Vol. 2° -  XIX.10.1.

Ormoni ed evoluzione

In tutti gli organismi pluricellulari il modo in cui la storia della vita è architettata dipende in modo critico dagli ormoni.

Il curriculum vitae dell’individuo getta un ponte che parte dai gameti, frutto delle generazioni precedenti, e che si estende al di là dello sviluppo somatico in quanto termina con gli stadi della post-maturità e della senescenza, quando il deterioramento delle funzioni vitali espone i soggetti adulti e maturi al fisiologico rischio della morte. Il bilanciamento tra mortalità e fertilità determina un aumento oppure una semplice sopravvivenza di una popolazione.

Specie dotate di caratteristiche anatomiche e fisiologiche simili, mostrano ampie differenze nella durata della vita dei loro componenti. È esperienza comune osservare uccelli e mammiferi la cui vita è estremamente breve, oppure inaspettatamente lunga: i soggetti a vita breve mostrano di possedere una base ormonale oppure nervosa che conduce a una rapida senescenza, mentre quelli longevi, pur essendo strutturati in modo simile ai primi, vivono e si riproducono per parecchie stagioni con lenti fenomeni d’invecchiamento.

Sia i fattori genetici che quelli ambientali possono determinare la durata della vita attraverso l’influenza che esercitano sulla durata dei vari stadi di sviluppo dell’organismo e può verificarsi che gran parte della vita dei soggetti che si riproducono una sola volta sia dedicata allo sviluppo dell’organismo e alla sua maturazione. Il passaggio attraverso i vari stadi di sviluppo vengono abitualmente regolati da segnali ormonali oppure nervosi anziché da meccanismi autonomi che in via solo ipotetica sarebbero preprogrammati nelle singole cellule, quasi frutto di una scheda elettronica autonoma e indipendente dal resto dell’organismo. Gli ormoni hanno un ruolo invasivo e permeante sull’orchestrazione temporale della vita, a loro volta essendo soggetti e dipendenti dai controlli neurogeni o da loro equivalenti.

Attualmente gli ormoni, coi loro meccanismi associati, vengono visti sotto un altro profilo che va al di là del classico concetto di molecole prodotte in un determinato distretto dell’organismo per essere trasportate a distanza allo scopo di regolare l’attività di cellule oppure di interi organi. Infatti l’attuale distinzione parla dei seguenti tipi di regolatori biologici:

q  regolatori endocrini: si tratta del classico concetto riservato agli ormoni secondo il quale le sostanze regolatrici raggiungono le cellule bersaglio servendosi del torrente ematico

q  regolatori paracrini: essi vengono prodotti localmente e agiscono sulle cellule bersaglio poste nelle immediate vicinanze e solo dopo essersi diffusi nel liquido extracellulare

q  regolatori autocrini: agiscono sulla cellula stessa dalla quale hanno preso origine

q  regolatori intracrini: essi agiscono all’interno della cellula.

Per fare alcuni esempi, possiamo citare il fattore di crescita dei fibroblasti, che può agire sia in modo intracrino che paracrino, i neurotrasmettitori che agiscono come regolatori paracrini diffondendosi ai recettori delle cellule nervose o muscolari contigue ma che possono agire anche in modo autocrino attraverso autorecettori posti sulla cellula dalla quale vengono sintetizzati. I regolatori paracrini e autocrini possono agire come induttori embrionali che danno inizio ai programmi di differenziazione cellulare, grazie ai quali le cellule acquisiscono la competenza per rispondere ai regolatori, tipicamente ormonali, implicati nei successivi stadi di prosecuzione della vita.

La capacità degli ormoni di influenzare diverse attività in parecchi tipi cellulari viene definita in genetica classica ed evoluzionistica come pleiotropia, situazione in cui un gene singolo è dotato di influenze molteplici. La pleiotropia ormonale può derivare dai geni che codificano i recettori ormonali presenti nei tessuti dell’organismo, e l’effetto pleiotropico potrebbe essere spiegato attraverso i dominî leganti il DNA dei recettori ormonali riscontrabili nei promotori dei geni, caratterizzati da sensibilità all’azione ormonale, oppure attraverso enzimi che sintetizzano e degradano gli steroidi.

Affinché un organismo pluricellulare possa conservare lo stato di benessere col variare delle condizioni ambientali, deve essere in grado di monitorare le informazioni endogene ed esogene servendosi di meccanismi chemiosensitivi e neurogeni. Tali informazioni vengono tradotte attraverso segnali neuroendocrini oppure ormonali di altro tipo capaci di modificare la funzione in cellule o in organi bersaglio. Tutto ciò non è appannaggio degli organismi pluricellulari, in quanto la traduzione chemiosensoriale è ben documentata nei lieviti, nei protozoi e in altri microrganismi eucariotici che servono da ottimo riferimento.

