Il colore nero è una proprietà frequente del mondo inorganico, presente per esempio nelle particelle di metalli e nella grafite. Negli organismi viventi il nero sembra essere associato solo alle melanine. L’interazione della melanina con la luce consisterebbe nelle sue proprietà di semiconduttore amorfo, in quanto la melanina è nera poiché la luce assorbita viene catturata e convertita in energia rotazionale e vibrazionale, senza essere irradiata.
La relativa mancanza di forma dello spettro della
melanina, dall’ultravioletto all’infrarosso passando attraverso lo spettro
visibile, significa che una simile cattura di fotoni è disponibile a
qualunque livello di energia compreso tra i suddetti limiti spettrali.
Pertanto, il nero della melanina non si limita alla sola
banda visibile. Tuttavia, la melanina dimostra di possedere un’efficiente capacità di diffondere la luce.
Esistono due tipi di diffusione della luce da parte della melanina: secondo Rayleigh da parte delle molecole, secondo Mie da parte dei granuli di pigmento. Il colore della melanina dipende fortemente dalle dimensioni delle particelle che costituiscono i granuli di pigmento.
Più grandi sono i granuli di pigmento, tanto più
scuro è il colore. Pertanto, l’approccio adottato da Madre Natura
per colorare pelle, peli e piume, non consiste nella scelta di cromofori
specifici, bensì in un’abile sfruttamento delle dimensioni delle particelle
e dell’aggregazione dei granuli di pigmento, non disgiunta dal loro modo di
distribuirsi nel contesto delle strutture anatomiche.
Altro fattore in grado di modificare in modo significativo
le proprietà ottiche della melanina è lo stato di ossidoriduzione delle
unità di DHI costituenti il polimero. L’idrosolfito di sodio determina un
viraggio della dopamelanina da nero a marrone chiaro, e il pigmento ridotto
può essere riossidato con l’aggiunta di ferricianuro di potassio.
Come abbiamo appena accennato, di particolare interesse
pratico e cosmetico è la reazione della melanina col perossido d’idrogeno
allo scopo di schiarire o di sbiancare il colore dei capelli. Velocità e entità dell’ossidazione
dipendono da svariati fattori già elencati e riassumiamo le due tappe che si
susseguono:
§
rapida
solubilizzazione del pigmento dovuta a frammentazione dei granuli di melanina
§
susseguente
degradazione ossidativa ad andamento più lento che eventualmente produce una
miscela complessa di prodotti incolori.
Gli studi in merito suggeriscono che le due tappe
consisterebbero nella fissione dell’anello delle unità di 5,6-indolchinone
da parte di ioni OOH-
derivati dal perossido d’idrogeno. Non bisogna tuttavia misconoscere il
contributo da parte dei radicali OH+
generati durante lo sbiancamento catalitico delle melanine sia naturali che
sintetiche da parte di ioni metallici e dei raggi UV.
Data la presenza di perossido d’idrogeno nei sistemi
biologici e la spiccata affinità della melanina per questo ossidante, è
ragionevole pensare che anche in vivo si verifichi un collasso dei processi
auto-ossidativi analogo a quello osservato in vitro nel contesto dei tessuti
pigmentati.
Si può pertanto ravvisare la possibilità che le differenze osservate a carico della forma e della stabilità dei melanosomi nella pelle chiara e nella pelle scura sia da mettere in relazione in ultima analisi a differenze dell’attività enzimatica ossidoriduttiva, come quella svolta dalla catalasi, dalla superossido dismutasi (SOD) e dalla glutatione perossidasi, che controllano il livello di perossido di idrogeno nell’epidermide umana.
Non esistono tuttavia prove sperimentali in merito.