Abbiamo già sviscerato nel I volume l'argomento relativo al canto dei galli che può variare da quello pentasillabico del Gallus sonnerati a quello bisillabico del Gallus varius e dei galli dal lungo canto (Koshamo, Ukokkei, Totenko, Koeyoshi), per finire con quello del Denizli, che quando ebbi modo di udirlo a me parve monosillabico. Per l'esatto numero di sillabe scandite da ciascuna specie e documentate dai vari ricercatori, si rimanda al suddetto capitolo.
In questa sezione del II volume abbiamo appena riferito un'importante considerazione espressa da Roy Crawford in Poultry Breeding and Genetics (1990), ma è d'uopo citarla nuovamente:
“I documenti storici attestano che tra il 206 aC e il 1272 dC in Cina esistevano galli dal lungo canto. Attualmente il Giappone possiede 4 razze con questa caratteristica, Totenko, Tomaru, Minohiki e Koeyoshi, abitualmente correlate col Shokoku, a sua volta ritenuto discendente del Gallo Cinese dal Lungo Canto. Altri galli da annoverare tra i canterini sono il tedesco Bergisches Kräher e il brasiliano Gallus musicus. Questa caratteristica particolare non è mai stata analizzata dal punto di vista genetico, ma indubbiamente bisogna pensare a un controllo ereditario di tipo genetico.”
Un
documento storico, in cui in modo esotico si intersecano dati naturalistici e
fantasmagorici, è rappresentato da La natura degli animali di Claudio
Eliano
(Preneste ca. 170 - ca. 235), e se i
galli muti di cui parla – ammesso che siano esistiti – fossero oggi
disponibili, varrebbe certamente la pena sottoporli ad analisi genetica, come
auspicato da Crawford per quelli dal lungo canto.
Inutile sottolineare che nel web non solo è irreperibile un qualsivoglia dato su galli che si astengono dal far chicchirichì. Non è neppure possibile individuare l'antica località di Nibas nei pressi di Salonicco in cui questi galli sarebbero silenziosamente vissuti.
Dingo
Gli unici animali che rendono verosimile la trascorsa esistenza di galli muti sono due cani. Il primo è rappresentato dall'australiano Dingo (Canis dingo o Canis lupus familiaris dingo) probabilmente discendente da cani domestici inselvatichiti, presente da almeno 3450 anni, ma la cui origine è sconosciuta. Non ci perderemo nelle relative ipotesi in quanto già siamo saturi di congetture riguardanti il pollo. Pur essendo capaci di ringhiare, ululare e guaire, i Dingo abbaiano assai di rado, tanto che un tempo venivano chiamati cani muti. La capacità di abbaiare è tipica delle razze domestiche, anche se l'enciclopedia De Agostini a proposito del lupo (Canis lupus) sancisce che "l'ululato, così caratteristico del lupo, serve alla comunicazione fra i membri del branco dispersi, ma spesso i lupi riuniti ululano in coro per pura eccitazione. Inoltre, fatto meno noto, i lupi abbaiano come i cani." Le espressioni vocali del lupo comprendono, oltre all'ululare e all'abbaiare, suoni simili a latrati, brontolii, guaiti e fischi.
Un gruppo di Basenji
L'altro
cane, forse un po' più muto del Dingo, è
rappresentato dal Basenji, che in lingua bantu - la grande famiglia
linguistica dell'Africa centrale, orientale e meridionale - significherebbe indigeno.
Uso il condizionale, in quanto sul Basenji si riferiscono dati e date assai
variegati. Sta di fatto che un'altra fonte asserisce che Basenji significa piccola
cosa selvatica della boscaglia. Ma non basta. Siccome in Congo il Basenji era il cane da caccia dei Pigmei;
sembra che il nome della razza derivi da quello di una di queste tribù: i
Beshingis. Altri nomi
con cui è noto il Basenji: Cane del Congo, Cane degli Egizi, Cane di Cheope
(per via delle raffigurazioni rinvenute nella tomba di questo faraone
risalenti più o meno al 2600 aC), Cane della boscaglia africana, Cane che non
abbaia, Avuvi, Ango Angari. Non chiedetemi l'etimologia degli ultimi due
vocaboli.
Il Basenji appartiene al gruppo dei segugi, proviene dall’Africa e, come abbiamo appena detto, essendo un cane molto noto e popolare nell’antico Egitto, prediletto da molti faraoni, le sue prime tracce si ritrovano in tombe e graffiti risalenti a circa 5000 anni fa. Fu scoperto da esploratori europei e il primo esemplare fu introdotto in Europa pare nel 1937. Nel lungo frattempo girovagava per le foreste e gli altopiani insieme alle tribù africane che lo adoravano e se ne servivano come cane da guida per seguire le piste e per segnalare la presenza di prede o di animali feroci. Era molto impiegato anche per la caccia alla piccola selvaggina. Per velocità e agilità veniva paragonato a un piccolo daino. Alcuni esperti e studiosi sostengono che questo piccolo cane possa essere il progenitore dei Terrier, cioè, di quei cani impiegati nella caccia di animali che vivono nascosti nel terreno. A parte l’Inghilterra, in Europa è piuttosto raro. Anche in Italia non è molto diffuso.
