Lessico


Luciano di Samòsata

Scrittore greco (ca. 120 - ca. 180), Luciano nacque da umile famiglia a Samosata, nella Siria Commagene, e si sottrasse alla volontà dei familiari che volevano farne uno scultore. Attratto dalla cultura, aderì alla scuola sofistica. Educato nella retorica, ottenne grandi successi come conferenziere, viaggiando in Asia, Grecia, Italia e Gallia. Verso i 40 anni si stabilì ad Atene, dove si dedicò agli studi filosofici. Ricoprì infine qualche incarico nell'amministrazione romana in Egitto dove probabilmente morì.

Fu scrittore assai fecondo in diversi generi di prosa: gli sono attribuite un'ottantina di opere tra saggi, discorsi, dialoghi, lettere, racconti fantastici dove risaltano la sua grande abilità di scrittura (usò un eccellente dialetto attico) e il suo spirito caustico e dissacrante, tipico della nuova sofistica.

Samòsata - Antica città siriana sulla destra dell'alto corso dell'Eufrate, nei pressi dell'odierno villaggio turco di Samsat (prov. di Adiyaman). Importante nodo stradale già in età ittita e assira, in età ellenistica divenne la principale città del Commagene. A Samosata fu assediato (nel 69 e nel 38 aC) Antioco I a opera dei Romani. Con Vespasiano ebbe il titolo di Flavia e fu spesso al centro delle guerre tra Romani e Persiani. Nei suoi pressi, nel 262 dC Odenato di Palmira, alleato di Roma, sconfisse il re di Persia Sapur I. Fu in seguito dei Bizantini (sec. VI) che la difesero strenuamente contro gli assalti arabi (sec. X).

Tra le sue opere più famose, in genere piuttosto brevi, si ricordano per il periodo giovanile, dominato dall'interesse per la retorica, L'elogio della mosca, i due Falaridi, Sul modo di scrivere la storia (contro la storiografia romanzesca e adulatoria in uso ai suoi tempi). A una considerazione filosofica della vita, con tono satirico e polemico verso molti atteggiamenti falsi o stolidi degli uomini, appartengono il Nigrino, sulla visita dello stesso Luciano a questo filosofo in Roma; i Dialoghi dei morti e il Caronte, sulla vanità della vita e di certe credenze umane; i Dialoghi delle cortigiane, costruiti su trame di novelle; i Dialoghi degli dei e l'Icaromenippo, contro le credenze superstiziose e la mitologia; i Dialoghi marini; il Peregrino e l'Alessandro, rispettivamente contro il fanatismo e l'impostura religiosa.

Libero volo della fantasia è la Storia vera, parodia dei racconti di viaggio, che descrive la meravigliosa avventura di alcuni naufraghi approdati in un'isola dove le viti hanno forma di donne, poi trasportati sulla Luna e quindi nel ventre di una balena. Da ricordare l’autobiografico Il sogno ovvero la vita di Luciano. Dubbia è l'attribuzione a Luciano del romanzo Lucio ovvero l'asino, che ha lo stesso argomento delle Metamorfosi o l’Asino d'oro di Apuleio.

Nella trattazione del pollo contenuta nel II volume di Ornithologia, Aldrovandi fa alcuni riferimenti tratti da un dialogo di Luciano, Il sogno ovvero il gallo - Òneiros ē alektryōn - dove il protagonista Micillo discute con Pitagora che, secondo la sua teoria sulla reincarnazione, si è beffardamente reincarnato in un gallo. Il ciabattino Micillo, risvegliato dal canto del gallo da un sogno in cui era ricco e felice, impreca contro la sua vita di povero lavoratore, ma il gallo, che nella vita precedente è stato anche un filosofo, gli dimostra che la ricchezza è fonte di guai e preoccupazioni.

Ecco la trama completa di questo dialogo.

