Lessico


Grano saraceno
Fagopyrum esculentum
Fagotriticum - Buckwheat


Etimologia

Premetto subito che l'impresa più difficile potrebbe consistere nel voler chiarire perché a questo chicco venne attribuito l'aggettivo saraceno. Non possiamo escludere che tutto ciò che era orientale venisse detto saraceno, così come il mais, di indiscussa origine americana, acquisì l'aggettivo turco in quanto tutto ciò che era straniero veniva aggettivato in base alla nazione imperante da est a ovest: a quei tempi era la Turchia.

L'identificazione del fagotriticum - menzionato da Gisbert Longolius a pagina 428 di Historia animalium III (1555) di Conrad Gessner - è stata possibile solo grazie al web. Infatti ho chiesto a Google fagotriticum e mi è apparsa questa brevissima definizione: Fagotriticum [? Gr.] a kind of grain, buck-wheat, L..

Cercai sul dizionario d'inglese cosa significasse il sostantivo buck: maschio di cervo, daino, camoscio, capriolo, coniglio, lepre, antilope; damerino, elegantone; dollaro e giovanotto per gli Americani. Il verbo to buck per i cavalli significa fare il salto del montone, sgroppare, dare delle sgroppate, per gli esseri umani degli USA significa caricare a testa bassa (come un caprone), per tutti gli esseri umani significa opporsi, recalcitrare.

Chiusi bottega, perché l'inglese buck - che si pronuncia bak, per cui manco mi passò per l'anticamera del cervello che fosse equivalente al tedesco Buche = faggio - l'inglese buck, dicevamo, sia sostantivo che verbo, proprio non si sposava con un qualsivoglia tipo di grano (neppure a forma di dollaro oppure dispensatore di dollari) e mi infilai in un dedalo quasi inestricabile: mi avventurai nella ricerca di chicchi di Triticum che ricordassero quelli del faggio. Venni debitamente frustrato. Per quanto ho potuto appurare, i chicchi dei nostri vari tipi di frumento non hanno assolutamente una sezione triangolare. Salvo l'avessero quelli di una varietà di frumento in uso nel XVI secolo e poi scomparsa.

Il giorno seguente - 2 luglio 2007 - chiesi a Google di trovarmi buck-wheat e venni appagato. Google mi propose pure buckwheat, che sul momento tralasciai. Scoprii così che buck-wheat è il grano saraceno, che buck è la trasformazione del medio tedesco - Middle Dutch - boek, oggi beech che in inglese significa faggio. Per cui, se volessimo rendere più comprensibile buck-wheat, oggi dovremmo scriverlo beech-wheat. E, cosa assai importante, il beech-wheat ha semi triangolari.

Anche l'attuale nome scientifico del grano saraceno ha l'identico contenuto lessicale del quasi incomprensibile attuale buck-wheat. Infatti il genere Fagopyrum della famiglia Poligonacee, cui appartengono il Fagopyrum esculentum (prima noto come Polygonum fagopyrum) e il suo antenato, il Fagopyrum tataricum, ha un'etimologia mezza latina e mezza greca equivalente a beech-wheat:

Fago – dal latino fagus = faggio
Pyrum – dal greco pyrós = frumento

Attenzione: pyrós non ha nulla a che fare col fuoco. Infatti pyrós è sostantivo maschile che significa grano, frumento, e non è il genitivo di pûr che significa appunto fuoco.

Ed ecco spiegata a dovere l'etimologia di fagotriticum di Gisbert Longolius, in quanto equivalente a quella di Fagopyrum.


Botanica

Fagopyrum esculentum

Grano saraceno è la denominazione comune di alcune specie appartenenti alla famiglia delle Poligonacee e, nonostante il nome, esse non sono imparentate con il vero e proprio grano, né ovviamente con la famiglia delle Graminacee. Alla famiglia delle Poligonacee appartengono anche il Rumex, l'acetosa e il rabarbaro.

Il grano saraceno è originario delle regioni orientali della Siberia e fu introdotto nell'Europa occidentale attorno al XVI secolo, per cui possiamo supporre che Longolius fu uno dei primi a parlarne. Tra Otto e Novecento si pensò appunto che la pianta fosse originaria dell'area siberiana perché diversi viaggiatori l'avevano trovata allo stato selvatico presso il lago Bajkal e sull'Amur. Più recentemente, alcuni ricercatori hanno evidenziato il ruolo dell'Himalaya orientale come probabile centro di addomesticamento primario.

Fagopyrum esculentum

Il grano saraceno comune e quello siberiano vengono classificati rispettivamente come Fagopyrum esculentum e Fagopyrum tataricum. Tataricum ricorda la popolazione dei Tatari, nome dato dai Russi (Tatary), italianizzato in Tartari, con cui vennero designate le genti turco-mongole di origine asiatica che, dal sec. XIII, invasero la Russia e che è rimasto ai loro attuali discendenti. Guidati da Batu Khan, nipote di Gengis Khan, fondarono nel XIII secolo il khanato dell'Orda d'Oro, un vasto impero che governò gran parte delle regioni russe e giunse a controllare anche alcune regioni dell'Europa orientale (Carpazi, Bulgaria, Polonia).

