La genetica molecolare non è ancora riuscita a dimostrare l’ereditabilità di una caratteristica acquisita dovuta all’ambiente.
Se accettiamo che questa possibilità rimanga per sempre una chimera, dobbiamo ammettere che le giraffe hanno optato per il loro habitat in quanto, qui, le chiome degli alberi sono alte proprio al punto giusto, che galli combattenti non si nasce in quanto lo si diventa solo dopo estenuante allenamento, che le acque sono state inventate per allestire un enorme acquario dove ospitare pesci e cetacei, che le foreste equatoriali sono sbocciate con l’unico scopo di permettere alla pelle già nera di carpire quel poco sole che così il fogliame concedeva ai terricoli, che galli canterini si è e si rimane, per cui si è costretti a cantare le lodi di Dio per tutta l’eternità.
La Biologia possiede ancora
molte tessere di mosaico accatastate alla rinfusa ed è solo in attesa di un
aiuto da parte dei lustri a venire.
Castle (1930) affermava giustamente:
“La verità non si trova nell’opinione lamarckiana secondo cui tutti i caratteri acquisiti sono ereditari, e neppure in quella weismanniana per la quale nessuna influenza esterna possa modificare il plasma germinativo. La verità dovrebbe risiedere in una concezione intermedia.”
Per ora dobbiamo forzatamente affermare che i caratteri
acquisiti non sono ereditabili, anche se ciò non significa che non si possano
produrre mutazioni per intervento di fattori esterni. Le radiazioni ionizzanti
e penetranti, come i raggi X, i raggi g
del radio e di altri atomi radioattivi, nonché i neutroni dei reattori
nucleari, sono mutageni molto noti. Sostanze chimiche come l’iprite e suoi
derivati azotati o solforati, la formaldeide, l’acido nitroso, e altri
composti ancora, sono anch’essi mutageni.
Gli agenti mutageni inducono mutazioni solamente nelle cellule sulle quali agiscono direttamente, e forse solo se agiscono direttamente sul nucleo. Così, applicando raggi X a una parte qualsiasi del corpo, se le gonadi sono al di fuori della loro portata, non vengono indotte mutazioni nei gameti. Invece, se i raggi X sono applicati alle gonadi oppure ai gameti stessi, vengono prodotte trasmutazioni artificiali dei geni e aberrazioni cromosomiche.
Per una ragione
simile, nella maggior parte degli organismi le radiazioni UV non producono
mutazioni gametiche, perché non possono penetrare abbastanza a fondo da
raggiungere le cellule germinali. Se si espongono direttamente i gameti alla
luce ultravioletta, allora vedremo insorgere delle mutazioni. Anche i composti
chimici mutageni possono provocare mutazioni solamente nelle cellule entro le
quali riescono a penetrare.
Fin dal momento della scoperta in Drosophila dell’azione mutagena delle radiazioni ha avuto inizio
il dibattito sull’eventuale incremento artificiale del tasso di mutazione
nell’uomo. Non sappiamo ancora se molti composti chimici presenti nell’ambiente
abbiano un effetto mutageno degno di nota sui geni umani. Nonostante sia stato
dimostrato che molti composti chimici producono mutazioni nei batteri, può
darsi che questi stessi composti, anche se presenti in circolo, non passino
mai attraverso le membrane cellulari e nucleari, oppure, se lo fanno, può
darsi che la quantità sia troppo piccola per avere un effetto mutageno sulle
cellule germinali dell’uomo.
È senz’altro possibile che le molteplici sostanze
incriminate come mutageni per l’uomo siano responsabili di una parte delle
mutazioni apparentemente spontanee, e che il tasso di mutazione sia aumentato
in seguito alla loro presenza nell’ambiente. Una prova della mutagenesi
chimica nell’uomo può essere costituita dall’aumento dei casi di cancro
polmonare. Dato che tra l’origine di questo tumore e le sostanze chimiche
presenti nel fumo di sigaretta esiste un nesso causale e, nell’ipotesi che i
tumori siano la conseguenza di mutazioni somatiche nelle cellule epiteliali
dei polmoni, allora la mutagenesi chimica raggiunge un tasso pericoloso.
In genere i
mutageni non sono specifici per loci particolari,
oppure per gruppi di loci. Questo è un fatto che non giunge inatteso se si
tiene conto della struttura dei geni, frutto della combinazione delle solite
quattro coppie di nucleotidi che offrono possibilità relativamente scarse di
cambiamenti specifici. Nonostante ciò, la sequenza delle coppie di nucleotidi
varia da gene a gene, e alcuni
mutageni possono attaccare di preferenza combinazioni specifiche
entro un segmento del gene. Inoltre, alcuni geni sono più ricchi di alcune
coppie di basi che di altre, e alcuni
mutageni interagiscono di preferenza con specifiche basi.
