Lessico
Fedro
Fedro, in latino Phaedrus, favolista latino del sec. I dC. Poco sappiamo della sua vita, solo quanto egli stesso ci dice nella sua opera. Di origine servile e greca, probabilmente della Macedonia, venne a Roma quale schiavo di Augusto, fu educato nelle lettere greche e latine, poi affrancato (è detto infatti libertus Augusti). Sotto Tiberio subì la persecuzione del potente ministro dell'imperatore, Seiano, che gli intentò un processo per presunte allusioni offensive alla sua persona, dal quale però uscì indenne. Visse almeno fino al regno di Claudio.
Primo autore di favole della letteratura latina, Fedro risale alle raccolte di favole greche allora correnti sotto il nome di Esopo e le traspone in versi giambici e in un latino corretto, secondo le linee dell'età augustea, ma già con alcuni caratteri dell'età successiva (frequenti p. es. le espressioni astratte). Protagonisti sono di solito gli animali, in vesti di facili allegorie, e talvolta le piante; aggiunge però qualche favola che è un vero e proprio episodio, con personaggi anche reali del tempo.
I racconti nascono da una reazione popolare, con la rivendicazione dei diritti degli umili contro i soprusi dei potenti. In tal senso l'opera di Fedro è anche fortemente autobiografica e proprio la carica personale di sofferenza, di umiliazioni e di fierezza gli toglie la possibilità di una poesia distesa e gli dà un'asprezza che lo avvicina ai poeti satirici.
Delle favole di Fedro circolavano nell'antichità 5 libri; a essi, nel sec. XVIII, sono state aggiunte trenta favole scoperte dall'umanista Niccolò Perotto nel sec. XV (Appendix Perottina). Più recentemente si è tentato di riconoscere altre favole di Fedro nell'immensa congerie della favolistica latina del Medioevo, quando il successo della sua opera fu grande e numerosi fiorirono gli imitatori.
Fedro
Fedro (ca 15 aC – ca 55) è stato uno scrittore latino, autore di celebri favole, attivo nel I secolo. Il suo nome greco è Phaîdros: non è però certo se la precisa traslitterazione del nome dal greco al latino sia Phaedrus o Phaeder: il latinista francese Louis Havet, curatore nel 1895 di una nota edizione delle Favole, suggerì la forma Phaeder sulla scorta di alcune iscrizioni, ma la forma latina Phaedrus è attestata in Cicerone e, in particolare, nei titoli – sia pure aggiunti posteriormente – di tre favole e in Aviano. Egli è pertanto identificato comunemente con Phaedrus.
Quanto al luogo di nascita, Fedro stesso afferma di essere nato sul monte Pierio, luogo di nascita delle Muse, che al tempo faceva parte della Macedonia; però egli sembra anche alludere alla Tracia come sua patria, vantata come terra di poeti. È certo che il monte sorgeva in prossimità del confine trace e alla fine del I secolo una rettifica dei confini delle due province lo ridusse in Tracia.
Fedro nacque intorno al 15 a.C. e giunse giovanissimo a Roma come schiavo, forse a seguito della violenta repressione, operata dal console Lucio Calpurnio Pisone, della rivolta avvenuta in Tracia nel 13 aC. La sua venuta a Roma ancora bambino è stata dedotta dalla sua affermazione di aver letto da bambino il Telephus, una tragedia ora perduta di Ennio; ma non si può escludere, per quanto poco probabile, che egli abbia potuto già studiare latino in Macedonia, e pertanto la questione della data della sua venuta a Roma resta insoluta.
Che egli sia stato uno schiavo familiaris, appartenente cioè alla familia di Augusto, e poi emancipato da questo imperatore è attestato nella titolazione manoscritta della sua opera, Phaedri Augusti liberti Fabulae Aesopiae; si deduce che il suo nome, dopo la liberazione, deve essere stato Gaius Iulius Phaedrus, dal momento che i liberti assumevano il praenomen e il nomen del loro patrono.
Se Fedro fu effettivamente portato giovanissimo a Roma, potrebbe aver studiato alla scuola dell'erudito Marco Verrio Flacco, tenuta nel tempio di Apollo che sorgeva sul Palatino dove studiavano anche i nipoti di Augusto, Gaio e Lucio, e di quest'ultimo, secondo un'ipotesi, potrebbe esser poi divenuto pedagogo, acquisendo quei meriti che, insieme con l'ascesa sociale, lo avrebbero portato alla libertà.