Fagopyrum esculentum

Il grano saraceno siberiano è l'unica altra specie del genere a essere comunemente coltivata e si distingue dalla varietà comune per i semi dai margini dentati e per lo sviluppo più rigoglioso delle sue piante. Da non confondere tataricum con l'aggettivo tartarico attribuito all'acido tartarico presente in molte sostanze vegetali.

Per inciso ricordiamo la Repubblica dei Tatari - in russo Tatarskaja Respublika o Tatarstan - repubblica della Russia europea centrorientale con capitale Kazan, una delle ventuno repubbliche che formano la Federazione Russa. La popolazione della repubblica è di 3.763.000 abitanti (1997); è composta da tatari (50%), russi (40%) e ciuvasci (circa 9%). L’etnia tatara, predominante nel paese, parla un idioma (tataro) appartenente al gruppo turco delle lingue altaiche.

Il grano saraceno è una pianta erbacea annua, ha radice fittonante, fusto eretto, cavo e ramificato, verde o rossiccio, che può raggiungere un'altezza di 90 cm, foglie alterne a forma di freccia, fiori bianchi o giallognoli ermafroditi e i semi sono degli acheni bruno nerastri triangolari contenenti una massa farinosa biancastra, utilizzati come foraggio per animali d'allevamento, o macinati e ridotti in farina per uso alimentare. È una pianta che mal sopporta il freddo e il fatto che in Italia venga coltivata soprattutto in montagna si spiega con la brevità del suo ciclo vegetativo, nonché con la sua grande adattabilità a terreni acidi.

Le piante intere vengono anch'esse impiegate dagli allevatori come foraggio o lettiera per il bestiame. Ma il foraggio che se ne ottiene può dar luogo nel bestiame a fenomeni d'intolleranza detta fagopirismo: malattia provocata dall'ingestione prolungata di grano saraceno nei Ruminanti e di trifoglio ibrido nel cavallo. Tali foraggi determinano un'ipersensibilità della cute nelle zone depigmentate per l'esposizione dell'animale alla luce solare. Nei casi più gravi si formano delle vescicole lentiformi, si può avere la comparsa di febbre, manifestazioni nervose e anche paralisi degli arti. In tale evenienza la morte sopraggiunge nello spazio di un giorno. Occorre ricoverare gli animali al buio, somministrare purganti per via orale e calcio gluconato per via endovenosa.

Il miele di grano saraceno è scuro e molto saporito. Il grano saraceno si consuma nelle minestre, specialmente di verdure e, in forma di farina, per polenta, crespelle e pasta alimentare (famosi i pizzoccheri della Valtellina, la soba giapponese e i bliny russi). Rispetto alla farina di frumento, la farina di grano saraceno è priva di glutine (quindi estremamente utile in caso di morbo celiaco) ed è, in generale, più povera di proteine, ma contiene maggiori quantità di amido. Recente è la birra Tellis del Birrificio Spluga preparata col grano saraceno.

Fagopyrum tataricum


Glutine e Morbo celiaco

Il glutine è un complesso proteico dalla consistenza elastica, dal colore grigio-biancastro, presente in varie Leguminose, nel grano e, in misura minore, nella segale. È proprio grazie al glutine che la farina mista ad acqua acquista la caratteristica consistenza viscida e collosa e trattiene all'interno dell'impasto il gas che si sprigiona durante la lievitazione. Il glutine si forma quando le proteine glutenina e gliadina, presenti nella farina, si combinano con l'acqua. Durante la cottura il glutine presente nell'impasto viene fatto gonfiare dall'anidride carbonica prodotta dall'azione del lievito e conferisce al pane una consistenza spugnosa ed elastica. I pani contenenti glutine hanno più proteine e meno amido rispetto a quelli che ne sono privi.

L'allergia alla gliadina è all'origine del morbo celiaco (= malattia del ventre) o malattia di Gee-Herter, una patologia autoimmune caratterizzata dalla tipica intolleranza al grano e ai suoi derivati e dalla necessità, quindi, di fare ricorso a prodotti alternativi (grano saraceno, patate, mais, riso). Più accreditata è una spiegazione fondata su basi immunitarie: la gliadina eserciterebbe una certa tossicità verso la mucosa intestinale causandone infiammazione; a causa di ciò, alcune molecole antigeniche presenti sulla superficie delle cellule intestinali verrebbero riconosciute come non-self dal sistema immunitario, come se non appartenessero all’organismo, e scatenerebbero la formazione di anticorpi e fenomeni autoimmuni. Attualmente, la teoria più diffusa contempla un’origine sia ereditaria sia immunitaria: è stata infatti dimostrata la familiarità della malattia, dunque una predisposizione ereditaria di alcuni gruppi familiari.


