Vol. 2° -  XXV.1.2.

Visione del colore

Gli esseri umani non percepiscono tutti i colori dello spettro. Infatti, come abbiamo visto in precedenza, un determinato colore può essere formato da miscele differenti di luci colorate che l’occhio non è in grado di analizzare. Questo perché l’informazione su un particolare colore viene rappresentata nell’occhio dall’intensità relativa di solo tre segnali provenienti da cellule sensibili alle zone rosse, verdi e blu dello spettro. Risultano pertanto sufficienti solo tre cosiddetti colori primari per ottenere qualsiasi sfumatura di colore. Questa caratteristica è nota come tricromaticità.

La cornea, strato di cheratina trasparente che si trova nella parte anteriore del bulbo oculare, insieme con il cristallino forma le immagini degli oggetti sulla retina, superficie posta all’interno dell’occhio. In un certo senso, vi è una qualche analogia fra l’occhio e l’apparecchio fotografico: anche quest’ultimo infatti è munito di una lente, di uno schermo sul quale l’immagine si forma e di un sistema per modificare il fuoco. Mentre tutta la convergenza della luce incidente dipende dall’obiettivo dell’apparecchio fotografico, la maggior parte della capacità di messa a fuoco dell’occhio è dovuta alla sua forma ricurva e solo una piccola quantità supplementare dipende dal cristallino. Il fatto che quest’ultimo possa variare rapidamente la propria curvatura in modo da fornire immagini nitide degli oggetti a distanze diverse, fa sì che esso abbia una flessibilità nel variare il fuoco che non può essere raggiunta dalla macchina, nella quale l’obiettivo deve essere spostato avanti e indietro.

Quando si parla dell’effetto della luce sulla retina, qualsiasi analogia con l’apparecchio fotografico cessa. Entro la retina vi sono particolari cellule chiamate coni e bastoncelli, con la funzione di assorbire la luce e trasformarla in segnali elettrici, che a loro volta provocano variazioni in una lunga catena di cellule che conducono alla corteccia, o strato esterno del cervello. La retina contiene numerosi tipi di cellule nervose, che analizzano parzialmente l’informazione proveniente dai bastoncelli e dai coni prima di trasmetterla al cervello.

La visione dell’uomo in presenza di luce attenuata dipende dai bastoncelli, mentre la normale visione in luce diurna e la discriminazione dei colori dipende dai coni. Nell’occhio normale vi sono tre tipi di coni, ciascuno dei quali contiene un tipo diverso di pigmento. Ciascun pigmento assorbe maggiormente una certa luce colorata piuttosto di un’altra. Così uno assorbe di più la luce blu, un altro quella verde e il terzo quella rossa. I massimi di sensibilità sono rispettivamente per l - lambda, o lunghezze d’onda - pari a 0,440 · 0,535 · 0,565 mm.

Ma ogni tipo di coni assorbe tutte le radiazioni luminose in una certa misura e fornisce un segnale elettrico. La sovrapposizione è particolarmente marcata nelle curve di assorbimento per la luce rossa e verde. La risposta, poniamo, di un cono sensibile al rosso in presenza di una debole luce rossa potrebbe essere uguale alla risposta del medesimo cono a una luce brillante appartenente alla regione verde dello spettro.

Così, se il cervello deve percepire i colori, deve esistere un meccanismo che confronta i segnali inviati dalle tre differenti classi di coni che forniscono il segnale finale in uscita dalla retina. I coni sono collegati secondo schemi complessi alle cellule gangliari. Un tipo di cellula gangliare, chiamata antagonista, può ricevere segnali di eccitazione da un cono di un certo tipo, segnali che da soli potrebbero stimolare la cellula a inviare un segnale al cervello. Ma essa può interromperne l’invio se riceve segnali simultanei inibitori dai coni di un altro tipo. Le altre cellule gangliari sono cellule non antagoniste; esse ricevono, poniamo, segnali di eccitazione da entrambi i coni sensibili al rosso e al verde. Queste cellule segnalano pertanto la brillanza della luce piuttosto che il suo colore.

I bastoncelli sono di un solo tipo, maggiormente sensibili al blu-verde. Questo è il motivo per cui in presenza di poca luce, quando solo i bastoncelli funzionano, non possiamo distinguere i colori, e gli oggetti che in luce diurna appaiono blu sembrano molto più chiari degli oggetti che in luce diurna sarebbero rossi.

I coni sensibili al blu forniscono poche informazioni sulla brillanza, sebbene essi siano importanti nella percezione delle tonalità. I loro segnali paiono trasmessi solo alle cellule gangliari esclusivamente del tipo antagonista. In un esperimento, i coni sensibili al verde e al rosso possono essere affaticati per esposizione a luce gialla, che li eccita entrambi. L’osservatore diventa allora completamente dipendente dai coni blu e ha difficoltà nel differenziare fini dettagli e nel rilevare oscillazioni nella luce di stimolo. Per dettagli molto piccoli, o in luce molto debole, la visione normale è simile a quella di una persona daltonica, che manchi completamente dei coni blu.

Buona parte di tutto ciò può essere spiegato dal fatto che non vi sono quasi coni sensibili al blu nel centro della fovea, la regione della retina più sensibile che si trova in corrispondenza dell’asse ottico. Noi siamo poco sensibili in modo particolare a piccoli o deboli dettagli blu quando li osserviamo direttamente.

La massima intensità luminosa che l’occhio può ricevere è 10 milioni di volte superiore a quella della luce più debole. L’occhio può regolare la propria sensibilità a seconda dell’intensità luminosa prevalente, analogamente a un apparecchio automatico. L’occhio possiede un’apertura variabile, la pupilla, che si contrae in presenza di luce molto intensa. Ma la quantità di luce che entra nell’occhio può essere ridotta solo di un sedicesimo per contrazione della pupilla. La maggior parte della variazione a carico della sensibilità oculare è dovuta a una regolazione automatica della sensibilità delle cellule retiniche.

