Questo metodo consiste nel far
riprodurre fra loro animali dotati di un rapporto di parentela, per cui si
tratta della riproduzione consanguinea. Si distinguono due forme di
consanguineità:
§
closebreeding
o consanguineità stretta: riproduzione tra fratelli e sorelle pieni;
riproduzione tra padre e figlie; riproduzione tra madre e figli
§
linebreeding
o riproduzione per linea: riproduzione fra mezzi fratelli e mezze sorelle;
riproduzione fra cugini; riproduzione fra nonni e nipoti e fra nonne e nipoti.
Quindi l’inincrocio per linea si verifica quando gli individui vengono
accoppiati in modo da mantenere i propri discendenti imparentati strettamente
con uno o più ascendenti famosi, ma senza ricorrere a uno stretto inincrocio.
Abbiamo visto che il termine linee pure fu coniato dal botanico danese Johannsen. In allevamenti chiusi si può giungere a un elevato grado di omozigosi e l’allevatore può a volte constatare che i suoi tentativi di selezione diventano sempre più ardui col passare degli anni.
Si arriva a un limite
oltre il quale è difficile compiere ulteriori progressi.
Giunti a questo stadio, viene talora consigliato di immettere nuovi geni di
altra provenienza e di ricominciare, ma, se questo sembra valido in teoria,
non si è ancora dimostrata l’effettiva validità di tale metodo per
superare i livelli raggiunti.
Dopo la scoperta dei geni, il tabù della consanguineità
è stato un po’ sfatato e ridimensionato. L’effetto generale della
consanguineità consiste nell’aumento
percentuale di coppie geniche omozigoti. In parecchi loci possono
essere presenti geni letali e geni che inducono l’insorgenza di gravi
difetti. L’omozigosi di tali loci provoca la comparsa di anomalie tali che
gli allevatori rimpiangono amaramente di aver fatto accoppiare soggetti troppo
strettamente imparentati. Possiamo però affermare che la consanguineità non
è di per sé dannosa, lo è solo per il fatto di mettere in evidenza i
caratteri negativi dovuti a geni recessivi.
Il closebreeding,
anche se ha generato ottimi riproduttori, deve essere usato con cautela,
utilizzando animali, soprattutto maschi, di valore eccezionale e che
possibilmente si siano già rivelati capaci di assicurare una buona
discendenza.
Il linebreeding può essere invece
applicato largamente. Quando un allevatore di bovini ha la fortuna di
possedere un toro che non solo ha un buon fenotipo ma che, attraverso il
controllo dei figli e delle figlie nei confronti delle rispettive madri ha
dimostrato di possedere un buon genotipo e di essere esente da geni subletali
o letali, potrà impiegarlo con probabilità di successo nella riproduzione
consanguinea, dapprima con sorelle piene e con mezze sorelle, e se i risultati
saranno buoni potrà essere impiegato anche con le figlie e le nipoti.
Comunque, con il linebreeding si
deve tendere a costituire una linea facente capo a un buon
riproduttore. In seno a una razza è opportuno costituire due o più
linee aventi determinate caratteristiche utili.
Così facendo si possono realizzare due grandi vantaggi:
anzitutto quello di fissare, nelle singole linee, determinati caratteri che
non sempre è possibile fissare in una stessa linea, rendendo così possibile
la riproduzione interlineare al duplice scopo di migliorare la discendenza e
di riunire in essa le buone caratteristiche delle due linee.
Gli studi più recenti
hanno dimostrato la grande utilità di costituire dapprima numerose linee
consanguinee, per procedere poi alla loro ibridazione.
Un caso tipico di comparsa di
vigore ibrido negli incroci tra linee della stessa razza fu riscontrato
incrociando 2 ceppi di Livorno bianca alla Cornell University:
Schiusa di uova fertili |
aumento |
4,7% |
Giorni per la deposizione del 1° uovo |
riduzione |
5 giorni |
Uova deposte fino a 500 giorni |
aumento per gallina |
22-25 uova |
Peso dell’uovo |
aumento |
2 grammi |
Peso corporeo dell’adulto |
aumento |
130 grammi |
I ceppi usati per questi incroci
erano stati allevati in condizioni tali per cui non vi era stata immissione di
sangue nuovo da 13 anni. Il vigore ibrido non aumenta automaticamente ad ogni
incrocio. Talora si debbono provare decine d’incroci prima di trovare quello
utile.