Buckwheat

Common buckwheat (Fagopyrum esculentum) is a plant in the genus Fagopyrum (sometimes merged into genus Polygonum) in the family Polygonaceae. With its congeners tartary buckwheat (Fagopyrum tataricum Gaertn) and perennial buckwheat (Fagopyrum cymosum L.), it is often counted as a cereal, though unlike most cereals the buckwheats are not grasses. Buckwheat is thus not related to true wheat. Buckwheat is most likely descended from wild buckwheat, though it does not share its vine-like growth habit.

The name "buckwheat" or "beech wheat" comes from its triangular seeds, which resemble the much larger seeds of the beech nut from the beech tree, and the fact that it is used like wheat. The etymology of the word is explained as partial translation of Middle Dutch boecweite : boek, beech; see PIE bhago- + weite, wheat.

Cultivation

Common buckwheat was domesticated and first cultivated in southeast Asia, possibly around 6000 BC, and from there spread to Europe and to Central Asia and Tibet. Genetic evidence points to as the wild ancestor, with domestication most likely taking place in the western Sichuan and/or northwestern Yunnan regions of China. Buckwheat is documented in Europe in the Balkans by at least the Middle Neolithic (circa 4000 BC) and the oldest known remains in China so far date to circa 2600 BC. However, buckwheat pollen is present in Japan as early as 4000 BC suggesting either that domestication of this plant occurred earlier than has been documented archaeologically; it spread more rapidly than previously acknowledged, or; there were two or more domestication events. It is the world's highest elevation domesticate, being cultivated in Yunnan on the edge of the Tibetan Plateau or on the Plateau itself.

Buckwheat is a short season crop that does well on poor, somewhat acidic soils, but the soil must be well drained. Too much fertilizer, especially nitrogen, will greatly reduce yields. In hot climates, it can only be grown by sowing late in the season, so that it will bloom in cooler weather. The presence of pollinators greatly increases the yield. The nectar from buckwheat flower makes a dark colored honey. Buckwheat is sometimes used as a green manure, as a plant for erosion control, or as wildlife cover and feed.

Common buckwheat is by far the most important buckwheat species, economically, accounting for over 90% of the world's buckwheat production. A century ago, Russia was the world leader in buckwheat production. Growing areas in the Russian Empire were estimated at 2,600,000 hectares, followed by those of France (355,000 hectares). In 1970 the Soviet Union grew an estimated 4.5 million acres (18,000 km²) of buckwheat, but has since been overtaken by China. Japan, Poland, Canada, Brazil, South Africa, and Australia also grow significant quantities of buckwheat.

Cultivation of buckwheat has declined sharply in the United States. Over a million acres (4,000 km²) were harvested in 1918. By 1954 that had declined to 150,000 acres (600 km²), and by 1964, the last year that production statistics were gathered, only 50,000 acres (200 km²) were grown.

Use

Hulled buckwheat

The seed is an achene, similar to a sunflower seed, with a hard outer shell and soft inner meat. The flour is noticeably darker than wheat flour, and is known (exaggeratedly) as "blé noir" ("black wheat") in French, along with the name sarrasin ("saracen").

Soba noodles made from buckwheat flour

In Japan, the flour is made into noodles (including soba), and as groats. Groats, that part of the grain left after the hulls are removed from the seeds, and farina made from groats are used for breakfast food, porridge, and thickening materials in soups, gravies, and dressings. In Korea, buckwheat starch is used to make a jelly called memilmuk.

Buckwheat groats are also commonly used in eastern Europe, often in form of "kasha" dish. It is also used with wheat, maize or rice in bread and pasta products. Buckwheat contains rutin, a medicinal chemical, used for vascular disorders; it is naturally devoid of gluten, and can thus be eaten by people who react adversely to gluten.

Buckwheat pancakes, sometimes raised with yeast, are eaten in several countries. They are known as buckwheat blinis in Russia, galettes in France (where they are especially associated with Brittany), ployes in Acadia and boûketes (that is, named the same as the plant they are made of) in Wallonia. Similar pancakes were a common food in American pioneer days. They are light and foamy. The buckwheat flour gives them an earthy, mildly mushroom-like taste. In Ukraine, yeast rolls called hrechanyky are made from buckwheat.

Besides the seeds, from which buckwheat flour is produced, buckwheat is also a good honey plant, producing a dark, strong monofloral honey. Unlike the widely consumed seeds, buckwheat greens are toxic to humans. Eaten in sufficient quantities, the greens can induce an ensemble of symptoms, including an extreme sensitization of the skin to sunlight known as fagopyrism. Light pigmented livestock and fair skinned people are particularly susceptible. Enthusiasts of sprouting, however, eat the very young buckwheat sprouts (four to five days of growth) for their subtle, nutty flavour and high nutritional value. In the past buckwheat cultivation was also used in orchards to increase the rate of pollination.

