Ulisse Aldrovandi

Ornithologiae tomus alter - 1600

Liber Decimusquartus
qui est 
de Pulveratricibus Domesticis

Libro XIV
che tratta delle domestiche amanti della polvere

trascrizione di Fernando Civardi - traduzione di Elio Corti

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Quam portionem Gallum vocant sapientes: qui interpretantur dictum Socratis, quod moriens, teste Platone dixit, Gallum Aesculapio debeo, reddite. Et bene Gallus vocatur lumen illud, quod a supramundano sole procedit: cum inter solares aves Gallus primum locum tenet. Hinc praeco est lucis, quae inde venit: de qua luce Ioannes[1] ait: Erat lux vera, quae illuminat omnem hominem venientem in hunc mundum.

I sapienti chiamano gallo quell'obbligo morale: i quali interpretano la frase di Socrate, in quanto in punto di morte, testimone Platone, disse: sono debitore di un gallo ad Esculapio, dateglielo. E viene correttamente chiamata gallo quella luce che proviene dal sole che sta sopra alla Terra,: dal momento che il gallo occupa il primo posto tra gli uccelli solari. Da qui origina l’araldo della luce, la quale viene da lì: di questa luce Giovanni dice: Era la vera luce che illumina qualsiasi uomo che viene in questo mondo.

Quae sane doctrina congruit omnino, ut videtur, D. Ambrosio[2], ita scribenti: Est etiam Galli cantus suavis in noctibus, nec solum suavis, sed etiam utilis, qui quasi bonus cohabitator et dormientem excitat, et solicitum admonet, et viantem solatur, processum noctis canora significatione protestans. Hoc canente, latro suas relinquit insidias, hoc ipse Lucifer excitatus oritur, caelumque illuminat, hoc canente moestitiam trepidus nauta deponit, omnisque crebro vespertinis flatibus excitata tempestas, et procella mitescit, hoc canente devotus affectu exilit ad precandum, legendi quoque munus instaurat, hoc postremo canente, ipsa ecclesiae petra culpam suam diluit, quam priusquam Gallus cantaret ter negando contraxerat. Istius cantu spes omnibus redit, aegris levatur incommodum, minuitur dolor vulnerum, febrium flagrantia mitigatur, revertitur fides lapsis, Iesus titubantes respicit, errantes corrigit. Denique respexit Petrum, et statim error abscessit. Quod non fortuito accidisse, sed ex sententia Domini, lectio docet. Sic enim scriptum est, quia dixit Iesus ad Simonem: Non cantabit Gallus priusquam me ter abneges. Bene fortis in die Petrus, nocte turbatur, et ante Galli cantum labitur, etiam tertio: ut scias non inconsulta effusione sermonis esse prolapsum, sed mentis quoque mutatione turbatum. Idem tamen post Galli cantum fit fortior, et iam dignus, quem Christus aspiciat. Oculi Domini super iustos. Agnovit venisse remedium, post quod iam errare non posset: et in virtutem ab errore mutatus amarissime flevit, ut lachrymis suis deleret peccatum.

Senza alcun dubbio questa dottrina concorda appieno, a quanto pare, con Sant’Ambrogio che scrive così: Anche il canto del gallo è soave durante le notti, né solo soave, ma anche utile in quanto, come se fosse un buon coinquilino, sveglia chi dorme, calma chi è agitato e conforta il viandante, testimoniando con un segnale canoro il procedere della notte. Quando egli canta il brigante lascia da parte la sua insidia, lo stesso Lucifero da lui svegliato sorge e illumina il cielo, quando egli canta il marinaio impaurito lascia cadere la tristezza, e qualunque tempesta e burrasca spesso risvegliata dai venti della sera si placa, quando egli canta la persona devota piena di desiderio schizza in piedi per pregare e rinnova anche il dovere di leggere, infine quando lui canta la stessa pietra su cui è stata fondata la Chiesa attenua la sua colpa, di cui si era macchiata rinnegando tre volte prima che il gallo cantasse. Al suo canto torna a tutti la speranza, agli ammalati viene attenuata la sofferenza, viene ridotto il dolore delle ferite, viene mitigato l’ardore delle febbri, ritorna la fiducia a coloro che hanno sbagliato, Gesù si prende cura di coloro che sono titubanti, mette sulla retta via gli instabili. Infine si è preso cura di Pietro e improvvisamente l’errore è scomparso. Il testo insegna che ciò non accadde casualmente, ma per volontà del Signore. Infatti è stato scritto così, in quanto Gesù disse rivolto a Simone: Non canterà il gallo prima che tu mi abbia rinnegato tre volte. Pietro, bello forte durante il giorno, durante la notte viene turbato, e va a cascare prima del canto del gallo, anche per la terza volta: e devi sapere che non è cascato per un parlare inconsulto, ma anche perché turbato da un cambiamento avvenuto nel cervello. Tuttavia lui dopo il canto del gallo diventa più forte e ormai degno che Cristo gli rivolga lo sguardo. Gli occhi del Signore sono puntati sui giusti. Si rese conto che era giunta la terapia, dopo la quale ormai non avrebbe potuto sbagliare: e mutato dall’errore in virtù pianse amarissimamente per cancellare con le sue lacrime il peccato.

Ad Galli eiusmodi cantum hymnus Prudentii[3] legitur elegantissimus, quem eo maxime adijcere placuit, quod totam mysticam historiam proxime superioribus accommodatam, ac consentientem complectatur.

Si può leggere un elegantissimo inno di Prudenzio dedicato al canto di quel gallo, che mi è sembrato estremamente opportuno inserire in quanto racchiude tutta quanta la mistica storia che si adatta molto da vicino a quelle precedenti e che concorda con esse.

