In un certo modo il modellamento delle razze domestiche ha portato alla riduzione della plasticità originale, fissando certi tratti economicamente interessanti per la doppia pratica della consanguineità e della selezione. Ma per quali ragioni non ci si può spingere impunemente molto lontano seguendo questa via?
Vediamo cosa accade in natura.
Alcuni caratteri delle razze selvatiche risultano dalla presenza di geni
dominanti; per esempio, i due colori di base del piumaggio, il nero e il
rosso, sono dovuti al gene dominante C+, sia allo stato omozigote C+C+
che eterozigote C+c. Se per caso si dovesse creare la situazione cc,
il pollo sarebbe senza pigmenti, cioè bianco , e allo stato selvatico avrebbe
poche opportunità di sfuggire ai predatori. Per cui il gene c
può essere considerato un recessivo sfavorevole.
Tutti gli esseri viventi sono portatori di geni recessivi
sfavorevoli che si manifestano solo eccezionalmente in condizioni naturali di
accoppiamento, ma che hanno tutte le opportunità di esteriorizzarsi con
incroci consanguinei.
Come abbiamo visto, un gran numero di malformazioni si
trasmettono per via ereditaria e si traducono spesso nella morte dell’embrione.
I difetti di schiusa,
così frequenti negli allevamenti sportivi, non hanno generalmente altra
causa. Altri difetti non impediscono la schiusa, ma i soggetti non
sopravvivono e vengono così eliminati. Altre anomalie non mettono la vita a
repentaglio, ma comportano una mancanza di vigore e di
fertilità,
suscettibili ugualmente, a lungo termine, di compromettere
l’avvenire della razza.
Gli inconvenienti suddetti si verificano particolarmente
negli allevamenti sportivi per l’incuria degli allevatori che, non
controllando i genitori, continuano a praticare una consanguineità ad
oltranza, quando addirittura questa metodica non è un rifugio orgoglioso al
fine di non introdurre in allevamento soggetti di allevamenti concorrenti.
Gli stessi inconvenienti si verificano anche in seguito
alla severità di certi giudizi che, squalificando i minimi scarti dallo
standard, spingono gli allevatori a sbarazzarsi di soggetti altrimenti validi,
riducendo così la variabilità in seno al gruppo.
E, tutto questo, per il lusso di dettagli o per l’incoerenza
genetica di certi standard, che mettono la perfezione al di fuori della
portata di qualsiasi allevatore.
Come può, in queste condizioni, sopravvivere ancora l’allevamento
sportivo? Sopravvive solo per il fatto che molti, per ignoranza o talora su
consiglio dei giudici stessi, non si dedicano al gioco della purezza, in
quanto fanno ricorso all’incrocio tra soggetti appartenenti a razze e
varietà differenti. Quanti allevatori, nell’intento di accorciare zampe,
aggiungere peso, ottenere orecchioni più rossi o più bianchi, intensificare
il tale colore o il tale disegno, non hanno incrociato i loro animali con un’altra
razza? Talvolta, procedendo così, hanno ottenuto il risultato atteso. L’omogeneità
fenotipica osservata in F1
li conforta nella loro speranza e convinzione di riuscita, mentre non hanno
creato che degli ibridi i quali, con incroci ulteriori, renderanno palese la
loro eterogeneità genetica. Certo che il vigore dei soggetti non può che
trarne vantaggio, ma a cosa si riduce l’ideale di purezza?
Che fare allora? In realtà la sola maniera di risolvere
questo problema apparentemente insolubile è prendere esempio da allevatori
come Colling, che praticavano la consanguineità con moderazione e in modo
controllato. Per far questo bisogna allevare
in coppie e segnare i discendenti per distinguerli quando saranno
cresciuti. Così si può tracciare un pedigree che permette di giudicare e di
rendere in cifre il grado di consanguineità. Evitiamo che essa vada al di là del
40%,
introducendo con discernimento il sangue nuovo che necessita, appoggiandoci di
preferenza ad un allevamento dove si osserva la stessa prassi.
Non dimentichiamo tuttavia che, affinché un tale metodo
dia i suoi frutti, deve essere applicato su animali di buona qualità. Darwin stesso diceva:
Accrescere la consanguineità di una popolazione di cattiva
qualità non comporta che rovina e devastazione, quando entro certi limiti
questa pratica può essere attuata senza danni partendo da animali di prima
classe.