Ulisse Aldrovandi

Ornithologiae tomus alter - 1600

Liber Decimusquartus
qui est 
de Pulveratricibus Domesticis

Libro XIV
che tratta delle domestiche amanti della polvere

trascrizione di Fernando Civardi - traduzione di Elio Corti - revisione di Roberto Ricciardi

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Post exclusionem reperi in putamine tunicas duas albas nativas una cum duabus aliis in incubatu genitis, secundina nempe, et quae foetum ipsum involverat, in qua excrementum adhuc inerat subalbidum. Evidenter adhuc apparebant in pullo tria illa vasa umbilicalia, duae scilicet arteriae, et vena una, et orificium umbilici valde erat contractum. Vena vero iecori per alium ramum, qui recta ad illud tendebat, inseri videbatur. Mirum autem erat, quod extra id nihil lutei appareret, cum tamen in cavitate abdominis, ubi intestina sunt, prope anum pullus per umbilicum totum fere id absorbuerat, simul cum quinta tunica, quae id involverat. Tanta autem ibi lutei inerat copia, ut vix duplo plus sit in ovo nondum incubato. Aristoteles etiam scripsit[1], decima ab ortu die si alvus abscindatur aliquid adhuc lutei in ea conspici. Sed consideratione in primis dignum est, quomodo eiusmodi membrana, quam una cum vitello a pullo absumi diximus, post eijciatur. Videtur autem dicendum, quod per eandem viam, {umbelicum} <umbilicum> videlicet, regredi debeat, vel per anum, quod potius credo. Tunicae huic duo vasa implantantur, quorum unum arteriam esse, et a corde proficisci pulsus indicat: alterum vena est, deferturque ad intestina, lutei videlicet vehiculum{:}<.> Hepar erat coloris admodum lutei, forte quod ex luteo per venas attracto nutriatur.

Dopo la schiusa trovai dentro al guscio le sue due membrane bianche insieme alle altre due generatesi durante l’incubazione, e precisamente quella del secondamento – allantoide - e quella che aveva avvolto il feto stesso– amnios - nella quale era ancora presente una secrezione biancastra. Nel pulcino erano ancora chiaramente visibili quei tre vasi ombelicali, cioè due arterie e una vena, e l’apertura dell’ombelico era molto ridotta in ampiezza. Era possibile vedere la vena inserirsi nel fegato attraverso un altro ramo che si dirigeva direttamente verso di esso. Era degno di nota il fatto che oltre a ciò nulla del tuorlo era visibile, dal momento che attraverso l’ombelico il pulcino l’aveva quasi del tutto assorbito nella cavità dell’addome là dove si trovano le anse intestinali in prossimità dell’ano, insieme alla quinta membrana che l’aveva avvolto. Infatti in questa sede vi era una così grande abbondanza di tuorlo che nell’uovo non ancora sottoposto a incubazione se ne trova appena più del doppio. Aristotele ha anche scritto che se al decimo giorno dopo la nascita si taglia l’addome vi si vede ancora qualcosa del tuorlo. Ma è innanzitutto degno di considerazione il modo in cui tale membrana, che abbiamo detto venire assorbita dal pulcino insieme al tuorlo, venga successivamente espulsa. Sembra infatti che si possa dire che fuoriesca per la stessa via, cioè attraverso l’ombelico, oppure attraverso l’ano, cosa che preferibilmente credo. In questa membrana si impiantano due vasi, dei quali uno è un’arteria, e la pulsazione indica che parte dal cuore: l’altro è una vena e si porta alle anse intestinali, evidentemente veicolo del tuorlo. Il fegato era di un colore intensamente giallo, forse perché viene nutrito dal tuorlo richiamato attraverso le vene.

