Ulisse Aldrovandi
Ornithologiae tomus alter - 1600
Liber
Decimusquartus
qui
est
de Pulveratricibus Domesticis
Libro
XIV
che tratta
delle domestiche amanti della polvere
trascrizione di Fernando Civardi - traduzione di Elio Corti
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Quod
ad carnis temperiem attinet, sunt in quatuor [349] qualitatibus
temperati, quare multum alunt, et venerem augent, teste Isaac, qui alibi
etiam Capum avibus omnibus praefert, ut qui melius nutrimentum, et
perfectum generet sanguinem. Villanovanus Capos in cibo probat
circa aetatem sex, vel septem, vel octo mensium. |
Per
quanto riguarda il temperamento
della carne, essi posseggono i quattro tipi di umore che
compongono il temperamento, per
cui nutrono parecchio e sono afrodisiaci, come afferma Isacco Giudeo,
il quale anche in un altro punto antepone il cappone a tutti i volatili,
in quanto è quello che produce il nutrimento migliore e un sangue
perfetto. Arnaldo da Villanova
loda i capponi come cibo quando hanno circa un’età di 6-7-8 mesi. |
In
Gallinacei historia permulta, a nobis recitata sunt, quae omni harum
avium generi, tum salubritatis in cibo, tum apparatus ratione communia
sunt: itaque hic ea tantummodo, quae ad Capos privatim pertinent,
afferemus[1].
Quod modo ad coquendi, ac apparandi rationem attinet, haec sane varia
est, et pro cuiusque libitu instituta. Vel autem elixantur, vel assantur.
Iulius Alexandrinus inter recentiores scriptores Medicos illustris Capos
subsequenti modo elixans medici potius, quam coqui partes agit. Capum
prius per se elixat, huius pulpas, praecipue vero alarum, ac
pectunculorum cum apii una ac betae radicibus sumit, addit caseum, et
friati panis parum, ova sex circiter, uvarum passularum aliquid,
cinnamomum, zinziberis, piperis, {caryophillorum} <caryophyllorum>
quantum satis esse existimat, butyri cochlear magnum: componit omnia
simul, comminutis prius, quae comminui, tritis, quae teri debeant, in
massam, quam deinde in offas dividit figura, et magnitudine ovali fere.
Rapeolos, inquit, multi vocant, quod ex friatis prius id epuli genus
forte rapis concinnatum fuerit, dein minutim etiam concisis herbulis,
demum et animalium carne. Has tenui ex subacta farina, quam pastam vocat
aliquoties, folio seorsim singulas involvit offulas, eodem Capi iure
recoquit: exemptis, patinaeque iniectis caseum infriat, et calidi
affundit butyri satis. Est vero talis mixtura plurimae alimoniae, sed
quae sanguinem, ut ipsemet attestatur, inflammet, vitiosumque succum
generet, meatusque obstruat. Nostri vero coqui eiusmodi herbas, ut quae
ingratum potius, quam gratum saporem carni concilient, minime adijciunt,
sed vel simpliciter elixant, vel ex caseo recenti pil{l}ulas adijciunt,
et friatum caseum veterem superinspergunt: qui sane cibus gratissimus
est. |
Nella
relazione riguardante il pollo ho detto moltissime cose che sono comuni
a tutto quanto il genere di questi volatili sia riguardo alla loro
salubrità come cibo che al modo di prepararli: per cui a questo punto
riferirò solo ciò che riguarda in modo specifico i capponi. E per
quanto riguarda le modalità di cottura e di preparazione esse sono
davvero svariate e adatte al piacere di chiunque. Infatti vengono
lessati oppure arrostiti: Iulius Alexandrinus,
celebre tra gli scrittori medici recenti, lessando i capponi nel modo
seguente, si veste più da medico che da cuoco. Dapprima fa lessare il
cappone da solo, ne prende le polpe, ma soprattutto di ali e petto,
unendole a radici di finocchio
e di bietola, aggiunge formaggio e poco pane grattugiato, all’incirca
sei uova, un po’ di uva passa, cannella,
zenzero,
pepe, chiodi di garofano
nella quantità che ritiene sufficiente, un cucchiaio grande di burro,
mette il tutto insieme impastandolo dopo aver prima sminuzzato quello
che deve essere sminuzzato e pestato ciò che va pestato, e
successivamente suddivide l'impasto in bocconi che hanno quasi la forma
e le dimensioni di un uovo. Dice che molti li chiamano ravanelli
in quanto forse questo tipo di portata fu apprestata con rape
grattugiate, quindi anche con erbette finemente tritate, infine anche