Per esempio, la luce ultravioletta viene assorbita in
misura molto maggiore dalle pirimidine, timina e citosina, piuttosto che dalle
purine. L’assorbimento di UV distrugge certi legami in queste basi, col
risultato che due pirimidine adiacenti nella sequenza nucleotidica possono
venire a legarsi tra loro a formare dimeri, cioè strutture molecolari
costituite da due strutture singole e identiche, invece che rimanere appaiate
con le basi puriniche complementari lungo la molecola del gene. La formazione
dei dimeri può dare come risultato un gene mutante.
Di solito, ricorrendo alle radiazioni o agli agenti
chimici, in una cellula qualsiasi si possono far mutare solamente uno o pochi
geni, e solamente un allele di ogni coppia. Questa bassa resa in
mutazioni
per cellula
è evidentemente determinata dalla scarsa quantità di radiazioni o di
composto chimico che si può impiegare senza uccidere la cellula. Al di sotto
della dose letale, l’agente mutageno rimane ancora relativamente diluito.
Quando nel 1927 Muller scoprì gli effetti mutageni da
raggi X, si chiese se le radiazioni
spontanee da atomi radioattivi rari, ma comunque presenti nel
suolo, nell’aria, nel cibo e all’interno del corpo, nonché se le radiazioni da raggi cosmici
potessero spiegare le mutazioni naturali classificate come spontanee.
I calcoli furono subito eseguiti, dimostrando che ciò non
poteva essere vero, almeno per la Drosofila. Nonostante il tasso di mutazione
sia basso, le radiazioni presenti in natura dovrebbero essere più di mille
volte superiori a quel che sono in realtà per produrre il tasso di mutazione
osservato. Di conseguenza, la maggioranza delle mutazioni spontanee deve
essere spiegata in base alla presenza di altri agenti.
Abbiamo visto che alcune sostanze chimiche utilizzate negli esperimenti
possono indurre mutazioni. Oltre a ciò, dobbiamo aggiungere che le radiazioni
esercitano il massimo effetto sui geni in modo indiretto, e precisamente
attraverso la produzione intracellulare di sostanze chimiche altamente
reattive. È perciò ragionevole supporre che alcune sostanze derivate dall’ambiente,
cioè dal cibo, dall’acqua e dall’aria, così come alcuni prodotti interni
del metabolismo cellulare normale, possano in qualche caso determinare
mutazioni.
Agli agenti chimici si contrappongono le fluttuazioni di energia,
che appartengono agli agenti fisici. Poiché i geni sono molecole, dovremmo
applicare nei loro confronti le leggi che governano la stabilità molecolare.
In base a queste leggi è noto che, data
un’energia sufficiente, i legami tra gli atomi si spezzano e permettono la
formazione di nuove strutture molecolari. L’alta stabilità dei geni
sembra voler significare che è necessaria una considerevole quantità di
energia per apportare dei cambiamenti nella loro struttura molecolare; ma ci
si può aspettare che le fluttuazioni normali di energia possano essere
abbastanza grandi da determinare cambiamenti genetici.
Queste fluttuazioni naturali possono essere di origine
esterna, come accade per esempio con le oscillazioni della temperatura che circonda da vicino il gene,
oppure possono avvenire all’interno del gene stesso, forse come concentrazione casuale in alcuni legami specifici
dell’energia interatomica, che di norma è ampiamente distribuita lungo la
molecola del gene.
La temperatura è un agente importante vista l’influenza che essa esercita sulla reattività e sulla stabilità delle molecole. Perciò, nell’uomo, una probabile fonte di mutazioni spontanee può consistere in alcuni costumi della società umana, consacrati dal tempo, che influenzano la temperatura delle gonadi. La localizzazione delle ovaia all’interno dell’addome le rende largamente immuni dalle interferenze termiche artificiali; invece i testicoli sono esposti a variazioni della temperatura esterna, solo incompletamente contrastata dalla regolazione da parte della muscolatura scrotale e dalle variazioni del flusso sanguigno.
Le misurazioni
della temperatura delle gonadi di uomini vestiti e svestiti hanno dimostrato
che nei primi era di 3°C più elevata rispetto ai secondi, e la temperatura
sale anche di più se si fanno bagni in acqua molto calda oppure bagni di
vapore, come è frequente presso alcune popolazioni nordiche. Esistono prove
in Drosophila che l’aumento di temperatura dei testicoli e degli
spermi maturi comporta un aumento delle mutazioni e possiamo supporre che ciò
possa accadere anche in altri animali.
La sede normale dei testicoli è lo scroto. Essi vi
giungono alla nascita o poco dopo, e non devono rimanere nell’addome, in un
punto qualunque del percorso che li conduce dalla regione renale alla sede
definitiva. Infatti, un testicolo ritenuto va incontro a processi involutivi
con mancata produzione di spermatozoi. Inoltre, e questo è un punto chiave, l’incidenza
di seminomi è elevata in testicoli ritenuti.