Praetereo modo tritam illam, ideoque otiosam potius, quam curiosam quaestionem, num Gallina prior ovo sit, an contra. Constat enim Gallinam fuisse prius ex sacris bibliis, quae docent animalia ab initio mundi fuisse creata: non igitur ex ovo Gallina, sed ex nihilo. Quod si vero quis obstinatius dicat, omnia quae sunt aliquando coepisse, ideoque ovum a natura iure prius factum videri, quoniam quod incipit, imperfectum adhuc, et informe sit, et ad perfectionem sui per procedentis artis, et temporis additamenta formetur. {. Ille} <, ille> facile acquieturus est, dum ovum, cuius est, nec initium, nec finem esse sciat. Nam initium semen est, finis avis ipsa formata, ovum vero seminis digestio. Cum igitur semen animalis sit, et ovum seminis: ovum sane ante animal esse non potuit. Quod si rursus ova avium seminaria esse dicat, ipsum quid semen sit ignorare dicam. Semen autem ex Philosophorum sententia, generatio est ad eius, ex quo est, similitudinem pergens. Quomodo itaque queat ad similitudinem rei pergi, quae necdum est? Sic etiam neque semen ex eo, quod nondum subsistit, emanat. Verum de hac quaestione Plutarchum[2], Macrobium[3] lector consulere poterit, qui exacte eam tractant. Nobis enim diutius ei immorari et locus, et tempus prohibent.

Accenno appena di sfuggita a quella questione trita, e pertanto oziosa più che curiosa, cioè se la gallina esiste prima dell’uovo o il contrario. Dalle sacre scritture risulta infatti che la gallina è esistita prima, ed esse insegnano che gli animali furono creati dall’inizio del mondo: pertanto la gallina non viene dall’uovo, ma dal nulla. Ma se qualcuno più ostinatamente volesse affermare che tutte quante le cose esistenti hanno avuto inizio in un determinato momento, e che pertanto parrebbe che a buon diritto l’uovo sia stato creato per primo dalla natura in quanto ciò che inizia è ancora imperfetto e informe e che vada incamminandosi verso il proprio perfezionamento attraverso un'aggiunta progressiva di lavoro e tempo, costui potrà facilmente tranquillizzarsi, dal momento che deve sapere che un uovo, di chiunque esso sia, non rappresenta né l’inizio né la fine. Infatti l’inizio è rappresentato dal seme, la fine dallo stesso uccello fatto e finito, ma l’uovo è la cozione del seme. Pertanto essendo il seme dell’animale, e l’uovo del seme, ovviamente l’uovo non è potuto esistere prima dell’animale. Ma se poi affermasse che le uova degli uccelli sono dei semenzai, allora direi che lui ignora che cosa sia un seme. Infatti secondo il punto di vista dei filosofi un seme è una procreazione che è diretta verso la rassomiglianza di ciò dal quale deriva. Pertanto come potrebbe dirigersi verso la rassomiglianza di una cosa che ancora non esiste? Così pure il seme non scaturisce da ciò che ancora non esiste. Ma su questa diatriba il lettore potrà consultare Plutarco e Macrobio che ne trattano in modo esatto. Infatti, tempo e luogo ci proibiscono di dilungarci oltre.

Pariunt Gallinae, Perdicesque ova complura, ut, Aristoteles tradidit, et Plinius ex eo repetiit, et quotidiana experientia docet: aliae tamen aliis plura pro aetatis ratione: iuvencae enim, teste Plinio[4] plura, quam veteres, sed minora, et in eodem foetu prima ac novissima pariunt. Quare Varro[5] anniculas ad partum, aut bimas appositissimas dicebat. Confecta vero bruma parere fere incipiunt, atque earum, quae sunt foecundissimae locis tepidioribus circa calendas Ianuarias, frigidis eodem mense post idus[6]. Coeunt autem, et pariunt omnibus anni temporibus, exceptis brumalibus diebus, teste Aristotele[7], qui tamen alibi binos brumales menses excipit, quam postremam sententiam Plinius sequutus est, et experientia comprobat[8]. Pariunt tamen nonnullae et his diebus sed raro. Sunt quae tam multa pariant, ut id bis etiam die faciant. Sed tales, teste Aristotele[9], cito pereunt. Hyperinae[10] enim, id est, exhaustae, effoetaeque et aves, et plantae fiunt. Optima foetura est, quae ante vernum aequinoctium {a}editur. Post solstitium nata non implent magnitudinem iustam, tantoque minus quanto serius provenere. Unde dicebat M. Varro[11]: Aiunt optimum esse partum {aequinoctio verno, aut autumnali} <ab aequinoctio verno ad autumnale>. Itaque quae ante, aut postea nata sunt, et etiam prima eo tempore non supponenda. Sed de differentiis partus supra diximus.

