Ordine
Mauriziano
Ospedale Mauriziano di Valenza
Una lenta agonia a prognosi infausta
Meditazioni di Elio Corti
Valenza – lunedì 23 agosto 2007
Oggi ricorre il mio 65° compleanno o, se volete, concludo il mio 13° lustro di vita. Nell'arco di questi quinquenni ne ho viste di cose belle, ma non sono mancate quelle brutte, come la morte prematura di mio figlio Matteo e di mia moglie Claudia, nonché quella meno prematura di quell'ospedale che da ragazzino, quando frequentavo la scuola Media, avevo visto sorgere pian piano durante le passeggiate scolastiche che, lungo Viale Santuario, avevano come meta il Santuario di Nostra Signora della Pietà, la Madonnina, per dirla in valenzano. Quell'edificio sarebbe stata la nuova sede dell'Ospedale Mauriziano, quella vecchia era in centro città, in Via Pellizzari.
In questa nuova struttura ho appreso i primi rudimenti della professione medica sotto la guida di esperti colleghi, tra i quali vorrei ricordare il Dr Carlo Rosso. Mi insegnò cos'è un'ernia del Littré (Alexis Littré, 1658-1725), che non vidi mai più, e risolse felicemente la patologia di una signora che vomitava calcoli colecistici, altro quadro clinico che per fortuna non ebbi più modo di osservare.
Divenuto discepolo di Esculapio, dovetti vestirmi da Ufficiale Medico dell'Esercito. Terminato questo incarico, dopo due giorni trascorsi in famiglia (dal sabato al lunedì di metà giugno 1969), presi servizio nella Divisione di Medicina che stava per sbocciare grazie al Professor Vittorio Ricotti, che un po' a malincuore aveva deciso di lasciare la sua amata Pavia.
Con lui, e con gli altri colleghi che via via si aggregarono, venne dato lustro non solo alla città di Valenza, ma anche ai Santi Maurizio e Lazzaro. Col trascorrere degli anni si giunse alla realizzazione dell’endoscopia digestiva e respiratoria, di un centro antidiabetico, dell’ecocardiografia, dell’ecografia, gestiti mediante programmi informatici da me creati su richiesta e suggerimento dei colleghi, specialmente dell'infaticabile Gianni Ariotti. Non è affatto da sottacere l’efficienza raggiunta anche dalle altre Divisioni, non ultimo il Centro di Terapia del Dolore sotto l'egida degli anestesisti.
Inoltre la sezione AVIS di Valenza, con più di 900 iscritti, gravitava attorno al nostro ospedale e i Donatori, per primi in tutta Italia e grazie al mio interessamento, ebbero l'obbligo di sottoporsi alla vaccinazione contro l'epatite B e a quella contro il tetano, quest'ultima al fine di evitare la somministrazione di siero umano antitetanico per ferite anche banali ma che avrebbero reso i Donatori non idonei alla donazione di sangue per sei mesi.
Ma a un certo punto, essendo Ministro della Sanità la trilaureata Maria Pia Garavaglia, che in tutt'Italia aveva lasciato i Pronto Soccorso sguarniti di dosi di siero umano antitetanico (tant'è vero che il giorno in cui venni convocato a Torino per essere inquisito, nel nostro Pronto Soccorso ce n'erano solo 3 dosi!), con la trilaureata, dicevamo, cominciò il declino finale dell’Ospedale, già preannunciato dalla chiusura della Divisione di Ostetricia e Ginecologia nel 1991, alla quale si era proceduto in quanto nella nostra città mancavano solo poche nascite al raggiungimento delle aspettative della programmazione politica. Etichettarsi valenzano di nascita divenne un sogno, salvo nascere in casa o per strada.
Sì, venni inquisito, perché una mia lettera al Direttore del bisettimanale Il Piccolo di Alessandria fu trasformata in un articolo inserito nella pagina riservata a Valenza. Era martedì 29 marzo 1994. Il giornale non era ancora nelle edicole che fui chiamato a rapporto: mi si disse che ero atteso a Torino, alla Direzione Generale dell'Ordine Mauriziano, e che avrei ricevuto comunicazione ufficiale della convocazione.
Essa giunse il giorno seguente, e il giorno appresso – giovedì 31 marzo, facendomi sostituire nel servizio di Guardia e Pronto Soccorso dal Dr Franco Terrasi - dovetti recarmi colà.
Autostrada facendo, esaminavo mentalmente il contenuto del mio elaborato apparso sul Piccolo e la motivazione della convocazione. Il punto chiave era rappresentato dal termine maîtresses da me usato, per il quale avevo già la risposta in tasca qualora l’avessi attribuito alla trilaureata che ci lesinava atrocemente il siero umano antitetanico; ma ne occorreva un'altra. Allora mi sovvenne della Cicciolina, alias Ilona Staller, che sedeva ancora in Parlamento. In effetti, quando dissi al Gran Giurì che con maîtresses intendevo la Cicciolina (non certo la Presidentessa dell'Ordine, Paola Cavigliasso, che manco sapevo esistesse) nessuno ebbe alcunché da obiettare. Magari la pensavano come me.
Insomma, la seduta del Gran Giurì si era aperta con il perentorio invito rivoltomi del Direttore Generale Gian Paolo Zanetta di comparire davanti al Pretore. Intervenne una pausa in cui un Caro Collega - di cui non ricordo il nome - mi disse che, se fosse stato per lui, sarei uscito da quell'aula senza la camicia che portavo addosso. L'epilogo fu una sigaretta tedesca HB offertami dalla Cavigliasso che fumai in sua compagnia sulla terrazza. Il bello è che volevo rifiutare la sua HB. Io fumavo solo MS (oggi fumo Diana Blu, in omaggio alla bistrattata Lady Diana), ma fu giocoforza adeguarmi alle preferenze tabagistiche di Paola. Fumo facendo, le promisi che le avrei inviato una mia lunga elucubrazione sulla vita, una meditazione partorita grazie a recenti esperienze.