Contrariamente a quanto si crede, i continui accoppiamenti
nell’ambito dello stesso ceppo non sempre comportano un veloce inincrocio. L’aumento dell’omozigosi nei ceppi chiusi
dipende in gran parte dal numero di maschi usati per ottenere ogni
generazione.
È stato calcolato da Wright che quando il numero delle femmine è largamente
superiore a quello dei maschi, come avviene di solito negli allevamenti di
animali domestici, l’eterozigosi si riduce ad ogni generazione dell’1÷8N,
in cui N è il numero dei maschi usati. Così, se in una certo gruppo si
impiegano 4 maschi per stagione, si aumenta l’omozigosi solo del 3,1% ad
ogni generazione. Se si impiegano 10 maschi, il valore si riduce a poco più
dell’1,2%. Lenti approcci all’omozigosi condotti in questo modo non
danneggiano molto un ceppo, se si ha l’avvertenza di non impiegare gli
animali difettosi e di evitare gli accoppiamenti tra soggetti troppo
strettamente imparentati.
Il
ceppo Cornell S di Livorno bianca è
stato riprodotto per molti anni usando ogni anno 8 maschi, di cui 4 erano
riproduttori selezionati e altri 4 non lo erano, accoppiando ciascun gallo con
circa 13 galline. A partire dal 1940 non si introdusse nuovo sangue nel ceppo
e si evitò l’inincrocio troppo stretto. Dopo 30 anni di allevamento chiuso,
il grado di inincrocio era di poco superiore al 39%. Ciò nonostante la
fecondità e la fertilità del ceppo erano ottime. Negli ultimi 2 anni la
fertilità media era superiore al 90% e la schiusa delle uova fecondate pari
all’89,7%.
Misurare la parentela genetica
consiste nel valutare in termini statistici e probabilistici la percentuale di
geni provenienti da un antenato. Se si accoppiano due individui che siano
parenti, vi è una certa probabilità che i prodotti siano omozigoti rispetto
a determinati geni. Questa probabilità è misurata dal coefficiente di consanguineità dovuto
a Wright (1922).
La formula matematica permette di calcolare il grado di inincrocio, o
coefficiente di consanguineità Fx,
di un soggetto x di cui si conosce il pedigree:
Fx = S [(½)n + n’ + 1] (1+FA)
n
è il numero di generazioni che separano il padre di x da un antenato A comune
al padre e alla madre di x
n’
è il numero di generazioni che separano la madre di x e lo stesso antenato
comune A
S
= sommatoria dei contributi diversi dovuti a ciascun ascendente comune
FA è il coefficiente di consanguineità dell’ascendente
comune A, nel caso sia esso stesso inincrociato
La sommatoria S si applica a tutte le
catene di generazioni che passano dal padre alla madre di x attraverso un
antenato comune, senza passare per più di una volta attraverso lo stesso
animale.
Il coefficiente di Wright esprime il grado di parentela tra
riproduttore maschio e femmina.
Questa parentela, se esiste, dipenderà dalla più o meno lontana presenza di
un ascendente comune nell’albero genealogico. Se i due genitori hanno in
comune più di un ascendente, è probabile che siano più strettamente
imparentati di quando ne hanno uno solo.
Senza
dilungarsi in diagrammi e calcoli, si possono ritenere validi i dati seguenti:
o
inincrocio
di fratellastri: x è inincrociato per il 12,5%
o
inincrocio
tra fratello e sorella con 2 ascendenti comuni:
x è inincrociato per il 25%
o
due
generazioni di accoppiamenti tra fratello e sorella con 4 ascendenti comuni:
x è inincrociato per il 37,5%
o
incroci
in cui l’ascendente comune è inincrociato: x inincrociato per il
31,2%.
La consanguineità di un
soggetto è legata al numero di antenati comuni. Prendiamo l’esempio di un accoppiamento tra fratello e sorella
con 2 antenati comuni: se gli antenati non sono essi stessi consanguinei, il
tasso di consanguineità è del 25% e il tasso di omozigosi è del 62,5%
Un calcolo dello stesso tipo dimostrerebbe che nel caso di un incrocio tra padre e figlia oppure
tra madre e figlio, il tasso di consanguineità è del 25%.
Quindi, contrariamente a un’idea molto diffusa, il tasso raggiunto nel primo
caso non è più elevato rispetto al secondo.
