Vol. 1° -  IX.7.

Le uova di Pasqua e i polli Vierländer

7.1. L'isola di Pasqua

L’Isola di Pasqua - Isla de Pascua - in lingua locale suona Te Pito o te Henua che significa fine o frammento della terra e che taluni traducono con ombelico del mondo.

A partire dal 1863 viene più comunemente denominata Rapa-nui, la Grande Isola (dove per grande si intende importante, prestigiosa), per distinguerla da Rapa-iti [1] . Dall’inizio del 1900 Rapa Nui è segnata con il nome di Isola di Pasqua su tutte le carte nautiche. Rapanui indica pure il linguaggio pasquense di ceppo austronesiano: derivato probabilmente dal polinesiano arcaico, a partire dal VI secolo dC ha sviluppato parole esclusivamente proprie.

L'Isola di Pasqua, abitata nel 1994 da 2.500 persone non tutte residenti, ha una superficie di 162,5 km² che è di poco inferiore a quella dell'Isola d'Elba (223,5 km²); situata nel Pacifico, rappresenta una delle isole più orientali della Polinesia (27°9’ lat S e 109°26’ long O) distante 4.050 km da Tahiti e 3.750 km dalle coste occidentali del Cile al quale appartiene dal 1888. Dal punto di vista amministrativo fa parte della V Regione cilena, quella di Valparaíso, e il suo capoluogo è Hanga Roa.

 

Fig. IX. 8 - L’Isola di Pasqua

Sperduta nel Pacifico, fu raggiunta probabilmente nel 380 dC dal leggendario Hotu-Matua e dai suoi seguaci salpati dalle Isole Marchesi, oppure da Mangareva, che appartiene alla circoscrizione delle Isole Gambier.

Newsgroup del Polynesian Café di Internet  

Daniel Longstaff:

Rapa-nui significa Grande Rapa, Rapa-iti vuol dire Piccola Rapa. Non so cosa significhi Rapa. Altro nome dato a Rapa-iti è Oparo. Come lei ha detto, Te-Pito-o-te-Henua significa L’Ombelico della Terra. Io penso si riferisca a un buco che congiunge questo mondo al mondo degli spiriti, o al cielo, da dove noi veniamo e dove vogliamo tornare. In Polinesia esistono molte isole che vantano di possedere un simile tipo di foro.

Kenny Letalu:

Una parola di Samoa è Lapa. Significa roccia, ma non un qualsivoglia tipo di roccia. Fondamentalmente Lapa è una roccia sedimentaria. Gli abitanti di Samoa la usano per ricoprire una bara dopo che è stata posta nella tomba. Mi chiedo se Rapa possa anche significare isola in un più ampio contesto, tenuto conto del ruolo dei differenti tipi di rocce nella formazione delle isole, specialmente nel caso degli atolli, in merito ai quali un tale tipo di associazione (Lapa = roccia piatta) sembra avere senso. Potrebbe Lapa essere una traslitterazione di Rapa?

L’Isola di Pasqua venne raggiunta probabilmente nel 380 dC dal leggendario Hotu Matua, salpato coi suoi seguaci dalle isole Marchesi, oppure da Mangareva [2] .

La leggenda vuole che Hotu Matua, sentendosi prossimo alla fine, fissò lo sguardo in direzione della terra d'origine e pregò che un gallo vi cantasse. E il gallo cantò. Hotu Matua ne udì la voce attraverso l'oceano e così fu certo che era giunto il momento di morire. Il figlio lo accompagnò alla sua dimora e qui si spense in pace e in serenità.

Il primo periodo evolutivo di Rapa Nui si svolge tra il V e l’XI secolo dC, cui segue una fase di grande sviluppo tra il XII e il XV secolo con punte massime di popolazione fino a 15.000 abitanti.