Venni graziato. Ma il vero epilogo fu quando chiesi all'assemblea cosa dovessi riferire alla popolazione di Valenza al mio rientro. Mi fu detto: "L'Ordine non ha nessuna intenzione di chiudere l'ospedale!" Parole belle, ma false come il bacio di Giuda. Ciò che avevamo faticosamente costruito fu bellamente smantellato, forse sulla spinta del fatto che la popolazione di Valenza non aveva assolutamente bisogno di una struttura sanitaria. Una popolazione che da 20.000 abitanti raddoppiava a 40.000 presenze durante i giorni lavorativi, sabato incluso. Ma forse i politici furono lungimiranti: sia la popolazione valenzana stabile, che quella aggiunta per motivi di lavoro, e che appunto la duplicava, godeva di ottima salute. Infatti nel giro di pochi anni i supermercati quintuplicarono, indice dell'ottimo tenore di benessere fisico elargito in passato dai Santi Maurizio e Lazzaro.
Sta di fatto che i politici già mi avevano offeso e nauseato quando ero appena agli inizi della carriera ospedaliera. Ricordo molto bene come fu capace di scatenare in me, e non solo in me, un subbuglio interiore il caro ministro Carlo Donat Cattin della sinistra DC (quello il cui figlio Marco - il Comandante Alberto - era attivista di Prima Linea, organizzazione terroristica di estrema sinistra), il quale accusava tutti quanti i medici di essere degli arraffoni di denaro e basta. Passarono i decenni, ma i leader, a torto o forse a ragione, perseverarono nello stesso atteggiamento, speranzosi tuttavia che i miei colleghi continuassero a fornire proventi alle case di cura private delle quali i governanti erano e sono tuttora azionisti.
All'ennesimo sopruso, quando per l'ennesima volta venne decurtata la capacità di guadagno del capitale accumulato nel mio cervello con 19 anni di studio e il relativo costo, decisi di assecondare Berlusconi nel creare nuovi posti di lavoro. Li creò, indubbiamente, ma liberando quelli vecchi, dando cioè la possibilità di andare in pensione anzitempo, vanificando così l'impiego di capitali pubblici usati per formare dei medici a servizio di tutta la collettività, e il più a lungo possibile.
Feci fare i conti della liquidazione. Essendo purtroppo rimasto single, decisi di lasciar posto a tanti colleghi costretti a elemosinare un incarico. Il 31 dicembre 1995 chiusi con l'attività ospedaliera e non ne aprii un'altra. Né accadde in seguito. Solo grazie al Dr Mario Ivaldi, primario cardiologo a Casale Monferrato, mi sentii in seguito resuscitare come Lazzaro. Ciò avvenne in prossimità del Natale 2003 allorché Mario mi invitò a distogliermi un po' dalla genetica del pollo e a dargli una mano nella gestione dell'ambulatorio di Cardiologia di Valenza il mercoledì mattino. Io accettai, essendo Mario una persona coi fiocchi. Dalla ASL di Casale Monferrato mi venne data l'autorizzazione a frequentare l'ambulatorio, ma “per motivi di studio”. Accettai di buon grado, in quanto, ridiventato studente, mi sentivo ringiovanire, soprattutto ero lusingato dalla fiducia che Mario aveva riposto in me. Così tornai a ricalcare le mie orme, ma ormai il mio Mauriziano era morto da tempo.
Di seguito troverete le tappe di questa agonia dell'Ospedale, un finale mirabolante che vi verrà narrato dal Dr Franco Terrasi, responsabile tra l'altro di avermi fatto convocare dalla Sacra Inquisizione del Gran Magistero dell'Ordine Mauriziano, dove imperavano non solo dei magistri, ma anche delle magistrae, delle maîtresses.
Relazione stringata del Dr Franco Terrasi
Valenza - domenica 7 ottobre 2007
Già
trent'anni fa
al futuro Dr Franco Terrasi
i Politici facevano solo solletico.
Dubbia l'interpretazione dell'indice destro che emerge da sotto l'ascella.
foto Elio Corti - 1977
Questa è la storia drasticamente riassunta della riconversione (sinonimo politically correct, equivalente a chiusura) dell’Ospedale di Valenza e del commissariamento dell’Ordine Mauriziano. Ovviamente se quanto segue non è l'unica e tutta la verità, certamente ci si avvicina assai.
1997: fino a tale anno le prestazioni fornite dagli Ospedali Mauriziani sono retribuite dalla Regione Piemonte con tariffe di classe A, il massimo.
1998: unilateralmente, la Regione declassa questo rimborso a quello di una semplice Clinica Privata: il minimo. Però la clinica privata non deve affrontare le enormi spese di chi gestisce invece decine di migliaia d’interventi di Pronto Soccorso, le Rianimazioni, l’Oncologia di Candiolo (così fortemente voluta dalla Famiglia Agnelli), la Cardiochirurgia. Immediate le ripercussioni: un buco a bilancio di decine di miliardi (84?) di lire!
2002: la Dsa D’Ascenzo, nominata Commissario Straordinario dall'allora Presidente della Repubblica Ciampi allo scopo di sanare il bilancio dissestato, scrive ai Ministri competenti che tale minore importo è concausa importante del dissesto finanziario e richiede che la Regione Piemonte riconosca le somme dovute e non ancora pagate! Si tratta di 200 miliardi di lire. Come potete immaginare, la Regione non ha mai risposto.
Così si chiudono a raffica intere Divisioni, Reparti, Ambulatori, Servizi.
Il buco è insanabile.
Naturalmente ne soffrono maggiormente gli Ospedali di Lanzo e Valenza, che si ritrovano senza le Specialità Chirurgiche e debbono affrontare la diaspora di numerosi ed eccellenti Operatori.
2007: l’Ospedale di Valenza è sede di Ambulatori specialistici e di un’attività di Day Surgery una sola volta la settimana.
Permane un Reparto di Lungodegenza e Riabilitazione. Tutta la patologia acuta viene indirizzata all’Ospedale di Casale. Il Pronto Soccorso è divenuto Punto di Primo Intervento.
Fin qui i fatti.
Ma perché la Regione si è così accanita contro il Mauriziano?
E qui si entra nelle ipotesi, nelle voci di corridoio, financo nel pettegolezzo.
Certamente la Regione Piemonte accusava (accusa?) un disavanzo enorme.