Anche se gli agenti mutageni per la Drosofila potrebbero
esserlo anche per l’uomo, uno studio quantitativo suggerisce che l’importanza
relativa dei mutageni può differire notevolmente tra uomo e moscerino. Nella
Drosofila il tasso di mutazione spontanea è troppo elevato per essere
spiegabile solamente grazie alle radiazioni naturali ricevute da un gene
durante il ciclo vitale dell’individuo.
I geni appena mutati presenti nei gameti di un moscerino
adulto rappresentano i cambiamenti genetici accumulati nel breve arco della
sua vita riproduttiva, da quando era uovo appena fecondato fino alla
maturità. Siccome il corrispondente arco biologico dell’uomo è molto più
lungo di quello di un moscerino della frutta, i suoi geni sono esposti alle
radiazioni naturali molto più a lungo di quelli di Drosofila. Di conseguenza,
nell’uomo, una quota molto più consistente delle mutazioni spontanee
potrebbe essere dovuta alla radiazione naturale o radiazione
di base o radiazione di fondo.
Tuttavia, la proporzione esatta non dipende solamente
dalla quantità relativa di radiazioni naturali ricevute dall’uomo e dalla
Drosofila, ma anche dalla sensibilità
relativa dei geni alle radiazioni. Si sa che fattori semplici
come la pressione parziale dell’ossigeno intracellulare, e fattori anche
più complessi, influiscono sulla frequenza mutagena delle radiazioni. Non
sappiamo nulla della sensibilità alle radiazioni dei geni umani. Se essa è
simile a quella dei geni dell’unico mammifero per il quale sono disponibili
dati sperimentali, cioè il topo, allora essa è più elevata di quella del
moscerino della frutta. Nonostante esista la possibilità che quasi tutte le
mutazioni spontanee dell’uomo siano dovute alla radiazione naturale, la maggior parte dei genetisti pensa che solamente
una piccola parte delle mutazioni spontanee umane origini dalla radiazione di
fondo.
Quest’opinione deriva anche dal fatto che è improbabile
che l’attività metabolica delle cellule dell’uomo sia così diversa da
quella di Drosophila, tanto da non
riuscire a produrre ogni tanto qualche mutageno chimico intracellulare.
Inoltre, le gonadi di un moscerino sono esposte a raggi b
esogeni, e forse anche ad alcuni raggi a,
mentre le gonadi dell’uomo sono in gran parte protette da queste particelle
scarsamente penetranti grazie ai tessuti che le circondano. Questo significa
che la quantità di radiazioni assorbita dalle cellule germinali dell’uomo
è minore di quella ricevuta nello stesso intervallo di tempo dalle cellule
germinali del moscerino.
Un ulteriore motivo per incriminare solo raramente le
radiazioni naturali come responsabili di tutte le mutazioni spontanee umane,
deriva dagli esperimenti condotti sul topo. Le vaste sperimentazioni condotte
da Russell dimostrano che la quantità di radiazioni che il topo riesce ad
accumulare durante la sua vita relativamente lunga non può spiegare più dell’1%
del tasso spontaneo di mutazione di sette geni selezionati. Considerando il
fatto che gli esseri umani sono esposti alle radiazioni per un tempo molto
più protratto, e ammettendo che una data dose di radiazioni fa mutare i geni
dell’uomo con la stessa frequenza con la quale fa mutare i geni del topo,
sembrerebbe che la percentuale delle mutazioni spontanee nell’uomo causate
dalle radiazioni naturali sia più elevata di quella del topo.
Non tutte le persone ricevono la stessa quantità di
radiazioni, che aumentano per esempio con l’altitudine, in quanto l’esposizione
ai raggi cosmici è maggiore alle grandi altezze. Tale quantità dipende
inoltre dalla ricchezza in atomi radioattivi di uranio e di torio posseduta
dalle rocce o dal suolo, come è il caso di molti tipi di granito, oppure
dalla loro povertà, come accade per le rocce sedimentarie. Inoltre la
radioattività è influenzata dal tipo di abitazione, poiché le dimore
costruite con rocce contenenti molto materiale radioattivo espongono a dosi
più elevate rispetto alle case costruite in legno oppure in altro materiale
meno radioattivo.
Una radiazione
naturale piuttosto rilevante sotto il profilo genetico consiste
nella quantità totale di radiazione assorbita da un individuo durante il
periodo che va dal suo concepimento fino al momento in cui ha generato la
metà dei suoi figli, che mediamente in Occidente corrisponde all’età di 30
anni. Negli Stati Uniti e in molti altri Paesi questa dose media di fondo è
approssimativamente pari a 3-4r,
dove r
è un’unità di misura delle radiazioni ionizzanti. In un’area
relativamente piccola del Kerala (India sud occidentale) la presenza di
monazite fortemente radioattiva lungo gli arenili aumenta da 10 a 15 volte l’entità
dell’esposizione.
