Ulisse Aldrovandi
Ornithologiae tomus alter - 1600
Liber
Decimusquartus
qui
est
de Pulveratricibus Domesticis
Libro
XIV
che tratta
delle domestiche amanti della polvere
trascrizione di Fernando Civardi - traduzione di Elio Corti - revisione di Roberto Ricciardi
Si raccomanda l'opzione visualizza -> carattere -> medio del navigatore
Ut
vero illud incertum est, ita hoc cum pueris, tum [240] senibus, et
ut dici solet, lippis, et tonsoribus notum[1],
et quotidie observatum, nimirum Gallinaceum Gallum cum Sole habere
sympathiam. Hunc enim ad omnes mundi angulos, festinantem, exortivum,
occiduum, et meridianum voce admodum vocali, et alarum applausu
congratulantis in morem, saepenumero salutat, et resalutat. Adducant
modo alii quas velint manifestas rationes. Ego hinc solare animal Gallum
vocaverim, uti alii[2]
etiam Leonem ferarum generosissimum, qui non caetera animalia tantum,
sed fortissimos quoque viros terret, quem tamen Gallus ne minimi quidem
facit: at contra, illi et visus, immo auditus tantummodo pavorem incutit,
etsi de eiusmodi antipathia {diversimodi} <diversimode> authores
scribant. |
Ma,
come ciò che abbiamo detto è incerto, così quello che stiamo per dire
è noto tanto ai bambini che ai vecchi e, come si suol dire, ai cisposi
e ai barbieri, e viene quotidianamente osservato, cioè che il gallo ha
una simpatia per il sole. Infatti in tutti gli angoli del mondo lo
saluta e lo risaluta numerose volte mentre si affretta, quando si leva,
quando declina e quando è mezzogiorno, usando una voce estremamente
sonora e con uno sbattere di ali come di uno che si congratula. Adesso
gli altri possono addurre i motivi evidenti che vogliono. Io, per quanto
detto, definirei il gallo un animale solare, come anche altri chiamano
il leone il più coraggioso degli animali feroci, il quale atterrisce
non solo gli altri animali, ma anche gli uomini più coraggiosi, che il
gallo tuttavia non tiene neppure in minima considerazione: ma al
contrario gli incute terrore quando lo vede, anzi al solo udirlo, anche
se a proposito di una siffatta antipatia gli autori scrivono in modo
diverso. |
Albertus[3]
enim duobus in locis hoc de Gallo albo intelligit. Sed ante ipsum item
Divus Ambrosius[4] tradidit: Leo,
inquiens, Gallum, et maxime album ver{t}etur. Cum vero caeteri omnes,
nullius coloris facta mentione, id simpliciter de Gallo tradant: itaque,
quod cum venia huius sanctissimi patris dixerim, omnes Gallos a Leone
timeri crediderim, si modo verum est, quod inter utrosque haec
antipathia intercedat. Id enim a me non observatum est, nec ab aliquo
observatum video. Sed si Plinio[5], Aeliano[6],
Solino[7],
Lucretio[8],
Proclo[9],
aliisque credimus, quemvis Gallum a Leone timeri constabit. At hi rursus
causam huius odii non uno modo tradunt. Plinius bis disertissimis verbis
eius mentionem faciens, primo cristam, et cantum, secundo cristam, et
falcatam caudam timeri a Leone asserit: cuius verba maioris fidei causa
ascribere placuit. Inquit ergo ibi[10]:
Atque hoc tam saevum animal (Leonem) rotarum
orbes circumacti, currusque inanes, et Gallinaceorum crista<e>,
cantusque etiam magis terrent, sed maxime ignes: hic vero sic habet[11]:
Quod si palma contigit statim in
victoria canunt, seque ipsi principes testantur. Victus occultatur
silens, aegreque servitium patitur. Et plebs tamen aeque superba
graditur, ardua cervice, cristis celsa <, caelumque sola volucrum
aspicit crebra, in sublime caudam quoque falcatam erigens>: itaque
terrori sunt etiam Leonibus ferarum generosissimis. |
Infatti
Alberto in due passaggi intende dire ciò a proposito del gallo bianco.
Ma prima di lui parimenti l’ha tramandato Sant’Ambrogio, dicendo: Il
leone teme il gallo, e soprattutto se è bianco. Ma tutti gli altri,
senza fare menzione di alcun colore, tramandano semplicemente ciò a
proposito del gallo: pertanto, dicendolo con il permesso di questo
santissimo padre, io sarei dell’avviso che tutti quanti i galli
vengono temuti dal leone, se solo corrisponde al vero il fatto che tra
di loro intercorra questa avversione. Ma ciò non è stato da me
direttamente osservato, e vedo che da nessuno è stato osservato. Ma se
crediamo a Plinio,
Eliano,
Solino,
Lucrezio,
Proclo e ad altri,
risulterà che qualunque gallo viene temuto dal leone. Ma d’altra
parte costoro non tramandano la causa di tale odio in modo univoco.
