Vol. 1° -  IX.7.2.

La colonizzazione del Pacifico
secondo i dati della biologia

Da un lato abbiamo la tradizione orale e i reperti archeologici, dall'altro abbiamo la genetica che vuol dire la sua circa i modi e i tempi dell'arrivo dei primi abitanti a Rapa Nui.

Alla fine di questo capitolo forse la verità rimarrà oscura tanto come ai tempi di Métraux, forse ci ritroveremo con le idee ancor più confuse, ma questo è il cammino della ricerca nonché lo scotto che bisogna pagare se vogliamo soddisfare la nostra curiosità. Anche la genetica è diventata archeologa e talora è in perfetta sintonia con le leggende e con l'archeologia, talaltra ne diverge in modo stridente.

I mitocondri sono organuli presenti nel citoplasma cellulare. Numero e forma di questi organuli variano a seconda della funzione della cellula: per fare un esempio, in una cellula di fegato di mammifero essi variano da 1.000 a 1.500. Hanno però in comune una funzione fondamentale: l'ossidazione aerobica delle molecole per la produzione di energia. I mitocondri si moltiplicano per divisione, contengono un loro proprio DNA, sono abbondanti negli ovociti - le cellule germinali femminili - e pur essendo solamente 4 nello spermatozoo umano, essi non entrano nell'ovocita al momento della fecondazione. Pertanto il corredo di mitocondri di tutte le cellule di un individuo deriva solo ed esclusivamente dalla madre.

Ciascun mitocondrio di una cellula - e di tutte quante le miriadi di cellule di un organismo - contiene un'identica molecola di DNA che va sotto il nome di DNA Mitocondriale, il cui acronimo è mtDNA.

Il genoma mitocondriale umano è un anello a doppio filamento, cioè una sequenza di 16.569 coppie di basi azotate organizzate circolarmente secondo un ordine definito e sotto forma di nucleotidi, mentre il genoma mitocondriale del pollo, anch'esso circolare, è costituito da 16.775 coppie di basi.

Un aplotipo di mtDNA è quella particolare sequenza di nucleotidi in seno alla molecola di mtDNA, sequenza che non è identica in tutti gli esseri umani, i quali, in base al loro mtDNA - e perciò in base al loro aplotipo - vengono distinti in aplogruppi di appartenenza.

Ogni aplogruppo umano origina dalla stessa madre, che pertanto viene denominata madre fondatrice. Se, col passare del tempo, si verifica una mutazione nell'aplotipo di una madre appartenente ad un determinato aplogruppo, il nuovo aplotipo verrà trasmesso ai figli, sia maschi che femmine; a questo punto, se dovessimo rappresentare la progenie con un albero ramificato, aggiungeremo al ramo, cui questa madre appartiene, un nuovo ramo di un nuovo aplotipo che definirà un nuovo subaplogruppo. Gli evoluzionisti hanno stimato che si verifica una mutazione ogni 6.000-12.000 anni, cioè ogni 300-600 generazioni, essendo una generazione equivalente a 20 anni.

Alla base di tutte le ramificazioni dobbiamo collocare l'aplotipo di Eva, perlomeno di quella Eva che ha dato origine a tutti gli aplotipi di mtDNA attualmente presenti nel mondo. Secondo i calcoli di Rebecca Cann, Mark Stoneking e Allan Wilson, la nostra Eva, la nostra madre mitocondriale, visse circa 200.000 anni fa: da 140.000 a 290.000 anni fa.

Ma i recenti studi (1992) sull'mtDNA dello zar Nicola II, della sua famiglia e del suo seguito riesumati dalla tomba siberiana hanno spinto Thomas Parsons e altri studiosi ad approfondire il problema della frequenza con cui si verifica una mutazione a carico dell'mtDNA: rimasero attoniti quando i calcoli portarono a stabilire la possibilità di una frequenza mutazionale pari a 40 generazioni, cioè una mutazione ogni 800 anni, al massimo ogni 1.200 anni, cadenza che è pur sempre molto elevata rispetto ai 6.000-12.000 anni stimati dagli evoluzionisti.

In base a tale nuovo orologio molecolare la nostra Eva mitocondriale sarebbe vissuta appena 6.000 anni fa. Non è il momento di spiegare i perché e i percome di numeri così discrepanti, che hanno una loro giustificazione scientifica, e che non debbono far sorgere sentimenti di disfattismo nei confronti della scienza, il cui cammino è arduo ed affascinante.

Naturalmente, per poter stabilire quali sono le mutazioni che si sono verificate in seno ad un genoma mitocondriale, bisogna fare riferimento ad un mtDNA standard, che è arbitrario e che corrisponde a quello la cui sequenza nucleotidica fu descritta con accuratezza da Anderson et al. a Cambridge nel 1981.

