Lessico


L'indice dei libri proibiti
e
l'inquisizione romana

Edizione del 1564 dell'Indice Tridentino

L'Indice dei libri proibiti (in latino Index librorum prohibitorum) era un elenco di pubblicazioni proibite dalla Chiesa Cattolica, creato sotto Paolo IV nel 1559 per opera della Congregazione della Sacra Romana e Universale Inquisizione (o Sant'Uffizio). Ebbe diverse versioni e fu soppresso solo nel 1966 con la fine dell'inquisizione Romana, sostituita dalla Congregazione per la Dottrina della Fede.

Sin dalle sue origini le lotte della Chiesa contro le eresie comportarono la proibizione di leggere o conservare opere considerate eretiche: il primo concilio di Nicea (325) proibì le opere di Ario, papa Anastasio I (399-401) quelle di Origene e papa Leone I (440-461) quelle dei manichei (i seguaci di Mani, Mesopotamia 216 o 217 - Gundeshapur 276). Il secondo concilio di Nicea (787) stabilì che i libri eretici dovessero essere consegnati al vescovo e non tenuti nascosti. Il concilio di Tolosa del 1229 giunse a proibire ai laici il possesso di copie della Bibbia e nel 1234 quello di Tarragona ordinò il rogo delle traduzioni della Bibbia in volgare.

La diffusione di idee contrarie ai dogmi della Chiesa Cattolica, e in particolare della Riforma protestante, fu grandemente favorita dall'invenzione della stampa a caratteri mobili (1455): la Chiesa prese dunque provvedimenti nel tentativo di controllare quanto veniva stampato. Alla metà del XVI secolo risalgono i primi cataloghi di libri proibiti: ne furono redatti dalle università della Sorbona a Parigi e di Lovanio, per ordine di Carlo V e di Filippo II.

Nel 1543 nella Repubblica di Venezia il Consiglio dei Dieci affidò agli Esecutori contro la Bestemmia il compito di sorvegliare l'editoria, con facoltà di multare chi stampava senza permesso. Nel 1549, a opera di monsignor Giovanni della Casa (Mugello 1503 - Montepulciano 1556), fu pubblicato un Catalogo di diverse opere, compositioni et libri, li quali come eretici, sospetti, impii et scandalosi si dichiarano dannati et prohibiti in questa inclita città di Vinegia: l'elenco comprendeva 149 titoli e riguardava per lo più opere tacciate di eresia, ma la proibizione finì con il non essere applicata per l'opposizione dei librai e dei tipografi.

Nel 1559, a opera del Sant'Uffizio, uscì a Roma un primo Cathalogus librorum Haereticorum, con intenti quasi esclusivamente anti-protestanti: vi comparivano anche le opere di Luciano di Samosata, il De monarchia di Dante Alighieri e perfino i commentari di papa Pio II sul Concilio di Basilea.

Il primo indice del 1559  - Tra i compiti del Sant'Uffizio, istituito da papa Paolo III nel 1542, era compresa la vigilanza sui libri. Nel 1559, sotto papa Paolo IV, venne pubblicato un indice dei libri e degli autori proibiti, detto Indice Paolino. L'elenco comprendeva l'intera opera degli scrittori non cattolici, compresi i testi non di carattere religioso, altri 126 titoli di 117 autori, di cui non veniva tuttavia condannata l'intera opera, e 332 opere anonime. Vi erano inoltre elencate 45 edizioni proibite della Bibbia e veniva condannata l'intera produzione di 61 tipografi (prevalentemente svizzeri e tedeschi). Infine si proibivano intere categorie di libri, come quelli di astrologia o di magia, mentre le traduzioni della Bibbia in volgare potevano essere lette solo su specifica licenza, concessa solo a chi conoscesse il latino e non alle donne.

Tra i libri proibiti erano il "Decamerone" di Boccaccio, "Il Novellino" di Masuccio Salernitano e tutte le opere di Machiavelli, di Rabelais e di Erasmo da Rotterdam, il "Diálogo de doctrina christiana" dei Valdesiani. Il papa, che da cardinale (Giampiero Carafa) era stato il primo direttore del Sant'Uffizio, attribuì a quest'ultimo e alla sua rete locale l'applicazione della proibizione, a scapito del potere dei vescovi.

Edizione del 1596 dell'Indice Tridentino

Dopo il concilio di Trento - Un secondo elenco ("Indice tridentino"o "Index librorum prohibitorum cum regulis confectis") venne emanato dopo la conclusione del Concilio di Trento nel 1564, sotto papa Pio IV e per impulso del cardinale Carlo Borromeo. L'elenco fu meno restrittivo del precedente: vi erano inseriti solo i libri eretici ed era prevista la possibilità di "espurgare" i libri che comprendessero solo brevi passaggi proibiti. Restava valida la necessità di una licenza per la lettura della Bibbia in volgare, ma questa venne concessa senza le precedenti restrizioni. A differenza dell'Indice Paolino, l'Indice tridentino venne applicato in quasi tutta l'Italia e in gran parte dell'Europa fino al 1596. La Spagna applicava invece l'indice redatto dall'Inquisizione locale nel 1559. Papa Pio V istituì nel 1571 la "Congregazione dell'Indice", con lo scopo di provvedere a tenere aggiornato l'indice e a inviarlo periodicamente alle sedi locali dell'Inquisizione, da dove veniva diffuso presso i librai. Nuovi indici vennero redatti anche dal Sant'Uffizio sotto i pontefici successivi e le due congregazioni furono spesso in conflitto in merito alla giurisdizione sulla censura dei libri. Anche i vescovi si opposero al potere dato all'Inquisizione in questo campo. Nel 1596, sotto papa Clemente VIII venne redatta una nuova versione dell'indice ("Indice Clementino"), che aggiunse all'elenco precedente opere registrate in altri indici europei successivi al 1564. Ripeteva inoltre la proibizione di stampare opere in volgare, già promulgata da Pio V nel 1567.

La censura ecclesiastica ebbe pesanti conseguenze: le "espurgazioni", a volte neppure dichiarate, potevano arrivare a stravolgere il pensiero dell'autore originario e i testi scientifici non conformi all'interpretazione aristotelico-scolastica erano considerati eretici. Nel 1616 furono bandite le opere di Copernico. Gli scrittori si autocensuravano e l'attività dei librai diventò difficile per le richieste di permesso e i pericoli di confisca.