con carne di animali. Avvolge separatamente uno a uno questi bocconcini
in una sfoglia sottile di farina impastata, che qualche volta chiama
pasta, e li fa nuovamente cuocere nello stesso brodo di cappone: rimosse
dal brodo e messe su un piatto vi grattugia sopra del formaggio e vi
versa sopra abbastanza burro caldo. In verità questo miscuglio è
parecchio nutriente, ma è tale da infiammare il sangue, come egli
stesso afferma, da generare un umore corporeo guasto e tale da ostruire
gli orifizi di scarico. In verità i nostri cuochi non aggiungono
assolutamente queste verdure in quanto conferiscono un sapore ingrato
anziché gradito, ma o li fanno semplicemente cuocere oppure aggiungono
delle palline di formaggio fresco e vi cospargono del formaggio vecchio
grattugiato, e in verità è un cibo assai gradito. |
Molesta
vero etsi pariter, multique laboris assatio est, quam idem Iulius
Alexandrinus praescribit paulo post, elegans tamen, et laudanda, si
herbas eas ante nominatas excipias. Coques, inquit, eadem materia
conclusum integrum Capum, excepto quod alae, pedesque {iefracti} <infracti>,
et collum retorquentur in corpus, ut angustius iaceat: ovorum, luteis
duratis aliquot infarcies, ea configes {caryophillis}
<caryophyllis> binis, ternisve, singula salita prius, tum pruna
accipies, et si haec ad manus non sunt, uvae passae, aliquid, {limoniive}
<limonisve> tenuius concisi, aut utriusque partem, ova sex fere:
tudicula miscentur, agitanturque haec: tum butyri bene recentis
adijcitur pro Capi pinguedine plus minus, sed quod liquaminis tamen
instar efficiat, hoc madescet immersus intus Capus: postremo factum ex
eadem farina imponetur vasi operculum. Hoc modo immittitur furno
farinacea patella, sive olla, sive testa, sive escarium vas id, ovorum
prius albumine illitum. Si anniculus fuerit Capus, non ante tertiam
horam extrahi furno debet. Cautio erit, si quid furni calore agitatius
factum effundi visum fuerit, vulgata charta nostra texisse, statim id
reprimere effervescentiam illam solet. Calidum inferre mensae vult.
Nonnulli ante perfectam cocturam vini aliquid affundunt, convivisque iam
apposituri luteum ovi aceto dilutum adijciunt. Haec ille. |
Ma
il farli arrosto è fastidioso e comunque richiede ugualmente un
notevole impegno, e lo stesso Iulius Alexandrinus poco dopo ne dà le
istruzioni, tuttavia arrostirli è raffinato e apprezzato se escludi le
verdure anzidette. Egli dice: farai cuocere un cappone intero avvolto
solo dalla sua pelle, eccetto il fatto che le ali e le zampe spezzate e
il collo vengono rigirati verso il corpo in modo che possa stare più
allo stretto: lo farcirai con alcuni tuorli d’uovo sodi, li
trafiggerai con due o tre chiodi di garofano, ogni cosa deve prima
essere stata salata, quindi prenderai delle prugne, e se queste non sono
disponibili, un po’ di uva passa oppure di limone tagliato piuttosto
sottile, o un po’ di tutti e due, circa sei uova: queste vengono
mescolate e sbattute servendosi di un frantoio: quindi si aggiunge una
certa quantità di burro molto fresco a seconda dell'adiposità del
cappone, tuttavia in modo tale che diventi come un sugo, e rimanendovi
immerso il cappone dovrà impregnarsi all’interno: infine gli si
metterà sopra un coperchio da pentola ma fatto di farina. Così
preparato lo si introduce in forno in una padella infarinata, oppure in
una pentola, oppure in un recipiente di terracotta, oppure in un
vasellame per cibi che sia stato prima spalmato con bianco d’uovo. Se
il cappone avesse un anno non bisogna toglierlo dal forno prima che
siano passate tre ore. Bisognerà fare attenzione al fatto che se sembra
che qualcosa reso ribollente dal calore del forno sta travasando, se
l'abbiamo ricoperto con la nostra carta comune abitualmente arresta tale
ribollio. Dice di metterlo in tavola caldo. Alcuni vi versano sopra un
po’ di vino prima che la cottura sia ultimata e quando stanno per
presentarlo ai convitati vi aggiungono del tuorlo d’uovo diluito in
aceto. Queste le sue parole. |
Nostris
coquis in veru assare Capones usitatum est, et cum vel malis aurantiis,
vel {limoniis} <limonibus> in frusta conscissis convivis exhibere.