Plinio, facendone menzione due volte con parole assai eloquenti,
dapprima afferma che da parte del leone vengono temuti la cresta e il
canto, poi la cresta e la coda falcata: a causa di una maggiore
credibilità mi è sembrato opportuno riportare le sue parole. Ebbene,
nel primo brano dice: E questo animale tanto feroce (il leone) lo
atterriscono maggiormente anche i cerchi delle ruote quando gli vengono
fatti girare intorno, e i carri vuoti, e le creste dei galli e i loro
canti, ma soprattutto i fuochi. Nel secondo brano riferisce così: Ma
se gli tocca in sorte la vittoria, subito cantano vittoriosi, e si
proclamano sovrani. Quello che è stato sconfitto si nasconde in
silenzio e sopporta malvolentieri la sottomissione, tuttavia
anche il popolo, ugualmente superbo, cammina a testa alta, con la cresta
eretta, e il gallo è il solo fra gli uccelli a guardare spesso il
cielo, alzando verso l’alto anche la coda ricurva come una falce:
pertanto incutono terrore anche ai leoni che sono i più coraggiosi tra
le fiere. |
Vides igitur
hic cantus nullam facere mentionem, cuius rursus Solinus[12]
tantummodo meminit, Gallinaceorum cantus timere Leonem asserens. Denique
Aelianus[13], Lucretius, et Proclus,
aliique Gallinaceum simpliciter nominant. Quid ergo dicendum,
statuendumque? Ego sum eius prorsus opinionis ut (si verum est, ut dixi,
huiusmodi innatum odium; iam enim id praesuppono) Gallum ipsum quatenus
tale animal est, a Leone pertimesci putem, nec inde id odium nasci
credam, quod utrumque animal solare est, ut Proclus[14]
existimat, sed occulti quid latere in Gallo, quo Leonem fuget. Atque
hanc meam opinionem, quam semper saniori doctorum virorum iudicio
subijcio, ex ipsomet Plinio[15] depromo{. Qui}
<; qui> a Leonibus,
et Pantheris homines non attingi, tradit, qui iure Galli peruncti fuerint, maxime, si ei allium admisceatur.
Quae quidem res innatum Leonis timorem indicat, et hanc forte semina
illa vocavit Lucretius, quae Leonum oculis incussa, illos ceu caecutire,
timereque faciant: hic autem ita canit[16]: Quin
etiam Gallum nocte<m> explaudentibus alis Auroram
clara consuetum voce vocare, No<e>nu
queunt rapidi contra constare Leones Inque
tueri: ita continuo meminere fugai. Nimirum
quia sunt Gallorum in corpore quaedam Semina,
quae cum {sint} <sunt> oculis immissa Leonum Pupillas
interfodiunt acremque dolorem Praebent,
ut nequeant contra durare feroces: Cum
tamen haec nostras acies nil laedere possint: Aut
quia non penetrant, aut quod penetrantibus illis Exitus
ex oculis liber datur, in {remeando} <remorando> Laedere
non {possunt} <possint> ex ulla lumina parte. |
Pertanto
puoi accorgerti che nel secondo brano non fa alcuna menzione del canto,
di cui invece fa menzione soltanto Solino quando asserisce che il leone
teme il canto dei galli. Infine Eliano, Lucrezio e Proclo, e altri,
citano semplicemente il gallo. Che cosa bisogna pertanto dire e
affermare? Io sono assolutamente di tale opinione (se, come ho detto,
siffatto odio innato è vero; infatti a questo punto io lo do come
presupposto) da pensare che il gallo stesso in quanto animale siffatto
venga temuto dal leone, e sarei propenso a credere che quell’odio non
nasce dal fatto che ambedue sono degli animali solari, come ritiene
Proclo, ma che nel gallo si nasconde qualcosa di occulto con cui
metterebbe in fuga il leone. E questo mio modo di pensare, che sempre
sottopongo al giudizio più assennato di uomini dotti, la ricavo dallo
stesso Plinio che riferisce: Non verranno assaliti dai leoni e dalle
pantere quegli uomini che saranno stati unti con il sugo del gallo,
soprattutto se vi viene mescolato dell’aglio. Senza dubbio questa
cosa indica un timore innato del leone, e forse Lucrezio la indicò con
quei semi che, scagliati negli occhi dei leoni, li fanno come diventare
ciechi e paurosi: infatti lui canta così: Anzi
anche il gallo scacciando la notte con le ali è
solito chiamare l’aurora con voce squillante e
gli impetuosi leoni non sono in grado di rimanergli davanti e