La decadenza coincide in pratica con l’arrivo degli esploratori occidentali, quando la popolazione scende a meno di mille persone. Sulle cause del definitivo collasso dell’isola nel XVIII secolo esistono diverse ipotesi: eccessiva deforestazione, mancanza di risorse idriche e alimentari, guerre fratricide, epidemie, o forse il simultaneo combinarsi di tutte queste situazioni.

La fama dei colossi di pietra, i Moai [3] , ha fatto il giro del mondo e queste statue sono diventate l'emblema dell'isola. Sono stati rinvenuti circa 400 busti antropomorfi in tufo trachitico di grandi proporzioni (2-5-10 metri d'altezza) e dalla caratteristica testa allungata con naso lungo e appuntito e lobi auricolari anch'essi allungati. Generalmente i Moai furono eretti su piattaforme cerimoniali e sepolcrali in pietra, gli Ahu. Molti viaggiatori hanno pensato trattarsi di sentinelle a guardia del mare, ma Métraux ha subito contestato quest’opinione: i Moai sono tutti rivolti all’interno dell’isola, non verso un ipotetico nemico oltre oceano. Secondo i pasquensi superstiti i Moai rappresentano l’immagine di un antenato autorevole, scolpito per ornare i mausolei familiari.

Il mito racconta che furono gli Uomini dai Lunghi Orecchi a costruire per primi i Moai, in seguito sconfitti dagli Uomini dai Corti Orecchi.

L’isola era dominata dai Lunghi-Orecchi, che imposero ai Corti-Orecchi loro schiavi di costruire i Moai e gli Ahu. Un giorno i Lunghi-Orecchi ordinarono ai Corti-Orecchi di gettare tutte le pietre in mare, ma i Corti-Orecchi si opposero perché le pietre aiutavano a far crescere le patate e la canna da zucchero, unica fonte di sostentamento. I Lunghi-Orecchi decisero allora di uccidere tutti gli schiavi e di mangiarseli. Ma il piano fallì e i Corti-Orecchi riuscirono ad uccidere e a bruciare i crudeli Lunghi-Orecchi, diventando padroni dell’isola. La cava di tufo poroso dalla quale proviene la maggior pare dei Moai si trova sul vulcano Rano Raraku.

Dalle ultime ricerche archeologiche risulta che l’inizio dello sfruttamento della cava risale al X secolo, anche se il periodo d’oro va dal XII al XVI secolo. La prima statua classica del Rano Raraku è datata al XII secolo e per le sue caratteristiche - altezza 5 metri, 20 tonnellate di peso - indica che in quell'epoca la cava era già attiva. La data più tardiva è quella del moai della piattaforma di Hanga Kioe: 1650 dC.

L’uovo è l’incarnazione di Makemake, il dio creatore, al quale era dedicata la cerimonia dell’Uomo-uccello.

Il centro del rituale era il villaggio in pietra di Orongo abitato esclusivamente in occasione della festa primaverile, situato sul bordo del cratere Rano Kau e circondato da un ammasso di pietre incise con raffigurazioni dell’uomo-uccello. I guerrieri che aspiravano al titolo di uomo-uccello, esponenti dei clan che si contendevano il dominio dell'isola, inviavano un loro rappresentante sullo scoglio di Motu Nui, a un chilometro e mezzo dalla costa, allo scopo di osservare il volo degli uccelli migratori che erano le fregate (oppure le rondini di mare?) e quindi di segnalare il momento della deposizione delle uova. Colui che scopriva il primo uovo deposto urlava una formula rituale al suo padrone e, legatosi l’uovo sulla fronte, raggiungeva a nuoto l’isola scansando onde e squali, per poi posare l’uovo sul capo del guerriero che diventava l’uomo-uccello e che per un anno, oltre a diventare tabù, aveva il privilegio di dare il proprio nome d'investitura al nuovo anno e di essere mantenuto a completo carico della tribù. Il primo rito dell’uomo-uccello risale al periodo di decadenza, intorno al XVI secolo, mentre l’ultimo cerimoniale si svolse nel 1878 (Drusini).