Le "patenti di lettura", tuttavia, che in teoria avrebbero dovuto essere rilasciate solo a studiosi di provata fiducia da parte del Sant'Uffizio e durare solo per tre anni, si ottenevano invece in pratica abbastanza facilmente. Dopo la metà del XVII secolo di fatto si cessò di perseguire la semplice detenzione di libri proibiti.

Nel 1758, sotto papa Benedetto XIV, le norme furono riviste e l'indice venne corretto e reso più comodo. Fu inoltre eliminato il divieto di lettura della Bibbia tradotta dal latino. Le competenze per la compilazione e l'aggiornamento dell'indice passarono a partire dal 1917 al Sant'Uffizio. L'indice nei suoi quattro secoli di vita venne aggiornato almeno venti volte (l'ultima nel 1948) e fu definitivamente abolito solo dopo il Concilio Vaticano II nel 1966, sotto papa Paolo VI.

Scopo dell'indice - Lo scopo dell'elenco era quello di ostacolare la possibile contaminazione della fede e la corruzione morale attraverso la lettura di scritti il cui contenuto veniva considerato dall'autorità ecclesiastica non corretto sul piano strettamente teologico, se non addirittura immorale. Secondo la legge canonica, le forme di controllo sulla letteratura dovevano essere principalmente due: una prima, di censura preventiva, che poteva concedere il classico imprimatur ai libri redatti da cattolici su tematiche riguardanti la morale o la fede; una seconda, di aperta condanna, per volumi considerati offensivi: quest'ultima prevedeva l'inserimento nell'index dei libri incriminati. Secondo alcune stime, dopo il 1559 la detenzione di libri divenne il capo di imputazione più frequente nei processi per eresia.

Buona parte dei documenti relativi all'istruzione dei procedimenti furono trafugati a Parigi dalle truppe napoleoniche nel periodo che va dal 1809 al 1814 e durante il pur breve periodo della Repubblica Romana (1849); tuttavia, l'archivio della Congregazione della Fede fu ricostruito ed è a tutt'oggi intatto; dal 1998, dietro richiesta motivata, è consultabile pubblicamente.

L'elenco comprendeva, fra gli altri, nomi della letteratura, della scienza e della filosofia come Francesco Bacone, Honoré de Balzac, Henri Bergson, George Berkeley, Cartesio, D'Alembert, Daniel Defoe, Denis Diderot, Alexandre Dumas (padre) e Alexandre Dumas (figlio), Gustave Flaubert, Thomas Hobbes, Victor Hugo, David Hume, Immanuel Kant, Jean de La Fontaine, John Locke, Montaigne, Montesquieu, Blaise Pascal, Pierre-Joseph Proudhon, Jean-Jacques Rousseau, George Sand, Spinoza, Stendhal, Voltaire, Émile Zola.

Tra gli italiani finiti all'indice - scienziati, filosofi, pensatori, scrittori, economisti - vi sono stati Vittorio Alfieri, Pietro Aretino, Cesare Beccaria, Giordano Bruno, Benedetto Croce, Gabriele D'Annunzio, Antonio Fogazzaro, Ugo Foscolo, Galileo Galilei, Giovanni Gentile, Francesco Guicciardini, Giacomo Leopardi, Ada Negri, Adeodato Ressi, Girolamo Savonarola, Luigi Settembrini, Niccolò Tommaseo e Pietro Verri. Tra gli ultimi ad entrare nella lista sono stati Simone de Beauvoir, André Gide, Jean-Paul Sartre e Alberto Moravia.

Inquisizione
Congregazione della Sacra Romana
e Universale Inquisizione
o Sant'Uffizio - 1542

Simbolo dell'Inquisizione

L'Inquisizione è l’istituzione ecclesiastica fondata dalla Chiesa cattolica per indagare e punire, mediante un apposito tribunale, i sostenitori di teorie considerate contrarie all’ortodossia cattolica. Storicamente, l'Inquisizione si può considerare stabilita già nel Concilio presieduto a Verona nel 1184 da papa Lucio III e dall’imperatore Federico Barbarossa, con la costituzione Ad abolendam diversarum haeresum pravitatem e fu perfezionata da Innocenzo III e dai successivi papi Onorio III e Gregorio IX, con l’occorrenza di reprimere il movimento cataro (il più vasto movimento ereticale del Medioevo), diffuso nella Francia meridionale e nell’Italia settentrionale, e di controllare i diversi e attivi movimenti spirituali e pauperistici.

Nel 1252, con la bolla Ad extirpanda, Innocenzo IV autorizzò l’uso della tortura e Giovanni XXII estese i poteri dell’Inquisizione nella lotta contro la cosiddetta stregoneria. Tale Inquisizione medievale si distingue dall’ Inquisizione spagnola, istituita da Sisto IV nel 1478 su richiesta dei sovrani Ferdinando e Isabella, che fu estesa nelle colonie dell’America centro-meridionale e nel viceregno di Sicilia, e dall’ Inquisizione portoghese, istituita nel 1536 da Paolo III su richiesta del re Giovanni III, che si estese al Brasile, alle Isole di Capo Verde e a Goa, in India.

Allo scopo di combattere più efficacemente la Riforma protestante, il 21 luglio 1542 Paolo III emanò la bolla Licet ab initio, con la quale si costituiva l’Inquisizione romana, ossia la «Congregazione della sacra, romana ed universale Inquisizione del santo Offizio». Mentre nell’Ottocento gli Stati europei soppressero i tribunali dell’Inquisizione, questa fu mantenuta dallo Stato Pontificio e assunse nel 1908, regnante Pio X, il nome di «Sacra Congregazione del santo Offizio», finché con il Concilio Vaticano II, durante il pontificato di Paolo VI, in un clima profondamente mutato dopo il papato di Giovanni XXIII, assunse nel 1965 l’attuale nome di «Congregazione per la dottrina della fede».