In the 1970s and 1980s, General Mills produced a sweetened, maple-flavored breakfast cereal made from buckwheat, which was marketed under the name Buc-Wheats.

Upholstery filling

Buckwheat hulls are used as filling for a variety of upholstered goods, including pillows and zafu. The hulls are durable and do not conduct or reflect heat as much as synthetic fills. They are sometimes marketed as an alternative natural fill to feathers for those with allergies.

Medical studies to measure the health effects of buckwheat hull pillows have been performed.

Buckwheat and beer

In recent years, buckwheat has been used as a substitute for other grain in gluten free beer. Buckwheat is used in the same way as barley to produce a "malt" that can form the basis of a mash that will brew a beer without gliadin or hordein (together "gluten") and therefore can be suitable for coeliacs or others sensitive to certain glycoproteins.


Acido tartarico

È quell'acido di formula HOOC-CHOH-CHOH-COOH (acido 2,3-diidrossibutandioico) presente in molte sostanze vegetali. Era già noto ai greci e ai latini sotto forma di ciò che oggi chiamiamo cremortartaro (il sale acido di potassio – cremor = succo estratto da vegetali), ma fu isolato per la prima volta intorno al 1769 dal chimico svedese Carl Wilhelm Scheele.

Si disse che l'aggettivo tartarico fosse originato da una parola araba - dardi = feccia del vino – che si era alterata sotto l'influenza del classico Tartaro, che nella mitologia greca era la regione più profonda degli Inferi. Questa ipotesi non è sostenibile, perché tartarum si trova non solo già nelle Compositiones Lucenses, conservate in un manoscritto dell'800 dC, certo di redazione anteriore, ma il derivato tartaralis è usato da Pelagonio, autore dell'Ars veterinaria (sec. IV dC). Cosicché è verosimile che si debba partire dal latino Tartarus = inferno per le proprietà corrosive delle incrostazioni.

L'acido tartarico ha grande importanza storica. Infatti gli studi di Luigi Pasteur (1822-1895) sulla sua attività ottica costituirono le basi della stereochimica. L'acido destrotartarico è contenuto in quasi tutti i frutti e in grande quantità nell'uva. Nella fermentazione dei mosti, l'alcol che a mano a mano si forma ne provoca la precipitazione sotto forma di tartrato acido di potassio, il cosiddetto cremortartaro, che si raccoglie con la feccia sul fondo dei tini di fermentazione. Queste incrostazioni costituiscono la materia prima per la produzione dell'acido tartarico del commercio, che è appunto l'acido destrotartarico. L'acido destrotartarico si presenta in cristalli bianchi facilmente solubili in acqua e in alcol.

In grande quantità viene usato, insieme con il bicarbonato di sodio, per la preparazione di polveri effervescenti e di bevande gassate e inoltre come acidulante per gelatine e marmellate, come mordente in tintoria, ecc. Vene utilizzato anche nella produzione dei sali (tartrati). L'acido levotartarico e l'acido mesotartarico si rinvengono in natura solo eccezionalmente e sempre in quantità minime, ma possono venir ottenuti per via chimica dall'acido destrotartarico o da altri composti con metodi diversi; attualmente non presentano importanza tecnica.


Soba

Soba servita su zaru

La soba è un piatto della cucina giapponese consistente di sottili tagliatelle di grano saraceno, solitamente cotte e servite con varie guarnizioni e condimenti. Il piatto standard è la kake soba, "soba in brodo" consistente di tagliatelle di soba bollite e servite in una tazza di brodo caldo chiamato tsuyu e fatto con dashi, mirin e salsa di soia, guarnito con fettine di negi (cipolletta). La soba ni-hachi (due-otto) consiste di due parti di farina di frumento e otto di farina di grano saraceno.

In Giappone le tagliatelle di soba sono servite in diversi luoghi. Sono un cibo popolare e veloce venduto sia in banchetti alle stazioni dei treni in tutto il Giappone, sia in ristoranti esclusivi e dedicati. Ai mercati è possibile acquistare tagliatelle di soba essiccate con buste di brodo istantaneo (men-tsuyu) per facilitarne la preparazione in casa. Le tagliatelle di soba più famose provengono dalla prefettura di Nagano, chiamate Shinano Soba o Shinshu soba.

La soba viene virtualmente sempre mangiata con i bastoncini e in Giappone è tradizionalmente considerato educato mangiare gli spaghetti rumorosamente (la parola giapponese per questo è tsuru-tsuru). Questo è specialmente comune con la soba calda, dato che aspirandoli rapidamente in bocca questi vengono raffreddati, cosa importante quando si mangia in fretta.