L'isola fu avvistata la prima volta nel 1687 dal bucaniere inglese Edward Davis [4] ma venne battezzata Paasch Eyland dall’olandese Roggeveen [5] che la scoprì il 5 aprile del 1722, giorno di Pasqua.

Fig IX. 9 – La spedizione di Jacob Roggeveen iniziata nel 1721

Nel dicembre del 1770 l’Isola di Pasqua fu riscoperta dal navigatore spagnolo Don Felipe Gonzalez y Haedo alla ricerca di nuove terre da colonizzare; credendo l’isola una sua scoperta, la battezzò Isla de San Carlos in nome del re di Spagna Carlo III di Borbone.

Nella primavera del 1774, durante il secondo dei suoi tre viaggi esplorativi, James Cook incontra l’Isola di Pasqua che descrive come un luogo desolato, scarsamente popolato - si contano non più di 600 abitanti - e privo di risorse, ragion per cui preferisce abbandonare l’isola dopo appena tre giorni, con l'equipaggio esausto, malato e affamato.

La prima spedizione guidata dal navigatore e geografo francese Jean-François Galaup de La Pérouse giunge sull'isola nel 1786 e vi trova una popolazione gravemente debilitata. Il mondo moderno irrompe sull’Isola di Pasqua con violenza nel 1808: il comandante della nave americana Nancy, in cerca di schiavi per la caccia alle foche, cattura 12 uomini e 10 donne dell’isola dopo aver sparato sulla popolazione. Nel 1816 gli indigeni, ormai diffidenti, riescono ad impedire con il lancio di sassi lo sbarco di una spedizione russa.

Nel 1862 la morte arriva dalle navi peruviane: la popolazione viene massacrata e centinaia di persone deportate per la raccolta del guano. Una protesta del governo francese costringe i Peruviani a rilasciare i prigionieri, ma la maggior parte muore durante il viaggio di ritorno. I 15 superstiti oltre ad altre malattie portano sull’isola anche la tubercolosi: i morti sono così numerosi da non poter essere sepolti e vengono gettati nelle fenditure delle rocce; la popolazione si riduce a poche centinaia d'individui.

L’Isola di Pasqua viene quindi colonizzata dai Cileni i quali però consegnano i terreni ad una Compagnia inglese che diventa la vera padrona dell’isola, sfruttandola come pascolo per ovini. L’ultimo rifugio degli abitanti, nell'area di Hanga Roa, viene acquistato da un gruppo di missionari francesi: il più famoso è Eugène Eyraud il quale, dividendo con la popolazione difficoltà e stenti, nel 1868 riesce a convertire tutti i pasquensi al cristianesimo. L’ultimo re, battezzato Gregorio, muore nella missione cattolica nel 1867.

Importante per la storia dell’isola è l’opera del missionario Sebastian Englert, etnologo per passione, che raccoglie le testimonianze dell’antica cultura e diventa prezioso collaboratore degli antropologi che giungeranno sull’isola all’inizio del Novecento.

Nel 1934 vi sbarca il trentaduenne svizzero Alfred Métraux inviato dal Musée de l’Homme di Parigi. Quando, dopo molti mesi di permanenza, la missione archeologica francese abbandona l’isola, molti segreti di Rapa Nui sono stati svelati, ma lo stesso Métraux, autore di testi fondamentali sulla cultura pasquense, raccomanda prudenza per quanto riguarda conclusioni affrettate:

“Bisogna avere il coraggio di ammettere che alcuni problemi dell’Isola di Pasqua sono chiariti soltanto a metà e forse rimarranno per sempre avvolti nel mistero.”