Le variazioni genetiche in grado di alterare la risposta ormonale costituiscono un possibile cardine per l’evoluzione degli esseri viventi, in quanto sono causa di una mutazione di tipo quantitativo. Esistono variazioni genetiche che riguardano il tasso ormonale, i recettori ormonali e le attività stimolate dal legame con l’ormone. Nei mammiferi esistono delle mutazioni a carico dei recettori che sfociano in disordini endocrini, tra i quali possiamo citare l’insensibilità agli androgeni, una mutevole risposta agli estrogeni con successiva insorgenza di tumore mammario, polimorfismi circa i recettori per i glicocorticoidi e per la vitamina D (VDR).

Quest’ultima situazione è stata recentemente scoperta nelle donne caucasiche ed è in grado di condizionare la densità della struttura ossea rendendo così possibile la predizione di fratture spontanee. Esistono forme di diabete non insulino-dipendente (diabete di tipo II o NIDD) poste sotto influenza genetica e dovute a ridotta sensibilità dei tessuti bersaglio cui consegue un’aumentata increzione insulinica e iperinsulinemia. Quest’ultima situazione, nonostante riconosca una base genetica, non è ancora compresa in modo sufficiente e gli studi epidemiologici mostrano un’incidenza elevata negli abitanti delle isole del Pacifico e negli Amerindi dell’America del Nord.

Nell’uomo il complesso maggiore di istocompatibilità o MHC è un complesso di geni posto sul braccio corto del cromosoma 6 che si estende per circa 3.000 kilobasi e 3 centimorgan. L’MHC contiene più di 80 geni, alcuni dei quali estremamente polimorfi. È conosciuto soprattutto per i geni deputati alla regolazione delle funzioni immunologiche inizialmente identificate col nome di antigeni del trapianto, in particolar modo per le glicoproteine codificate dai 15-20 geni correlati e localizzati in ognuna delle regioni della classe I e II. Le glicoproteine della classe I sono presenti su quasi tutte le membrane cellulari dell’organismo, mentre le glicoproteine della classe II si trovano prevalentemente sui linfociti T e altre cellule derivate dal midollo osseo. Le glicoproteine di queste due classi formano dei complessi bimolecolari in unione con gli antigeni durante la presentazione alle cellule T degli antigeni sottoposti a processamento.

A differenza dei recettori per gli steroidi e parecchie altre famiglie multigeniche distribuite su parecchi cromosomi, i geni strettamente correlati e deputati alla sintesi delle glicoproteine delle classi I e II non sono presenti ovunque. Anche i geni coinvolti nel processamento intracellulare dell’antigene sono localizzati nella regione della classe I.

Altri geni facenti parte dell’MHC codificano per enzimi deputati al metabolismo degli steroidi e delle sostanze carcinogenetiche, per la proteina dello shock da calore con peso di 70 kDa e per diversi fattori facenti parte del sistema del complemento. L’espressione dei geni della classe I e II viene stimolata in parecchi tipi cellulari dall’interferone g, e si tratta del miglior esempio di regolazione genica coordinata in seno all’MHC.

Questo antico sistema di geni presenta un’organizzazione generale simile in tutti i vertebrati esaminati. Tuttavia le varie specie differiscono tra loro circa le particolarità dei geni congregati nel locus MHC e circa il numero di geni strettamente correlati, che sembra abbiano preso origine da un processo di duplicazione. Le differenze presentate dalle specie circa numero e tipo dei geni, quando vengano considerate insieme alla presenza di numerosi pseudogèni, mostrano un quadro di evoluzione senza pausa a carico dei geni appartenenti all’MHC, geni che si trovano in vari stadi di benessere o di decadimento (Trowsdale, 1993). Le frequenze di ricombinazione nell’MHC umano generalmente rassomigliano a quelle che si svolgono ovunque in seno al genoma. Tuttavia l’MHC ha delle aree calde di ricombinazione come pure delle estese regioni, talora di 100 kb, in cui non si sono mai potute mettere in luce delle ricombinazioni geniche.

Le differenti combinazioni di alleli in seno al locus dell’MHC sono denominate aplotipi. Gli alleli dei geni della classe I e II influenzano la forza della presentazione dell’antigene che per certi aplotipi può essere debole mentre altri aplotipi producono una forte risposta immune nei confronti dello stesso antigene. Le variazioni geniche in seno ai geni dell’MHC sono in grado di influenzare numerosi aspetti della storia della vita: dalla sua durata allo stato di benessere, dall’attività enzimatica al processo di trascrizione genica.