Come ha riferito Aristotele, e come Plinio ha citato traendo da lui la notizia, e come ci insegna l’esperienza quotidiana, le galline e le pernici depongono parecchie uova: tuttavia alcune ne depongono più di altre per motivi di età: infatti, secondo Plinio, quelle giovani ne depongono di più rispetto a quelle anziane, ma sono di dimensioni più piccole, e nell’arco di una stessa carriera produttiva lo sono le prime e le ultime. Motivo per cui Varrone diceva che erano estremamente adatte alla deposizione quelle di uno o due anni. Per lo più cominciano a deporre quando l’inverno è terminato, e nelle zone più miti quelle che tra loro sono molto feconde lo fanno intorno alle calende di gennaio - 1° gennaio, in quelle fredde nello stesso mese dopo le idi - 13 gennaio. Tuttavia si accoppiano e depongono in tutti i periodi dell’anno eccetto che nei giorni invernali, secondo Aristotele, il quale tuttavia in un altro punto esclude un paio di mesi invernali, e quest’ultima affermazione l’ha seguita Plinio, e l’esperienza la conferma. Alcune tuttavia depongono anche in questi giorni, ma di rado. Vi sono di quelle che ne depongono così tante che lo fanno anche due volte in un giorno. Ma tali galline, secondo Aristotele, muoiono presto. Infatti sia gli uccelli che le piante diventano hyperinae, cioè esausti e stremati dal parto. È un ottimo prodotto quello che viene partorito prima dell’equinozio di primavera. Quelle deposte dopo il solstizio d’estate non raggiungono le giuste dimensioni, e tanto meno quanto più tardi sono state deposte. Per cui Marco Varrone diceva: Dicono che è ottima la deposizione che avviene dall’equinozio di primavera a quello d’autunno. Pertanto quelle che sono state deposte prima o dopo, e anche le prime deposte in tale periodo, non sono da mettere a covare. Ma sulle differenze della deposizione abbiamo parlato in precedenza.

Parituram sese Gallina clamore prodit, eodemque peperisse se testatur, quod si impediatur, mox tamen sibi relicta cantum absolvit: eiusmodi cantum Columella[12] singultum appellasse videri potest, dum ait: Parituras se Gallinae testantur crebris singultibus interiecta voce acuta. Sunt qui dolere eas, cum pariunt, arbitrantur. Ambrosius Nolanus quaerens cur solae Gallinae parto ovo gracillent, sive cantent: An quia, inquit, tum maxime dolent, non eo quod exiens ovum laesit, sed quoniam locus vacuus factus aerem suscepit frigidum, quo pacto et lotium facientibus, dum vesica inanita est, aërem capiens dolorem movet quendam. Verum nunquid ob ingressum in vulvam aërem doleant, si modo verum est, quod doleant, aliis diiudicandum reli<n>quo. Profecto parere eas sine dolore ex Aristotele colligitur, dum, ut antea quoque diximus, testam membranam mollem [220] fuisse scribat ante partum.