Un bellissimo Basenji che forse non ha mai visto l'Africa
Orbene, una caratteristica peculiare del Basenji –
che solo in parte si può reperire nel Dingo ma non nel loro presunto
progenitore, il lupo – è il fatto che non abbaia.
Non si tratta di un cane muto. Emette
solo raramente guaiti o ululati, formula un grido particolare simile a una risata e riserva questo suo
linguaggio a momenti speciali. Attenti, però. Non conosco l'attendibilità
scientifica della fonte secondo cui il Basenji non può abbaiare a causa della
laringe appiattita e che il lupo, progenitore dei cani,
proprio non abbaia. La diatriba rimane aperta, ma non è mio compito
approfondirla.
Ed ecco che per fortuna la diatriba si apre. Si apre grazie a Stefano Bergamo che oltre a essere appassionato di polli ha uno spiccato feeling con i cani, un feeling che condivide con Imelda la quale si è sobbarcata l'onere di spulciare in modo approfondito la letteratura relativa al Basenji, dimostrando così in modo indiretto che la laringe appiattita – ammesso che ce l'abbia - è una mera panzana come causa di mutismo e che effettivamente il lupo abbaia, e che pure il Basenji abbaia, eccome, se serve.
La preziosa ricerca di Imelda mi è giunta da Amsterdam via e-mail il 18 ottobre 2006 grazie a Stefano, che così riassume le peregrinazioni bibliografiche di Imelda: "Purtroppo non ho buone notizie. Imelda ha rintracciato soltanto estratti di ricerche che dimostrano come i lupi siano perfettamente in grado di abbaiare, e lo facciano regolarmente, oltre a ululare. Stessa cosa il basenji: abbaia eccome, se serve. Pare che l’incidenza e frequenza dell’abbaiare siano direttamente proporzionali al livello di domesticazione e socializzazione."
Sì, il Basenji abbaia a seconda del livello di domesticazione e socializzazione. Ma, come dimostra la ricerca di Imelda, la genetica fa sempre capolino!
Ecco i risultati dello screening di Imelda Quinlan, la cui patria è l'Irlanda: Cashel, Contea di Tipperary.
It is a common misconception that wolves (Canis lupus) and primitive dog breeds (Canis familiaris) such as the Basenji do not bark. Exhaustive Behavioral Science research, however, demonstrates that barking is a common method of communication used by both wolves[1] and basenjis[2]. In this respect, Dr. A. Bereszynski studied wolf pack hierarchy, territorial marking, solitary animals, and within- and between-pack communication. The eleven distinctively different sounds the author identified included high amplitude barking and barking with howling[3].
It is also noted that the frequency of barking for both wolves and basenjis is less than that for many common breeds of dog such as the cocker spaniel or the terrier. The disparity in bark frequency and context between dogs and wolves has led some researchers, among whom Dr. S. Yin to conclude that barking in the domestic dog is nonfunctional. This conclusion attributes the differences primarily to genetic variation caused by domestication rather than to the influence of social environment on ontogeny[4].
Alternatively to the theory by which increased barking frequency is due to genetic variation as a consequence of domestication, however, is the conclusion reached by other researchers that vocal usage and response to vocalizations in mammals are strongly guided by social interactions. Closer evaluation of dog vocalizations with respect to social environment reveals developmental factors that lead to both frequent barking and barking in many contexts[5].
[1] Cfr
wolves’ barking in www.vimeo.com/clip:53969.
[2] See Kraskiewicz, A., Vocal communication of wolves (Canis
lupus) under natural conditions and its role as a pack bonding factor,
CAB Abstracts.
[3] Bereszynski, A., Komunikacja głosowa
wilków (Canis lupus, Linnaeus
1758) w warunkach hodowlanych i jej rola jako czynnika wiẻzi w stadzie, Roczniki
Naukowe Zootechniki. 2001, Suppl, z. 13, 69-72.
[4] Yin, S., A new perspective on barking in dogs (Canis familiaris),
University of California, Davis, USA.
[5] For patterns of social behaviour, see J.P.Scott, The Evolution of Social Behavior
in Dogs and Wolves, Department
of Psychology, Bowling Green State University Bowling Green, Ohio, 1967; John
Paul Scott, John L Fuller, eds., Genetics and the
Social Behavior of the Dog, University of Chicago Press, 1965.
Ritengo che l'impegno profuso da Imelda nell'acculturarci meriti un premio che vogliamo esprimere attraverso due immagini a lei care.
Rock of Cashel - I resti dell'antico castello fortificato di Rock of Cashel, nella contea di Tipperary, nell'entroterra centromeridionale dell'Irlanda. Il castello era parte di un complesso che comprendeva una cattedrale, una cappella e una torre circolare.