Struttura e scopi dell'Inquisizione - Da una stessa fonte cattolica si ricava il ventaglio degli obbiettivi perseguiti dal tribunale dell'Inquisizione. Stabilito che l'Inquisizione si propose, nel corso della sua lunga esistenza, di perseguire soprattutto gli eretici, ossia coloro che «dommatizzano contro la fede cristiana e generalmente contro la religione», nella sua fase matura coinvolse, pur essendo di giurisdizione ecclesiastica, anche il potere civile, dal momento che i regnanti considerarono generalmente la religione «come il primo bene de' popoli e come eziandio il più forte baluardo della pubblica sicurezza», collaborando con i poteri ecclesiastici alla repressione delle eresie, «sempre infeste all'altare insieme ed al trono».

A Roma, dal Cinquecento, l'Inquisizione aveva per prefetto lo stesso papa che nominava gli inquisitori generali, un gruppo di cardinali appartenenti alla Congregazione della sacra Inquisizione, e gli inquisitori particolari, consultori della Congregazione; nelle diverse diocesi dello Stato pontificio erano presenti altri inquisitori. Nella Spagna e nel Portogallo venivano nominati dal re gli inquisitori generali, confermati dal papa. L'autorità dell'Inquisizione, in materia di fede, si estendeva «sopra qualunque persona di qualunque grado, condizione e dignità, ossiano vescovi, magistrati, comunità, né vi ha privilegio personale o locale ch'esenti dalla di lui giurisdizione»: i magistrati e i giudici erano tenuti a eseguire i suoi decreti, sotto pena di scomunica.

Gli inquisitori procedevano:

«contro gli eretici ed i fautori o ricettatori di essi, contro i sospetti di una falza credenza, contro quelli che impediscono agli inquisitori di esercitar liberamente il loro uffizio, e contro quelli che richiesti a prestar la loro opera per poterlo eseguire, si ricusano, ancorché siano principi, magistrati e comunità»;

«contro i pagani che venuti alla fede e battezzati, ritornano a professare il paganesimo»;

«contro i malefici ed i sortilegi che con arti superstiziose tentano danneggiare il prossimo; contro gli astrologi giudiziari, divinatori e maghi, molto più se questi abbiano fatto patti col demonio, ed abbiano apostatato dalla vera religione; contro quelli che impediscono ai bramosi di professare la vera fede e di abbracciarla; contro chi predichi dottrine scandalose e contrarie alla vera religione; contro quelli che in pubbliche lezioni o dispute, ed anche in discorsi e scritti privati sostengono che la ss. Vergine non sia stata concepita senza macchia originale»;

«contro chi usa litanie nuove non approvate dalla sacra congregazione de' riti; contro chi celebra la messa e ascolta le confessioni non essendo sacerdote; contro i sacerdoti sollecitanti a cose turpi nell'atto della confessione o immediatamente innanzi o dopo di essa, o nell'occasione o col pretesto della medesima; contro i ministri del sagramento della penitenza, che negligentino di avvertire i penitenti dell'obbligo di denunziare i sollecitenti, o che insegnano non esservi siffatta obbligazione, e contro i testimoni falsi e calunniatori che depongono in causa di fede»;

«contro i cristiani apostati, anzi possono procedere contro i giudei ed altri infedeli se neghino quelle verità, che nella loro credenza sono comuni coi cristiani, se invochino o facciano sacrifizi ai demoni, e cerchino d'indurre i cristiani ad eseguirli, se pronunzino delle bestemmie ereticali, ed in molti altri casi».

Il processo inquisitorio - Sette regole per "appendere" il sospettato. L’inquisitore e il vescovo possono sottoporre qualcuno alla tortura? In caso affermativo, a quali condizioni? Essi possono ricorrere alla tortura, conforme alle decretali di Clemente V (Concilio di Vienne), a condizione di deciderlo insieme. Non ci sono regole precise per determinare in quali casi si possa procedere alla tortura (Sospensione del condannato con funi e caduta con strappi di corda). In mancanza di giurisprudenza precisa, ecco sette regole di riferimento.

1. Si tortura l’accusato che vacilla nelle risposte, affermando ora una cosa, ora il contrario, ma sempre negando i capi d’accusa più importanti. Si presume in questo caso che l’accusato nasconda la verità e che, pungolato dagli interrogatori, si contraddica. Se negasse una volta, poi confessasse e si pentisse, non sarebbe considerato un “vacillante” ma come “eretico penitente” e verrebbe condannato.

2. Sarà torturato il diffamato che abbia contro anche un solo testimone. Infatti la pubblica nomea più un testimone costituiscono insieme una mezza prova, cosa che non stupirà nessuno dal momento che una sola testimonianza vale già come un indizio. Si dirà testis unus, testis nullus? Ciò vale per la condanna, non per la presunzione. Una sola testimonianza a carico dunque basta. Tuttavia, ne convengo, la testimonianza di uno solo non avrebbe la stessa forza di un giudizio civile.

3. Il diffamato contro il quale si è riusciti ad accumulare uno o più indizi gravi deve essere torturato. La diffamazione più gli indizi bastano. Per i preti, basta la diffamazione (tuttavia si torturano solo i preti infami). In questo caso le condizioni sono sufficientemente numerose.

4. Sarà torturato colui contro il quale deporrà uno solo in materia di eresia e contro il quale si avranno inoltre indizi veementi o violenti.

5. Colui contro il quale peseranno più indizi veementi o violenti verrà torturato, anche se non si dispone di alcun testimone a carico.

6. A maggior ragione si torturerà colui il quale, simile al precedente, avrà in più contro di sé la deposizione di un testimone.

7. Colui contro il quale si ha solo diffamazione o un solo testimone o un solo indizio non verrà torturato: una di queste condizioni, da sola, non basta a giustificare la tortura.