I nucleotidi di questa molecola standard vengono numerati da 1 a 16.569. Le mutazioni possono verificarsi con 4 meccanismi: transizione, trasversione, delezione, addizione. Per gli intenti di questo capitolo accenniamo alla delezione: essa consiste nella perdita di un tratto della sequenza nucleotidica. Per semplificare le cose, unifichiamo transizione e trasversione sotto il termine sostituzione, in quanto in entrambi i casi una base nucleotidica prende il posto di un'altra.

Le più comuni varianti dell'mtDNA a seconda dei Continenti vengono elencate nella tabella seguente.

Continente

Aplogruppo

Africa

L

Europa

H

 

I

 

J

 

K

Asia

A

 

B

 

F

 

M

 

M-C

 

M-D

Americhe

A (Amerindi)

 

A (Na-Denè)

 

B (Amerindi)

 

M-C (Amerindi)

 

M-D (Amerindi)

da: http://www.gen.emory.edu/MITOMAP/citation.html
modificato

Possiamo facilmente dedurre che gli aplotipi degli Amerindi possono aver preso origine dai 4 corrispondenti aplotipi asiatici. I 4 aplotipi fondatori sono presenti in popolazioni dell'America Settentrionale, Centrale e Meridionale.

Questo riscontro suggerirebbe che tutti e quattro questi aplogruppi siano giunti insieme e che insieme si siano disseminati attraverso il Nuovo Mondo. Inoltre, lo studio dell'mtDNA antico dei nativi americani mostra che tutte e quattro le linee erano presenti in Nordamerica prima del contatto con gli Europei e che almeno 2 dei 4 aplotipi erano presenti in Sudamerica.

L'aplotipo B presenta una caratteristica peculiare: la delezione di 9 paia di basi comprese tra le posizioni 8.271 e 8.281 dell'mtDNA standard. Questa mutazione, caratteristica dell'aplogruppo B, è più sinteticamente siglata come mutazione 9-bp.

Contrariamente a quanto si potrebbe ipotizzare dalla presenza di 4 aplogruppi asiatici nelle Americhe, questi aplogruppi non sarebbero arrivati contemporaneamente a colonizzare queste terre. Pare certo che quattro distinte popolazioni ancestrali abbiano dato luogo a differenti onde migratorie nel Nuovo Mondo.

Torroni et al. (1993) ha indagato gli aplotipi di 10 popolazioni siberiane: tutte appartenevano agli aplogruppi A, C e D, presenti anche negli Amerindi, ma nessuna apparteneva all'aplogruppo B. Pertanto Torroni esprime la possibilità che l'aplogruppo B rappresenti un evento migratorio distinto da quello delle migrazioni che portarono nelle Americhe gli aplogruppi A, C e D.

Di quale utilità possano essere siffatte indagini sull'mtDNA lo mette in risalto un altro studio di Torroni su 4 popolazioni del Messico meridionale: in esse manca l'aplogruppo B e pertanto questa caratteristica le rende distinte dalle altre popolazioni centroamericane.

Erika Hagelberg  - in Genetic Polymorphisms in Prehistoric Pacific Islanders, Nature, 5 maggio 1994 - circa la possibilità di una colonizzazione dell'Isola di Pasqua a partenza dal Sudamerica, afferma che studi sulla regione ipervariabile dell'mtDNA in nativi americani hanno mostrato una molto maggiore eterogeneità dell'mtDNA in America rispetto alla Polinesia, indice di ondate migratorie multiple, e che negli Amerindi non si sono riscontrate le caratteristiche dell'mtDNA osservate sull'Isola di Pasqua.

La delezione 9-bp è presente attraverso le Americhe, l'Asia e il Pacifico, spesso associata ad una sostituzione nucleotidica alla posizione 16.217: ciò depone semplicemente per un'origine ancestrale comune ad Oceania e Nuovo Mondo.

Ma ciò che gli Amerindi non presentano sono due altre sostituzioni nella molecola di mtDNA: le sostituzioni alle posizioni 16.247 e 16.261, presenti invece nei Polinesiani e riscontrate a Rapa Nui in mtDNA antico di reperti scheletrici dell'Ahu Tepei (1000-1680) e dell'Ahu Vinapu (1680-1868), come riferisce Drusini. Pertanto, l'assenza nel Nuovo Mondo di queste due sostituzioni che potremmo definire prettamente polinesiane, deporrebbe per la mancanza di contatti significativi fra Polinesia ed Americhe.

In Polinesia esiste una tradizione orale secondo la quale Polinesiani e Amerindi entrarono fra loro in contatto in epoca precolombiana. Rebecca Cann (in Hawaii Magazine, febbraio 1997, citata da Sione Ake Mokofisi) afferma che, in base all'analisi dell'mtDNA, alcuni Amerindi del nord e del sud presentano legami coi Polinesiani di Samoa: in Nordamerica i Nuu-chal-nulth di Vancouver, in Sudamerica i Cayapa, i Mapuche, gli Huilliche e gli Atacamenos.

