Lessico


Mitridate VI

Testa in marmo di Mitridate ricoperta da pelle di leone
del tardo ellenismo terminato il 31 aC con la battaglia di Azio
Museo del Louvre - Parigi

Mitridate VI Eupatore re del Ponto detto il Grande (ca. 132-63 aC). Figlio di Mitridate V, sbarazzatosi nel 111 della madre, ucciso il fratello e sposata la sorella Laodice, intraprese una energica politica di espansione verso i territori vicini, Galazia, Paflagonia e Bitinia, presentandosi in Asia come liberatore delle angherie dei Romani che fece massacrare in gran numero nell'88. Si spinse successivamente in Grecia occupando Atene, ma un esercito romano al comando di Silla lo cacciò dalla città battendolo poi a Cheronea e a Orcomeno.

Mitridate ottenne la pace ma dovette rinunciare a tutte le conquiste fatte e alla flotta. Nel 74 scese però nuovamente in guerra contro i Romani che avevano occupato la Bitinia, ma fu sconfitto nel 69 da Lucullo e nel 66 da Pompeo. Si rifugiò quindi nella Colchide per riprendere di lì la lotta, ma contro di lui si rivoltò il figlio Farnace. Vistosi perduto, si fece trafiggere da Bituito, un ufficiale Gallo, sapendo che il veleno, cui si era assuefatto, non avrebbe agito su di lui. Secondo Aulo Gellio (Noctes Atticae XVII,16), vista l'inefficacia dei veleni, si suicidò. Cassio Dione scrive invece che fu assassinato. Nella lotta contro i Romani dimostrò indomito coraggio, ma ai suoi grandi progetti, da re ellenistico, non corrisposero né duttilità diplomatica né capacità strategica.

Appiano di Alessandria (nato ad Alessandria d'Egitto ca. 95 dC) Storia romana XVI,111: « Mitridate poi prese del veleno che portava sempre con lui, affianco alla spada, e lo mescè. Quindi due delle sue figlie, ancora fanciulle (si chiamavano Mitridate e Nyssa), che erano state promesse ai re d'Egitto e di Cipro e che erano cresciute assieme, gli chiesero di lasciar prender loro il veleno per prime, ed insistettero fortemente e gli vietarono di berlo finché non ne avessero preso e ingoiato un po'. L'intruglio ebbe effetto su di loro immediatamente; ma su Mitridate non ne sortì alcuno, benché egli camminasse rapidamente tutt'attorno per accelerare la sua azione venefica. Questo accadeva perché il re aveva assuefatto se stesso ad altri veleni coll'assumerne sempre, al fine di proteggersi da eventuali attentatori.[...] Avendo quindi visto nei pressi un certo Bituito, un ufficiale dei Galli, gli disse:"Ho avuto un gran profitto dalla tua arma, usata contro i miei nemici. Ora, ricaverò da essa un vantaggio più grande che mai se mi ucciderai e se salverai, dal pericolo di essere condotto in un trionfo Romano, uno che è sempre stato autocrate per così tanti anni nonché signore di un così grande regno, ma che ora non puo' morire per mezzo del veleno perché, come un folle, ha fortificato se stesso contro il veleno di altri. Benché io mi sia prevenuto contro tutti i veleni che uomo possa ingerire col cibo, non mi sono mai prevenuto contro l'insidia domestica, che è sempre stata la più pericolosa per i re: il tradimento dell'esercito, dei figli, degli amici." Bituito, però, che era stato supplicato, rese al sovrano quel favore che lui desiderava. »

Dione Cassio Cocceiano Storia romana XXXVII,13:  « Mitridate, dopo aver tentato di togliere di mezzo assieme a lui, col veleno, prima le sue mogli e poi i figli rimasti, aveva mandato giù il contenuto della fialetta; però, né in quei termini né per la spada, era stato in grado di perire con le sue stesse mani. Il veleno, infatti, era sì letale, ma non prevalse su di lui (dal momento che egli aveva plasmato la sua costituzione per resistergli, prendendo ogni giorno l'antidoto ad esso in grandi dosi); e il colpo di spada non fu portato con forza, se si tiene conto della debolezza della sua mano, causata dall'età e dalle attuali sventure nonché risultato del veleno, qualsiasi cosa esso fosse. Quando, perciò, fallì nel tentativo di togliersi la vita con le sue sole forze, ed essa sembrò attardarsi oltre il momento giusto, quelli che lui aveva mandato contro suo figlio gli si lanciarono addosso e ne affrettarono il trapasso con le lame delle spade e le punte delle lance. Tuttavia Mitridate, che aveva sperimentato nella vita le cose più varie e notevoli, non ebbe comunque una fine ordinaria a quella sua esistenza. Poiché desiderava morire, anche se non di sua sponte; e benché fosse smanioso di suicidarsi, non poté riuscirvi; ma in parte per mezzo del veleno e in parte per mezzo della spada, egli si suicidò e contemporaneamente fu ammazzato dai suoi nemici. »

