore Pamphilo Narvaez, dell'anno 1527 fino al 1536, che ritornò in Sibillia con tre suoi compagni. --- Francesco Lopez de Gomara. — Historia general de las Indias; Saragozza, Milian, 1552-53 in due parti; Medina del Campo, Millis, 1553; Saragozza, Ber - nuz e Milian, 1551 col seguente titolo per la seconda parte: Cronica de la nueva Espana con la conquista del Mexico y otras cosas hechas por Hernando Cortes; Anversa, Nucio, 1552-51; ed altre edizioni moderne. Fu tradotta in francese (Parigi 1569), ed in italiano [La traduzione nella nostra lingua ebbe varie edizioni. L'opera consta di due parti; la prima comincia dalla creazione del mondo e finisce con l'elogio degli spagnuoli dominatori dell' Indie; la seconda racconta is conquista del Messico compiuta dal Cortes. In alcune edizioni venete la prima parte è detta seconda, perchè consideravasi come prima parte la storia del Perù di Pietro de Cieca ; conseguentemente la seconda diventava terza. --- 1a Parte: La Historia Generale delle Indie Occidentali, con tutti li discoprimenti et cose notabili the in esse sonno successe, da eke si acquistorno fino a hora. Scritta per Francesco Lopez de Gomara in lingua Spagnuola et tradotta nel volgare Italiano per Augustino de Cravaliz. (Roma, per Valerio e Luigi Dorici, 1556). Altra ediz.: La Seconda Parte delle historie generali dell'India, con tutte le cose notabili accadute in esse dal principio fin'a questo giorno, et nuovamente tradotte di Spagnuolo in Italiano. Nelle quali oltre all'imprese del Colombo et di Magalanes, e' si tratta particolarmente della presa del Re Atabalippa, delle Perle, dell'oro, delle spetierie, ritrovate alle Malucche et delle guerre civili tra gli Spagnoli (Venezia, appresso Andrea Arrivabene, 1557). Seguono le edizioni: Venezia, per Francesco Lorenzini da Torino, 1560; ivi, per Giovanni Bonadio, 1564; ivi, appresso Giordan. Ziletti, 1565; ivi, appresso Camillo Franceschini, 1576. -:2a Parte: Historia di Mexico et quando si discoperse la Nuova Hispagna, conquistata per l' illustriss. et valoroso Principe Don Fernando Cortes Marchese de Valle. Scritta per Francesco Lopez de Gomara in lingua Spagnuola et tradotta nel Volgare Italiano per Augustino de Cravaliz (In Roma, appresso Valerio et Luigi Dorici fratelli, 1555 e 1556). — Di questa seconda parte si hanno altre edizioni col titolo Historia di Don Ferdinando Cortes, Marchese della Valle, Capitano valorosissimo, con le sue maravigliose prodezze nel tempo, the discoprì et acquistò la nueva Spagna. Composta da Francesco Lopez di Gomara in Lingua Spagnuola tradotta nella Italiana da Agostino di Cravaliz; sono di Venezia per Francesco Lorenzini da Torino 1560; per Giovanni Bonadio, 1564, e per Camillo Franceschini 1576. Un' altra traduzione italiana della seconda parte .dell'opera del Lopez de Gomara fu fatta da Lucio Mauro e pubblicata a Venezia, appresso Barezzo Barezzi, nel 1559, col titolo Historia dell' Indie Occidentali overo Conquista della Provincia d'Incatan, Della meravigliosa Cita del Messico et d'altre Provincie ad esse sottoposte, ecc. Pietro de Cieça de Leon. — Parte prilnera de la chronica del Peru. Que tracta la demarcacion de sus provincias : la description dellas. Las fundaciones de las nuevas ciudades. Los ritos y costumbres de los Indios. Y otras cosas estranas dignas de ser sabidas. Hecha por Pedro de Cieça de Leon vexino de Sevilla (Siviglia, Martin de Montes de Oca, 1553; Anversa, Juan Belloro, 1554; ivi, Juan Steelsio, 1554). — La Chronica del Peru. Nuevamente escrita por Pedro de Cieça de Leon vexino de Sevilla. (Anversa, Martin, Nucio 1554). Quest'opera doveva comprendere altre due parti; ma non uscirono per le stampe, ed è persino dubbio se furono scritte. Fu tradotta in italiano: La prima parte de la Cronica del grandissimo Regno del Peru. Che