Come Fedro stesso ci informa, il ministro di Tiberio, Seiano, lo fece processare, sospettandolo di allusioni sgradite ai potenti. Ne uscì tuttavia indenne, forse anche per la caduta in disgrazia e la morte del prefetto, e poté continuare a scrivere indisturbato fino al regno di Claudio (41-54), a un liberto del quale, Fileto, è dedicato uno dei suoi ultimi componimenti, o forse anche fino al regno di Nerone (54-68).
I cinque libri superstiti delle Fabulae consistono di 102 componimenti compresi in cinque diversi codici:
- il codice A, o Codex Pithpeanus, cosiddetto perché già appartenente all’umanista Pierre Pithou (1539-1596), risalente al IX secolo;
- il codice R, o Codex Remensis, perché proveniente da Reims, del IX secolo, è andato perduto in un incendio nel 1774;
- il codice D, o Charta Danieli, perché già appartenente all’umanista Pierre Daniel (1530-1603), del IX o X secolo, frammentato, proviene dal convento di Fleury ed è conservato nella Biblioteca Vaticana;
- il codice N, o Codex Neapolitanus, prodotto dall’umanista Nicolò Perotto verso il 1470 da codici perduti;
-
il codice V, o Codex Vaticanus Urbinas 368, del XVI secolo,
derivato forse da N.
Altre 32 favole – non comprese nei 5 libri canonici, ma certamente
autentiche - sono contenute nella cosiddetta Appendix Perottina di
Nicolò Perotto, che le trasse da codici ora perduti.
Esistono tre storiche sillogi o raccolte di favole in gran parte riconducibili a Fedro:
- le 67 favole del codice leidensis Vossianus, appartenuto ad Ademaro di Chabannes
- le 62 favole contenute nel codice Gudianus Latinus di Wolfenbüttel, del X secolo
- le 83 favole del Romulus, cosiddetto dal nome che il compilatore, che sostiene di essere l'autore delle traduzioni in latino di favole di Esopo, si è dato.
Il genere favolistico si trova praticato anche nei testi più antichi dell’umanità, quando si sia voluto rappresentare, attraverso un linguaggio semplice le metafore facilmente comprensibili, un principio di verità o un insegnamento morale. Anche l’utilizzazione, a questo scopo, di racconti i cui protagonisti siano animali, attribuendo loro peculiarità morali e caratteristiche comportamentali, accettate dall’universale immaginazione o quanto meno dal comune pregiudizio umano, risponderebbe alla necessità di esemplificare e rendere immediatamente assimilabile il messaggio contenuto nel racconto.
In taluni testi del vicino Oriente mesopotamico, a differenza delle favole persiane e indiane, nelle quali predomina il gusto della narrazione fantastica, senza preoccupazioni di sottendere insegnamenti di ordine morale, si riscontrano insegnamenti di tipo sapienziale, mentre in testi egiziani e palestinesi - raccolti nei Proverbi biblici - si hanno diretti ed espliciti insegnamenti, senza la mediazione della narrazione favolistica.
Nel mondo greco, il genere della favola si presenta inizialmente nella forma dell'«aínos», nella similitudine, come mostra l'esempio offerto, nell'VIII secolo aC, dall'Usignolo e lo sparviero narrato nelle Opere e i giorni di Esiodo - non a caso definito il primo favolista da Quintiliano, nel quale un usignolo, catturato dal rapace, cerca di impartirgli una lezione sul significato della giustizia.
Secondo i grammatici antichi, fu Archiloco, poeta di Paros, attivo nel VII secolo, il creatore della favola del tipo che sarà poi sviluppata da Esopo, ma restano scarsi frammenti, come frammenti di favola sono in Solone e in Simonide, del VI secolo.
Nel prologo del primo libro delle sue Fabulae, Fedro riconosce la propria dipendenza dall'opera di Esopo, dando tuttavia alle sue favole maggiore dignità letteraria, riscrivendole in versi senari. Le sue favole hanno un doppio scopo: divertire il lettore, con scene di carattere comico, ma di suggerire anche "saggi consigli" (prudentia consilia) per vivere. L'uso del senario giambico, proprio della commedia latina, viene usato da Fedro per evidenziare non solo il carattere popolare ma anche la romanità dell'opera.
Non pare che questo umile, ma dignitoso e arguto favolista, abbia ottenuto fra i suoi contemporanei quel successo che avrebbe meritato, almeno presso il pubblico dotto, ma i suoi testi, riscoperti nel XV secolo, furono ripagati da notevole fortuna in età moderna. Il favolista Jean de La Fontaine (Château-Thierry, Champagne, 1621 - Parigi 1695) gli deve molto e le favolette di Fedro, per il loro stile semplicissimo e i loro contenuti moraleggianti, ebbero notevole impiego, come già si è sottolineato, nell'insegnamento scolastico del latino.