La soba fredda può essere servita con brodo tsuyu a parte o versato sopra come con la soba calda. La maniera più famosa di servire la soba fredda è la zaru soba, nella quale la soba raffreddata è servita su piatto in bambù fatto a graticola, chiamato zaru. A volte vengono guarniti con pezzettini di nori (alga essiccata). Usando i bastoncini il commensale prende una piccola quantità di soba dal piatto e lo immerge nel tsuyu freddo prima di mangiarlo. Alle volte, prima di mangiare la soba, viene aggiunto wasabi, porro o zenzero nel tsuyu. Questo piatto è popolare nei mesi estivi.

Soba è anche la parola giapponese per il grano saraceno. Chicchi di grano saraceno arrostiti possono essere usati per produrre un tè chiamato sobacha, che può essere servito caldo o freddo. I baccelli di grano saraceno (sobakawa) sono usati come imbottitura per i cuscini.

Occasionalmente si usa il termine soba per riferirsi alle tagliatelle in generale. A volte il ramen viene chiamato chuka soba o shina soba (entrambe le parole significano "spaghetti cinesi"). La chuka soba bollita parzialmente è usata per preparare la yakisoba. Da notare che queste tagliatelle non contengono grano saraceno.

La Soba è piuttosto popolare nella città di Campo Grande (Brasile), a causa dell'influenza degli immigranti giapponesi provenienti da Okinawa. Viene mangiata nei mercati cittadini o in speciali ristoranti chiamati "sobarias".


Dal nuovo Birrificio Spluga
arriva Tellis
una sorprendente birra di grano saraceno

La Valchiavenna, in provincia di Sondrio, ha un’antica tradizione brassicola [neologismo di origine francese: brasserie = birrificio, da brasser, rimestare, fare la birra, dal latino popolare *braciare, derivato da brace (di origine celtica), brai o brais che in antico indicava l'orzo triturato] grazie all’acqua pura e abbondante della valle e ai numerosi e caratteristici anfratti nelle rocce (i cosiddetti “crotti”) che fungono da frigoriferi naturali. La prima fabbrica italiana nella moderna storia birraia del nostro Paese è nata in questa valle: il celebre Birrifico Spluga di Chiavenna che, secondo alcuni storici, risale addirittura al 1840. Nel dopoguerra (1950) lo storico birrificio fu acquistato dalla Poretti che si impossessò del marchio (birra Splugen) ma chiuse la birreria di Chiavenna, concentrando la produzione a Induno Olona (VA).

Teglio - centro in provincia di Sondrio, 21 km a est del capoluogo, a 851 m sul versante destro della media Valtellina. Comune di 115,23 kmq con 5129 abitanti. Produzione di uva da vino, cereali e foraggi; allevamento bovino; industrie meccaniche e idroelettriche. È stazione di soggiorno estivo e invernale con impianti di funivie e sciovie. Fu la stazione romana di Tillium, che si vanta di avere dato il nome all'intera Valtellina; in epoca medievale ottenne particolari privilegi e immunità, confermati nel 1512, quando la Valtellina passò ai Grigioni. Conserva nel nucleo antico l'impronta medievale (interessante è la chiesa romanica di San Pietro) e rinascimentale: particolarmente notevole il palazzo Besta, la più alta testimonianza del Rinascimento valtellinese.

Ebbene, a distanza di tanti anni, l’antica tradizione brassicola chiavennasca è stata ripresa da Giandomenico Marocchi, giovane mastro birraio locale, che ha di recente attivato un nuovo microbirrificio, ribattezzato Birrificio Spluga, in ricordo della storica birreria della Valchiavenna. Il nuovo microbirrificio si caratterizza con una produzione squisitamente artigianale (birre non pastorizzate) che prevedono diverse tipologie: Pils, Monaco e Vienna, una Bock , una Weizen, una birra al miele e, infine, una birra di Natale. Il birrificio, che dispone anche di un proprio pub per la somministrazione al pubblico assieme al food, sta ottenendo un consenso crescente ed è ormai diventato un punto di riferimento per tutti gli appassionati della Valchiavenna e Valtellina e anche della confinante Svizzera.Ma il giovane mastro birraio ha voluto cimentarsi in nuove sperimentazioni, tra cui una difficilissima birra di grano saraceno, molto popolare in Valtellina e Valchiavenna, dove con la farina di grano saraceno si producono i famosi “pizzoccheri” e i gustosi “sciat”. La nuova birra di grano saraceno è stata denominata Tellis (in onore di Teglio, antico capoluogo della Valtellina e capitale riconosciuta dei pizzoccheri) ed è stata presentata all’ultima Mostra del Bitto (tipico formaggio della valle) a Morbegno nell’ottobre scorso, suscitando l’entusiasmo di tutti gli appassionati birrai che hanno avuto modo di degustarla.