Secondo Houghton (1996, citato da Drusini) sembra che la scoperta dell'Isola di Pasqua sia stata un evento accidentale e che viaggi di ritorno da Rapa Nui siano un fatto piuttosto inverosimile. Ma Cann si spinge oltre e si contrappone all'affermazione di Houghton, chiedendosi se effettivamente i Polinesiani, dopo aver raggiunto Rapa Nui, abbiano deciso di porre fine alle loro peregrinazioni senza spingersi oltre. Quest'ipotesi di Cann è in netto contrasto con quella che va per la maggiore e che con ostinazione nega ai Polinesiani qualsiasi possibilità di aver raggiunto l'America oppure per gli Amerindi di aver toccato la Polinesia.

Rebecca Cann basandosi sulle sue analisi dell'mtDNA conclude che i Polinesiani fecero vela per le Americhe, ebbero prole con gli Amerindi e quindi tornarono a casa con la patata dolce.

Questa conclusione si attaglia perfettamente a una leggenda delle isole Marchesi: la grande canoa a doppio scafo Kaahua partì dall'isola di Hiva Oa e veleggiò verso oriente raggiungendo una terra chiamata Tefiti (l'unica terra a est delle Marchesi è l'America!) e fece ritorno al porto d'origine, forse proprio con la patata dolce, la quale, detta kumar in un'area limitata dell'Ecuador e del Perù [1] , rappresenta la radice linguistica delle parole polinesiane kumara, kumale e 'uale usate per identificare la Ipomoea batatas che i botanici hanno stabilito essere di origine sudamericana.

Ma c'è un altro fatto contenuto nella leggenda della canoa Kaahua: alcuni passeggeri si fermarono a Tefiti quando gli altri fecero ritorno a casa. Un viaggio in senso contrario e senza ritorno fu invece quello di Con-Tici-Viracocha tramandato dalla leggenda incaica.

Non solo la biologia molecolare è capace di scavare nel passato. Questo compito è della paleoantropologia, alla quale spetta quasi di diritto, ed essa è in grado di tracciare mappe di flussi di popolazione tanto come lo studio dell'mtDNA attuale ed antico.

Nel 1993 Andrea Drusini dell'Università di Padova raccolse denti molari durante gli scavi dell'Ahu Tongariki sulla costa sudorientale dell'Isola di Pasqua. Questi denti risalgono a prima del 1722 e Drusini si accorse che parecchi molari inferiori erano dotati di 3 radici anziché di 2 come è il riscontro più frequente. Per esempio in Italia, e più precisamente nell'area in cui abito, il III molare inferiore - il dente del giudizio - possiede da 1 a 2 radici; il II molare inferiore, che gli sta davanti, è dotato di 2 radici, saltuariamente di una; il I molare inferiore ha 1 radice normale, mentre l'altra all'apice si presenta appena biforcuta. Sono dati che ho raccolto dall'amico e odontoiatra Dr Pier Angelo Arlandini (1998).

Secondo uno studio mondiale di Turner e Benjamin del 1990 condotto su 11.318 individui tra cui 286 scheletri preistorici, il primo molare inferiore è dotato di tre radici con un frequenza maggiore nelle popolazioni asiatiche e in quelle da esse derivate, specialmente nelle popolazioni dell'Artico e dell'Asia settentrionale (25-30%), mentre fra gli Europei e gli Africani la frequenza si aggira intorno all'1%. Anche se non è stato dimostrato un gene specifico per questa situazione anatomica, gli studiosi sono dell'avviso che entri in gioco una considerevole componente genetica sia per la frequenza che per l'espressione fenotipica.

Drusini ha voluto confrontare il dato dell'Ahu Tongariki con quello delle altre isole del Pacifico per verificare se esiste un andamento da ovest verso est di questo tratto anatomico e tentare di fornire una spiegazione dell'alta incidenza del primo molare inferiore triradicolato negli abitanti di Rapa Nui prima del contatto con gli Europei.

Nei reperti di Tongariki il primo molare inferiore con tre radici raggiunge una frequenza del 28,5%, frequenza che supera di gran lunga quella della Polinesia, del Sudest Asiatico, del Nordamerica e del Sudamerica, che si aggirano tutte quante grossolanamente intorno al 10%. In crani dell'Isola di Pasqua studiati da Turner e Benjamin, la cui antichità è incerta, hanno fornito valori del 21,8%, per cui l'incidenza in reperti presumibilmente recenti è sempre elevata rispetto alla media polinesiana.