Movimentata scena introduttiva. Il gallo cantando in piena notte ha interrotto il sogno del padrone Micillo, un povero calzolaio che in sogno si vedeva circondato dall’oro: nel buio, battibecco fra i due (1). Stupore di Micillo di fronte al gallo parlante: quest’ultimo replica con una serie di esempi mitici (2), mentre Micillo si sovviene della storia di Alettrione, il compagno di avventure del dio Ares (Marte) (3). Il gallo rivela di essere una reincarnazione di Pitagora di Samo. Dubbi di Micillo e risposta del gallo/Pitagora (4-5). Micillo rimpiange il suo sogno di ricchezza; critica comica alla “teoria” omerica dei sogni, ed elogio dell’oro (il primo) sulla base di una citazione da Pindaro (6-7). Micillo si prepara a narrare l’antefatto del suo sogno (8): l’incontro con il ricco Eucrate (9), la descrizione della cena in casa sua (10-11). Segue il racconto del sogno, in cui Micillo eredita il patrimonio di Eucrate, fino alla brusca interruzione per il canto del gallo (12). Secondo elogio dell’oro e della sua potenza (12-13) con l’esempio della trasforma-zione di Simone, il vicino di casa, che prima era un povero calzolaio, ed ora è improvvisamente arricchito, e disprezza il vecchio amico Micillo (14). Il gallo asserisce al contrario la felicità di Micillo, argomentandola con l’esperienza delle sue infinite trasmutazioni (15). Comincia il racconto delle vite anteriori del gallo: Euforbo (16), cogliendo l’occasione per una seconda critica a Omero (17), Pitagora (18), Aspasia (19), Cratete e gli altri, in breve (20). Lezione del gallo. Prima parte: viene descritta la superiorità della vita del povero rispetto a quella del ricco, concludendo con alcuni esempi storici (21-3). Seconda parte: la vita del gallo quando era re; l’immagine della statua colossale e sua interpretazione, seguita da un’altra serie di esempi storici (24-5). Micillo gli fa eco con l’immagine degli attori tragici (26). Il comportamento degli animali (27). A questo punto il dialogo entra nella seconda fase: dopo la lezione teorica, la dimostrazione pratica con la visita alle case dei ricchi grazie ai poteri magici della piuma che rende invisibili (28). L’infelicità di Simone e dell’usuraio Gniphon (29-31); atti osceni nella casa di Eucrate. Micillo rinuncia formalmente alla ricchezza. In sede di conclusione l’annuncio di un seguito della vicenda (32-33). (a cura di Claudio Consonni, Mondadori, 1994)

Aldrovandi riporta un’altra citazione da Luciano, e precisamente dallo scritto dedicato alla Dea di Siria, che in latino suona De Syria Dea oppure De Dea Syria. In questo scritto, con ogni probabilità da considerarsi autentico, Luciano assimila questa dea - di nome Atargatis - con la divinità greca Hera o Era (sposa di Zeus e figlia di Crono e Rea; era la dea della condizione matrimoniale della donna) e dà la descrizione di una sua statua nel tempio della città sacra di Hierapolis (32): «Hera [= Atargatis], se la osservi, esprime una molteplicità di forme; in generale, è sicuramente Hera, senonché ha qualcosa anche di Atena, Afrodite, Selene, Rea, Artemide, Nemesi e delle Moire. In una mano tiene lo scettro, nell’altra il fuso, sulla testa i raggi solari, una torre, e veste il cinto di cui si orna soltanto Afrodite Urania. Sulla superficie è cosparsa d’oro e di altre pietre preziose... Ma passo alla cosa di cui vale la pena di parlare più a lungo: sulla testa porta una pietra, che chiamano Lyknìs [= l’illuminante], e il nome le viene dal suo effetto. La notte da questa pietra emana una luce intensa, e tutto il tempio ne risplende come se fosse illuminato da lampade, mentre di giorno la luce è fioca. A vederla è di colore rosso molto intenso».

De Dea Syria

De Dea Syria ("Concerning the Syrian Goddess") is the conventional Latin title of a work written in Greek that has been traditionally ascribed to the Hellenized Syrian essayist Lucian of Samosata. It is a description of the various religious cults practiced at Hierapolis Bambyce, now Manbij, in Syria. Because of its supposed connection to Lucian, whose reputation as a civilised witty scoffer is well born out by his many genuine essays and dialogues, the value of De Dea Syria as an authentic picture of religious life in Syria in the second century AD has been unnecessarily diminished, as Lucinda Dirven convincingly demonstrated.

De Dea Syria describes the orgiastic luxury of the sanctuary and the tank of sacred fish, of which Aelian also relates marvels. According to De Dea Syria, the worship was of a phallic character, votaries offering little male figures of wood and bronze. There were also huge phalli set up like obelisks before the temple, which were ceremoniously climbed once a year and decorated.