Anche se l’MHC non è in grado di influenzare in modo particolare la durata della vita dell’uomo, alcuni aplotipi si associano con un aumentato rischio per malattie ereditarie in grado di accorciare l’aspettativa di vita. Dopo la pubertà possiamo osservare l’insorgenza di gruppi di malattie ereditarie tra loro completamente differenti collegate a questo locus, malattie che hanno il loro impatto maggiore durante l’età media quando l’attività riproduttiva è tipicamente in declino. Gli esempi più significativi sono su base autoimmune: diabete insulino-dipendente, IDD o diabete di tipo I, che compare tipicamente alla pubertà, spondilite anchilosante dopo i trent’anni, artrite reumatoide tra i 20 e i 40 anni, sclerosi multipla anch’essa nello stesso periodo. Il diabete di tipo I mostra un’interazione gene-ambiente con un’infezione virale che colpisce le funzioni ormonale e immunitaria. Abitualmente è causato da un’autodistruzione immunitaria delle cellule b delle isole di Langerhans del pancreas da parte di cellule T autoreattive ed è relativamente più frequente in alcuni aplotipi che coinvolgono i geni di classe II dell’MHC. È stato dimostrato che l’antigene endogeno delle cellule b nel diabete di tipo I è la decarbossilasi dell’acido glutammico o GAD, deputata anche alla formazione del neurotrasmettitore glutammato. Inoltre, la GAD possiede una sequenza dotata di elevata similarità con un peptide composto da 24 aminoacidi presente anche nei Coxsackievirus B dotata di elevato potere antigene e in grado di mimare la molecola di GAD. Tale somiglianza molecolare può essere alla base dell’andamento epidemico delle infezioni da virus Coxsackie B e diabete di tipo I. Gli aplotipi prevalenti a carico di MHC in questo tipo di diabete possono intensificare la presentazione dell’antigene da parte delle proteine dei virus Coxsackie.

Agli alleli di MHC si trovano associati anche parametri riproduttivi generali. Dopo selezione artificiale per migliorare le funzioni riproduttive nei mammiferi e nel pollo domestico, sono state trovate delle associazioni tra gli aplotipi MHC e la produzione di uova e latte. Alcuni enzimi deputati al metabolismo degli steroidi e di altri composti policiclici vengono codificati da MHC: per esempio una C21 steroide idrossilasi è implicata nella sintesi di due ormoni steroidi cruciali per il metabolismo e per la produzione di energia, il cortisolo e l’aldosterone. Da ultimo possiamo aggiungere che i geni dell’MHC interagiscono coi sistemi ormonali attraverso le regioni di controllo della trascrizione.

Il locus MHC contiene alcuni dei geni più altamente polimorfici conosciuti nei vertebrati. Nell’uomo parecchi geni delle classi I e II posseggono da 30 a 100 alleli la cui frequenza varia in seno alle varie popolazioni. Parecchi altri mammiferi presentano un esteso polimorfismo, mentre alcune specie rappresentano un’eccezione mostrando solo piccole variazioni a carico di MHC, come accade per il ratto delle dighe dei Balcani.

Alcune combinazioni alleliche possono essere antiche, come le combinazioni alleliche trans-specie dell’uomo che sembra si siano stabilite prima della divergenza delle linee delle proscimmie e dei primati antropoidi avvenuta 85 milioni d’anni fa. In base all’associazione tra le risposte ormonali e gli aplotipi di MHC, si potrebbe supporre che gli aplotipi di MHC vanno incontro a selezione a causa degli effetti pleiotropici sullo stato di benessere che coinvolge direttamente la riproduzione e la resistenza agli agenti patogeni. Quest’ultima caratteristica dipende dagli alleli di MHC attraverso l’entità della risposta dell’organismo agli antigeni estranei. La persistenza di un elevato grado di polimorfismo in seno a MHC può essere dovuta a una pleiotropia antagonista o all’instabilità delle mutazioni dell’ambiente microbico patogeno che determina una selezione per differenti alleli da parte delle resistenze opposte dell’ospite. Come esempi di resistenza alle malattie infettive e parassitarie associate al locus MHC possiamo citare l’influenza da parte dell’MHC umano nei confronti del Plasmodium falciparum nelle popolazioni dell’Africa occidentale e dell’MHC del pollo verso i tumori indotti dagli herpes virus o dai virus del sarcoma di Rous.

Un’analisi dei vari avvenimenti che possono influenzare la durata della vita attraverso un meccanismo pleiotropico come è posseduto dal locus MHC e da altri loci composti da complessi di geni, deve farci concludere che la regolazione ormonale dell’evoluzione è dotata di ampia flessibilità, non trascurando anche l’ipotesi che talora l’evoluzione in seno ai gruppi tassonomici possa avere dei momenti caotici che rendono vana qualsiasi interpretazione degli avvenimenti biologici basati su una visione evoluzionistica rigida.

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