Stando ai reperti di Tongariki risulta chiaro che gli abitanti di Rapa Nui avevano una delle più alte incidenze di primo molare inferiore triradicolato in seno alle popolazioni polinesiane e mondiali, in quanto la media mondiale come quella polinesiana è del 10%. Ma in Polinesia, se la media è intorno al 10%, troviamo arcipelaghi come Tuamotu, Samoa e Gambier dove la percentuale è dello 0%.

Drusini conclude che verosimilmente, come suggerito da Houghton, la scoperta dell'Isola di Pasqua da parte di Hotu Matua è stato un fatto accidentale con un inverosimile ritorno alla terra d'origine, per cui si sono verificate le condizioni ideali per il cosiddetto effetto del fondatore, del collo di bottiglia e della deriva genetica in seno ad una piccola popolazione priva di contatti che ha sviluppato un suo sistema genetico, il quale tende a persistere nel tempo.

Il mosaico di distribuzione del primo molare inferiore triradicolato non solo nell'area polinesiana, ma in tutto il Pacifico, dovrebbe essere il risultato di molteplici effetti a collo di bottiglia (per l'accidentale riduzione di una popolazione) ai quali sono andati incontro i colonizzatori nell'andirivieni attraverso il Pacifico. Le stesse considerazioni si possono fare, secondo Drusini, anche a proposito del mosaico nella distribuzione attraverso il Pacifico della mutazione 9-bp caratteristica dell'aplogruppo B dell'mtDNA.

Non è il momento di spiegare, neppure succintamente, cos'è un linkage disequilibrium, concetto difficile per i non addetti ai lavori e che richiederebbe troppe pagine. Harrison, che è senz'altro un addetto ai lavori, così conclude in Biologia umana (pag.363, 1994): "Alla fine arrivarono le grandi migrazioni oceaniche dei Polinesiani. La terra d'origine di questi è dubbia, ma gli spostamenti finali devono essere partiti da Tonga e Samoa circa nel 1000 aC. Una questione che è stata molto discussa è il livello di contatti fra Polinesia e Sudamerica. Che c'erano contatti è indubbio e il fatto che il linkage disequilibrium genetico sia così marcato nella sierogenetica dei Polinesiani suggerisce che ci possa essere stato un contributo considerevole degli Amerindiani alla loro origine."

A questo punto vi chiederete che pesci prendere. Ritengo che li potrebbe proporre il Professor Drusini con lo stralcio di messaggio di posta elettronica del 27-3-1998:

«Egregio Dottor Corti,
«La letteratura riguardante l'Isola di Pasqua è molto controversa riguardo all'origine delle specie animali e botaniche rinvenute sull'isola. Minori dubbi riguardano tuttavia la presenza del genere Gallus, di cui molte ossa sono state trovate anche nello scavo di Tongariki, mentre il vero enigma per gli archeologi è rappresentato dalla patata dolce (Ipomoea batatas), di più sicura origine americana ma che si incontra in Polinesia.
«In realtà, stando alla letteratura più recente, la grande maggioranza degli studiosi del Pacifico non propende per una trascorsa presenza amerindiana nell'Isola di Pasqua. Le analogie riscontrate da Thor Heyerdahl riguardano il tipo di costruzioni architettoniche, ma i dati biologici come lo studio del DNA mitocondriale effettuato su ossa di antichi abitanti di Pasqua dalla Dott.ssa Erika Hagelberg di Cambridge, propendono per l'affinità con le popolazioni dell'area polinesiana e del Sudest asiatico, dove c'è una maggior frequenza della variazione 9bp.
«Secondo gli archeologi nell'Isola di Pasqua:
1) non vi sono prove di due migrazioni successive e tantomeno di origine americana, anche se non si possono escludere con certezza
2) non vi sono caratteristiche antropologiche che attestino affinità con le popolazioni amerindiane (bisogna ricordare che sia i Polinesiani che gli Amerindiani sono di ceppo asiatico, ma i secondi hanno un'origine più antica e questo per i genetisti si traduce in una maggiore variabilità dal punto di vista genetico; inoltre, nelle popolazioni degli isolati geografici si riconoscono effetti "a collo di bottiglia" o "del fondatore", come ad esempio la maggiore frequenza della variazione 9bp nel mtDNA, oppure, fenotipicamente, del primo molare mandibolare con tre radici, che si riscontra nell'8% dei casi nelle popolazioni polinesiane e nel 29% dei casi nella popolazione dell'Isola di Pasqua).»

A questo punto vi chiederete anche perché ci siamo addentrati in un campo minato come questo.

La risposta è semplice:

per valutare la possibilità che gli Incas esportassero polli in Asia.

Lo afferma uno studioso autorevole come Latcham, e lo vedremo appresso.

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 avanti 



[1] Nel 1853 Berthold Seeman, durante una spedizione botanica su un tratto di Ande compreso fra il porto peruviano di Paita e quello ecuadoriano di Guayaquil, scoprì che in quest'area circoscritta il termine quechua per la patata dolce era cumar, tuttora in uso.