Il biologo norvegese Thor Heyerdahl - il Vikingo del nostro secolo - prima di intraprendere nel 1955 le ricerche sull'Isola di Pasqua ha già alle spalle tutta una serie di esplorazioni e di scoperte che lo hanno indotto a formulare ipotesi in netto contrasto con le convinzioni scientifiche più accreditate. Inoltre, al momento di riprendere le ricerche dove Métraux le aveva interrotte, affermerà:

“Il segreto di Rapa Nui forse non è insolubile, ammessa la possibilità di un collegamento con il Perù mediante zattere”, ricordando le analogie tra le statue colossali sull’altopiano delle Ande [6] e quelle di Rapa Nui, “scolpite entrambe nelle cave, pesanti diverse tonnellate e portate lontano molti chilometri su un terreno impervio prima di erigersi come mastodontiche figure umane”.

Grandi statue antropomorfe, tutte quante di origine ignota, si trovano non solo nel Perù centro-settentrionale e in Bolivia, ma anche in Messico, Guatemala, Panama, Colombia, Ecuador, Isola di Pitcairn (rifugio degli ammutinati del Bounty), Isole Marchesi, Isola di Raivavae (Tubuai).

Era il 1940 quando Heyerdahl - allora in missione sulle Isole Marchesi per studiarne la flora e la fauna - presenta al mondo scientifico una tesi secondo la quale le popolazioni delle Marchesi e dell'Isola di Pasqua non sarebbero giunte dall’Asia, bensì dal continente americano e precisamente dal Perù. La sua teoria è basata sullo studio delle correnti e dei venti del Pacifico favorevoli in direzione est-ovest e su una presunta similitudine tra le statue giganti pre-incaiche e i colossi dell’Isola di Pasqua. Il mondo accademico accoglie male questa tesi, sostenendo che gli Incas del Perù non avevano navi, anche se Heyerdahl afferma che gli antichi testi parlano di battaglie navali tra Conquistadores e Incas.

“Io sono così sicuro che gli Indios attraversarono il Pacifico sulle loro zattere da essere pronto a fabbricarne una io stesso e a veleggiare sull’Oceano, solo per dimostrare questa possibilità”, afferma Heyerdahl. Per dare conferma alla fondatezza della sua ipotesi, il 28 aprile del 1947 salpa con cinque compagni su una rudimentale imbarcazione in balsa [7] da Callao, il principale porto commerciale del Perù situato 10 km a ovest del centro di Lima con cui forma un unico agglomerato urbano. Si tratta del celebre viaggio del Kon-Tiki, che prende il nome da una leggenda Inca: 1.500 anni fa il dio creatore Con-Tici-Viracocha [8] scomparve verso ovest camminando sull'acqua senza più far ritorno, riapparendo secondo alcuni in Polinesia che venne così popolata.

Dopo 101 giorni e dopo 4.300 miglia, trascinato dai venti e dalle correnti, Heyerdahl si arena su uno degli atolli posti al di là della barriera corallina di Raroia nel gruppo delle Tuamotu. Se fosse partito da un punto più meridionale della costa peruviana forse avrebbe attraccato all’Isola di Pasqua.

La comunità scientifica rimane perplessa e incredula.

Sospinto dal successo del Kon-Tiki, Heyerdahl organizza nel 1952 una spedizione archeologica alle Isole Galápagos dove vengono studiati siti di abitazioni precolombiane. Vengono così alla luce un flauto inca e dei cocci appartenenti a più di 130 manufatti in ceramica, i quali successivamente vengono identificati come pre-incaici. Le Galápagos si trovano a circa 1.000 km dalle coste dell'Ecuador e gli studi archeologici sudamericani, approdati per la prima volta in pieno Oceano Pacifico, dimostrano così che in epoca preispanica qualcuno dal continente si era spinto in altomare.

Nel 1955 è la volta di affrontare l'Isola di Pasqua. Una spedizione di 23 persone dirette da Heyerdahl comincia a setacciare l'isola mediante scavi archeologici. È subito evidente che un tempo Rapa Nui era ricca di alberi, fino alla deforestazione da parte degli aborigeni i quali avevano anche piantato giunchi acquatici ed altre piante sudamericane. Le datazioni con il radiocarbonio dimostrano che l'isola era stata occupata a partire dal 380 dC, circa un millennio prima di quanto gli scienziati in precedenza affermavano. Gli scavi chiarirono pure che alcune sculture in pietra richiamano molto da vicino antiche tradizioni del Perù. Alcuni abitanti affermano che in effetti, in base alle leggende, i loro antenati giunsero da lontane terre poste ad oriente.