Tratto da:
Fra Nicolau Eymerich, Manuale dell’Inquisitore
Ed. Piemme. Casale Monferrato, 1998

Il processo accusatorio, previsto dal diritto romano, consisteva nel pubblico confronto orale fra accusatore e accusato, al quale assisteva il giudice: l’onere della prova ricadeva sull’accusatore, che se non dimostrava le proprie accuse, era condannato dal giudice alla pena che avrebbe dovuto subire l’accusato in caso di riconosciuta colpevolezza. Il tribunale dell'Inquisizione adottò invece la procedura del processo inquisitorio – dal latino inquisitio, indagine – nel quale il giudice è anche accusatore: sulla base di una denuncia anche generica, egli è tenuto a raccogliere le prove della colpevolezza dell’imputato, conducendo indagini segrete e dirigendo il processo al quale, secondo quanto stabilito nel 1205 dalla decretale Si adversus vos di Innocenzo III, il pubblico non può assistere né è ammessa la presenza di un avvocato difensore; le testimonianze e le dichiarazioni dell’imputato sono verbalizzate. Per giungere alla condanna è sufficiente la testimonianza concorde di almeno due testimoni o la confessione dell’imputato, il quale viene detenuto in carcere durante lo svolgimento del processo, che non ha una durata predefinita e le cui udienze – i costituti - si svolgono a discrezione dello stesso giudice.

Se la prova della colpevolezza non viene raggiunta e allo scopo di sciogliere le eventuali contraddizioni presenti nelle sue deposizioni, l’imputato è sottoposto a tortura - mezzo di coercizione legittimato dalla giurisprudenza fino al XVIII secolo - generalmente consistente nella corda: legate le braccia dietro la schiena, l’imputato, nudo, viene sollevato da terra dalla corda che scorre su una carrucola fissata al soffitto. Egli è tenuto in quella condizione per non più di mezzora, perché una durata superiore può comportare gravi conseguenze, dalle lesioni agli arti superiori fino al collasso cardiocircolatorio. La tortura può essere reiterata più volte nel corso del processo.

Se ritiene che l’accusa di eresia sia stata provata, il tribunale chiede all’imputato di abiurare, cioè di rinnegare le proprie convinzioni. Abiurando, se non è recidivo, l’imputato evita la condanna a morte e viene condannato a pene diverse, dalle preghiere ai digiuni, dalla multa alla confisca dei beni, dall’obbligo di indossare, per sempre o per un determinato periodo, l’ abitello – una veste gialla con due croci rosse sul petto e sulla schiena che lo identifica pubblicamente come eretico penitente – fino al carcere. Se è recidivo, relapso, l’imputato è condannato necessariamente a morte: pentendosi, viene prima strangolato o impiccato e il cadavere viene poi bruciato e le ceneri disperse; se è impenitente, viene bruciato vivo. La pena viene eseguita dall’autorità civile, il cosiddetto braccio secolare – al quale il tribunale dell’Inquisizione rilascia il reo – in quanto gli ecclesiastici non possono «spargere il sangue», come indicato dalla costituzione De iudicio sanguinis et duelli clericis interdictio del Concilio Lateranense IV del 1215; anche all'autorità civile il tribunale raccomanda di eseguire la sentenza evitando di spargere il sangue del condannato.

Il bassorilievo del processo a Giordano Bruno (Roma, Campo de' Fiori)

Giordano Bruno (Nola, Napoli, 1548 - Roma 1600). A quindici anni vestì l'abito domenicano e fu ordinato sacerdote nel 1572. Sotto processo per eresia, si rifugiò a Roma, ma l'aggravarsi del processo lo spinse a deporre l'abito. Pellegrinò per l'Italia, la Francia e la Svizzera e a Ginevra aderì alla chiesa calvinista frequentando i corsi di teologia. Ben presto però si ribellò ai suoi professori e, giudicato dal Concistoro, fu costretto ad abbandonare la città. Riparò a Parigi, dove Enrico III lo inviò in Inghilterra come addetto all'ambasciata di Francia. Passò poi a Venezia inviatovi dal patrizio Mocenigo, ma questi, deluso dagli insegnamenti di Bruno, lo denunciò agli inquisitori veneti, che lo consegnarono al Santo Uffizio. Gli inquisitori romani lo tennero in prigione per sette anni senza riuscire a farlo ritrattare. Condannato come eretico impenitente, fu arso vivo.

Significati attuali del termine inquisizione - Nel linguaggio comune il termine Inquisizione (e i suoi derivati) è sinonimo di arbitrarietà e crudeltà: il vocabolario Zanichelli della lingua italiana (2006), alla voce "Inquisizione", dopo aver chiarito l'etimologia del termine e il suo uso all'interno del diritto canonico, ne indica un significato esteso: «Indagine fatta con metodi e procedimenti arbitrari o crudeli». Il Devoto - Oli (2004) alla voce "Inquisizione": «Inchiesta speciale, svolta con una procedura arbitraria o ad ogni modo lesiva dei diritti, della libertà, della dignità dell'individuo», part. «L'organizzazione e la procedura ecclesiastica per la repressione dell'eresia: il tribunale dell'I.»; «anche come simbolo di zelo ipocrita e spietato.»  Sempre il Devoto-Oli, alla voce "inquisitorio": «del procedimento penale caratterizzato dalla concentrazione in un'unica persona delle funzioni di accusatore e di giudice, dalla segretezza e dalla scrittura degli atti: processo ispirato a criteri o atteggiamenti di sopraffazione nei rapporti con gli inferiori».

L'insegnamento della Chiesa primitiva - Le prime comunità cristiane conobbero subito divisioni al loro interno ma non vi sono indicazioni all'uso della forza per ricondurre all'osservanza delle dottrine condivise chi se ne fosse allontanato. In Matteo 18, 15-22. dopo la parabola della pecora smarrita, è scritto che «se tuo fratello ha peccato contro di te, va' e convincilo fra te e lui solo. Se ti ascolta, avrai guadagnato tuo fratello; ma, se non ti ascolta, prendi con te ancora una o due persone, affinché ogni parola sia confermata per bocca di due o tre testimoni. Se rifiuta d'ascoltarli, dillo alla chiesa; e, se rifiuta d'ascoltare anche la chiesa, sia per te come il pagano e il pubblicano [...] Allora Pietro, accostatosi, gli disse: Signore, se il mio fratello pecca contro di me, quante volte gli dovrò perdonare? Fino a sette volte? Gesù gli disse: Io non ti dico fino a sette volte, ma fino a settanta volte sette».