Una gallina fa sapere schiamazzando che sta per partorire, e sempre schiamazzando annuncia di aver partorito, e se lo si impedisce, non appena viene lasciata a se stessa si mette a cantare: pare che Columella abbia definito singhiozzo questo modo di cantare quando dice: Le galline annunciano che stanno per partorire attraverso numerosi singhiozzi con l’interposizione di una voce acuta. Alcuni ritengono che esse soffrono quando partoriscono. Ambrogio Leone - Ambrosius Leo Nolanus - nel chiedersi perché solamente le galline gracchiano, oppure cantano dopo aver deposto l’uovo, dice: Forse perché in quel momento stanno soffrendo moltissimo, non perché l’uovo nel fuoriuscire ha prodotto delle lesioni, ma in quanto lo spazio diventato vuoto ha accolto dell’aria fredda, come accade anche a coloro che stanno urinando, ai quali la vescica quando si è svuotata, assumendo dell’aria, provoca un certo dolore. A dire il vero, lascio ad altri il compito di decidere se soffrono per entrata di aria nell’apparato genitale, se poi è vero che soffrono. Senza ombra di dubbio si può dedurre da Aristotele che esse partoriscono senza dolore dal momento che, come ho già detto prima, egli scrive che prima del parto il guscio è un involucro molle.


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[1] Historia animalium VI,3, 562a 14-16: Da ultimo il giallo, che è andato sempre diminuendo, finisce per essere del tutto consumato e assorbito nel pulcino, tanto che, se si seziona il pulcino dopo ben dieci giorni dall’uscita dall’uovo, si trova ancora un poco di giallo rimasto attaccato all’intestino; però è separato dal cordone ombelicale e non ve n’è più nel tratto intermedio, perché è stato interamente consumato. (traduzione di Mario Vegetti)

[2] Symposia, 2. (Aldrovandi) – Symposia (Quaestiones conviviales), II 3,1 sgg. (= pag. 635D sgg.)

[3] Saturnalia, VII. (Aldrovandi) - Aldrovandi rimaneggia un poco il testo di Macrobio VII,16: “Si concedimus omnia quae sunt aliquando coepisse, ovum prius a natura factum iure aestimabitur. Semper enim quod incipit inperfectum adhuc et informe est et ad perfectionem sui per praecedentis artis et temporis additamenta formatur: ergo [...]” e, oltre a rimaneggiarlo, usa l’espressione procedentis artis invece di praecedentis artis.

[4] Aristotele De generatione animalium III,1, 749b: Negli uccelli pesanti e che non volano, come nei polli, nelle pernici e in tutti gli altri di questo tipo, siffatto residuo si produce abbondantemente; per questo i maschi sono propensi al coito e le femmine emettono abbondante materia. Alcuni di siffatti uccelli depongono molte uova, altri di frequente: molte la gallina per esempio, la pernice e lo struzzo, mentre i colombidi non ne depongono molte, ma frequentemente. (traduzione di Diego Lanza) - Plinio Naturalis historia X,146: Quaedam omni tempore coeunt, ut gallinae, et pariunt, praeterquam duobus mensibus hiemis brumalibus. Ex iis iuvencae plura quam veteres, sed minora, et in eodem fetu prima ac novissima. Est autem tanta fecunditas ut aliquae et sexagena pariant, aliquae cotidie, aliquae bis die, aliquae in tantum ut effetae moriantur. Hadrianis laus maxima.

[5] Rerum rusticarum III,9,9: Adpositissimae ad partum sunt anniculae aut bimae.

[6] Columella, De re rustica VIII,5,1: Confecta bruma parere fere id genus avium consuevit. Atque earum quae sunt fecundissimae locis tepidioribus circa Kalendas Ianuarias ova edere incipiunt, frigidis autem regionibus eodem mense post Idus. - Ai tempi di Columella il calendario giuliano, voluto da Giulio Cesare nel 46 aC, era in uso ormai da circa un secolo, per cui le idi di gennaio cadevano al 13 anziché al 15 dello stesso mese.