I risultati degli esperimenti in Drosophila e nel topo suggeriscono che la dose di raddoppio consiste in circa 200r di radiazione artificiale, somministrata
a spermatogoni ed oociti in forma cronica,
cioè a bassa intensità e per un periodo prolungato. È stato scelto il
valore di 200r come stima ragionevole in seno ad un intervallo di variabilità
probabile di 120-320r, ma non è stato fissato in modo definitivo. Se si
ammette che anche per l’uomo la stessa dose cronica di 200r porti a una
quantità doppia di mutazioni, allora si dovrebbe concludere che solamente l’1,5-2%
delle mutazioni spontanee è determinato dalla radiazione naturale, dato che
la dose media di fondo, pari a 3-4r, corrisponde all’1,5-2% di 200r.
Si deve sottolineare che le ipotesi sottese a queste
considerazioni non sono comprovate solidamente dai fatti. Per esempio, l’ammissione
che la dose di raddoppio nell’uomo sia simile a quella trovata in Drosofila
e nel topo, può essere molto distante dalla verità. Per giunta, le prove
sull’effetto mutageno delle radiazioni a carico dei 7 geni nel topo
dimostrano che gli effetti mutageni delle radiazioni non presentano un
andamento parallelo a quello osservato per le mutazioni spontanee. I letali recessivi sono molto più numerosi tra le
mutazioni indotte che fra le mutazioni spontanee;
per di più, le frequenze relative delle mutazioni indotte a carico dei 7 loci
del topo sono differenti rispetto a quelle che si presentano tra le mutazioni
spontanee. In altre parole, le
radiazioni inducono uno spettro di mutazioni differente da quello delle
mutazioni spontanee.
Una stima quantitativa della dose di raddoppio non tiene
conto delle differenze qualitative fra mutazioni spontanee e indotte. Russel
puntualizzò il problema con questa frase: può
darsi che si stia parlando di raddoppio della frequenza delle mele mentre si
stanno misurando le arance. È importante tener presente questa
possibilità, anche se il concetto di dose di raddoppio conserva la sua
utilità.
Per modificare il commento di Russell, si può parlare di
raddoppio della frequenza della frutta, senza distinguere se si tratta di mele
oppure di arance. In ogni caso si è scoperto nel topo che la dose di raddoppio è diversa per geni differenti,
e non sappiamo se la dose di raddoppio media per i sette loci sia indicativa
della dose di raddoppio media per tutti i loci.
Invece di postulare che la dose di raddoppio cronica per i
geni dell’uomo sia la stessa della Drosofila e del topo, sarebbe possibile
una stima indipendente se si conoscesse sia il tasso medio delle mutazioni
spontanee per locus, sia l’effetto mutageno medio di un’unità r. Abbiamo
visto che forse il tasso medio di mutazioni spontanee è pari a 1/1.000.000 di
gameti. Forse nel topo il tasso medio di mutazione indotto da un’applicazione
cronica di 1r è circa 6 su cento milioni (6 X 10-8). Se si dovesse applicare
questo valore anche all’uomo, ci vorrebbero 16,7r per indurre un allele
mutante su un milione (16,7 x 6 x 10-8 = 1 x 10-6), cioè la stessa quantità che si verifica
spontaneamente.
La dose di raddoppio cronica di 16,7r è considerevolmente
più bassa dei 200r spesso usati. Una ragione di questa discordanza consiste
nella difformità tra la precedente stima di 1,5 mutazioni spontanee per locus
su centomila gameti nell’uomo, e la stima più recente pari a solo uno su un
milione. Se il tasso di mutazione è realmente più basso di quanto si
ammetteva in passato, per eguagliare questo tasso è necessario un numero più
basso di unità r, ovvero una più bassa mutagenicità dell’unita r. Se nell’uomo
il tasso di mutazioni indotte dalle radiazioni per unità r è differente da
quello del topo, allora la dose di raddoppio può essere più piccola o più
grande di 16,7r, fino a comprendere la stima alta, e in un certo modo
convenzionale, di 200r, dose che si basa sull’ammissione che la dose di
raddoppio cronica sia la stessa in Drosofila, topo e uomo.
In maniera arbitraria, e in linea con la tendenza di altri
genetisti, Stern propone il valore di 200r come dose di raddoppio cronica nell’uomo.
Si deve comunque sottolineare come anche il valore basso pari a 16,7r starebbe
ad indicare che la radiazione di fondo naturale potrebbe spiegare solo una
piccola parte delle mutazioni spontanee, dato che 3-4r costituiscono solamente
il 18-24% di 16,7r.