For the rest the temple was of Ionic character with golden plated doors and roof, and much gilt decoration. Inside was a holy chamber into which only priests were allowed to enter. Here were statues of a goddess and a god in gold, but the first seems to have been the more richly decorated with gems and other ornaments. Between them stood a gilt xoanon, which seems to have been carried outside in sacred processions. Other rich furniture is described, and a mode of divination by movements of a xoanon of Apollo. A great bronze altar stood in front, set about with statues, and in the forecourt lived numerous sacred animals and birds (but not swine) used for sacrifice.

Some three hundred priests served the shrine and there were numerous minor ministrants. The lake was the centre of sacred festivities and it was customary for votaries to swim out and decorate an altar standing in the middle of the water. Self-mutilation and other orgies went on in the temple precinct, and there was an elaborate ritual on entering the city and first visiting the shrine under the conduct of local guides.

The temple had been sacked by Crassus on his way to meet the Parthians (53 BC), but in the third century the city was the capital of a province and one of the great cities of Syria. Procopius called it the greatest in that part of the world. It was, however, ruinous when Julian collected his troops there before marching to his defeat and death in Mesopotamia, and Khosrau I held it to ransom after the Byzantine Emperor Justinian I had failed to put it in a state of defence. Harun restored it at the end of the 8th century and it became a bone of contention between Byzantines, Arabs and Turks. The crusaders captured it from the Seljuks in the 12th century, but Saladin retook it (1175), and later it became the headquarters of Hulagu and his Mongols, who completed its ruin.

Elogio della Mosca

La mosca non è il più piccolo dei volatili, se si paragona alle zanzare, ai tafani, e ad altri più tenui insetti; ma di tanto è maggiore di questi, di quanto è minore dell'ape. È alata non come gli altri, che hanno piume per tutto il corpo, e penne più forti per volare, ma come i grilli, le cicale e le api. Ha le ali d'una membrana tanto più delicata delle altre, quanto una veste indiana è più sottile e morbida d'una greca; e di color cangiante, come i pavoni, se si guarda bene quando si compiace di sciorinarle al sole. Vola non come i pipistrelli sbattendo l'ali continuamente, né come i grilli a salto, né come le vespe con violenza e stridore, ma si piega facilmente per ogni verso che vuole nell'aria. Ed ha ancora un'altra cosa, che non vola in silenzio, ma fa un certo suono, non acerbo come quello delle zanzare e dei tafani, non ronzante come delle api, non pauroso e minaccioso come delle vespe, ma di tanto più melodioso, di quanto il flauto è più soave della tromba e dei cembali. Dell'altre parti del corpo la testa piccolissima è attaccata al collo, e gira intorno, e non è fissa come quella dei grilli ; gli occhi sporti in fuori, e molto simili al corno ; il petto ben formato, da cui si spiccano i piedi, non molto stretti come quelli delle vespe; il ventre è munito anch'esso, come una corazza, di larghe fasce e di squame. Si difende non con la coda, come la vespa e l'ape, ma con la bocca, e la proboscide, che ha come quella dell'elefante, e con la quale si pasce, e piglia, e si attacca, e ci ha come una ciòtoletta alla punta: da questa esce un dente, con cui punge, e poi beve il sangue; beve anche il latte, ma il sangue le è dolce, ed ella non fa punture molto dolorose. Ha sei piedi, e cammina con soli quattro, usando dei due davanti come di mani: ed è bello vederla camminare su quattro piedi, portante tra le mani sollevata qualche briciola, proprio a guisa umana e come facciamo noi. Nasce non così come è, ma prima verme, da cadaveri di uomini e d'altri animali; indi a poco spicca i piedi, mette l'ali, e di rettile diventa volatile ; ingravida, e partorisce un piccol verme, che di poi è mosca. Vivendo in compagnia degli uomini, nella stessa casa, alla stessa mensa, si ciba di ogni cosa, tranne l'olio, che è la sua morte, se ne beve. Ed essendo di corta vita (che brevissimo spazio l'è assegnato a vivere), vuole stare sempre in piena luce, e farvi tutti i fatti suoi. La notte sta cheta, e non vola, né ronza, ma per paura si raccoglie e non si muove.

Di accorgimento posso dire che ne mostra assai quando sfugge il suo insidiatore e nemico, il ragno; il quale l'apposta, ed essa lo guarda di fronte, declinando l'assalto, per non essere presa nelle reti, né cader tra le branche di quell'animaletto.