E forse le Molinette (sede di Università), il più grande Ospedale Italiano, avendo accumulato miliardi di debiti mal vedeva un nuovo polo Oncologico e Cardiochirurgico Mauriziano che sottraesse risorse, prestigio e altro.
L’eventuale vendita del patrimonio Mauriziano (terreni agricoli o edificabili, cascine, casolari, frutteti, edifici artistici e storici, palazzotti, ecc..) fa gola a molti (i soliti mandarini?).
E poi si narra che la vecchia Direzione del Mauriziano avesse fortemente caldeggiato l’elezione a Presidente della Regione del candidato di centro-sinistra.
Regolarmente battuto dal delfino del Presidente Berlusconi, il quale, narrano alcuni, non ha mai digerito tale indelicatezza.
Comunque sia, si spegne la stella di uno degli Enti Ospedalieri più prestigiosi. Ne rimangono tre di così famosi: il Gaslini, il Fatebenefratelli e il Gemelli. Spero non s’arrendano.
Un ultimo accenno al Mauriziano. La Finanziaria 2008 stabilisce un nuovo commissariamento dell’Ordine e la Regione pare promettere risorse per il pregresso.
New deal o la solita tecnica dilatoria?
Le amarezze di Fernando dopo la revisione
Milano - venerdì 2 novembre 2007
Ho cercato di fare del mio meglio per districarmi nell'inevitabile accavallarsi di ricordi, amarezze, rabbia di chi, impotente, osserva il disgregarsi, sotto spinte di potere, di tutto quanto aveva posto sull'altare della dedizione e dell'altruismo.
Amarezza, grande amarezza e sconforto, ma come già ti avevo accennato, non è il tuo l'unico caso di volontà di sfascio da parte del potere politico, che demagogicamente si proclama risolutore delle difficoltà del Paese.
È tutto falso: per loro che comandano e per gli altri, che aspettano di tornare a comandare, conta solo il prestigio del potere e il proprio interesse.
È così, è sempre stato così, purtroppo.
Primo
Sinodo
Venerdì 25 novembre 2005
Secondo
Sinodo
Venerdì 27 settembre 2013
ore 20
Secondo
Sinodo
dei Discepoli dei Santi Maurizio e Lazzaro
presso Agriturismo La Fontana
Lu Monferrato (AL) – frazione Martini
filmato di Graziano Moretto
Fotografie
di
Paola Mesturini & Graziano Moretto
La
Dottoressa Daniela Di Spirito
ci ha lasciati per sempre sabato 28 febbraio 2015
Alessandria Medica - aprile 2015
Il
Professor Sergio Vernoni
ci ha lasciati per sempre martedì 14 aprile 2015
Alessandria Medica - giugno 2015
Leslye Haslam Pineda
Esimio
pediatra
nato il 10 gennaio 1942 a León in Nicaragua
morto il 16 luglio 2015 a Pecetto di Valenza (AL)
è profondamente rimpianto dalla moglie Livia Marchioni
nonché dai figli Benito e Federico con le loro famiglie
nonché da tutti i bambini da lui salvati e ridati alla vita
È
così, è sempre stato così,
e sarà sempre così.
Lo
dimostra Famiglia Cristiana
n° 25 – 22 giugno 2008
con
Dalla
clinica degli orrori di Milano
ai pianisti di Montecitorio
Lettera
a Paola Cavigliasso
al mio rientro a Valenza
Valenza, 31-3-1994
Illustrissima Signora Presidente,
Vorrei innanzitutto ringraziarLa per la cortesia alla quale Lei ha saputo improntare il nostro incontro di oggi.
Strada facendo per rientrare in Servizio di Guardia, ho meditato su quanto da me espresso prima di lasciarLa:
"Non
posso chiederLe scusa
perché non volevo offendere Lei con le mie parole".
Mi correggo e dico:
"Le
chiedo scusa se sono stato involontariamente
causa di preoccupazioni in sovrappiù".
Lei mi aveva chiesto per quali motivi avessi stilato quella lettera inviata al Direttore del Piccolo. Ho cercato di riassumere, anche se in modo farraginoso, un po' della mia vita e delle amarezze provate. È logico che tali amarezze non mi condizionano in modo costante e palese, ma, in fondo, sono stufo di certi soprusi che la sorte continua a propinare a ciascuno di Noi.
Al fine di renderLe chiara buona parte di me, ho pensato, sempre strada facendo, di inviarLe una mia meditazione scaturita di getto nel novembre scorso, una meditazione un po' lunga, in verità, e che, se non L'annoierà, potrà leggere nei ritagli di tempo, ammesso che Le siano concessi dall'incarico che ricopre.
Ci tengo a precisare che lo sfogo che trova allegato è stato inviato come letterina di Natale a circa 95 Avicoltori sparsi in tutta Italia: dalla Valle d'Aosta al Friuli, all'Umbria, fino alla Sicilia.
Solo un
Avicoltore era minorenne e, per certi passaggi non troppo puritani che spero
Lei voglia scusare, ho consegnato lo scritto nelle mani dei suoi Genitori.
Ancora La ringrazio molto. Posso dire che la Sua conoscenza è stata una piena
boccata d'aria fortificante, sia per le mie attese di vita privata (esiste
ancora qualche oasi dove riprender fiato!), sia per il futuro Sanitario di
questa strana città dell'oro.
Doverosi ossequi.
Valenza, 17 novembre 1993
Da dove
cominciare?
Facciamo pure dall'inizio!
Non ho vissuto una vita priva di spine. Posso però affermare che durante l'infanzia e l'adolescenza mi sono soddisfatto di un contatto pieno con la natura.
Fin da piccolino la nonna paterna, la nonna Dele, mi portava tutti gli anni in vacanza al Lago Maggiore presso le sue sorelle, che risiedevano ad Arona e dintorni, dove avevano messo su famiglia. Qui ho imparato ad amministrare mucche e ortaggi, a voltare e raccogliere fieno, a mondare rincalzare e cimare la meliga. Ho imparato a conoscere i funghi migliori, meravigliosi frutti di Madre Terra, ancora abbondanti prima della calata dei Milanesi, raccogliendoli in luminose giornate di settembre madide di rugiada girovagando tra boschi di castani e betulle. Ho fatto la conoscenza di Ribot e dei suoi figli, intenti a pascolare nelle radure affacciate sul lago.