di volgergli lo sguardo: così pensano immediatamente alla fuga. Senz’altro
perché nel corpo dei galli ci sono certi
semi, che quando sono scagliati negli occhi dei leoni trafiggono
le pupille e arrecano un dolore violento, tanto
da non riuscire a opporre resistenza agli animali feroci: ma
invece questi semi non potrebbero per nulla ledere il nostro sguardo: o
perché non penetrano, oppure perché mentre stanno penetrando si
verifica una spontanea fuoriuscita, e se vi rimanessero non
potrebbero ledere gli occhi in nessun punto. |
Quod
si vero quispiam contra allatam sententiam arguat, dicatque Leones
crista maxime perterreri, idque inde constare, quod Capum non
timea<n>t: id huic minime negaverim, sed cristam primarium, atque
evidentissimum signum esse dixerim, quo praesens Gallum agnoscat, uti
etiam cucu<r>ritus, dum longius abest. Unde is solam cristam, vel
cantum duntaxat expavescere iure nequaquam concluserit. Neque etiam
mirum fuerit, si et nos rem acu non tetigerimus. Etenim ipsemet Aelianus[17]
causam explicare, cur scilicet Leo, et basiliscus Gallinaceum timeant,
utpote abstrusam, atque abditam suum non esse tradidit: in quibus,
inquiens, exquirendis etsi permulto abundant otio, plurimum temporis
consumunt non tamen optatum assequuntur. |
Ma
se qualcuno contestasse il modo di vedere che abbiamo riferito, e
dicesse che i leoni vengono soprattutto atterriti dalla cresta, e che ciò
risulta dal fatto che non temono il cappone: io non potrei assolutamente
negarlo a costui, ma direi che la cresta è un contrassegno di
prim’ordine e assai evidente grazie al quale uno che gli sta di fronte
è in grado di riconoscere un gallo, come pure il suo modo di cantare
quando si trova abbastanza distante. Per cui costui non può
assolutamente concludere a buon diritto che temono la sola cresta o
solamente il canto. E infatti non sarebbe neanche strano se anche noi
non mettessimo il dito nella piaga. Infatti lo stesso Eliano ha detto
che non era compito suo spiegare il motivo, in quanto difficile e
misterioso, del perché il leone e il basilisco temono il gallo:
soggiungendo che nell’indagare tali cose anche se hanno a disposizione
tempo libero in sovrabbondanza, sprecano moltissimo tempo e tuttavia non
raggiungono il risultato desiderato. |
Angui quoque
Gallus terrori est: et Simia Gallum odit, sed cum magno eorum, ac
hominum condemnatorum detrimento, ac ignominia: nam ob eiusmodi odium
cum cane omnes simul parricidarum culeo includebantur, ut nimirum Simia
Gallum persequeretur, Gallum fugeret anguis, anguis in hominem
penetraret, atque [241] ita vivus parricida, viva sepultura fieret:
proinde hoc significans Iuvenalis alibi[18]
canit. Clauditur
adversis {contraria} <innoxia> simia fatis Item alibi[19]
rursus. Cuius
{in exitium} <supplicio> non debuit una parari Simia,
nec serpens unus, nec culeus unus. |
Anche
per il serpente il gallo è motivo di terrore: anche la scimmia ha
antipatia per il gallo, ma con grande danno e ignominia per tutti loro e
per gli esseri umani condannati a morte: infatti per siffatto odio
venivano tutti quanti rinchiusi insieme al cane nel culleo dei
parricidi, ovviamente affinché la scimmia perseguitasse il gallo, il
serpente fuggisse dal gallo, il serpente penetrasse nell’uomo, e così
il parricida vivo diventasse una sepoltura vivente: perciò, intendendo
questa cosa, Giovenale canta in un verso: La
scimmia innocente viene rinchiusa a causa del destino avverso. Parimenti
di nuovo in un altro passo: Per
la sua esecuzione capitale - di Seneca - non si dovette provvedere una
sola scimmia, né un solo serpente, né un solo culleo. |
[1] Orazio Sermones I 7,1-3: Proscripti Regis Rupili pus atque venenum | hybrida quo pacto sit Persius ultus, opinor | omnibus et lippis notum et tonsoribus esse.
[2] Plinio Naturalis historia X,47: Itaque terrori sunt etiam leonibus ferarum generosissimis. – VIII,52: Atque hoc tale tamque saevum animal rotarum orbes circumacti currusque inanes et gallinaceorum cristae cantusque etiam magis terrent, sed maxime ignes.