[7] Historia animalium V,13, 544a 24-544b 11 (passim): Quanto agli uccelli domestici, o che possono essere addomesticati, essi depongono uova più volte, per esempio i colombi, che lo fanno lungo tutta l’estate, e il genere dei gallinacei, nel cui ambito i maschi effettuano il coito e le femmine lo subiscono e depongono uova in ogni stagione, tranne che nei giorni del solstizio d’inverno. <...> I colombi  depongono uova e le covano in ogni stagione, se sono provvisti di un luogo caldo e di tutto il necessario; altrimenti, solo d’estate. Le covate migliori risultano quelle della primavera e dell’autunno, mentre quelle estive, cioè delle giornate molto calde, sono le meno buone. (traduzione di Mario Vegetti)

[8] Historia animalium VI,1, 558b 13-14: È il caso ad esempio della gallina e della colomba; la prima anzi genera tutto l’anno ad eccezione dei due mesi del solstizio invernale. V,13, 544a 33: Quanto agli uccelli domestici, o che possono essere addomesticati, essi depongono uova più volte, per esempio i colombi, che lo fanno lungo tutta l’estate, e il genere dei gallinacei, nel cui ambito i maschi effettuano il coito e le femmine lo subiscono e depongono uova in ogni stagione, tranne che nei giorni del solstizio d’inverno (traduzione di Mario Vegetti) – Plinio Naturalis historia X, 146: Quaedam omni tempore coeunt, ut gallinae, et pariunt, praeterquam duobus mensibus hiemis brumalibus.

[9] De generatione animalium III,1, 750a 29-30: Anche alcune galline che hanno deposto troppe uova, persino due al giorno, dopo questa ricca produzione muoiono. Sia gli uccelli sia le piante sono completamente consumati e questa affezione consiste nell’eccesso di escrezione del residuo. (traduzione di Diego Lanza)

[10] L’aggettivo greco hypérinos significa purgato eccessivamente, estenuato da eccessiva fecondità.

[11] Si emenda in base al testo edito dalla utet nel 1974 e che è il seguente: ab aequinoctio verno ad autumnale. Aldrovandi ha fatto il download da pagina 426/427 della Historia animalium III (1555) di Conrad Gessner, ma il testo di Varrone citato da Gessner non ha assolutamente senso. – Varrone Rerum rusticarum III,9,9: Optimum esse partum ab aequinoctio verno ad autumnale. Itaque quae ante aut post nata sunt et etiam prima eo tempore, non supponenda; et ea quae subicias, potius vetulis quam pullitris, et quae rostra aut ungues non habeant acutos, quae debent potius in concipiendo occupatae esse quam incubando. Adpositissimae ad partum sunt anniculae aut bimae.

[12] La fonte della citazione è Alberto Magno, come possiamo desumere da Conrad Gessner Historia animalium III (1555) pag. 415: Gallina cum clamore accedit ad nidum, et cum clamore ab eodem recedit. quod si impediatur, mox tamen sibi relicta cantum absolvit, Albert. - Lo schiamazzo della gallina quando sta recandosi al nido e quando ne esce è ovviamente in rapporto al fatto che deve deporre l'uovo e che l'ha deposto. Ma Aldrovandi, rimaneggiando il testo di Gessner che sta citando Alberto, grazie a delle tortuosità sintattiche a lui congeniali sembra fare un'affermazione che ha tutto il sapore di un sadismo nei confronti della gallina: parrebbe che qualcuno si sia messo in testa non di impedire alla gallina di uscire dal nido, bensì di deporre l'uovo, che so, tappandole magari l'orifizio cloacale con un dito. Si traduce il testo così come proposto da Aldrovandi, ma Alberto ha voluto dire tutt'altro: se blocchiamo la gallina nel nido essa non canta nonostante abbia deposto l'uovo, mentre si mette subito a cantare non appena viene lasciata libera di abbandonare il nido. - Columella De re rustica VIII,5: Adsiduus autem debet esse custos et speculari parientes, quod se facere gallinae testantur crebris singultibus interiecta voce acuta.