Il Tamburini ne dedusse che «1°. Gesù non approva la conversione delle pecore smarrite che con i mezzi della dolcezza ispirati dall’amore e dalla bontà. 2°. Che non si può scomunicare l’eretico che dopo tre correzioni e nelle indicate circostanze. 3°. Che l’ordine inquisitoriale delle denuncie avanti questo tempo è affatto opposto alla dolcezza di Gesù Cristo».

Anche Paolo di Tarso (II Tessalonicesi 3, 14-15) invita a non considerare nemico ma ad ammonire fraternamente chi non segua il suo insegnamento e nella lettera a Tito (3, 10) suggerisce di allontanare «dopo un primo e un secondo ammonimento, chiunque provochi scissioni», mentre I Pietro (5, 2-3) esorta gli anziani a sorvegliare la comunità «non con la forza ma volentieri [...] non tiranneggiando ma essendo modelli».

Nei primi anni del II secolo Ignazio, nella lettera agli Smirnesi (IV, 1) raccomanda di evitare gli eretici che chiama «belve in forma umana», ma invita a pregare per loro affinché si ravvedano, mentre nel 212 Tertulliano, (Ad Scapulam, 11) scrive che «la libertà di professare la religione che si ama è fondata sui diritti della natura e delle genti, perché la religione privata di un individuo non è causa di bene o di male ad alcuno. La religione non ha interesse a violentare nessuno: il nostro assenso vuole essere volontario e non costretto con la forza».

L'impero cristiano - Già l'imperatore Costantino I era intervenuto negli affari della Chiesa esiliando con un proprio decreto i vescovi dichiarati eretici dal Concilio di Nicea. Questa situazione ebbe un ulteriore sviluppo nel 380 quando l'imperatore Teodosio I, con l'editto di Tessalonica, trasformò l'impero romano in uno stato confessionale, prevedendo pene per chi non professava la religione degli apostoli. Negli anni immediatamente successivi altri editti imperiali aumentarono le pene a carico degli eretici, fino ad arrivare alla pena di morte. Nel 385 il vescovo spagnolo Priscilliano fu processato per eresia e ucciso su ordine dell'imperatore Magno Massimo. Alcuni monaci barabalanoi di Alessandria d'Egitto massacrarono la filosofa pagana Ipazia nel 412.

L'Alto Medioevo - Non risulta che nel corso di questo periodo ci siano state persecuzioni a carattere ideologico. Alcuni storici, prendendo spunto da questo fatto, hanno sostenuto che, in fondo, l'atteggiamento del potere politico nei confronti delle eresie fu sempre uguale, sia durante l'impero romano che nel Medioevo: occuparsene poco o niente fin quando il dissenso ideologico non si trasformava in dissenso politico. Nei primi dieci secoli dell'era cristiana si era dunque stabilizzata una distinzione dei ruoli fra giurisdizione ecclesiastica (la Chiesa attraverso i suoi vescovi definiva l'ortodossia, giudicava gli eretici e poteva comminare pene di tipo spirituale fino alla scomunica) e giurisdizione civile (che giudicava gli eretici in quanto ritenuti nemici dello Stato e comminava pene corporali, fino alla morte).

Le città e la borghesia - Dopo secoli di sostanziale compattezza, sul finire del XII secolo la Cristianità fu attraversata dai segnali di un profondo cambiamento. L'Alto Medioevo era finito; le città, i grandi centri della vita dell'Impero romano, riprendevano a popolarsi e a divenire snodi fondamentali per l'economia e la visione del mondo (nelle città del Basso Medioevo nacquero infatti le prime Università). I tradizionali centri di potere cominciarono a sentirsi minacciati. Per centinaia di anni la vita dell'uomo si era svolta nelle campagne e la società si era data una struttura ben precisa costituita da tre ordini ben distinti: sacerdoti, combattenti, lavoratori manuali (oratores, bellatores, laboratores). Adesso, invece, la tradizionale organizzazione del tempo, del lavoro, entrava in crisi, il centro della vita si spostava e i rapporti di potere tradizionali erano compromessi da una classe emergente: la borghesia. Non fu un caso se le prime eresie, contro cui si scateneranno le persecuzioni politico-religiose, furono tutte eresie cittadine.

Catari e valdesi - Il movimento dei catari, nato in Francia meridionale, si diffuse rapidamente nelle aree limitrofe: Fiandre e Lombardia. Essi credevano che il mondo fosse dominato dal male, contrapposto al bene di Dio: rifiutavano perciò ogni rito che utilizzasse i prodotti del mondo e ogni cibo che fosse generato da un atto sessuale, oltre che negare l'incarnazione di Cristo. Suddividevano la loro comunità in "perfetti" che vivevano ripudiando i beni materiali, e in semplici "credenti" che non potevano pregare ma solo affidarsi a un percorso di iniziazione; la gerarchia era composta da diaconi, presbiteri e vescovi. Nel 1173, invece, Pietro Valdo, un ricco mercante, da cui ebbe origine il movimento dei valdesi, aveva cominciato la sua attività di predicatore in un piccolo centro urbano come Lione. Il movimento predicava le sue dottrine, prive di elementi teorici di conflitto con la Chiesa ma basate su una lettura non culturalmente preparata delle Scritture. La predicazione di Valdo ebbe un successo straordinario. Comunità valdesi nacquero presto in Germania, Spagna, Provenza, Italia, anch'esse organizzate secondo la distinzione tra "perfetti" e "amici" e secondo i tre gradi dell'ordine.

Al di là delle differenze sul piano dottrinale, questi movimenti erano accomunati da un identico tentativo di vivere in comunità animate da uno spirito di autentica fratellanza che (come più tardi Lutero) credevano di rintracciare nel Cristianesimo delle origini. Proprio in virtù di tale spirito egualitario, tuttavia, inevitabilmente si ponevano in aperto contrasto con la rigida, gerarchica struttura sociale che la società medievale si era data.

Le prime persecuzioni degli eretici - Nel 1208, il re di Francia scatenò una guerra contro i catari (o Albigesi). La crociata albigese avvenne in due fasi: dal 1209 al 1215 (crociata dei baroni) e dal 1215 al 1225, dopo che ci furono nuove rivolte, intervenne direttamente il re. I perseguitati vennero giustiziati in maniera sommaria e i loro beni furono confiscati dal regno. L'inquisizione entrò in campo solo dal 1223.