Ogni tipo di cono ha un controllo di sensibilità indipendente. È questa indipendenza che fornisce all’occhio la capacità di adattarsi al colore dell’illuminazione circostante. Un foglio di carta che pare bianco in luce diurna apparirà ancora bianco quando ci saremo adattati alla luce al tungsteno, anche se in questo caso la proporzione di luce blu è molto inferiore.

Come fa l’occhio a eseguire questa compensazione? Alla normale luce diurna, che contiene tutte le lunghezze d’onda in proporzione più o meno identica, i tre tipi di coni avranno all’incirca uguale sensibilità. Il foglio di carta bianca apparirà bianco perché riflette in modo equilibrato tutte le lunghezze d’onda. Rimanendo per un breve periodo sotto un’illuminazione al tungsteno, i coni sensibili al blu diventeranno più sensibili dei coni sensibili al rosso e al verde per compensare la mancanza di radiazioni blu nella luce. Sebbene la carta bianca ora rifletta meno luce blu rispetto a quella rossa o verde, i coni sensibili al blu forniranno i medesimi segnali. Accomodamenti come questi fanno sì che sia possibile osservare un oggetto con un valore costante di brillanza e colore, nonostante notevoli variazioni nell’intensità e nella qualità dell’illuminazione.

Tuttavia, l’accomodamento dell’occhio non è istantaneo e così può talvolta provocare errori o creare illusioni. Una di queste è la visione successiva nel colore complementare. Se fissiamo per un po’ di tempo un pezzo di carta rossa e quindi guardiamo una superficie bianca, vediamo una macchia blu-verde (cyan) che si sposta con la direzione dello sguardo. La sensibilità dei coni predisposti per il rosso è diminuita per l’affaticamento di quella piccola parte della retina che è stata stimolata dalla carta. Quando guardiamo una superficie bianca, quei coni daranno una risposta inferiore a quella che fornirebbero normalmente in luce bianca, mentre i segnali provenienti dai coni sensibili al blu e al verde sono cambiati di poco. In questo modo l’insieme dei segnali che raggiunge il cervello assomiglia a quello che normalmente sarebbe provocato da una zona effettivamente cyan.

L’informazione sui colori proveniente dalla retina è inviata, attraverso numerose fasi intermedie, alla corteccia occipitale, lo strato esterno della parte posteriore del cervello. Uno dei problemi più interessanti, che attualmente assilla gli specialisti, è il seguente: abbiamo forse separati meccanismi nervosi per analizzare il colore, la brillanza, la forma, il movimento, la distanza e così via? Esperimenti condotti su scimmie farebbero supporre che vi sia una regione del cervello che si occupa unicamente dell’analisi del colore. Può darsi che vi sia una zona corrispondente anche nel cervello umano e che una sua lesione spieghi certi casi di totale cecità ai colori.

Il singolare effetto McCollough suggerisce tuttavia che il colore e la forma vengono analizzati insieme in una certa fase del sistema di visione: confrontando due disegni a righe, uno colorato a strisce rosse e verdi e l’altro solo in bianco e nero, se si fissa per un cero tempo il disegno colorato e poi si passa ad osservare l’altro, certe strisce appariranno rosa e altre si colorano in verde pallido. L’effetto McCollough differisce notevolmente da una normale immagine postuma perché ogni punto sulla retina è stato stimolato in ugual misura dalla luce rossa e verde durante l’adattamento al disegno colorato.

Questo farebbe pensare che nel cervello umano vi siano cellule nervose che rispondono solo a una banda di un particolare colore e di una particolare direzione. Queste cellule sono state trovate in realtà nel cervello delle scimmie. Il colore apparente di una banda inclinata dipende dall’attività relativa delle cellule sintonizzate a quell’orientamento, ma che differiscono nel colore che determina la loro risposta. Mentre viene osservato il disegno colorato, le cellule specifiche, poniamo, alle bande verdi inclinate di 45° a destra (e le altre specifiche alla luce rossa, inclinate di 45° a sinistra) si affaticano maggiormente. Quindi un disegno in bianco e nero inclinato di 45° a destra apparirà rosa perché le cellule affaticate non forniranno la loro risposta normale. Tuttavia esistono altre spiegazioni proposte per il curioso effetto McCollough.

Un daltonismo completo, cioè un’incapacità totale nello scorgere i colori, è un effetto molto raro, ma una certa deficienza nella percezione dei colori è piuttosto comune. Circa l’8% degli uomini ha un certo difetto ereditario nella visione dei colori, sebbene meno di una donna su 200 presenti il medesimo difetto. Alcune persone, i cosiddetti dicromatici, sembrano mancare dei coni sensibili al rosso o al verde, per cui possono confondere per esempio il rosso con il verde o il giallo con il verde, ma potranno percepire qualsiasi altro colore costituito da una miscela appropriata di due soli colori primari (invece di tre come per le persone normali).

Immaginate che tipo di giudizio verrebbe formulato in merito ai riflessi verdi e viola del piumaggio nero!

Altri, tricromatici anomali, sembrano avere tre tipi di coni, ma una classe di questi coni ha il massimo di sensibilità in qualche altro luogo, compreso tra le punte di sensibilità massima dei normali coni sensibili al rosso e al verde. Analogamente agli altri, queste persone hanno bisogno di tre lunghezze d’onda per analizzare tutti i colori. Le sensazioni che essi ottengono non sono quelle normali, ma non ha senso dire che esse siano meno corrette di quelle percepite dalla maggior parte delle persone.

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