Aulo Gellio Noctes Atticae XVII,16 - Anates Ponticas vim habere venenis digerendis potentem; atque inibi de Mithridati regis in id genus medicamentis sollertia. 1. Anates Ponticas dicitur edundis vulgo venenis victitare. 2. Scriptum etiam a Lenaeo, Cn. Pompei liberto, Mithridatem illum Ponti regem medicinae rei et remediorum id genus sollertem fuisse solitumque earum sanguinem miscere medicamentis, quae digerendis venenis valent, eumque sanguinem vel potentissimum esse in ea confectione; 3. ipsum autem regem adsiduo talium medelarum usu a clandestinis epularum insidiis cavisse, 4. quin et scientem quoque ultro et ostentandi gratia venenum rapidum et velox saepenumero hausisse, atque id tamen sine noxa fuisse.  5. Quamobrem postea, cum proelio victus in ultima regni refugisset et mori decrevisset, venena violentissima festinandae necis causa frustra expertus suo se ipse gladio transegit. 6. Huius regis antidotus celebratissima est, quae "Mithridatios" vocatur.

Si dice correntemente che le anatre del Ponto vivano di veleni mangiandoli. Anche da Leneo, liberto di Gneo Pompeo, fu scritto che quel Mitridate, re del Ponto, fosse stato esperto di medicina e di rimedi di quel genere, e che fosse solito mischiare alle medicine sangue di anatre del Ponto, che sono in grado di digerire i veleni, e credeva infatti che quel sangue fosse potentissimo in quella preparazione; e che lo stesso re col servirsi assiduamente di tali metodi si guardava dalle insidie nascoste dei banchetti. Spesso , per dimostrare, bevve anche del veleno rapido e veloce e ciò fu senza danno. Perciò in seguito, poiché, essendo stato vinto in battaglia - dal popolo Romano, si era rifugiato nei luoghi più remoti del suo regno e aveva deciso di morire, dopo aver provato inutilmente dei veleni potentissimi al fine di affrettare la morte violenta, lui stesso si trafisse con la propria spada. L'antidoto di questo re, che si chiama mitridatico, è famosissimo

Mitridatismo

Il mitridatismo deriva da Mitridate VI re del Ponto, con allusione alla sua presunta assuefazione ai veleni, acquisita con la progressiva assimilazione di dosi crescenti di sostanze tossiche. Come testimoniato da Galeno nella sua opera De antidotis, escogitò un sistema per non essere avvelenato dai suoi nemici. A quel tempo, infatti, i monarchi vivevano nel continuo timore di cadere vittima del veleno e ordinavano ai medici di corte di elaborare antidoti. Mitridate, invece, iniziò ad assumere dosi crescenti di sostanze tossiche, contro le quali sviluppò assuefazione. Sembra che quando, sconfitto da Pompeo Magno, decise di togliersi la vita, non poté avvelenarsi perché ormai divenuto immune ai veleni e dovette perciò farsi trafiggere dalla spada di un suo soldato, Bituito. Secondo Aulo Gellio (Noctes Atticae XVII,16), vista l'inefficacia dei veleni, si suicidò, così come afferma Dione Cassio.

Il mitridatismo è una rara forma di resistenza antitossica che si stabilisce in taluni individui in seguito all'assunzione ripetuta di veleni. Consiste nella desensibilizzazione di un organo all'effetto di tossici che agiscono specificamente su di esso; ciò vale anche quando l'organo è sede di accumulo, di assorbimento o di trasporto del tossico in questione. Un esempio di mitridatismo è la cosiddetta arseniofagia, che si osserva in individui i quali sono abituati a tollerare senza alcun danno dosi di 25-30 centigrammi di arsenico al giorno introdotti per via orale. In questi soggetti l'arsenico provoca un'irritazione cronica dell'intestino (colite arsenicale) che, una volta instaurata, assicura per lungo tempo un limitato assorbimento dell'arsenico, e quindi la resistenza dell'organismo a questo veleno.

Il fenomeno del mitridatismo è attualmente messo in discussione; ad esempio, si oppone ad esso il fatto che se esso avesse validità generale, non dovrebbero verificarsi casi di tossicità cronica; d’altra parte, esiste un processo di assuefazione a sostanze psicoattive come la morfina, la cui ripetuta assunzione sembra determinare una sempre minore risposta dell’organismo (e, dunque, la necessità di assumere dosi crescenti). In generale, pertanto, oggi si tende a considerare il fenomeno del mitridatismo limitatamente ad alcune sostanze.