Gli scavi archeologici hanno pure messo in luce un’immensa trincea con un grosso strato di cenere e carbonella che potrebbe essere il luogo della mitica fine dei Lunghi Orecchi. A sostegno della sua tesi sull’origine amerindiana dei pasquensi, Heyerdahl ricorda che già gli Incas parlavano di un popolo dai grandi orecchi [9] che sarebbe l'artefice delle colossali statue abbandonate sulle Ande.

E non bisogna dimenticare che gli Spagnoli soprannominavano Orejones gli appartenenti alla casta degli Incas, che comprendeva oltre ai sovrani e al loro parentado - gli Incas del sangue - anche gli Incas per privilegio.

Orejones significa orecchioni e Garcilaso de la Vega nel libro I capitolo XXII dei Commentari Reali così riferisce circa i segni distintivi degli Incas:

«Oltre ad andar tosati, portavano le orecchie forate nel punto in cui comunemente se le forano le donne per infilarvi le boccole. E però allargavano il foro mediante artifizi (come più a lungo diremo in seguito), fino a renderlo di sorprendenti dimensioni, incredibili per chi non l'abbia visto con i suoi occhi, sembrando impossibile che quel po' di carne che v'ha nella parte sottana dell'orecchio possa crescere tanto da poter accogliere un orecchino delle dimensioni e della forma di un tappo da càntero [10] , ché simili a rotelle erano gli orecchini che infilavano in quei lacci che diventavano le loro orecchie […]»

Ho chiesto via e-mail a Georgia Lee, studiosa dell'Isola di Pasqua, come mai nel suo libro su Rapa Nui non accenna al perché i moai siano dotati di lunghi orecchi e se questo tratto è per caso presente anche in Polinesia oltre che fra gli Incas. Sì - mi ha risposto - allungare i lobi auricolari era un costume presente in tutta la Polinesia e che arrivava fino al Sudest Asiatico, per cui non erano solo gli Incas a conciarsi in quella maniera. Le persone appartenenti alle più elevate classi sociali si dedicava all'allungamento degli orecchi come pure al tatuaggio e quanto più elevato era il rango d'appartenenza, tanto maggiore era il tempo dedicato a siffatte prassi.

Come vedremo, degli oggetti ai lobi auricolari vengono notati anche dal cronista Behrens nel 1722, che così racconta nella sua relazione sulla scoperta dell'Isola di Pasqua:

"I lobi delle orecchie pendevano fino alle spalle (probabilmente a causa degli oggetti che aveva agli orecchi)."

Pertanto, l'affermazione di Georgia Lee concorda perfettamente con il riscontro di Behrens, e metterebbe fuori gioco la leggenda dei Lunghi Orecchi annientati dai Corti Orecchi, in quanto nel 1722 qualcuno sull'isola seguiva ancora una pratica che poteva aver ereditato dalla Polinesia.

Nonostante le numerose testimonianze che confermerebbero la tesi sull’origine amerindiana dei pasquensi, l’archeologia sperimentale di Heyerdahl viene accolta tuttora con scetticismo dal mondo scientifico. Eppure lo studioso norvegese è sempre stato conciliante, proponendo una soluzione salomonica: le migrazioni si sarebbero svolte in due fasi - da occidente i Polinesiani, il popolo dai Corti Orecchi, e da oriente gli Amerindiani, il popolo dai Lunghi Orecchi - proprio come raccontano le leggende indigene.

Nel 1988 Heyerdahl è in missione archeologica a Túcume, villaggio del Perù settentrionale che ha dato il nome all'area più estesa di costruzioni monumentali sudamericane in adobe (mattone d'argilla cruda mescolata a cenere e paglia seccato al sole).