“Sono soddisfatto del successo ottenuto alla Mostra - ha dichiarato Marocchi - La Tellis piace. Questa birra è stata una sfida personale e professionale, perché tecnicamente è quasi impossibile fare birra con il grano saraceno che non è un cereale ma una poligonacea. Tellis è la prima birra di grano saraceno prodotta per bassa fermentazione, stile lager. È una birra molto leggera, con un corpo quasi sfuggente, ma molto gustosa e profumata, con un retrogusto mieloso tipico del saraceno. È più digeribile rispetto alle altre, perché contiene il 50% in meno di glutine e conserva tutte le proprietà del grano saraceno” (fonte: Centrovalle del 25.11.2006)

Questa nuova e sorprendente birra al grano saraceno è l’ennesima testimonianza della grande creatività, coraggio e talento dei mastri birrai artigianali italiani che, in un contesto di mercato sempre più globalizzato e appiattito, stanno dando vita a quello che Lorenzo Dabove (Kuaska) giustamente definisce un vero e proprio Rinascimento del Gusto.

www.beverfood.com


I pizzoccheri

Secondo il Sertoli Salis il termine pizzoccheri, il cui nome costituirebbe l'equivalente di pinzocheri, indicherebbe "persone bacchettone", di poco conto. Più che di modestia si tratta certamente di una certa inclinazione all'uso di nomi scherzosi come lo è ad esempio il termine sciatt, che per l'originaria forma sgraziata di queste frittelle di grano saraceno, sta a indicare, nel dialetto locare, i rospi. Ma da quando i tellini mangiano questi gustosissimi pizzoccheri?

Ortensio Landi nella sua opera "Catalo dell'inventario delle cose che si mangiano, et delle bevande c'heggedì s'usano", stampato a Venezia nel 1548, scrive: "Meluzza comasca: fu l'inventrice di mangiar lasagne, maccheroni con l'aglio, spetie, et cacio, di costei fu anche l'inventione di mangiar formentini, lasagnuole, pinzocheri, vivarmolo: morì di penta et honorevolmente sepolita"

Secondo Giuseppe Baretta, ricercatore della Biblioteca Nazionale Braidense, i "pinzocheri, oggi chiamati pizzoccheri fatti con il grano saraceno già si gustavano ai tempi della Meluzza, che fu l'inventrice, una donna che di cucina la sapeva lunga. I comaschi non erano solo la gente di Como e d'intorni, ma dir comaschi voleva dire tutta la popolazione del lago fin su la Valtellina, dove si estendeva la diocesi comasca. Il grano saraceno veniva dunque usato nella cucina già dal secolo XIV, assieme agli altri cereali: miglio, orzo, panico, avena. La Meluzza diede a questo cereale più gusto aggiungendovi cacio, burro, verdure. Oltre ai pizzoccheri ecco la polenta taragna fatta anch'essa con il grano saraceno, senz'altro ancor prima dei pizzoccheri. Patria dei pizzoccheri l'alta Valtellina, con capitale Teglio."

La storia testimonia infatti che nel 1192 l'imperatore Enrico VI impose a Teglio l'ubbidienza alla ghibellina Como. I secoli che succedettero, sino ad arrivare al trattato di Alleanza con i Grigioni nel 1512, furono un susseguirsi di domini: ora i guelfi di Milano, ora i ghibellini comaschi. Ricordiamo che ancora oggi la Valtellina è sotto l'arcivescovado di Como. Altra notizia storica da non sottovalutare è naturalmente la visita di Ortensio Lando presso la famiglia Besta di Teglio nel 1500. Si suppone quindi che in quella occasione degustò i famosi pizzoccheri di Teglio.

Nell'approfondito studio effettuato dalla Professoressa Nella Credaro Porta (Mondo Popolare in Lombardia Sondrio e il suo Territorio - Silvana editore) troviamo numerosi altri documenti che fanno riferimento a questa pietanza.

Nel 1798 nella opera di Lehmann "Die Republik Graubunden", che quindi riguarda l'area dei Grigioni, di cui la Valtellina era parte, con un preciso riferimento alla nostra zona troviamo: (...) il contadino benestante vive bene. Consuma infatti i prodotti della sua terra. Latte, formaggio e burro sono serviti ogni giorno in abbondanza. La polenta, il Malonz , la zuppa di formaggio, i Perzockel, la Minestra e il Tasch sono i suoi piatti preferiti per il giorno di magro.(...) I "Perzockel" sono una sorta di tagliatelle fatte di farina e di due uova. La pasta vien cotta nell'acqua, poi si aggiunge il burro e si sparge subito il formaggio grattato.(...) Anche nella seconda metà dell'800 vi son testi che parlano dei pizzoccheri: (...) Vi si fa gran d'uso di farinacei e di certe paste grossolane che si cospergono con butirro e formaggio a guisa di tagliatelli, dette Pizzoccheri, delle quali vanno assai ghiotti i Sondriesi (...) (Tratto da Nella prima metà dell'800 i contadini mangiavano…Tipografia statistico-medica della Prov. Di Sondrio di Ludovico Balardini, Testo presente in una storia che viene da lontano di Luigi de Bernardi 1994).