Quod si vero sese offerat occasio, ut neque elixare, neque assare ad
ignem Capum queamus, uti fit in longo itinere, ubi saepe hospitia desunt,
tunc domo abeuntes chalybem ignitum nobiscum feremus, eumque in deplumem
Capum, ac exenteratum inijciemus, accurate uno, alterove mantili
obvolventes, ne calor evanescat: sic enim esui aptum reddemus etiam
inter equitandum, modo meminerimus subinde alitem versare. Verumenimvero
tetro inficietur odore, sed ferendo tamen, ac grato famelicis. Iam de
preparationis varietate dicendum. |
Per
i nostri cuochi è consuetudine arrostire i capponi allo spiedo e
presentarli ai convitati insieme ad arance dolci o a limoni tagliati a
pezzetti. Ma se capita che non abbiamo voglia né di lessare né di
arrostire un cappone sul fuoco, come accade in un lungo viaggio quando
spesso mancano gli alberghi, allora partendo da casa porteremo con noi
un oggetto d’acciaio arroventato e lo metteremo dentro al cappone
spiumato e sventrato, avvolgendolo accuratamente con uno o due
asciugamani affinché il calore non si disperda: infatti in questo modo
lo faremo diventare adatto a essere mangiato anche mentre stiamo
cavalcando, basta che ci ricordiamo di rigirare ripetutamente il
volatile. Ma si impregnerà per davvero di un odore ripugnante, tuttavia
sopportabile e gradito per coloro che sono affamati. Adesso bisogna
parlare dei vari modi di prepararlo. |
Mirause[2]
Catellanicum[3]
lauti genus cibi est a Platina his verbis descriptum: Catellani
gens quidem lauta, et quae ingenio, ac corpore Italicae solertiae haud
multum dissimili<s>[4]
habetur, obsonium, quod mirause illi vocant, sic condiunt: Capos, aut
pullastras, aut Pipiones, bene exenteratos et lotos in veru collocant,
volvuntque ad focum tantisper quoad semicocti fuerint. Inde exemptos, ac
{tessalatim} <tessellatim> divisos in ollam indunt: amygdalas
deinde tostas sub cinere calido, abstersasque lineo panno terunt. His
buccellas aliquot panis {subtosit} <subtosti> addunt, mixtaque cum
aceto, et iure per cribrum setaceum transmittunt. {Postea}
<Posita> in ollam haec omnia {inspersoque} <inspersaque>[5]
cinnamo, zinzibere, et saccaro multo, tamdiu effervere simul in car{bo}nibus[6]
procul a flamma, lento igne permittunt, quo ad iustam cocturam
pervenerint, miscendo semper cum cochleari, ne seriae adhaereant. Hoc
nihil suavius e<di>sse memini. Multi
est alimenti: tarde concoquitur, hepar, et renes concalefacit, corpus
obesat, ventrem ciet. |
Il
mirause catalano è un tipo di cibo sontuoso descritto dal
Platina
con queste parole: I Catalani,
un popolo davvero raffinato e che viene ritenuto non molto dissimile per
indole e tratti somatici dall’ingegnosità italica, condiscono nel
modo seguente un piatto che essi chiamano mirause: mettono sullo spiedo
dei capponi, o delle pollastre, o dei piccioni ben ripuliti dalle
interiora e ben lavati, e li rigirano sul fuoco fino a metà cottura.
Tolti dal fuoco e tagliati a quadretti, li mettono in una pentola:
quindi tritano delle mandorle tostate sotto la cenere calda e ripulite
con un panno di lino. Vi aggiungono dei bocconcini di pane appena
abbrustolito, e fanno passare le cose mischiate con aceto e brodo
attraverso un setaccio di crine. Messi in una pentola tutti questi
ingredienti e dopo averli cosparsi di cannella, zenzero e molto
zucchero, lasciano bollire insieme alla carne lontano dalla fiamma a
fuoco lento, fino a raggiungere una giusta cottura, mescolando sempre
con un cucchiaio affinché non aderiscano alla pentola. Non ricordo di
aver mangiato qualcosa di più soave di questa portata. È molto
nutriente: viene digerita lentamente, riscalda il fegato e i reni, fa
ingrassare il corpo, fa muovere l'intestino. |
[1] Lo sforzo di Aldrovandi nel modificare le parole di Gessner è stato minimo. Conrad Gessner Historia Animalium III (1555), pag. 412: In Gallinaceo F. permulta a nobis recitata sunt, quae omni gallinaceo generi tum salubritatis in cibo tum apparatus ratione communia sunt: hic ea quae ad capos privatim pertinent afferemus.