Un reperto che si ricollega alle affermazioni del vichingo espresse quarant'anni prima è costituito da un bassorilievo eccezionalmente ben conservato il quale rappresenta due grandi imbarcazioni in navigazione in mare aperto, fatte di giunchi acquatici e con ponte cabinato; sul ponte di ciascuna imbarcazione si trovano due grandi personaggi mitici dalla testa d'uccello. I fregi che contornano le chiatte mostrano uomini-uccello con le braccia alzate in due differenti variazioni e con un uovo tenuto tra le mani. Questo motivo è quello ben noto delle incisioni rupestri di Orongo sull'Isola di Pasqua. La combinazione di imbarcazioni in giunco che solcano il mare nonché di indiscutibili uomini-uccello dalle caratteristiche di quelli di Rapa Nui, apre nuove prospettive su un antico e dibattuto problema: i contatti precolombiani fra Perù e Isola di Pasqua.

Se il motivo dell'uomo-uccello è presente anche in Polinesia, lo è parecchio di più in Perù, dove si possono riscontrare esempi molto più significativi che in Polinesia.

In Perù il motivo dell'uomo-uccello è databile almeno al periodo Chavin (1800-1000 aC) e si tratta anche di un motivo ricorrente nelle ceramiche della cultura Mochica. Secondo Øystein Kock Johansen (Modus Vivendi within Polynesian Archaeology in Relation to the Connection Easter Island-Peru, http://www.netaxs.com/~trance/linklist.html ) il culto dell'uomo-uccello approdò dal Perù sull'isola di Pasqua non solo per le perfette similitudini grafiche tra i rilievi di Orongo e quelli di Túcume, ma anche perché i dati cronologici si attagliano perfettamente.

Infatti, se l'inizio della tradizione dell'uomo-uccello nei petroglifi dell'Isola di Pasqua può essere collocata intorno al 1300 dC, esistono chiare indicazioni che i corrispondenti bassorilievi peruviani risalgono al XII-XIV secolo dC. Øystein è convinto che il genuino motivo dell'uomo-uccello di Orongo è anche presente in Perù e che quello peruviano è il più antico dei due. Ciò implica che probabilmente vi furono contatti tra il Perù e l'Isola di Pasqua durante gli anni 1100-1300 dC e che il Perù deve essere considerato come il propulsore di questo culto.

Per raggiungere l'Isola di Pasqua partendo dalle coste del Perù bisogna ovviamente disporre di imbarcazioni idonee. Øystein non ha dubbi sul fatto che le due  imbarcazioni di Túcume siano adatte per solcare l'oceano: sia perché, studiando le proporzioni, dovevano essere lunghe circa 12 metri, sia perché sono fornite rispettivamente di nove e di otto paia di remi. Anche il mito di Con-Tici-Viracocha starebbe ad indicare che furono gli Incas ad adottarlo dai loro predecessori Mochica, i quali possedevano imbarcazioni capaci di sfidare l'oceano.

Ma esiste un'altra importante scoperta a Túcume: nel contesto di 305 miniature in argento si trova una pagaia a due pale. Orbene, in Polinesia la pagaia a pala doppia era presente solo sull'Isola di Pasqua. Identici reperti di pagaie di Rapa Nui mostrano che la pala superiore era invariabilmente decorata con un motivo umano: una testa con due tratti caratteristici rappresentati da bande verticali all'estremità superiore che stanno a significare una corona di piume e da orecchi allungati forniti di dischi pendenti che simbolizzano dei tappi ai lobi auricolari.

Questi dettagli sono identici a quelli di Túcume e secondo Øystein vi sono ottime ragioni per credere che la pagaia a doppia pala fu introdotta sull'Isola di Pasqua simultaneamente al culto dell'uomo-uccello.

Una scoperta nell'Isola di Pasqua che ha suscitato enorme interesse e che vede tuttora discordi e incerti i criptologi, è quella delle tavolette cantanti in legno chiamate rongorongo o anche kohau motu mo rongorongo (righe di iscrizioni per la recitazione), coperte di segni ideografici che vanno letti col sistema bustrofedico [11] , probabilmente eseguite fra il 1200 e il 1700.

