Questo importante fenomeno
costituisce una delle prove più chiare del modo di agire della selezione, e
merita di essere illustrato. Il botanico danese Wilhelm
Johannsen iniziò nel 1900 una serie di ricerche su una varietà di
fagioli nani, allo scopo di verificare la legge galtoniana della regressione
nei riguardi del peso dei semi di queste piante. Constatò che il peso medio
dei fagioli di una generazione F1
si discostava ben poco dalla media della razza, nonostante si partisse da
gruppi di genitori a seme pesante (0,8 gr) o a seme leggero (0,3 gr).
Ritenendo che questo fenomeno fosse dovuto alla presenza di individui
geneticamente diversi nella razza, si propose di isolare ceppi o linee pure
rispetto al carattere studiato.
Partendo da numerose piante riprodotte per
autofecondazione per una serie di generazioni, ottenne 19 stirpi provenienti
da altrettante piante fondatrici, che presentavano un peso medio dei semi ben
definito e una curva di variabilità diversa da una linea all'altra. Johannsen
aveva ottenuto infatti delle stirpi geneticamente pure rispetto al peso dei
semi, cioè delle linee
isogeniche (secondo la terminologia moderna), formate da individui
aventi il medesimo genotipo, almeno per quanto riguardava il carattere
indagato.
Orbene, praticando la selezione rispetto al peso dei semi
nell'ambito di ciascuna linea, Johannsen poté constatare che essa rimaneva
senza alcun effetto; vale a dire, seminando separatamente i fagioli più
grossi e quelli più piccoli di una stessa linea, gli F1
ottenuti (sempre per autofecondazione) davano fagioli che possedevano lo
stesso peso medio e la stessa curva di variabilità. Si verificava perciò una
regressione totale del peso dei semi, perché il valore medio degli F1
coincideva con la media della linea, qualunque fosse il valore del carattere
nei genitori.
Johannsen concluse quindi che la selezione nell’ambito delle linee pure rimane senza effetto,
e ascrisse la variabilità del peso dei fagioli di ogni singola linea
all'azione dei fattori ambientali. Esperienze analoghe ed estremamente
accurate vennero ripetute su diverse specie di Paramecium
[1]
da Jennings (1908) e da Woltereck sulle Dafnie
[2]
,
con esito identico.
[1] Paramecio: nome comune di un genere di prototisti appartenenti alla classe dei ciliati. I parameci sono organismi eucarioti unicellulari, lunghi in genere meno di 0,25 mm e ricoperti di sottili prolungamenti, le ciglia, di cui si servono per la locomozione e l'alimentazione. Quando si muovono nell'acqua, i parameci seguono una traiettoria dall'andamento a spirale, ruotando rispetto al loro asse maggiore. Se incontrano un ostacolo, mostrano la cosiddetta reazione di evitamento, indietreggiando in diagonale e ripartendo in una nuova direzione. I parameci si nutrono soprattutto di batteri, che introducono nel citofaringe grazie all'azione delle ciglia. I parameci sono abbondanti negli stagni di acqua dolce di tutto il mondo, mentre se ne conosce una sola specie marina. Questi microrganismi vengono facilmente coltivati in laboratorio, su materiale vegetale immerso in acqua. Paramecium caudatum è una specie comune, molto usata dalla ricerca scientifica.
[2] Dafnia o Dafne: genere di circa 70 specie arbustive caducifoglie originarie dell'Europa e dell'Asia, ampiamente coltivate un po' ovunque a scopo ornamentale. Il mezereo - Daphne mezereum - è un piccolo arbusto, caratterizzato da infiorescenze formate da profumati fiori rossi che sbocciano all'inizio della primavera sui fusti legnosi, ancora privi di foglie. Dai fiori si sviluppano poi bacche scarlatte che vengono rapidamente nascoste dallo sviluppo di un fitto fogliame. La Daphne laureola è una specie sempreverde, ampiamente coltivata a scopo ornamentale: ha bacche nerastre e fiori giallognoli, lievemente profumati. Generalmente le foglie, la corteccia e le bacche delle dafnie contengono sostanze velenose che, se ingerite, possono provocare gravi infiammazioni alla bocca e all'intestino e possono essere letali per i bambini. Dafne, il cui nome in greco significa alloro, era una ninfa figlia del dio-fiume Peneo. Era una cacciatrice votata ad Artemide, dea della caccia, e al pari di lei rifiutava le nozze. Il dio Apollo si innamorò di Dafne che lo respinse, ma lui la inseguì nei boschi. La ninfa invocò l'aiuto del padre, pregandolo di trasformarla, e quando Apollo infine la raggiunse e la ghermì, Dafne si trasformò in una pianta d'alloro. Addolorato, il dio ne fece il suo albero sacro.