Se non bastassero le mie parole, potrebbe far fede del mio amore per la natura e per gli animali una fotografia che mi ritrae, ancora ragazzo, con due tacchinelli tra le mani. Il primo impegno e il primo piacere, appena giunto dagli zii, era correre al mercato di Arona il martedì successivo al mio arrivo, che di norma era di domenica dopo 5 ore di treno e carboncini negli occhi. Al mercato compravo gli anatrini muti e li allevavo nel rispetto delle loro esigenze idriche, approntando un laghetto in un enorme truogolo scavato nella pietra, adibito a ingrassare il maiale nei lustri passati.
Già allora ebbi l'impatto con la fragilità degli esseri viventi, e una percentuale che non ricordo, ma per me significativa, dei miei amici anatroccoli, non riusciva a crescere e a sopravvivere. Mia nonna diceva che in Lomellina erano abituati a chiamare un anatroccolo ipoevoluto "Stevu" (Stefano), e che gli si diceva: "Stevu, se at scampi at levum" (Stefano, se sopravvivi ti alleviamo). I non_Stefano crescevano, e a fine settembre li lasciavo sulle croste della zia Pierina che poi, in novembre o dicembre, in mia assenza, era costretta a sacrificarli perché continuavano a planare sul prato e sulla casa. Ma io non vedevo. Io conservavo i ricordi e il sapore della vita e dell'estate.
Allora il denaro era prezioso e non si acquistavano antiparassitari come adesso. Contro il pidocchio pollino, il "plisó", si distribuivano nel pollaio felci in abbondanza, con la speranza che con il loro aroma amaro fossero in grado di mettere in fuga un esercito che ti assaliva non appena, con la sola faccia e la mano furtiva, invadevi il territorio nemico per prendere un uovo. Non so dell'effettiva efficacia delle felci, la mia mentalità scientifica era agli albori, "in fieri", solo ricordo che i plisó c'erano e ci rimanevano. Oggi non ho la possibilità di controllare, vivendo in una zona dove di felci spontanee non se ne vedono assolutamente.
La zia Pierina e lo zio Silvio si erano sempre opposti ad allevare conigli, non certo a causa della mixomatosi, che là non c'era, ma un bel giorno vinsi le loro resistenze nei confronti dei roditori, così come un giorno vinsi le resistenze dello zio Silvio al ritorno presso casa di alcune delle numerose pietre presenti in loco, antichissimi residui morenici, accumulati quasi con odio in luoghi appartati: dovevo lastricare un piccolo fossato che portava acqua agli anatroccoli. Non so perché lo zio e la zia si opponessero ai conigli, ma posso immaginare che lo zio Silvio si opponesse al ritorno delle pietre presso casa per motivi non troppo freudiani, forse perché da bambino doveva averne trasportate molte per liberare i prati dall'insidia più temibile per la falce. Comunque, i conigli si impiantarono e proliferarono, l'allevamento si protrasse fiorente negli anni, anche quando io non ebbi più la fortuna di frequentare la casa degli zii perché ormai cresciuto.
Tra i molti, un episodio mi è rimasto impresso, e forse ha avuto un certo peso per scelte future. Vedevo uccidere polli e galline, e io stesso uccidevo i conigli con una randellata sulla nuca. Ma un giorno diedi l'ultima bastonata: dopo aver deposto il coniglio a terra e il randello al suo posto, mi giro, vedo il coniglio correre libero per il recinto. Da allora mi dissi: mai più. E così è stato.
Passarono gli anni, mi dedicai agli studi classici e poi a quelli di medicina. Alla morte di mio Suocero mi assunsi volentieri e spontaneamente l'incarico di occuparmi del suo appezzamento di terreno, tutto a vite, in collina, sulle ultime propaggini del Monferrato protese verso il cuneo formato dal Po col Tanaro. Qui la mia preparazione agricola si perfezionò alla scuola di esperti Maestri. Imparai a potare alberi e rose, a fare il vino, a trattare la vite, a dissodare la terra. Gli anni passavano. Ero gratificato dalla natura che vedevo svegliarsi e addormentarsi per le alterne vicende delle stagioni, mentre cuore e occhi mi si riempivano di forme e di colori.
Poi il tutto ebbe una battuta d'arresto. Vicende piene di spine, spine lunghe così. Passata la bufera della lotta infruttuosa contro la morte, ho potuto far ritorno ai piaceri della terra e ai piaceri dell'infanzia. Arrivarono 2 oche, Antares e Andromeda, regalo di amici. Comprai di nuovo gli anatrini muti, stavolta al mercato di Alessandria. Ben presto l'interesse verso i polli si è trasformato, forse troppo rapidamente, in passione.
Che sciocco è l'uomo, come umanizza gli animali!
Costruendo i recinti dicevo al mio collaboratore: "Guarda che bel panorama si godono i nostri polli. Pensi che siano contenti?". Panorama fatto di erba e fiori, aceri, faggi, betulle, querce, cedri del Libano, lagerstroemie dai fiori color carne, cedrus atlantica glauca, cedrus deodara, pioppo bianco, ippocastani e olmi: che tripudio di colori prima della pausa invernale!
E il mio collaboratore: "Penso proprio di sì, che siano contenti!". Sì, perché, non ha forse un'anima e una sua intelligenza il pollo? E i suoi occhi e il suo olfatto non son fatti solo per nutrirsi! Anche un pollo, con cervello di gallina (ovviamente), non riesce forse a godere a modo suo di ciò che riesce a dilettare i nostri sensi? Io dico di sì. Spesso ce ne dimentichiamo.
Ma, questo clima idilliaco, è stato turbato più volte. Sovente noi uomini siamo dei creduloni, crediamo che ciò in cui crediamo lo credano anche gli altri. E va bene, un po' di illusione ci spinge verso mete e avventure nuove, che danno un senso alla vita. Talora, però, è meglio essere realisti, per non dover in seguito mordersi le mani ed esclamare inutilmente "mea culpa!".