Nascita dell'Inquisizione - Le prime misure inquisitoriali erano state approvate nel 1179 dal Concilio Lateranense III. Fra esse, in particolare, il dettato del canone 27 legittimava la scomunica e l'avvio di crociate contro gli eretici. Il procedimento inquisitorio fu formalizzato nella giurisdizione ecclesiastica da papa Lucio III nel 1184 con il decreto Ad abolendam, che stabilì il principio - sconosciuto al diritto romano - che si potesse formulare un'accusa di eresia contro qualcuno e iniziare un processo a suo carico, anche in assenza di testimoni attendibili. La norma venne poi ribadita nel 1215 dal Concilio Lateranense IV che dava vita all'istituzione di «procedure d'ufficio». Si poteva, cioè, instaurare un processo sulla base di semplici sospetti o delazioni. Non solo: chiunque fosse venuto a conoscenza di una possibile eresia doveva immediatamente denunciare il fatto al più vicino tribunale dell'Inquisizione, altrimenti sarebbe stato considerato corresponsabile. Il termine "inquisizione", tuttavia, si trova documentato per la prima volta negli atti del Concilio di Tolosa tenutosi in Francia nel 1229. Per rispondere al dilagare di fenomeni ereticali e all'emorragia di fedeli la Chiesa cattolica rispose in due modi:

- appoggiandosi ai movimenti che pur richiamando a un più autentico cristianesimo non si staccavano da Roma e cioè domenicani e francescani;

- istituendo uno speciale tribunale ecclesiastico che avesse il compito di individuare gli eretici e di ricondurli alla «vera» fede: l'Inquisizione.

Immagine autocelebrativa dell´inquisizione, in cui (con falso storico)
si ritrae San Domenico di Guzmán come capo dell´Inquisizione spagnola
1475 - dipinto di Pedro Berruguete
(Paredes de Nava ca. 1450 - Ávila ca. 1504)

Periodizzazione e storiografia dell'Inquisizione - Nella storia di questo istituto gli storici distinguono tre fasi:

- l'Inquisizione medievale (dal 1179 o 1184 fino alla metà del XIV secolo): di questa inquisizione era responsabile il papa che nominava direttamente gli inquisitori.

- l'Inquisizione spagnola (1478-1820) e l'Inquisizione portoghese (1536-1821): in questo caso gli inquisitori venivano nominati dai rispettivi sovrani.

- l'Inquisizione romana (o Sant'Uffizio): fondata nel 1542 e a tutt'oggi esistente (l'attuale Congregazione per la dottrina della fede) rappresentò, secondo gli storici, una novità dato che durante il Medioevo il papa definiva semplicemente l'indirizzo politico generale e il quadro giuridico di riferimento, mentre adesso a Roma veniva creato un tribunale permanente direttamente presieduto dallo stesso pontefice.

Studi recenti hanno rilevato come alcuni processi che in passato venivano ascritti all'operato dell'Inquisizione tout court (ad es. i processi della cosiddetta caccia alle streghe) furono in realtà celebrati da tribunali nati a seguito della riforma di Lutero, tanto che si parla anche di un'Inquisizione protestante.

Negli ultimi due decenni alcuni studiosi hanno sostenuto l'esistenza di una Leggenda nera dell'Inquisizione o più semplicemente "Leggenda nera". Essi affermano che l'idea di Inquisizione oggi diffusa nell'immaginario collettivo non trovi riscontro nella documentazione storica e sia stata inventata ad arte dalla stampa protestante prima e anticlericale poi a partire dal XVI secolo.

L'Inquisizione medievale - In sintesi, l'Inquisizione medievale si divide in due fasi, vescovile e legantina. La prima prevedeva che i singoli vescovi cercassero gli eretici e li sottoponessero a processo, culminante in una scomunica; vi sono però casi di uccisione da parte di forze civili contro i movimenti ereticali, visti anche come forza sovversiva. Nella seconda fase, il papa nominava degli inquisitori permanenti con poteri superiori al vescovo; contemporaneamente l'imperatore Federico II  istituì la pena del rogo. Nel 1252, a causa di numerose uccisioni di inquisitori da parte di eretici, venne consentito l'uso della tortura (fino ad allora praticata solo nei processi secolari), comunque nella maggior parte dei casi trascurata; due anni dopo vengono istituite delle giurie popolari che dovevano affiancarsi all'inquisitore. L'inquisizione comminava solo pene spirituali, ma spesso a seguito di processi inquisitori veniva applicata la pena di morte da parte del potere secolare. L'Inquisizione medievale ha origine con la nascita stessa dell'inquisizione e, come si è visto, si fa ufficialmente cominciare nel 1179 o 1184. Nel 1179 il Concilio Lateranense III aveva stabilito il principio che le leggi dei principi e le punizioni corporali in esse previste potevano servire da deterrente nell'opera di riconversione alla fede cattolica. Cinque anni dopo, nel decreto Ad abolendam, papa Lucio III affermava:  « Alle precedenti disposizioni [...] aggiungiamo che ciascun arcivescovo o vescovo, da solo o attraverso un arcidiacono o altre persone oneste e idonee, una o due volte l'anno, ispezioni le parrocchie nelle quali si sospetta che abitino eretici; e lì obblighi tre o più persone di buona fama, o, se sia necessario, tutta la comunità a che, dietro giuramento, indichino al vescovo o all'arcidiacono se conoscano lì degli eretici, o qualcuno che celebri riunioni segrete o si isoli dalla vita, dai costumi o dal modo comune dei fedeli. »

In questi due provvedimenti gli storici (in questo caso concordi) vedono una svolta storica. Se fino a quel momento, infatti, la Chiesa si era limitata a definire quali proposizioni teologiche fossero eretiche e, al massimo, procedere alla scomunica, adesso si faceva carico ai vescovi di ricercare (inquisire appunto) esplicitamente gli eretici e processarli. In secondo luogo, se fino a quel momento la Chiesa era stata fortemente critica nei confronti delle punizioni corporali (la fede doveva essere persuasa non costretta), ora, invece, si auspicava che le legislazioni civili prevedessero pene per gli eretici e si chiedevano provvedimenti contro i Catari. Nel 1209 si scatenò una vera e propria persecuzione nel sud della Francia contro l'eresia catara (crociata contro gli Albigesi). Pare che in un solo anno furono uccise 20.000 persone e che lo stesso papa Innocenzo III, che in un primo momento aveva legittimato la crociata, abbia poi cercato di sedare gli eventi senza peraltro riuscirci.