Da quanto esposto scaturisce una norma fondamentale: la riproduzione consanguinea deve essere praticata
basandosi rigorosamente sui meriti dei soggetti, cioè sulle loro
caratteristiche positive.
Un’altra norma basilare riguarda il coefficiente o
percento di consanguineità: se un maschio viene accoppiato con le sue figlie,
i prodotti saranno consanguinei nella proporzione del 25%. Se queste figlie
sono di nuovo accoppiate col maschio originale, si avrà un altro grado di
consanguineità del 12,5% per un totale del 37,5%. Se il maschio originale
dovesse ancora essere usato per fecondare le ultime figlie, si avrebbe un
ulteriore aumento del 6,25% per un totale del 43,75%. Ad un così alto livello
di consanguineità molto probabilmente andremo incontro a inconvenienti.
Se un maschio viene accoppiato con le nipoti, le figlie
avranno un coefficiente del 12,5%; se poi queste pronipoti saranno fecondate
da un maschio figlio del maschio originale, il coefficiente aumenterà del
3,125%, per cui il valore effettivo raggiungerà il 15,625%. In generale è
consigliabile non raggiungere un alto coefficiente, raramente oltre il 12,5%,
e non bisogna fare salti eccessivi ad ogni generazione.
Da ricordare che qualunque
sia il sistema adottato, in nessun caso creeremo geni nuovi. Ci limiteremo
ad accoppiare due alleli uguali oppure diversi. Per un allevatore che dispone
di animali di qualità media, il metodo migliore consiste nel far riprodurre
fra loro soggetti non imparentati, ottenendo una selezione non consanguinea.
Se invece si ha la fortuna di incappare in un maschio di qualità eccezionali,
allora si potrà ricorrere al linebreeding
con la sicurezza di ottenere buoni risultati. Il closebreeding è consigliabile per produrre maschi da impiegare in
altri allevamenti.
Ma a chi non può fare a meno di strizzarsi il cervello con diagrammi e calcoli, ecco quanto offre l'amico Ingegner Dario Ravarro, che con quanto segue augura a tutti gli Allevatori un proficuo 2010. E spero vivamente che il suo prezioso ed encomiabile contributo produca risultati positivi anche nei lustri a venire.
Parentela
e Consanguineità
Dario Ravarro
2010
Talora il risultato più
evidente di uno stretto inincrocio è quello di ridurre il tasso riproduttivo e provocare la comparsa di caratteri
letali o comunque dannosi. Se i geni sono omozigoti, è evidente che i
soggetti vengono eliminati dalla natura stessa. Si sente dire perciò che l’inincrocio
è un metodo per purificare la razza, ma sfortunatamente quando si eliminano geni nocivi si elimina anche
una gran quantità di geni positivi che si sono indissolubilmente
legati ai nocivi. Alcune delle linee fortemente inincrociate sono mediocri e
proprio per questo molte vengono eliminate a causa dell’incapacità
riproduttiva.
Si verifica quindi, negli animali che sopravvivono al
processo di purificazione, una depressione
da inincrocio dei caratteri quantitativi. In altri termini, prestazioni
come la schiusa, il numero di uova deposte, la vitalità e il tasso d’accrescimento,
risultano ridotti.
Oltre a questi fattori negativi, vi è solitamente una
segregazione degli individui in linee distinte, ma con sempre più alta
uniformità all’interno delle singole linee, dato che gli individui all’interno
di esse tendono ad avere sempre più geni in comune.
Nonostante la frequente depressione da inincrocio, è
possibile allevare e mantenere dei ceppi fortemente inincrociati,
derivati da tanti accoppiamenti tra fratelli e trisnipoti da poter essere
considerati omozigoti per tutti i loci. Tuttavia, nei polli, inincroci
continui tra fratelli hanno portato nella maggior parte dei casi all’estinzione
delle linee nel giro di 6-8 generazioni, dovuta al calo della capacità
riproduttiva.
Se l’inincrocio comporta un aumento dell’uniformità
genetica, bisogna stare continuamente
all’erta per impedire che si riproducano animali dal vigore ridotto. La minor schiusa delle nidiate
è il primo segno che il grado di inincrocio è troppo stretto.
In genere si debbono evitare gli accoppiamenti tra parenti
troppo stretti per poter mantenere il grado di inincrocio abbastanza basso. Si
deve tenere ben presente che l’inincrocio non crea nuovi geni nocivi, bensì
è solo in grado di mettere in evidenza quei geni che si celano nella
popolazione.