C'è gente difficile a tavola, difficile a scuola, difficile in discoteca, difficile in alcova. C'è gente difficile in tutto. Noi ci illudiamo che una persona difficile a tavola e truffatore nella sua professione si comporti poi diversamente in alcova oppure in un hobby come l'allevamento di deprezzati polli (solo degni, secondo lui, di essere strangolati se hanno un filo di catarro). Noi siamo figli degli antibiotici e dei vaccini, non scordiamolo mai e poi mai, mezzo mondo girerebbe sciancato se Sabin non avesse messo a punto il suo vaccino, moriremmo a frotte come i polli se il vaiolo non fosse stato annientato grazie alle capacità deduttive del padre della pratica vaccinale, un umile medico di minatori, Jenner, nato e vissuto, schivo della vita londinese, a Berkeley nella contea di Gloucester ai confini del Galles.
Ci preoccupiamo dell'AIDS e saremmo pronti a uccidere nostra madre per procurarci la prima dose di vaccino in commercio, mentre non vacciniamo i nostri polli contro la pseudopeste con pseudoaffermazioni scientifiche, asserendo che con tale vaccino è come se il pollo si ammalasse. È solo per pigrizia (è dura passare per ben 3 volte tra le mani 100-200-300-2000 pulcini per instillare nelle narici il vaccino contro la malattia di Newcastle, senza contare 1 volta per il Marek e 1 volta per il difterovaiolo: 2000 x 5 = 10.000 passaggi), ma non è solo per pigrizia, è anche per mancanza di rispetto e di amore verso delle creature nate tra le nostre mani: infatti non siamo veri allevatori.
Non dimentico certamente che esiste una difficoltà pratica: procurarsi i vaccini, a causa di disposizioni legislative che ci fanno passare più tempo dal Veterinario che ad accudire gli animali. Spero che i Consigli Direttivi delle nostre Associazioni si facciano un giorno portavoce del fatto che è vietato financo pensare di mangiare un nostro pollo!
Ci piace gongolarci nel possedere il gallo più alto, più grosso, come da ragazzi ci si gongolava nel possedere il pisello più lungo tra gli astanti. In realtà non amiamo i nostri polli, amiamo la potenza espressa dallo status symbol del pollo più dotato, magari più fragile del cristallo, come ci gongoliamo di un altro status symbol, della nostra "turbo" più turbo di un'altra, magari avuta solo in prestito per partecipare della potenza del turbo, per essere conturbanti. Ecco cosa siamo: siamo solo ragazzini insicuri.
Ma torneremo su questi argomenti. Per ora voglio solo affermare che ci portiamo appresso, anche in un hobby, tutto il bagaglio e il fardello del nostro modo di vivere e pensare che proviene da fattori congeniti e spesso dal non aver mai fatto un'analisi spassionata di noi stessi. Da noi non esiste l'usanza di mettere in evidenza lo stato civile di una persona, o meglio, mi correggo, esiste solo quando si traccia il curriculum vitae di un politico sui dépliants pagati con le tangenti: vi si raccontano doti e miracoli in modo così dettagliato che potremmo dedurre anche quante scopate fa, perché è riportato il numero dei figli, se è sposato, eccetera.
In Brasile invece è prassi corrente dichiarare, nei semplici atti stipulati privatamente, lo stato civile delle parti. Non so da cosa derivi quest'uso. È certo comunque che, se una delle parti è un celibe attempato, una diagnosi psicologica è presto fatta: è un soggetto che non ha scelto di convivere, perché la convivenza famigliare gli è insopportabile come la convivenza col resto del genere umano.
Orbene, ero agli albori della mia rinnovata passione per gli animali, quando mi misi alla caccia delle Oche di Tolosa, e approdai a un lido da molti conosciuto: la prima e l'ultima spiaggia, quella del più grande commerciante (leggi nel suo caso: truffatore), ma non allevatore, della provincia di Biella. Pagai le oche profumatamente, quasi fossero l'Aga Kahn, profumatamente pagai anche una coppia di Oche Cignoidi "barrate", una nuova colorazione, a barra bianca orizzontale a metà petto, rettilinea, ben stagliata, bella insomma. Le Tolosa non erano una coppia, come poi si rivelò in seguito. Mi correggo, forse sì, una bella coppia, ma secondo gli usi sessuali del rivenditore, una bella coppia di gay.
L'allevatore, dopo 2 mesi dalla nostra, ci ricambia la visita con un sopralluogo nel nostro allevamento, e con mano esperta espelle e mostra le vergogne dei gay e ce le mostra per bene, ci fa scuola, ci dice che, se vogliamo, ci cambia un "oco". Ma noi ci affezioniamo ai nostri animali, a Lancillotto e Ginevra (diventato poi Ginevro). Optiamo per 2 compagne che vengano a trastullare i 2 maschietti. Stavolta il prezzo è meno salato, quasi a farci intendere che stiamo per entrare in un rapporto di amicizia tra allevatori.
Passano i mesi e l'allevatore ci propina polli sempre peggiori e con prezzi medio-alti, sostenuti, comunque, rispetto alla qualità e alle rispondenze dei requisiti di razza: col crescere dell'amicizia cresceva esponenzialmente da parte sua la malafede, da parte mia il disappunto, finché, stufo di dimostrargli una fiducia che cercavo di raffazzonare alla bell'e meglio, alla vigilia del mio compleanno '92 gli mando la lettera di sfiducia e lo allontano per tempo, prima che faccia man bassa dei nostri animali senza poi mai saldare il conto come gli è successo più volte. L'ho rivisto l'allevatore! Non l'ho salutato. Non si faccia più vivo sulla mia strada. Lo travolgerò!
Il mio atteggiamento nei confronti del Grande Allevatore è stato più volte criticato, si è cercato di portarmi a più miti sentimenti, di rabbonirmi, asserendo che Lui è un commerciante, che è fatto così, che alla fin fine è una persona simpatica. Non so se, chi afferma ciò, debba nascondere segreti "particolari". So solo che la mia linea difensiva puntava su un'asserzione logica: se lui è in diritto di fare ciò che fa, allora io sono in diritto di tenere la gente malata per garantirmi il lavoro. Ma tale asserzione ha fatto inorridire. Io, invece, inorridisco di fronte alla faciloneria.