[3] De animalibus 22.23. (Aldrovandi) - Conrad Gessner trae la notizia del gallo bianco temuto dal leone non da Sant’Ambrogio, ma da Razi: Leonem dicunt gallum album fugere, Rasis 8.8. (Historia Animalium III - 1555 -, pag. 385)
[4] Hexaemeron liber 6. (Aldrovandi)
[5] Naturalis historia X,47: Itaque terrori sunt etiam leonibus ferarum generosissimis. – VIII,52: Atque hoc tale tamque saevum animal rotarum orbes circumacti currusque inanes et gallinaceorum cristae cantusque etiam magis terrent, sed maxime ignes.
[6] La natura degli animali III,31: Il leone ha paura del gallo e dicono che anche il basilisco lo teme e che quando lo vede comincia a tremare; se poi lo sente cantare, viene preso da convulsioni e muore. È per questo motivo che coloro che viaggiano per la Libia, terra nutrice di tali mostri, per paura del basilisco si portano appresso come compagno di viaggio un gallo, perché li protegga contro un così grande malanno. (traduzione di Francesco Maspero)
[7] Collectanea rerum memorabilium XXVIII: Cantus gallinaceorum et rotarum timent strepitus, sed ignes magis.
[8] De rerum natura IV, 712-723: Quin etiam gallum noctem explaudentibus alis|auroram clara consuetum voce vocare,|noenu queunt rapidi contra constare leones|inque tueri: ita continuo meminere fugai.|Ni mirum quia sunt gallorum in corpore quaedam|semina, quae cum sunt oculis inmissa leonum,|pupillas interfodiunt acremque dolorem|praebent, ut nequeant contra durare feroces,|cum tamen haec nostras acies nil laedere possint,|aut quia non penetrant aut quod penetrantibus illis|exitus ex oculis liber datur, in remorando|laedere ne possint ex ulla lumina parte.
[9] De sacrificio et magia.(Aldrovandi)
[10] Naturalis historia VIII,52: Atque hoc tale tamque saevum animal rotarum orbes circumacti currusque inanes et gallinaceorum cristae cantusque etiam magis terrent, sed maxime ignes.
[11] Naturalis historia X,47: Quod si palma contigit, statim in victoria canunt seque ipsi principes testantur; victus occultatur silens aegreque servitium patitur. Et plebs tamen aeque superba graditur ardua cervice, cristis celsa, caelumque sola volucrum aspicit crebra, in sublime caudam quoque falcatam erigens. Itaque terrori sunt etiam leonibus ferarum generosissimis.
[12] Collectanea rerum memorabilium XXVIII: Cantus gallinaceorum et rotarum timent strepitus, sed ignes magis.
[13] La natura degli animali VI,22: Esiste una grande inimicizia tra il leone, da una parte, e il fuoco e il gallo dall’altra. (traduzione di Francesco Maspero).
[14] De sacrificio et magia.(Aldrovandi)
[15] Naturalis historia
XXIX,78: Carnibus gallinaceorum ita, ut tepebunt avulsae, adpositis venena
serpentium domantur, item cerebro in vino poto. Parthi gallinae malunt
cerebrum plagis inponere. Ius quoque ex iis potum praeclare medetur, et in
multis aliis usibus mirabile. Pantherae, leones non attingunt perunctos eo, praecipue si et alium fuerit
incoctum.
[16] De rerum natura IV, 710-721: Quin etiam gallum noctem explaudentibus alis|auroram clara consuetum voce vocare,|noenu queunt rapidi contra constare leones|inque tueri: ita continuo meminere fugai.|Ni mirum quia sunt gallorum in corpore quaedam|semina, quae cum sunt oculis inmissa leonum,|pupillas interfodiunt acremque dolorem|praebent, ut nequeant contra durare feroces,|cum tamen haec nostras acies nil laedere possint,|aut quia non penetrant aut quod penetrantibus illis|exitus ex oculis liber datur, in remorando|laedere ne possint ex ulla lumina parte.
[17] La natura degli animali VIII,28: Non è però compito mio criticare i misteriosi decreti della natura, perché per esempio il leone ha paura del gallo e lo teme anche il basilisco o perché l’elefante si spaventa se vede un maiale. Tutti coloro che consumano molti anni della vita nel ricercarne le cause, non solo disprezzano il valore del tempo, ma non arriveranno mai alla fine delle loro ricerche. (traduzione di Francesco Maspero)
[18] Satira XIII,156: clauditur adversis innoxia simia fatis.
[19] Satira VIII,213-214: cuius supplicio non debuit una parari|simia nec serpens unus nec culleus unus.