Il metodo più comune e più
antico per svelare la radioattività sfrutta la proprietà delle radiazioni di
annerire una lastra
fotografica. Ancor oggi questo metodo è ampiamente usato per il
controllo di routine della quantità di radiazioni assorbite dal personale che
lavora in ambienti a rischio radioattivo, per cui la lastra fotografica viene
fissata al vestiario, oppure varie lastre sono collocate in punti diversi dell’ambiente.
Periodicamente viene effettuato l’esame dell’annerimento, che fornisce una
misura quantitativa delle radiazioni assorbite in un certo arco di tempo.
Rivelatori o misuratori che forniscono risultati più
accurati e anche più immediati sono i rivelatori a ionizzazione di gas, nei quali l’intensità
delle radiazioni viene messa in relazione con la ionizzazione prodotta in una
camera a gas. L’entità della ionizzazione del gas dipende ovviamente dall’energia
e dal tipo della radiazione. Questo metodo, sfruttato nei
contatori
Geiger-Müller, è soprattutto impiegato per il conteggio di
radiazioni a,
dato il loro potere ionizzante.
Rivelatori moderni e sofisticati sono i rivelatori a scintillazione, nei quali un fotomoltiplicatore registra la luce emessa da alcune sostanze quando vengono colpite da radiazioni.
Si devono citare infine i radiorivelatori al solfuro di cadmio, che è un semiconduttore, e quelli a transistor: in essi viene registrata la variazione delle proprietà elettriche di alcune sostanze quando sono colpite da radiazioni. Sebbene l’apparecchio di misura sia in grado di svelare un numero limitato di disintegrazioni in quanto esso si affaccia solo su un lato del materiale, mentre le particelle che si liberano vengono emesse in tutte le direzioni, tuttavia il numero di disintegrazioni che vengono rilevate è proporzionale a quello totale, che prende il nome di attività specifica.
L’unità di misura
della radioattività era il curie
« Ci che corrisponde alla
disintegrazione di 3,7x1010
atomi
al secondo; poiché ai fini pratici tale unità risultava troppo grande,
venivano usati suoi sottomultipli e cioè il millicurie «
mCi e il microcurie « mCi, corrispondenti
rispettivamente a un millesimo e a un milionesimo di curie. Adesso l’unità
di misura della radioattività è il becquerel:
1 Bq è l’attività di una sostanza radioattiva che subisce un decadimento
al secondo, cioè 1 Bq = 1s-1 = 2,7x10-11 Ci.
Le radiazioni sono estremamente pericolose per il corpo umano in quanto provocano la ionizzazione e la dissociazione di molecole del materiale che esse attraversano, e conseguente alterazione dei tessuti. Radiazioni molto intense provocano in breve tempo la morte.
Esse sono comunque dannose quando superano di circa 10.000 volte le
minime radioattività misurabili. Le dosi che un organismo umano
può tollerare dipendono dalle zone del corpo irradiate, dalla natura delle
radiazioni e dall’età del soggetto.
La quantità di radiazione assorbita prende il nome di dose che viene misurata in rad, che rappresenta la dose di
radiazioni in grado di disperdere 100 erg per interazione con un grammo di
materiale.
I danni provocati dalle radiazioni possono essere
avvertiti anche a distanza di tempo, alcuni mesi, persino anni.
Le radiazioni g sono le più pericolose essendo in grado di
attraversare notevoli spessori di materiale, per cui sono difficilmente
schermabili.
Per la protezione si usano generalmente schermi di cemento, piombo, o vetri al piombo; questi ultimi arrestano le radiazioni a e b ma attenuano solamente il tipo g. Le radiazioni a non attraversano più di due o tre strati di cellule e quindi il danno è limitato alla superficie cutanea.
I raggi g e i raggi X cosiddetti duri
penetrano profondamente e provocano lesioni di tipo necrotizzante in tutte le
parti dell’organismo. L’irradiazione con dosi massicce può provocare
alterazioni della coagulabilità del sangue, caduta dei capelli e dei denti,
comparsa di leucemia e di mutazioni geniche.