Del suo coraggio e della sua forza non dobbiamo parlar noi; ma il più magnifico dei poeti, Omero, volendo lodare un fortissimo eroe, non lo paragona per forza al Icone, al leopardo, al cinghiale, ma alla mosca, per l'ardire e l'intrepidezza e la perseveranza del suo assalto: e dice ardire, non temerità; che scacciata, die'egli, non se ne va, ma pur torna al mordere. Tanto si compiace di lodare la mosca, che non una volta sola né in poche parole fa menzione di lei, ma spesso, ed il verso si abbellisce quando la ricorda. Ora descrive uno sciame di mosche che vola sul latte; ed ora quando Pallade svia la saetta da Menelao acciocché non lo colga in parte vitale, rassomigliandola ad una madre che veglia sul suo pargoletto dormiente, egli porta un'altra volta la mosca per paragone. E dice anche bellamente che esse vanno in serrate frotte, e i loro sciami chiama genti. Tanto poi è gagliarda che quando morde, trapassa non solo la pelle dell'uomo, ma del bue ancora e del cavallo, e fa male all'elefante entrandogli tra le rughe, e con la sua proboscide, secondo la sua grandezza, offendendolo. Nel mescolarsi e congiungersi sono liberissime: e il maschio non come i galli monta e scende subito, ma resta molto tempo a cavallo alla femmina; ed ella porta il marito, e insieme volano per l'aria così congiunti senza che il volo li disturbi. Se le mozzi il capo, la mosca vive molto col resto del corpo, e respira. Ma la più gran cosa che è nella sua natura voglio dirla io, perché mi pare che Fiatone questa sola cosa trascurò nel suo discorso sull'immortalità dell'anima. La mosca morta, sparsavi cenere sopra, risuscita, si rigenera, e rivive un'altra vita da capo; cosa da persuadere tutto il mondo che l'anima anche delle mosche è immortale, perché ella ritorna, e riconosce, e suscita il corpo, e fa volare la mosca; e cosa che fa tenere per vera la favola di Ermotimo di Clazomene, il quale aveva una specie di anima che spesso lo lasciava, e se n'andava pe' fatti suoi, poi tornava, rientrava nel corpo, e faceva alzare Ermotimo.

La mosca oziosa e scioperata fruisce delle fatiche altrui, e da per tutto trova mensa imbandita: le capre sono munte per lei, l'ape lavora per lei come per gli uomini, e i cuochi per lei condiscono le più saporose vivande che ella assaggia prima dei re, e aggirandosi sulle mense, banchetta con loro e gusta di ogni cosa. Covo o nido non fa in un luogo, ma col vagante volo va errando di qua e di là, a guisa degli Sciti, e dovunque la notte la sorprende, quivi fa casa e letto. Intanto all'oscuro non fa niente, come ho detto, né facendo cosa suole nasconderla, né crede turpe ciò che fa in piena luce.

Racconta la favola che una volta c'era una donna chiamata Mosca, assai bella, ma ciarliera, chiacchierina, e canterina, e rivale della Luna, che tutte e due erano innamorate d'Endimione. E poi perché quando il garzone dormiva ella lo svegliava continuamente ruzzando, cantando, ballando, quegli se ne sdegnò, e la Luna che l'odiava la mutò in mosca: e perciò essa ora rompe il sonno a tutti quelli che dormono, ricordandosi ancora di Endimione, e specialmente ai più giovani e più delicati. E quel suo mordere, e quel suo desiderio di sangue non è ferocia, ma segno di amore che porta ai giovani, dei quali ella gode come può, e ne sfiora la bellezza. Fu ancora negli antichi tempi una donna di questo nome, poetessa, molto bella e savia. Ed un'altra cortigiana famosa in Atene, della quale il poeta comico diceva:

Questa Mosca gli ha morso proprio il cuore.

Cosi la leggiadria comica non sdegnò, e la scena non ributtò il nome della mosca : né i genitori hanno a vergogna di chiamare così le loro figliuole. Anzi con grande lode la Tragedia ricorda la mosca in quei versi:

Oh che brutta vergogna ! Anche la mosca
Con forte petto salta addosso all'uomo,
Ghiotta di sangue; e voi uomini armati,
Voi sbigottir delle nemiche lance!

Avrei molte cose da dire di Mosca la Pitagorica, se la sua storia non fosse nota a tutti. Ci sono ancora alcune mosche assai grandi, che taluni chiamano soldatesche, ed altri, canine : fanno un asprissimo ronzio, ed hanno un volo velocissimo; vivono lungamente, e durano tutto l'inverno senza cibo, standosi attaccate specialmente ai soffitti. Una cosa è maravigliosa in queste, che esse fanno insieme e da maschio e da femmina, e montano ciascuna alla sua volta, come quel figliuolo di Venere e di Mercurio, che aveva doppia natura e doppia bellezza. Molto avrei da dire, ma basta qui, per non fare, come dice il proverbio, d'una mosca un elefante.