Siamo un popolo che se la sa sbrigare, che ha l'estro, che, come i Tedeschi, si è risollevato dal disastro morale e materiale della II guerra mondiale, pur non disponendo delle risorse economiche della Germania, e che saprà risollevarsi dall'inondazione devastante di tangentopoli. Ma faciloni non siamo.
Lessi un giorno, su una rivista medica, l'interessante affermazione di uno studioso inglese: secondo lui la soluzione del cancro verrà dall'area mediterranea, magari dall'Italia stessa, perché nella scienza non è sufficiente la preparazione specifica, ci vuole anche della fantasia e dell'inventiva. Detto da un anglosassone è quasi inverosimile, ma anch'io, magari per nazionalismo, accetto la sua tesi.
A fomentare la fiducia nel popolo italiano interviene un'altra asserzione, stavolta di un Tedesco, Keller, che, chissà perché, è il più grande etruscologo. Nessuno di noi ha mai potuto studiare, sui banchi di scuola, un po' di etrusco. Degli Etruschi ci rimangono le tombe, gli acquedotti, le opere di bonifica del suolo e di irrigazione, le mura ciclopiche, il commercio del ferro che fece tale popolo potente, compiendo un miracolo: trasformare il ferro in oro, proponendo il metallo dell'Ilva, la latina Elba, in sostituzione di metalli più teneri per fabbricare armi in tutto il bacino mediterraneo. Roma ha distrutto tutto quello che ha potuto dei Tusci, ha fatto come Hitler, anzi, peggio, perché se Roma avesse avuto a disposizione i mezzi del folle maestro elementare austriaco non potremmo neppure ammirare le ciclopiche mura di Volterra.
Ma Roma ha diffuso la sua civiltà sopprimendone altre per invidia, forse più per paura, come ancor oggi possiamo notare nei nostri comportamenti: gli allevatori non riescono a unificarsi nel rispetto reciproco perché chi sale a capo ha talora invidia, più spesso ha paura degli altri, e la paura è segno di insicurezza.
Roma divenne sicura, tracciò via via i suoi sempre più vasti confini che possiamo ammirare nella Via dei Fori Imperiali, poi decadde, perché è umano, nessun Imperatore o "Cristo Pantocrator" è eterno.
Orbene, secondo il Keller, le tracce degli Etruschi possiamo trovarle attraverso i secoli, e forse ancor oggi, nella genialità degli Italiani, specie nei diretti discendenti dei Tusci. Basta citare quale grande fucina di arti e scienze è stata la Tuscia: Giotto, Michelangelo, Leonardo, e chi più ne ha più ne metta. È realtà, non una sterile affermazione di un teutone. Che anche nella pollicoltura ci vogliano estro e genialità sì, ma non l'inganno. L'inganno non è etrusco, è levantino. Oddio! pare che gli Etruschi venissero dalla Turchia! Che confusione!
Il 1993 l'abbiamo iniziato all'insegna di un primo inganno, stavolta da parte di un allevatore dell'Appennino. Dalle Prealpi ci siamo spostati all'Appennino per farci fregare: riproduttori propalati come giovani che dovevano imparare a scopare dai più adulti, non godendosi films hard core, ma facendo i guardoni attraverso una parete in plexiglas (vera raffinatezza e geniale trovata), non a luci rosse, ma a quella bianca del sole. La nostra buonafede anche stavolta ci ha fregati: le creste non sono cresciute come promesso perché non potevano più crescere, erano già al massimo; poi, un bel giorno, scopriamo sotto la calzatura, dove non avevamo mai guardato per fiducia, scopriamo, dicevo, degli anelli che parlano di anni passati. Ma, l'allevatore, che tiene in quarantena, giustamente, i polli che trae dalla Germania, applica poi anelli alla cazzodicane a riproduttori salatucci servendosi di anelli di recupero non rispondenti all'effettivo anno di nascita. Questa è la giustificazione addotta per l'incongruenza tra età e anello, addotta per interposta persona, garanzia della propria serietà.
Noi Italiani siamo seri ed estrosi solo nel fregare il prossimo. Manchiamo spesso di senso del dovere, non arriveremo mai a essere una potenza nella pollicoltura come i Paesi d'Oltralpe se non sappiamo e non vogliamo darci una regolata nel modo di pensare. Sentiamo ancora l'effetto dei Borboni, forse più al Nord che al Sud, e pensare che qui tra le nebbie padane non abbiamo avuto Franceschiello come Sovrano! Potremmo fondare una nuova associazione: quella dei millantatori, degli sbruffoni, dei "baüscia" come dicono a Milano.
E ora il fiore all'occhiello: la vicenda "ANELLI 1993", che ha avuto un lieto fine ieri, a Torino, per merito della Giustizia, che, non dimentichiamolo, esiste ancora, e aiuta a riprender fiato in questo squallido deserto dell'allevamento per "hobby".
Il 1992 ci ha visti, novelli Avicoltori, iscritti all'AIA Torino-Vercelli e, impuberi, avevamo avuto nelle mani i nostri primi anelli. I rapporti con l'associazione sono sempre stati surreali, inconsistenti, fumiganti, fatiscenti. Qualcosa non girava, ma non bisogna mai precludere la fiducia a chicchessia. Allo stesso tempo bisogna essere realisti. Così, in occasione di Aviomania, svoltasi lo scorso gennaio a Pavia, mi iscrissi anche all'AIA MI-VA-PV con l'intento di tenere i piedi in due scarpe, non si sa mai.
A febbraio inoltrato facciamo i conti e ordiniamo gli anelli alla prima AIA. I mesi passano e, finalmente, a fine aprile, il presidente si fa vivo, doveva venire dalle nostre parti, e avrebbe, così, approfittato (!) per prendere i nostri soldi degli anelli che, in capo a pochi giorni, sarebbero giunti dal Belgio.
Mi pregio e mi fregio di essere stato malpensante, me ne fregai del motto dell'Ordine della Giarrettiera! "Honi soit qui mal y pense" (esatto sarebbe honni) "Svergognato sia chi pensa male", pensai male, pensai molto male, mi vendetti il buonanimo pur di avere degli anelli. Intestai l'assegno al presidente con la specifica di "presidente AIA TO-VC" perché non avesse grane con la Finanza in caso di controlli, non era un assegno per una sua prestazione lavorativa. Era ovviamente una banale e lapalissiana scusa che fu accettata fin troppo di buon grado per fame e necessità di soldi, e questa scusa mi salvò.