parla de la demarcazione, de le sue provincie, de la descrizione d'esse, le fundazioni de le nuove città, li ritti et costumi de l'Indiani, et altre cose strane degne di esser sapute. Descritta da Pietro de Cieca di Lione, in Lingua spagnuola. Et tradotta por hora nella nostra lingua italiana per Augustino de Cravalis, ecc. (Roma, appresso Valerio et Luigi Dorici fratelli, 1555). Altre edizioni italiane: Venezia, Domenico de' Farri, 1556; Venezia, Giordano Ziletti, 1560; Venezia, Francesco Lorenzini, 1560; Venezia, Giovanni Bonadio, 1561; Venezia, Camillo Franceschini, 1576. Agostino de Zarate. — Historia del descubrimiento y conquista del Peru, con las cosas naturales que senaladmente alli se hallan, y lo successos que ha avido. (Anversa, Nucio, 1555; Siviglia, Escribano, 1557). Traduzione italiana: Le Historie del Sig. Agostino di Zarate Contatore et Consigner° dell'Imperatore Carlo V. Dello Scoprimento et conquista del Peru, nelle quali si ha piena et particolar relatione delle cose successe, in quelle bande, dal principio lino alla pacificatione delle Provincie, si in quel tocca allo scoprimento, come al successo delle guerre civili occorse fra gli Spagnuoli et Capitani, the lo conquistarono. Nuovamente di lingua Castigliana tradotti dal S. ALFONSO ULLOA. (Venezia, Gabriel Giolito de Ferrari, 1563). — Dell' opera dello Zarate havvi una traduzione francese di Parigi del 1742. Gerolamo Benzoni. — Questo viaggiatore milanese ci ha tramandato una Historia del Mondo Nuovo, la cui edizione principe è del 1565: Historia del Mondo Nuovo, di M. Girolamo Benzoni milanese, la qual tratta dell'isole et Mari nuovamente ritrovati et delle nuove città da lui proprio vedute, per acqua et per terra in quattordeci anni. (In Venezia, appresso Francesco Rampazzetto).. Venne ristampata, con appunti riguardanti le isole Canarie, nel 1572 (Venezia, eredi di Gio. Maria Bonelli) e poscia tradotta in latino, in tedesco, in francese ed in inglese.

[33] Così nell'indicazione aldrovandiana, ma il titolo Memorabilium Gaudentii Merule Novariensis, ultra primam editionem et recognitum, et quatuor libris auctum, opus cum emendatione et scholiis Pomponii Castalii Olivetani (Lione, Mattia Bonhomme, 1556). Contiene un brevissimo capitolo sulle Insulae Americae, in cui si accenna alle perle, alle pietre preziose ed al legno contro la sifilide, che rinvengonsi nel nuovo continente: nonchè ai giganti di dieci piedi visti da Magellano. Questo capitoletto manda alla 1a edizione: Memorabilium Liber perquam utilis et eruditus (Venezia, Gabriel Giolito e fratelli De Ferrari, 1550). Un libro col titolo vero : De mirabilibus, riguardante l'America, èquello di Francesco Albertini, che parla del Vespucci e delle sue scoperte: Opusculum de mirabilibus Novae et veteris Urbis Romae editum a Francisco de Albertinis Clerico Fiorentino dedicatumq. Julio secundo Pont. Max. (Roma, « per Jacobum Mazochium », 1510). Questa è l'edizione principe; seguono altre edizioni di Basilea 1519, Lione 1520, Bologna 1520 (?), e Roma 1523.

[34] Filippo Sega, bolognese — il che basterebbe a spiegare i suoi rapporti con l'Aldrovandi — era vescovo di Ripatransone quando da Gregorio XIII fu trasferito alla sede di Piacenza nel 1579; ma poichè in quell'epoca era impegnato nella nunziatura di Spagna, così non andò a Piacenza che sulla fine del 1582, quando fu di ritorno da Madrid. Nel 1591 fu fatto cardinale e mori nel 1596, dopo essere stato nunzio pontificio anche a Parigi, ove ebbe in dono dal re un breviario in due tomi in-folio, con le rubriche in francese, che oggi si conserva nell'archivio capitolare di Piacenza. Nel Dictionnaire des cardinaux, collezione Migne, tomo 31°, Encyclopédie théologique; ecc., il Sega non è trattato troppo bene dagli scrittori francesi; è detto « ligio » alla Spagna.