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Lucian

Lucian of Samosata (Greek: Λουκιανός Σαμοσατεύς, Latin: Lucianus Samosatensis; c. AD 125 – after AD 180) was an Assyrian rhetorician, and satirist who wrote in the Greek language. He is noted for his witty and scoffing nature.  Few details of Lucian's life can be verified with any degree of accuracy. He claimed to have been born in Samosata, in the former kingdom of Commagene, which had been absorbed by the Roman Empire and made part of the province of Syria. In his works, Lucian refers to himself as a "Syrian", "Assyrian" and "barbarian", perhaps indicating "he was from the Semitic and not the imported Greek population" of Samosata. His birthplace was recently lost when the Atatürk Dam project led to the inundation of the site. Lucian almost certainly did not write all the more than eighty works attributed to him — declamations, essays both laudatory and sarcastic, satiric epigrams, and comic dialogues and symposia with a satirical cast, studded with quotations in alarming contexts and allusions set in an unusual light, designed to be surprising and provocative. His name added luster to any entertaining and sarcastic essay: over 150 surviving manuscripts attest to his continued popularity. The first printed edition of a selection of his works was issued at Florence in 1499. His best known works are A True Story (a romance, patently not "true" at all, which he admits in his introduction to the story), and Dialogues of the Gods (Θεῶν διάλογοι) and Dialogues of the Dead (Νεκρικοί Διάλογοι).

Lucian was trained as a rhetorician, a vocation where one pleads in court, composing pleas for others, and teaching the art of pleading. Lucian's practice was to travel about, giving amusing discourses and witty lectures improvised on the spot, somewhat as a rhapsode had done in declaiming poetry at an earlier period. In this way Lucian travelled through Ionia and mainland Greece, to Italy and even to Gaul, and won much wealth and fame. Lucian admired the works of Epicurus, for he breaks off a witty satire against Alexander of Abonoteichus, who burned a book of Epicurus, to exclaim: What blessings that book creates for its readers and what peace, tranquillity, and freedom it engenders in them, liberating them as it does from terrors and apparitions and portents, from vain hopes and extravagant cravings, developing in them intelligence and truth, and truly purifying their understanding, not with torches and squills and that sort of foolery, but with straight thinking, truthfulness and frankness.

Lucian was also one of the first novelists in occidental civilization. In A True Story, a fictional narrative work written in prose, he parodied some fantastic tales told by Homer in the Odyssey and some feeble fantasies that were popular in his time. He anticipated "modern" fictional themes like voyages to the moon and Venus, extraterrestrial life and wars between planets centuries before Jules Verne and H. G. Wells. His novel is widely regarded as an early, if not the earliest science fiction work.

Lucian also wrote a satire called The Passing of Peregrinus, in which the lead character, Peregrinus Proteus, takes advantage of the generosity and gullibility of Christians. This is one of the earliest surviving pagan perceptions of Christianity. His Philopseudes (Φιλοψευδής Ἀπιστῶν "Lover of Lies or Cheater") is a frame story which includes the original version of "The Sorcerer's Apprentice".

In his Symposium (Συμπόσιον), far from Plato's discourse, the diners get drunk, tell smutty tales and behave badly. Lucian is also the presumed author of Macrobii (Μακρόβιοι) "long-livers" which is devoted to longevity. He gives some mythical examples like that of Nestor who lived three centuries or Tiresias the blind seer of Thebes who lived 600 years. Most of the examples are normal lives (80-100 yrs). He tells his readers about the Seres (Chinese) who live 300 years. He also gives some advice concerning food intake and moderation in general.

There is debate over the authorship of some works, transmitted under Lucian's name, such as De Dea Syria ("On the Syrian goddess"), the Amores and the Ass. These are usually not considered genuine works of Lucian and normally cited under the name of Pseudo-Lucian. The Ass (Λούκιος Oνος) is probably an epitome (a summarised version) of a story by Lucian and contains largely the same basic plot elements as The Golden Ass (or Metamorphoses) of Apuleius, but with fewer digressions and a different ending.

Lucian wrote Attic dialogue with a facility almost equal to Plato. He further imitated Herodotus's Ionic dialect so successfully in his work "The Syrian Goddess" that some scholars refuse to recognize him as the author.