Passò un altro mese tra attese estenuanti e telefonate inconcludenti, mentre i nostri polli crescevano, crescevano più nelle gambe che nel resto, pareva! Di anelli nessuna traccia, tutto nebuloso, notizie frammentarie e sospette, gli anelli dovevano arrivare ma non sono arrivati. Allora un bel giorno mi stufo e grazie al telefono risolvo in un paio d'ore quello che, mezzo secolo fa', avrebbe richiesto un mese: accerto che in Belgio non hanno ordini inevasi, accerto che gli anelli non si pagano anticipati, ma solo dopo 10-15 giorni dalla ricezione.
Metto in movimento il computer col suo comodo editore di testi, e comincio ad assestare una lettera, ironica e seria al tempo stesso, al presidente, dando le dimissioni e invitandolo alla restituzione rapida del denaro: 390.000 £.
Che guaio quelle gambe dei polli, sempre sott'occhio più di quelle della Vanda Osiris. Crescevano, le maledette, crescevano. Il piede messo nell'AIA Ticinese mi diede la forza di supplicare la collaborazione della FAI; intanto ero divenuto esperto, in suppliche, alla scuola della maledetta matrigna piemontese. La FAI serenamente mi procura gli anelli che giungono in un battibaleno.
Ma le gambe, le gambe! Sputo, vaselina, bestemmie, rabbia, Aspro (si dice che con Aspro passa), nulla valse a inanellare una buona parte delle nostre prime creature, i nostri primogeniti prediletti che promettevano bene, come tutti i polli di fine inverno, sputi e bestemmie solo per tentare qualche piccolo riconoscimento alle nostre fatiche in qualche futura mostra.
Mi dissi: non la passa liscia quello là, no che non la passa liscia. Io non gli ho fatto nulla, non gli ho scopato la moglie, non gli ho insidiato la madre o il figlio. Perché mi ha fatto ciò? La paga, certo che la paga!.
Una seconda lettera, stavolta mandata per conoscenza a tutti i Presidenti delle Società Avicole d'Italia, minacciava chiaramente di procedere per vie legali e penali. Ma lui mi ignora, e mi ignora anche dopo un sollecito del mio leguleio.
Allora l'ultima speranza è sporgere regolare querela e il 2 di agosto, la festa degli uomini (forse perché i veri uomini ne hanno solo 2, e non 1 oppure 3), provo anche questa nuova esperienza nella caserma dei Carabinieri. Mi dico che tutto bisogna provare nella vita, ma che a causa di un hobby tutto ciò è disgustoso.
Prima convocazione per un tentativo di conciliazione il 22 settembre negli uffici della Sezione P.G. Guardia di Finanza - Procura della Repubblica presso Pretura Circondariale di Torino (se a qualcuno per caso servisse: Via Palazzo di Città 20 - angolo Piazza Corpus Domini – 5° piano). La conciliazione pare avviata bene, poi mi inalbero perché il fesso vuole farmi socio della sua neo-associazione, quella dei FESSI della TO-VC, poi mi disinalbero e concordo per una remissione di querela dietro restituzione del maltolto entro il 16 novembre, dilazionando benevolmente un precedente termine fissato per fine ottobre.
Ieri tutto è stato ripianato. Ma non si è cicatrizzata la ferita che mi ha squarciato l'anima, sì, squarciato, perché non esiste oasi su questa terra dove rifugiarsi pochi attimi per dimenticare tutto ciò che di brutto dobbiamo affrontare quotidianamente! Il risarcimento dei danni morali avrebbe richiesto un procedimento civile e io, di vedere certe facce ne faccio a meno. Mi sono ritenuto gratificato e ho accettato di pagare le 74.000 £ per remissione di querela come richiede la Legge.
La stessa legge ha fatto definire l'episodio come appropriazione indebita, ma io lo definirei furto fatto coi guanti, come quello perpetrato dallo Stato a danno dei nostri conti correnti bancari lo scorso anno.
Non ho spinto oltre la cosa perché già mi nauseava. È stato scritto come motivazione del gesto compiuto che il querelato non era stato solerte come avrebbe dovuto nel procurare gli anelli, i quali anelli in verità erano stati ordinati, a suo tempo (suo: del presidente), ed erano poi faticosamente giunti in agosto, col solleone, non con le brezze di primavera.
Bella insolerzia, era per parare il culo con l'arrivo comunque di qualche anello giustificativo inutilizzabile. Io glie l'ho parato quel culo rotto e strarotto, tacendo. Ma il querelato avrebbe speso di meno chiedendo un prestito magari alle banche del Vaticano pur di restituire il maltolto dopo il sollecito dell'avvocato. Ma no! mi ha ignorato, Corti è buono, ha pietà della malattia fisica quindi dovrà pur averla per quella psichica! Sì, solo che quando Corti alleva polli si porta, sì, il fardello della mentalità medica, omnia mea mecum porto, ma medico non è, non è nelle sue funzioni, non è come i preti, sacerdos in aeternum.
E qui vale la pena di spendere 2 parole per il rispetto della vita che per me è valido a qualsiasi livello. Ci sono ragazzine che cominciano presto a uccidere, poverette, mentre l'imputato maggiore è lo scopatore che cerca di non lasciare traccia, o forse il più imputabile è lo Stato che possiede gli organi per fare una previsione demografica, e invece di un'educazione ad hoc, propone l'aborto per limitare le nascite. Come allevatori noi abbiamo, dalla nostra, la possibilità spiccia di limitare le nascite: basta incubare il numero di uova che reputiamo giusto. Oh Dio! forse per essere Allevatori non è necessario neanche selezionare uova e comprare un'incubatrice e saperla gestire, non è necessario neanche incubare sotto chioccia, ma prendere già tutto fatto, un prêt-à-porter, un wash and wear.