Le notizie più precise relative ai Pizzoccheri di Teglio le riscontriamo nel 1889 con Bartolommeo Besta, medico condotto tellino, attraverso il suo manoscritto "la inchiesta Jacini" (Inchiesta agraria e sulle condizioni della classe agricola nel 1882). Attraverso la sua testimonianza, perciò, possiamo individuare un modello di alimentazione dei produttori agricoli delle nostre valli. Sistema di approvvigionamento che è basato sull'autoconsumo dei propri prodotti. Secondo il Besta i 3 piatti che come ingrediente base avevano il grano saraceno erano: (...) "Tagliatelli, detti Pizzoccheri, bolliti nell'acqua e poi conditi asciutti con buona dose di cacio e di burro, la polenta taragnia e gli sciatt o chiscioi" (...) Queste venivano inoltre considerate delle speciali pietanze.

Sempre secondo la Professoressa Nella Credaro Porta "i pizzoccheri sono stati e sono il piatto più importante della zona che va da Grosio a Castione, con epicentro a Teglio, ed era anche un piatto non dei contadini più poveri, in quanto presupponeva la lavorazione su un tavolo, che non sempre esisteva nelle case modeste. Si tratta di tagliatelle grossolane di farina bianca e di grano saraceno in parti che variano a seconda dei paesi. Cotti in abbondante acqua salata in cui sono poste patate o verze e o coste a pezzi, i pizzoccheri vengono scolati con il mestolo bucato e conditi a strati con il formaggio semigrasso a fette, formaggio di grana e sopra burro abbondante fitto ben scuro con aglio (...)"

I contadini più poveri, la Prof.ssa Nella Credaro Porta cita ad es. Baruffini, per ovviare all'inconveniente di non possedere il tavolo per tirare la sfoglia, si preparava la pasta come per i pizzoccheri, se ne prendevano tra le mani dei pezzettini e si dava la forma di gnocchetti con il cucchiaio e quindi si cuocevano e si condivano come i pizzoccheri.

Anche nel XX secolo riscontriamo numerose testimonianze relative ai Pizzoccheri di Teglio. Nel testo andar per crotti (Epicuro Editrice, 1956), libro pubblicato dall'Associazione dei Valtellinesi di Milano, "Epicuro invita i turisti a seguirlo nelle peregrinazione per i crotti e le cantine della Rezia Cisalpina, che, nel nome antico, comprende la Val Chiavenna e la Valtellina propriamente detta". Si racconta quindi il viaggio gastronomico di Epicuro, il Barone prof. Giani De Valpo, valido medico e uomo di vasta cultura, con un gruppo di compagni: avv. Carlo Accetti, presidente della Famiglia Artistica di Milano; rag. Roberto Samaden, presidente dell'Associazione dei Valtellinesi a Milano; ing. Arturo Ferrario; il pittor Novello; il dott. Lino Dassogno; ing. Carlo Silvestri ed il "buontempone" Fent.

"... I pizzocher sono il piatto tradizionale della media Valtellina e vengono ammanniti ovunque, ma i pizzocher veramente tali, si mangiano a Teglio, e a Teglio, da Berti Gim (Albergo Teglio) che li interpreta con intelligenza e amore.

Basta un nonnulla per sciuparli, come tutte le cose che devono risultare dalla perfetta armonia delle parti che la compongono. La gente ne parla in casa, all'osteria, al lavoro: chi vanta la superiorità della farina di Teglio meglio macinata e non contenente sabbiolina come quella di Montagna; chi discute sull'età della feta (formaggio grasso di buona stagionatura); chi parla sul modo di friggere l'aglio; ognuno vuol dire la sua, ed alla fine ognuno rimane nella propria opinione.

Ecco come Berti Gim prepara i pizzocher: prende prima fior di farina nera (grano saraceno) e vi aggiunge un pugnetto di farina bianca di frumento; impasta il tutto con acqua e sale e maneggiando la pasta con le mani ne fa una massa piuttosto dura; poi col mattarello la stende in sfoglia alta circa 4 millimetri; taglia la sfoglia per tutta le lunghezza in strisce larghe 6-7 cm, pone 4 o 5 di queste strisce per volta l'una sull'altra e ne taglia tante striscioline della larghezza di ½ centimetro. Su un gran fuoco mette una panciuta pentola piena di acqua e, appena questa entra in ebollizione, vi mette foglie di verza riccia o costole di bietole o patate a pezzi e poco dopo vi getta i pizzoccheri. Mentre cuociono, taglia in piccole fette il formaggio (la feta); cotti a punto li scola col ramaiolo e copre il fondo di un recipiente di maiolica con un primo strato; sopra vi stende uno strato di feta e pezzi di burro; alterna questi coi pizzoccheri; su tutto versa poi il burro d'alpe fritto di colore oro ma non nero, profumato di spicchi d'aglio dorati e non bruciati..."