Nel 1231 papa Gregorio IX, con la bolla Excommunicamus, affidò il compito dell'Inquisizione a dei giudici nominati e inviati da lui stesso che avevano, tra l'altro, il potere di deporre il vescovo qualora riscontrassero inefficienze nel suo operato. Il ruolo di giudice inquisitore così sottratto ai vescovi fu affidato, in un primo momento, a monaci cistercensi e poi a frati domenicani e francescani. Rivestì, a ogni modo, un ruolo primario l'intervento imperiale (soprattutto con Federico II): l'eresia fu considerata reato di lesa maestà, in quanto sulla religione cattolica si fondava l'impero. La predominante scelta a favore dell'Ordine dei domenicani, da poco fondato dallo spagnolo Domenico di Guzmán, era dovuta sia alla loro preparazione teologica (domenicano fu, ad es., Tommaso d'Aquino, il maggiore esponente della filosofia medievale), sia perché l'ordine domenicano da subito aveva avuto una dimensione europea; i frati domenicani, inoltre, a differenza dei vecchi ordini monastici, agivano soprattutto nelle città, dove i predicatori eretici svolgevano la loro opera.

La bolla Ad extirpanda, emessa il 15 maggio 1252 ad opera di papa Innocenzo IV, diede per la prima volta all'inquisitore la possibilità di avvalersi di un vero e proprio corpo di polizia e con la sua promulgazione lasciò all'inquisitore libera competenza e territorialità, nonché la scelta degli strumenti a disposizione per estorcere la confessione eretica, fra cui la tortura. L'esperienza dell'inquisizione medievale si concluse intorno alla metà del Trecento.

L'Inquisizione medievale operò soprattutto nel sud della Francia e nel nord Italia, cioè nelle due aree dov'erano maggiormente presenti Catari e Valdesi. In Spagna fu presente nel regno di Aragona, ma non nel regno di Castiglia. Nel resto d'Europa non sembra abbia avuto una particolare incisività, anche se si estese alla Germania, dove sarà fatta propria dai riformisti di Lutero, e in Scandinavia.

Francisco Goya - Scena di inquisizione
(Fuendetodos, Saragozza, 1746 - Bordeaux 1828)

L'Inquisizione spagnola - L'Inquisizione spagnola nacque nel 1478 per iniziativa di Ferdinando II d'Aragona e Isabella di Castiglia e fu ufficializzata da una bolla di papa Sisto IV. A differenza dell'inquisizione medievale, qui gli Inquisitori dipendevano dalla corona spagnola e non dal Papa. Loro compito principale (almeno inizialmente) fu occuparsi degli Ebrei convertiti al cristianesimo, i cosiddetti conversos (appunto convertiti) o marrani. Dalla penisola iberica i tribunali dell'Inquisizione passarono ai possedimenti spagnoli nel mondo (Sicilia, Sardegna e poi Messico, Lima, Cartagena des Indias). Dato che gli Inquisitori potevano agire in tutti i territori dell'Impero, mentre i giudici ordinari dipendevano dai singoli stati e non potevano valicarli, i re spagnoli col tempo trasformarono l'apparato dell'Inquisizione in una specie di polizia segreta internazionale col compito di prevenire possibili colpi di stato. All'interno di questa Inquisizione gli storici distinguono 4 momenti: Nascita (1478-1530): periodo di intensa attività e pene severe; obiettivo principale i conversos (gli ebrei convertiti), gli eretici e i focolai protestanti dell'Università di Alcalá de Henares e di Siviglia. Decadenza (1530-1640): eccetto una recrudescenza sotto il regno di Filippo II, questo periodo fu caratterizzato da una notevole diminuzione del numero di processi; obiettivo principale furono i nuovi convertiti al Cristianesimo e la censura dei libri; agli inquisitori fu anche chiesto di sorvegliare l'attività degli stranieri sospettati di crimini ideologici. Rinascita (1640-1660): le fonti testimoniano un aumento del numero di processi. Dissoluzione (1668-1820): in quest'ultimo periodo il tribunale si limitò a coartare la libertà di espressione e a impedire la propagazione di idee ritenute eccessivamente progressiste. Nel 1820 fu abolita definitivamente, anche se qualche episodio continuò nei territori dominati dai carlisti. Dopo il 1834 non si hanno più notizie di processi inquisitoriali.

L'inquisizione portoghese - Nata nel 1536 su richiesta del re Giovanni III, nei primi tre anni di attività essa rimase sotto il controllo del papa, ma nel 1539 il re nominò inquisitore maggiore suo fratello dom Henrique e infine, nel 1547, il papa accettò ufficialmente che l'Inquisizione dipendesse dalla corona come accadeva in Spagna. Nel 1560 inquisitori portoghesi giunsero nella città indiana di Goa e nella restante parte dei possedimenti portoghesi in Asia. Obiettivo primario di questa Inquisizione asiatica erano i convertiti al cristianesimo dall'induismo. L'Inquisizione portoghese fu abolita dalle Corti Generali nel 1821.