[2] Nel testo anonimo in catalano Sent Sovi (1324) suona come Mig-raust. Mastro Martino, dal quale il Platina ha tratto la ricetta, in italiano medievale lo chiama Mirrause e Roberto di Nola nel suo testo in catalano scrive Mirraust. Mig raust in tedesco visigoto significa mezzo arrostito, come mi ha specificato Marie Josèphe Moncorgé in una preziosa e-mail del 16 agosto 2005: “En effet, mig raust = à moitié rôti, en allemand wisigoth. Comment ce mot a-t-il survécu jusque dans une recette catalane du 14e? En tous cas, mig raust devient mirrause chez Martino, mirrauste chez Robert de Nola, miraus chez Scappi.” – Nella trascrizione del testo di Roberto di Nola a mia disposizione (Lybre de doctrina Pera ben Servir: de Tallar: y del Art de Coch) sta scritto Mirraust, e non una volta sola, ma credo che il vocabolo possa considerarsi equivalente a Mirrauste.
[3] In Platina -
Libellus platine de honesta voluptate ac valitudine, Bononiae,
per Johannem Antonium Platonidem, 1499 - esiste solo catellonicum:
VI,12
Mirause catellonicum
VI,32
Patina catellonica
VI,41
Cibarium album catellionicum – che però suona catellonicum nell’indice
VII,60
Carabazum catellonicum
VII,72
Leucophagum catellonicum
L’aggettivo sostantivato Catellani - e non Catelloni - è usato da Platina in Liber VI,12 – Mirause catellonicum – Catellani gens quidem lauta: et quae ingenio ac corpore italicae solertiae haud multum dissimilis habetur obsonium: quod mirause illi vocant: sic condiunt [...]
In Aldrovandi il mirause ricorre una sola volta e possiamo ipotizzare - ma solo ipotizzare - che egli abbia desunto l’aggettivo Catellanicum che lo accompagna dal suo maestro l’Ornitologo, cioè da Conrad Gessner.
Dal
momento che catellonicum potrebbe essere un’abituale variante di
catellanicum, il Catellanicum di Aldrovandi non viene corretto. E che
catellonicum possa essere una comune variante di catellanicum possiamo
arguirlo dal testo di Gessner in cui il mirause ricorre due volte - prima
come catellonicum e poi come catellanicum - salvo che Catellanicum
sia un puro errore tipografico: Conrad Gessner Historia Animalium III
(1555) pag. 389:
Ex capis aut pullastris Mirause Catellonicum, Platinae verbis describemus in
Capo F. - pag. 413: Mirause Catellanicum: Catellani gens quidem lauta, et
quae ingenio ac corpore Italicae solertiae haud multum dissimilis habetur,
obsonium, quod mirause illi vocant, sic condiunt: [...] § La conferma a
questa mia decisione di accettare sia catellanicum che catellonicum
mi giunge dal Dr Thomas Gloning - Institut für Germanistische
Sprachwissenschaft, Università di Marburgo, Germania - il quale così mi ha
risposto con una e-mail del 17 settembre 2005: M.E. Milham, dans l'édition
de Platine, ne change pas _catellonicus_, donc je pense que c'est une forme
assez régulière dans le temps. Aussi,
la variation entre des differentes formes était plus grand à ce temps qu'aujourd'hui.
[4]
Conrad Gessner Historia Animalium III (1555), pag. 413: Mirause
Catellanicum: Catellani gens quidem lauta, et quae ingenio ac corpore
Italicae solertiae haud multum dissimilis habetur, obsonium, quod mirause
illi vocant, sic condiunt: Capos aut pullastras, aut pipiones bene
exenteratos et lotos, in veru collocant: volvuntque ad focum tantisper,
quoad semicocti fuerint. Inde exemptos, ac tessellatim divisos, in ollam
indunt. Amygdalas deinde tostas sub cinere calido, abstersasque lineo panno,
terunt. His buccellas aliquot panis subtosti addunt, mixtaque cum aceto et
iure, per cribrum setaceum transmittunt. Posita in ollam haec omnia,
inspersaque cinnamo, gingiberi ac saccaro multo, tandiu effervere simul in
carnibus procul a flamma lento igne permittunt, quoad ad iustam cocturam
pervenerint, miscendo semper cum cochleari, ne seriae adhaereant. Hoc nihil
suavius edisse memini. Multi
est alimenti, tarde concoquitur, hepar et renes concalefacit, corpus obesat,
ventrem ciet, Platina.
[5] Libellus platine de honesta voluptate ac valitudine, Bononiae, per Johannem Antonium Platonidem, 1499 - ha inspersaque, così come riportato da Conrad Gessner.
[6] Libellus platine de honesta voluptate ac valitudine, Bononiae, per Johannem Antonium Platonidem, 1499 - ha simul in carnibus, così come riportato da Conrad Gessner. – Anche l'edizione bolognese ha – come Aldrovandi - il successivo quo ad invece del quoad ad di Gessner.