Non vale la pena di riassumere né le fantasmagoriche teorie né gli studi scientifici più recenti: basti dire che furono scoperte da Eugène Eyraud nel 1864 e che da quando gli studiosi cominciarono ad occuparsene sono stati sinora vani i tentativi di decifrarle e di comprenderne l’uso.

Sono state rilevate sorprendenti ma indubbie affinità con la scrittura su sigilli di epoca eneolitica [12] di Mohenjo-Daro e di Harappa - 3000 aC - anch’essa a canone bustrofedico e indecifrata, nonché su analoghi sigilli rinvenuti nell’antica Sumeria la cui lingua, secondo Rivet, sarebbe imparentata con le lingue austronesiane.

Nonostante queste innegabili evidenze, non è possibile ancora addurre prove convincenti di un rapporto fra le antiche civiltà dell’Asia e la remota Isola di Pasqua.

 sommario 

 avanti 



[1] Rapa-iti: isola di 42 km² con 480 abitanti dell'Oceano Pacifico, nel gruppo delle Isole Australi (Polinesia Francese). Fu scoperta da Vancouver nel 1791.

[2] La Polinesia Francese è un Territorio d'Oltremare di 4.000 km² e con 189.000 abitanti della Repubblica Francese, posto in Oceania e costituito da oltre un centinaio tra isole e isolette raggruppate nelle seguenti circoscrizioni amministrative: isole Marchesi, isole Tuamotu e Gambier, isole della Società (divise in isole del Vento e isole Sottovento) e isole Australi. Capoluogo è Papeete, sull'isola di Tahiti. L’isola di Mangareva appartiene alla circoscrizione Tuamotu & Gambier ed è sfiorata a sud dal Tropico del Capricorno. Le isole Marchesi, popolate nel 300 dC, si trovano raggruppate intorno al 10° parallelo sud.

[3] Moai significa statua, scultura.

[4] Edward Davis salpò nel 1687 dalle Galápagos, accompagnato dal chirurgo Lionel Wafer. Una probabile identificazione dell'isola scoperta da Davis - la Terra di Davis, Davisland - è San Félix che si trova a circa 500 miglia da Copiapó tra le Galápagos e Juan Fernandez, oppure San Ambrosio non lontana da San Félix. Da una di queste isole, scrutando in direzione ovest, Davis avvistò un'isola sopra la quale volavano degli uccelli, probabilmente l'Isola di Pasqua.

[5] La grafia attuale è diversa da quella usata da Roggeveen in quanto si scrive Eiland a non più Eyland. Jacob Roggeveen nacque e morì in Olanda (Middelburg 1659-1729). Fu ammiraglio e uno dei maggiori esploratori del Pacifico orientale. In occasione del lungo viaggio attraverso quest’oceano (iniziato nel 1721) oltre all’Isola di Pasqua scoprì Samoa e altre isole minori. Visitò anche le Salomone e la Nuova Guinea, esplorando coste ancora sconosciute, giungendo poi a Batavia. Accusato qui di profitti da parte della Compagnia delle Indie Orientali per la quale aveva navigato, ottenne poi in Olanda il riconoscimento delle sue imprese.

[6] Heyerdahl scelse l'Ahu Vinapu e lo paragonò alle opere megalitiche di Tiahuanaco - oggi in Bolivia a 60 km da La Paz presso la sponda sudorientale del lago Titicaca - centro di una civiltà che influenzò tutta la regione andina dal I al XIII secolo dC, quando scomparve. Non si sa nulla del popolo che la fondò. Famosa è la Porta del Sole, portale monolitico che reca un fregio a bassorilievo formato da una figura centrale e quarantotto laterali. La leggenda vuole che Con-Tici-Viracocha fosse il capo di un popolo dai lunghi orecchi, che lo aiutò a trasportare e ad innalzare i colossali blocchi di pietra di Tiahuanaco pesanti un centinaio di tonnellate. Il cronista spagnolo Pedro Cieza de León (1518-1560) in Crónica del Perú riferisce che il complesso di Tiahuanaco - comprese le enormi statue umane - fu opera di uomini dotati di barba e dalla pelle bianca che abbandonarono le loro statue per seguire il loro leader Viracocha, prima a Cuzco e quindi attraverso il Pacifico.