L'Inquisizione romana (o Sant'uffizio) - La Congregazione della sacra romana e universale Inquisizione o Sant'Uffizio fu creata nel 1542 da papa Paolo III con la bolla Licet ab initio. Consisteva di un collegio permanente di cardinali e altri prelati dipendente direttamente dal papa: il suo compito esplicito era mantenere e difendere l'integrità della fede, esaminare e proscrivere gli errori e le false dottrine. A questo scopo fu anche creato l'Indice dei libri proibiti. Il raggio d'azione degli inquisitori romani comprendeva tutta la Chiesa cattolica, ma la sua concreta attività, fatta eccezione per alcuni casi (come quello del cardinale inglese Reginald Pole), si restrinse quasi solo all'Italia. Tra i processi famosi celebrati da questo tribunale, quello a carico di Giordano Bruno e il processo a Galileo Galilei. Delle inquisizioni nate a partire dal Medioevo è l'unica ancora oggi esistente. La caduta dello Stato pontificio con l'unità d'Italia privò l'Inquisizione delle funzioni repressive prima delegate al braccio secolare, riducendola ad apparato puramente censorio, attento soprattutto a vietare la circolazione di prodotti culturali che l'apparato ecclesiastico considerava contrari alla propria etica. Essa non è stata tuttavia abolita: la Romana e Universale Inquisizione fu rinominata in Sacra Congregazione del Sant'Uffizio il 29 giugno 1908 da papa Pio X. Il 7 dicembre 1965 papa Paolo VI ne cambiò il nome in Congregazione per la dottrina della fede ridefinendone i compiti. Papa Giovanni Paolo II (che in un discorso dell'8 marzo 2000 ha chiesto perdono a nome della Chiesa per i peccati dei suoi appartenenti anche riguardo all'Inquisizione) ne ha ridefinito i compiti - promuovere e tutelare la dottrina della fede e dei costumi cattolici - ponendovi a capo nel 1981 Joseph Alois Ratzinger, l'attuale papa Benedetto XVI.

La caccia alle streghe  - Un capitolo a parte nella storia del tribunale dell'Inquisizione è rappresentato dalla cosiddetta «caccia alle streghe»: l'Inquisizione, come sì è detto, era nata per riportare gli eretici nel solco della «vera fede» e fu solo con papa Giovanni XXII (1316-1334) che la competenza degli inquisitori venne estesa alle persone sospettate di compiere atti di stregoneria. Due inquisitori domenicani, inviati di papa Innocenzo VIII in Germania, Heinrich Institor (Krämer) e Jakob Sprenger, per venire incontro alle richieste dei loro colleghi approntarono un manuale che conteneva tutte le informazioni utili per riconoscere, interrogare e punire streghe e stregoni. L'opera, pubblicata a Strasburgo nell'inverno tra il 1486 e il 1487 aveva un titolo altisonante Malleus maleficarum (Il martello delle malefiche) e, dato per noi significativo, fu un vero best seller, ristampato per ben 34 volte fino al 1669 senza mai lamentare una diminuzione nella richiesta da parte del pubblico e arrivando a una tiratura, per quei tempi assolutamente eccezionale, di 35.000 copie. Molti studiosi hanno affrontato l'argomento e hanno discusso, nel tentativo di determinare delle stime accettabili e condivise sul numero delle vittime della caccia alle "streghe" durante i due secoli in cui sia i tribunali dell'Inquisizione che quelli della Riforma le condussero al rogo. Le cifre che si ipotizzano in ordine alle vittime della persecuzione vanno considerate come ordini di grandezza e spesso sono oggettivamente influenzate dalle opinioni e dalle collocazioni culturali degli autori che le hanno determinate: le ipotesi minime parlano di circa 110.000 processi e 60.000 esecuzioni, mentre a risultati notevolmente inferiori si collocano pochi autori (per misurare l'incidenza del numero delle vittime bisognerebbe poi raffrontarla con la popolazione europea di quei tempi). Le vittime furono per l'80% donne.

Francisco Goya - Galileo sotto l'Inquisizione
(Fuendetodos, Saragozza, 1746 - Bordeaux 1828)

Il processo a Galileo  - Dopo anni di osservazioni e studi, Galilei credette di avere trovato la prova inconfutabile della teoria copernicana e su di essa imperniò la sua opera più nota: Dialogo sopra i Massimi Sistemi. Fu papa Urbano VIII, di idee progressiste che, appena eletto al soglio pontificio l'aveva voluto ospite a Roma per discutere di astronomia, che propose di modificare il titolo dell'opera (Galilei pensava a "Delle maree") in Dialogo sopra i due massimi sistemi così da far capire al pubblico largo come quella copernicana fosse solo una mera ipotesi. Nonostante la pubblicazione del libro fosse stata autorizzata dai preposti Organi censori, a seguito dell'uscita dell'opera e del grande successo dalla stessa riscosso, il 28 settembre 1632 il Sant'Uffizio emette la citazione di comparizione di Galileo a Roma. Galileo arrivò a Roma il 13 febbraio e fu ospitato dall'ambasciatore Niccolini, a Villa Medici. Per due mesi non ebbe notizie dagli inquisitori e in quelle more l'ambasciatore cercò di ottenere che Galileo, sofferente di artrite, potesse, anche durante il processo, rimanere presso l'ambasciata toscana, ma non gli venne concesso: dovette rimanere carcerato nel Palazzo del Sant'Uffizio, dove il 12 aprile si presentò per la prima volta davanti all'inquisitore Vincenzo Maculano. Inoltre, in una riunione riservata tenuta il 16 giugno dagli inquisitori in presenza del papa, si decise di utilizzare anche la tortura pur di far confessare Galileo, anche se non vi sono riscontri sul fatto che nei suoi confronti si sia andati oltre la minaccia. La condanna di Galilei era scontata ed aveva un indubbio valore dimostrativo.

Dal testo ufficiale della sentenza di condanna contro Galilei si legge che, in quanto riconosciuto colpevole di eresia, potrà essere assolto dal sant'Uffizio « pur che prima, con cuor sincero e fede non finta, avanti di noi abiuri, maledichi e detesti li sudetti errori e eresie, e qualunque altro errore e eresia contraria alla Cattolica e Apostolica Chiesa, nel modo e forma da noi ti sarà data. E acciocché questo tuo grave e pernicioso errore e transgressione non resti del tutto impunito, e sii più cauto nell'avvenire e essempio all'altri che si astenghino da simili delitti. Ordiniamo che per publico editto sia proibito il libro de' Dialoghi di Galileo Galilei. Ti condaniamo al carcere formale in questo S.o Off.o ad arbitrio nostro; e per penitenze salutari t'imponiamo che per tre anni a venire dichi una volta la settimana li sette Salmi penitenziali: riservando a noi facoltà di moderare, mutare o levar in tutto o parte, le sodette pene e penitenze. »