Vol. 2° -  XXVIII.8.3.

Proprietà ottiche della melanina

Il colore nero è una proprietà frequente del mondo inorganico, presente per esempio nelle particelle di metalli e nella grafite. Negli organismi viventi il nero sembra essere associato solo alle melanine. L’interazione della melanina con la luce consisterebbe nelle sue proprietà di semiconduttore amorfo, in quanto la melanina è nera poiché la luce assorbita viene catturata e convertita in energia rotazionale e vibrazionale, senza essere irradiata.

La relativa mancanza di forma dello spettro della melanina, dall’ultravioletto all’infrarosso passando attraverso lo spettro visibile, significa che una simile cattura di fotoni è disponibile a qualunque livello di energia compreso tra i suddetti limiti spettrali. Pertanto, il nero della melanina non si limita alla sola banda visibile. Tuttavia, la melanina dimostra di possedere un’efficiente capacità di diffondere la luce.

Esistono due tipi di diffusione della luce da parte della melanina: secondo Rayleigh da parte delle molecole, secondo Mie da parte dei granuli di pigmento. Il colore della melanina dipende fortemente dalle dimensioni delle particelle che costituiscono i granuli di pigmento.

Più grandi sono i granuli di pigmento, tanto più scuro è il colore. Pertanto, l’approccio adottato da Madre Natura per colorare pelle, peli e piume, non consiste nella scelta di cromofori specifici, bensì in un’abile sfruttamento delle dimensioni delle particelle e dell’aggregazione dei granuli di pigmento, non disgiunta dal loro modo di distribuirsi nel contesto delle strutture anatomiche.

Altro fattore in grado di modificare in modo significativo le proprietà ottiche della melanina è lo stato di ossidoriduzione delle unità di DHI costituenti il polimero. L’idrosolfito di sodio determina un viraggio della dopamelanina da nero a marrone chiaro, e il pigmento ridotto può essere riossidato con l’aggiunta di ferricianuro di potassio.

Come abbiamo appena accennato, di particolare interesse pratico e cosmetico è la reazione della melanina col perossido d’idrogeno allo scopo di schiarire o di sbiancare il colore dei capelli. Velocità e entità dell’ossidazione dipendono da svariati fattori già elencati e riassumiamo le due tappe che si susseguono:

§   rapida solubilizzazione del pigmento dovuta a frammentazione dei granuli di melanina

§   susseguente degradazione ossidativa ad andamento più lento che eventualmente produce una miscela complessa di prodotti incolori.

Gli studi in merito suggeriscono che le due tappe consisterebbero nella fissione dell’anello delle unità di 5,6-indolchinone da parte di ioni OOH- derivati dal perossido d’idrogeno. Non bisogna tuttavia misconoscere il contributo da parte dei radicali OH+ generati durante lo sbiancamento catalitico delle melanine sia naturali che sintetiche da parte di ioni metallici e dei raggi UV.

Data la presenza di perossido d’idrogeno nei sistemi biologici e la spiccata affinità della melanina per questo ossidante, è ragionevole pensare che anche in vivo si verifichi un collasso dei processi auto-ossidativi analogo a quello osservato in vitro nel contesto dei tessuti pigmentati.

Si può pertanto ravvisare la possibilità che le differenze osservate a carico della forma e della stabilità dei melanosomi nella pelle chiara e nella pelle scura sia da mettere in relazione in ultima analisi a differenze dell’attività enzimatica ossidoriduttiva, come quella svolta dalla catalasi, dalla superossido dismutasi (SOD) e dalla glutatione perossidasi, che controllano il livello di perossido di idrogeno nell’epidermide umana.

Non esistono tuttavia prove sperimentali in merito.

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