Lessico


Orfeo

Orfeo e gli animali
Mosaico pavimentale romano di età imperiale
Palermo, Museo Archeologico

Nell'antichità vi furono molti libri attribuiti a Orfeo o a suo figlio Museo, ed esercitarono molto influsso su scrittori come Pindaro e Platone. Di essi sono giunte a noi le tavolette auree che si seppellivano coi morti; una raccolta di inni assai tardi (sec. V-VI), in esametri, che riproducono aspetti tradizionali, assai più antichi, della religiosità orfica; una serie di citazioni fatte da scrittori posteriori. In tutti è sensibile il carattere mistico della religione orfica.

Orfeo fu il grande poeta e cantore, figlio di Eagro, re della Tracia, o di Apollo e della musa Calliope. Con la lira donatagli da Apollo suonava melodie dolcissime che avevano il potere di ammansire le belve più feroci e di smuovere le montagne. Prese parte alla spedizione degli Argonauti e, tornato dalla Colchide, si stabilì nella Pieria, sulle coste meridionali della Tracia, dove sposò la bella ninfa Euridice.

Nello stesso periodo si era trasferito in Tracia, dalla lontana Libia, Aristeo, figlio di Apollo e di Cirene, che aveva il grande pregio di aver insegnato agli uomini i segreti dell’agricoltura e dell’apicoltura. Questi s’innamorò pazzamente di Euridice e la perseguitò con le sue profferte d’amore. Un giorno, mentre la ninfa fuggiva da lui, correndo in mezzo ai campi, fu morsa da un serpente velenoso e morì.

Orfeo e gli animali
Mosaico del III secolo
Museo dei mosaici – Antiochia - Turchia

Orfeo, straziato dal dolore, si aggirò piangendo per le gole della montuosa Tracia e alla fine, persuaso di non poter più vivere senza l’amata sposa, scese nell’Erebo sperando di suscitare la pietà degli dei infernali con il suo canto desolato. Udendo il malinconico suono della sua lira, Cerbero smise di latrare, Caronte di traghettare le ombre, Tantalo di soffrire la sete, Sisifo di rotolare il macigno.

Anche la ruota di Issione si fermò e persino le Erinni o Eumenidi si placarono. Ades e Persefone si commossero e consentirono a Orfeo di riportare Euridice rediviva sulla terra. Gli posero, tuttavia, una condizione: lungo il cammino il giovane cantore non avrebbe dovuto voltarsi mai a guardare l’adorata moglie, finché non fossero tornati alla luce del sole. Ma quando i due sposi erano giunti ormai quasi alla fine del lungo cunicolo ed erano in prossimità della porta che avrebbero dovuto varcare per tornare nel mondo, Orfeo, non potendo più trattenere la sua impazienza, si voltò indietro per vedere se Euridice lo stesse seguendo. Ma appena posò lo sguardo su di lei, la figura della donna impallidì e divenne un’ombra che si dissolse nel nulla.

La testa di Orfeo - 1890
Gustave Moreau (Parigi 1826-1898)
Parigi, Musée Moreau

La porta del mondo dei morti si chiuse pesantemente alle spalle di Orfeo e invano il giovane disperato restò fuori per ben sette mesi in attesa che si riaprisse. Alla fine tornò fra i vivi, ma non cantò né suonò più, e si tenne lontano dai suoi simili e soprattutto dai festosi riti dionisiaci. Le Menadi, offese dal suo disprezzo, un giorno, nel delirio di un baccanale, gli si gettarono addosso e lo sbranarono. Le Muse seppellirono i suoi miseri resti, mentre la testa, gettata in mare dalle invasate sacerdotesse di Dioniso, fu trasportata dalle onde fino all’isola di Lesbo; la sua lira fu tramutata in costellazione.