Ricetta Originale del Pizzocchero di Teglio®
codificata e registrata
dall'Accademia del Pizzocchero di Teglio

Ingredienti (dosi per 4 persone)

400 g di farina di grano saraceno
100 g di farina bianca
200 g di burro
250 g di formaggio Valtellina Casera dop (den.ne di origine protetta)
150 g di formaggio in grana da grattugia
200 g di verze
250 g di patate
uno spicchio di aglio, pepe

Preparazione

Mescolare le due farine, impastarle con acqua e lavorare per circa 5 minuti.

Con il mattarello tirare la sfoglia fino ad uno spessore di 2-3 millimetri dalla quale si ricavano delle fasce di 7-8 centimetri. Sovrapporre le fasce e tagliarle nel senso della larghezza, ottenendo delle tagliatelle larghe circa 5 millimetri.

Cuocere le verdure in acqua salata, le verze a piccoli pezzi e le patate a tocchetti, unire i pizzoccheri dopo 5 minuti (le patate sono sempre presenti, mentre le verze possono essere sostituite, a secondo delle stagioni, con coste o fagiolini).

Dopo una decina di minuti raccogliere i pizzocheri con la schiumarola e versarne una parte in una teglia ben calda, cospargere con formaggio di grana grattugiato e Valtellina Casera dop a scaglie, proseguire alternando pizzoccheri e formaggio.

Friggere il burro con l'aglio lasciandolo colorire per bene, prima di versarlo sui pizzoccheri.

Senza mescolare servire i pizzoccheri bollenti con una spruzzata di pepe.

 www.accademiadelpizzocchero.it


Bliny

Home-made Russian-style bliny with sour cream, roe and chopped onion.

A blintz, blintze or blin (plural: blintzes; Russian plural: bliny; Ukrainian: mlyntsi; blini; Yiddish: blintse) is a thin pancake (similar to a crêpe).

The English word blintz comes from the Yiddish blintse, which in turn comes from blin. Blin comes from Old Slavic mlin, that means "to mill" (compare the Ukrainian word for blin, mlynets’).

Blins had a somewhat ritual significance for early Slavic peoples in pre-Christian times since they were a symbol of the sun, due to their round form. They were traditionally prepared at the end of the winter to honor the rebirth of the new sun (Pancake week, or Maslenitsa). This tradition was adopted by the Orthodox church and is carried on to the present day. Bliny were once also served at wakes, to commemorate the recently deceased.

Traditional Russian bliny are made with yeasted batter, which is left to rise and then diluted with cold or boiling (zavarnye bliny) water or milk just before baking them in the traditional Russian oven (to this day the process of cooking bliny is referred to as baking in Russian, even though these days they are almost universally pan-fried, like pancakes). Blintzes (blinchiki in Russian, considered to be a borrowed dish) are made from unyeasted batter (usually made of flour, milk and eggs) and are nearly identical to French crêpes. All kinds of flour may be used for making bliny: from wheat and buckwheat to oatmeal and millet, although wheat is currently by far the most popular.

Blintz were popularized in the United States by Jewish immigrants as blintz are a popular dish in Jewish cuisine. While not associated with any specific religious rite in Judaism, blintzes that are stuffed with a cheese filling and then fried in oil are served on holidays such as Chanukah (oil figures in the Chanukah miracle story) and Shavuot (when dairy dishes are traditionally served).

Blins may be prepared and served in three basic ways.

They may be eaten "as is". In this case the batter may contain various add-ins, from grated potato or apple to raisins. These bliny are quite common in Eastern Europe and are more solidly-filled than the spongy pancakes usually eaten in North America.

They may be smeared with butter, bacon fat, sour cream, jam or caviar and possibly folded or rolled into a tube. In that form they are similar to French crêpes. The caviar filling is popular during Russian-style cocktail parties.

The term "blintz" is mostly applicable to this version: A filling such as jam, fruit, potato, cottage cheese or other cheese, cooked ground meat, cooked chicken and even chopped mushrooms, bean sprouts, cabbage and onions (for a Chinese eggroll-type blintz) is rolled or enveloped into a pre-fried blintz and then the blintz is lightly re-fried, sautéed or baked. Such a blintz is also called nalysnyky in that form (Ukrainian) or blinchiki (Russian).

Buckwheat bliny are part of traditional Russian cuisine, almost forgotten during the times of the Soviet Union. They are still widespread in Ukraine where they are known as hrechanyky and Lithuania Dzukija region, where buckwheat is grown, the only region in country. It is traditionally called Lithuanian: Grikiu blynai.

Frozen pre-packaged blintzes may be fried

Several potato blintzes of the filling variety

Home-made thin blintzes