Quando i pulcini sono nati, abbiamo l'obbligo di rispettarli, non sono loro che hanno chiesto di venire al mondo, anche se malformati. Non dico di trasformare i nostri allevamenti in cottolenghi, ma, applicando certi principi, essi si possono tranquillamente estrapolare all'uomo: siamo figli degli antibiotici e dei vaccini, dei diuretici, degli ipotensivi, delle trasfusioni di sangue, non siamo neanche tutti Ariani... Ah! Adolfo! quanto ci manchi: metteresti un po' di ordine tra tutti 'sti malati che consumano vagoni di farmaci e mandano in crisi la Sanità, un ordine maggiormente auspicabile tra gli imbecilli che trasmettono imbecillità alla prole, ci libereresti dall'AIDS e da tangentopoli. Ma suvvia, Adolfo!... se facevi addirittura fabbricare preservativi forati per garantire nascite ariane! Eri proprio un Truffatore come tutti Noi.
Cari colleghi allevatori: rispettiamo i polli ammalati, selezioniamo polli che si ammalano e che sopravvivono alle infezioni e che trasmettono questa capacità alla loro prole. Se non credete alle mie parole consultate la Patologia Aviare dell'Asdrubali: nella profilassi della micoplasmosi propone 2 vie: creare una popolazione batteriologicamente sterile; infettare in modo controllato la popolazione in modo di suscitare un'immunità. Ciò è una forma di vaccinazione, è quello che succede a noi tutti i giorni. Mia nonna, la nonna Dele, quella che mi portava in vacanza al Lago Maggiore, aveva sofferto di spagnola. L'asiatica, la spaziale e tutte le altre pandemie influenzali non le hanno fatto un baffo. È morta, sazia della vita, a 91 anni. Si era immunizzata con la spagnola contro le altre influenze. Io, che ho fatto l'asiatica, la spaziale proprio non l'ho sentita. Infettate i vostri polli.
Vi ricordate cosa si faceva una volta, in modo molto più saggio? Per non incorrere nel pericolo delle malattie esantematiche durante l'età adulta a causa del loro decorso più grave, quando un nostro compagno aveva il morbillo ci infilavano nel letto insieme. Facevamo il morbillo e non ci pensavamo più. Altrimenti può succedere come per le popolazioni africane indenni da tubercolosi: quando un soggetto andava nel mondo civilizzato si beccava una di quelle tubercolosi che lo mandava al Creatore. Noi la tbc l'abbiamo contratta tutti, ma non tutti abbiamo fatto la fine di Violetta.
Questi concetti sono stati di recente ribaditi in un film in prima visione TV in onda su raidue venerdì 12 novembre: "Giocando nei campi del Signore": a causa dell'influenza trasmessa peccaminosamente dal tenero bacio a un indio, scambiato dalla moglie del Missionario, la tribù di Indios amazzonici, indebolita e decimata dal virus, ha potuto essere sterminata dall'uomo bianco.
E facciamoglielo pure un po' di antibiotico ai nostri polli, se sopravvivono è perché il loro sistema immunitario ci ha messo la parte preponderante contro germi e virus. Credo che la capacità di difendersi dalle infezioni sia trasmissibile ereditariamente, quanto lo sterno o il becco storti. Solo che, trattare dei polli ammalati è tripla fatica, bisogna punturarli, imboccarli, isolarli, fare dei sopralluoghi notturni in casi gravi come si fa per i ricoverati in ospedale. A che scopo fare tutto ciò? Sono solo dei miseri polli in definitiva!
Una tardizia: il regolamento di "Varesealleva" relativo alla mostra in programma dal 4 all'8 dicembre 1993 recita testualmente all'art 6:
"I soggetti verranno accettati in Mostra [soggetti minuscolo, mostra maiuscolo] dalle ore 9.00 alle ore 11.00 del giorno 03 Dicembre 1993. I soggetti non vindibili [sic] o invenduti dovranno essere ritirati a cura degli espositori [sempre minuscolo] dalle ore 23.00 alle ore 24.00 del giorno 08 Dicembre 1993 ..." (omissis)
Abbiamo recenti esperienze di governanti e di non governanti che pensano, pensano intensamente, e poi ripensano, attuano, e talora per fortuna non attuano, certe loro idee balzane, come il fatto di viaggiare almeno in 3 su di un'auto. Interessante sarebbe solo pensare, e non dire o scrivere certe cose. Ma il popolo si fa giustizia da solo: abbandona il genio a se stesso.
Comunque, la mia risposta a Varese è stata la seguente:
Valenza
15-11-93
Egregio Signor Presidente,
Le scrivo a nome mio e di un altro Socio, il Signor Cani Eduardo.
Per motivi più che ovvi, lo sgabbio dalle ore 23 alle ore 24 dell'8 di
dicembre di qualsivoglia anno nel nostro emisfero e alla nostra latitudine nel
bacino padano, sgabbio riferentesi alla III Mostra Mercato Avicola varesealleva
di Castellanza in programma dal 4 all'8 dicembre 1993, è per Noi
inaccettabile.
La nostra partecipazione avverrà solo se l'articolo 6 del regolamento verrà
modificato nel senso di un orario più consono a persone e animali.
Porgo distinti saluti in attesa di cortese riscontro.
Anche a Voi porgo distinti saluti, con l'augurio di buon lavoro e soprattutto di Buona Fortuna!
Ogni riferimento a fatti e persone è puramente veritiero. Di alcune persone conoscete il nome, di altre lascio a Voi il piacere di indovinarlo.
Per lamentele e solo per lamentele, non per chiarimenti, ecco dove trovarmi:
Dr.Elio CORTI - Via del Castagnone 30 - 15048 Valenza AL - Tel.0131/924278
Buon Natale.
NEWS
Il 26 novembre ho dato le dimissioni dall'AIA Ticinese a causa di:
"incomprensioni intercorrenti tra me e il Presidente della FAI"
[ci tengo a sottolineare: tra me e il presidente, non tra il presidente e me].
Da notizie di corridoio, uno di quei lunghi corridoi che collegano le sparute Associazioni di Avicoltori, pare tiri aria di fronda. Non vorrei che presto, da presidente della F.A.I., il presidente si tramuti in:
PRESIDENTE del FAI_da_te
Dopo
pochi giorni dall'invio
ebbi
il piacere di ricevere un riscontro telefonico
da Paola Cavigliasso
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