Ales diei nuncius

Lucem propinquam <prae>cecinit

Nos excitator mentium

Iam Christus ad vitam vocat.

[5] Auferte clamat lectulos

Aegros, sopores, desides,

Castique, recti, ac sobrii

Vigilate iam sum proximus.

Post Solis ortum fulgidi

[10] Serum est cubile spernere,

{Ne} <Ni> parte noctis addita

Tempus labori adieceris.

Vox ista, qua strepunt aves

Stantes sub ipso culmine

[15] Paulo ante quam lux emicet

Nostri figura est {indicis} <iudicis>.

Tectos tenebris horridis

Stratisque opertos segnibus

Suadet quietem linquere

[20] Iam iamque venturo die.

Ut cum coruscis flatibus

Aurora caelum sparserit,

Omnes labore exercitos

[25] Confirmet ad spem luminis.

Hic somnus ad tempus datus

Est forma mortis perpetis,

Peccata ceu nox horrida

Cogunt iacere, ac stertere.

[30] Sed vox ab alto culmine

Christi docentis praemonet

Adesse iam lucem prope

Ne mens sopori serviat.

Ne somnus usque ad terminos

[35] Vitae socordis opprimat,

Pectus sepultum crimine,

Et lucis oblitum suae.

Ferunt vagantes daemones

Laetos tenebris noctium

[40] Gallo canente exterritos

Sparsim timere, et cedere.

Invisa nam vicinitas,

Lucis, salutis, numinis,

Rupto tenebrarum situ,

[45] Noctis fugat satellites.

Hoc esse signum praescii

Norunt repromissae spei,

Qua nos soporis liberi

Speramus adventum Dei.

[50] Quae vis sit huius alitis,

Salvator ostendit Petro,

Ter antequam Gallus canat

Sese negandum praedicans.

Fit namque {peccator} <peccatum> prius,

[55] Quam praeco lucis proximae

Illustret humanum genus,

Finemque {precandi} <peccandi> ferat.

Flevit negator denique

Ex ore prolapsum nefas

[60] Cum mens maneret innocens

Animusque servaret fidem.

Nec tale quicquam postea

Linguae locutus lubrico est

Cantuque Galli cognito

[65] Peccare iustus destitit.

Inde est, quod omnes credimus

Illo quietis tempore

Quo Gallus exultans canit

Christum redisse ex inferis.

L’alato messaggero del giorno

ha preannunciato col canto la luce ormai vicina

Cristo stimolatore delle menti

ormai ci chiama alla vita.

[5] Egli grida portate via i talami

malati, addormentati, oziosi,

e casti, retti e sobrii

vigilate, sono ormai vicino.

Dopo il sorgere del fulgido sole

[10] è tardi per disprezzare il giaciglio,

se non c’è stata un’aggiunta di una parte della notte

avrai aggiunto tempo alla fatica.

Questa voce, con la quale schiamazzano gli uccelli

ritti sotto lo stesso cornicione del tetto

[15] poco prima che la luce risplenda

è l’immagine del nostro giudice.

Coloro che sono coperti da tenebre terrificanti

e che sono ricoperti da oziose coperte

persuade a lasciare il riposo

[20] in quanto il giorno sta ormai per arrivare.

Affinché quando con soffi scintillanti

l’aurora avrà screziato il cielo

tutti coloro che sono abituati alla fatica

[25] li rassicuri nella speranza della luce.

Questo sonno dato a tempo debito

è l’aspetto di una morte ininterrotta,

i peccati o la notte terrificante

costringono a dormire, e a dormire profondamente.

[30] Ma la voce dall’alto edificio

preannuncia che di Cristo maestro

la luce è ormai vicina

affinché la mente non si assoggetti al sopore.

Affinché il sonno fino ai limiti estremi

[35] di una vita apatica non ci opprima,

con il petto sepolto dal peccato,

e dimentico della sua luce.

Dicono che i demoni vagano

lieti per le tenebre delle notti

[40] e che atterriti dal gallo che canta

qua e là temono e se ne vanno.

Infatti la vicinanza ostile

della luce, della salvezza, del nume,

dopo aver squarciato il luogo delle tenebre,

[45] mette in fuga i ministri della notte.

Che questo è un segno di un presagio

lo sanno, di una speranza garantita,

grazie alla quale liberi dal sopore

speriamo l’arrivo di Dio.

[50] Quale sia il potere di questo uccello,

il Salvatore lo mostrò a Pietro,

che tre volte prima che il gallo canti

predicendo che l’avrebbe rinnegato.

E infatti il peccato accade prima

[55] che l’araldo della luce vicina

illumini il genere umano,

e porti la fine del peccare.

Infine il negatore pianse

la nefandezza fuoriuscita dalla bocca

[60] mentre la mente rimaneva innocente

e l’animo conservava la fede.

Né successivamente nulla di simile

ha proferito con la lingua in modo ingannevole

e dopo aver sentito il canto del gallo

[65] il giusto smise di peccare.

Da ciò deriva quello che tutti crediamo

che in quel periodo di riposo

in cui il gallo canta esultante

Cristo fece ritorno dagli inferi.


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[1] Giovanni 1:9: Erat lux vera quae inluminat omnem hominem venientem in mundum.

[2] Hexaemeron libri sex, L. 5. (Aldrovandi)

[3] Cathemerinon. (Aldrovandi) - Hymnus primus - Le correzioni al testo di Aldrovandi sono state fatte sulla base di quello contenuto in Aurelii Prudentii Clementis opera interpretate e annotate da Stephanus Chamillard SJ, Parisiis, apud Viduam Claudii Thiboust et Petrum Esclassan, 1687.