[7] Balsa: è il nome del legno della pianta Ochroma lagopus, bombacacea dell'America tropicale. Leggerissima, biancastra, compressibile come il sughero, anche se non ne possiede l'elasticità, la balsa viene usata per costruire isolanti termici e acustici, galleggianti e imbarcazioni, trovando impiego anche nell'aeromodellismo. Con lo stesso nome viene designata una zattera in legno di balsa, leggerissima, tipica del lago Titicaca, di forma allungata, affusolata alle estremità, ottenuta legando fasci di rami di balsa con giunchi. Oltre che sul lago, la balsa viene usata anche per la navigazione fluviale.

[8] Viracocha nell'antica religione del Perù è l'essere creatore e l'eroe culturale che, dopo aver creato la Terra, distrutto con un diluvio una razza di giganti e regolato il corso del Sole e della Luna, cominciò a migrare per il paese introducendo le più importanti istituzioni culturali umane. Cieza de León riporta che"…nell'anno 1000 dC nel nome di Tici Viracocha e del Sole e di tutti gli altri suoi dei, Manco Capac fondò la nuova città [Cuzco]." Viracocha è un appellativo quechua, e quindi recente. Il nome originale che sembra essere stato più usato nell'antico Perù era Kon-Tiki o Illa-Tiki, che significano rispettivamente Sole-Tiki e Fuoco-Tiki.

[9] Oltre agli Orejones di Viracocha di cui parla la leggenda Inca (dalla pelle bianca e dalla lunga barba, più alti degli Incas) esistono alcuni orejones sudamericani contemporanei. Gli Orejones, oggi allo stato residuale, sono stanziati nel territorio del fiume Marañón e portano nel lobo auricolare grossi dischi di legno. Due popolazioni brasiliane inseriscono anche un piattello di legno nel labbro inferiore: i Suyá o Tsuvá che abitano le foreste dell'alto corso dello Xingú e i Botocudos (o Aimoré o Borun) oggi ridotti a circa 300 individui respinti fra i fiumi Doce e Pardo del Minas Gerais. I brasiliani Krahó o Craô, del Tocantins, portano solamente dischi auricolari (1.200 individui nel 1989).

[10] Càntaro o càntero: vaso per bere, ma anche vaso alto e cilindrico usato come pitale.

[11] Bustrofedico deriva dal greco bus = bue e strefo = girare. È così denominata la scrittura presente in alcune iscrizioni antiche (anche greche, italiche, latine) nelle quali la direzione cambia da riga a riga, cioè da sinistra a destra, da destra a sinistra e così via,  come si volgono i buoi quando arano un campo. Anche la strofa è un’andata a capo.

[12] Eneolitico: periodo preistorico, detto anche Cuprolitico o Calcolitico, durante il quale si afferma la lavorazione del rame e compaiono, nelle compagini tribali, i primi evidenti segni di stratificazione sociale. I reperti cuprei più diffusi sono pugnali, accette piatte, alabarde, aghi e punteruoli. Data la relativa fragilità del rame puro, che prima della conoscenza dei procedimenti metallurgici veniva lavorato a semplice martellinatura anziché con la fusione, proseguì l'industria litica, che raggiunse forme molto evolute con pugnali e punte di freccia e di lancia di accuratissima lavorazione bifacciale. In Europa il periodo eneolitico si data tra la fine del IV e il III millennio aC, coincidendo con la maggior diffusione del megalitismo specialmente nelle regioni occidentali.