Vediamo cosa si sapeva dei galli di Nibas. Al contrario del Dingo e del Basenji non se ne sapeva praticamente nulla, eccetto il fatto che non cantavano, e questo loro mutismo fece addirittura coniare un proverbio.
Claudio Eliano
La natura degli animali, XV, 20
Θεσσαλονίκῃ
τῇ
Μακεδονίτιδι
χῶρός ἐστι
γειτνιῶν καὶ
λαλεῖται Νίβας.
οὐκοῦν οἱ
ἐνταῦθα
ἀλεκτρυόνες
ᾠδῆς τῆς συμφυοῦς
ἀμοιροῦσι
καὶ σιωπῶσι
πάντα πάντη.
καὶ διαρρεῖ
λόγος
παροιμιώδης
ἐπὶ τῶν
ἀδυνάτων, ὃς
λέγει 'τότε
ἂν ἔχοιτε
τόδε τι, ὅταν
Νίβας
κοκκύσῃ.' |
Vi
è una località vicino alla città di Tessalonica, in Macedonia,
chiamata Nibas. I galli che vivono qui non lanciano il loro
caratteristico canto, ma restano sempre silenziosi. Ed è per questo
che quando una cosa è ritenuta impossibile, si cita abitualmente quel
proverbio che dice: 'avrai questo quando i galli di Nibas canteranno'.
(traduzione di Francesco Maspero, 1998) |
Conrad Gessner
Historia animalium III (1555) - pagina 406
Ulisse Aldrovandi
Ornithologiae tomus alter (1600) - pagina 197
La referenza relativa a Teofrasto segnalata da Aldrovandi - e alla quale biologicamente parlando egli non crede - è il De natura animalium III,20.
Francesco Maspero (1998) precisa trattarsi invece del frammento 187. È verosimile che Aldrovandi abbia fatto riferimento a un’opera pubblicata nel 1522 a Lione, nella quale forse è contenuto il frammento 187 di Teofrasto: Aristotelis et Theophrasti Historiae: cum de natura animalium, tum de plantis & earum causis, cuncta fere, quae Deus opt. max. homini contemplanda exhibuit, ad amussim complectentes: nunc iam suo restitutae nitori, & mendis omnibus, quoad fieri potuit, repurgatae: cum indice copiosissimo: ex quo superfluum quod erat, decerpsimus: quod vero necessarium nobis visum est, superaddidimus. Lugduni: Apud Gulielmum Rouillium, 1552. Translation of Aristotle's [Peri ta zoia istoriai, Peri zoion morion, Peri zoion geneseos, Peri zoion kineseos, Peri zoion poreias (romanized form)]; and Theophrastus' [Peri phuton istorias, Peri phuton aition (romanized form)] Location: Hancock in Special Collections Q155.A716 1552.
Comunque stiano le cose, ecco cosa dedusse Eliano dal testo di Teofrasto.
Claudio Eliano
La natura degli animali, III, 38
Ἐν
τοῖς ὑγροῖς
χωρίοις καὶ
ἔνθα
νοτιώτατος ὁ
ἀὴρ
ὑπεράγαν, οἱ
ἀλεκτρυόνες
οὐκ ᾄδουσι,
φησὶ
Θεόφραστος. ἡ
δὲ ἐν Φενεῷ
λίμνη ἰχθύων
ἄγονός ἐστι.
ψυχροὶ δὲ
ἄρα ὄντες
τὴν
σύγκρασιν οἱ
τέττιγες
εἶτα μέντοι
πυρούμενοι
τῷ ἡλίῳ
ᾄδουσιν,
ἐκεῖνος
λέγει. |
Teofrasto
dice che i galli non cantano nelle zone palustri e dove soffia un
vento eccessivamente umido. Il lago di Feneo - città dell’Arcadia -
non produce pesci. E lo stesso scrittore afferma che, dato che è
fredda la costituzione fisica delle cicale, esse cantano quando
vengono riscaldate dal sole. (traduzione di Francesco Maspero, 1998) |
Aldrovandi dissente dal fatto che i galli non sarebbero in grado di cantare nelle regioni fredde e umide - Teofrasto parla solo di zone umide - confortato dal fatto che i galli dei Paesi nordici cantano a squarciagola: E noi aggiungeremmo: cantano a squarciagola nell'Europa del nord così come fanno in Italia in piena pianura padana, che di umidità ne ha da vendere.
Possiamo pertanto dedurre che quella dei galli taciturni di Nibas è l'unica notizia storica o pseudostorica di galli che forse erano geneticamente muti (essendo anche l'etologia in gran parte genetica), una notizia dovuta a Eliano e tramandata anche dal relativo proverbio contenuto nel Corpus Paroemiographorum Graecorum. Possiamo anche ipotizzare che quelli delle regioni umide citati da Teofrasto fossero dei galli non fantastici, ma che fossero geneticamente imparentati con quelli di Nibas anziché condizionati dal clima.
Non meravigliamoci dei galli muti. In natura può accadere di tutto. Può accadere che le rane smettano di gracidare, mandando così a gambe all'aria quella vecchia canzone che dice: "La rana in Spagna gracida in campagna". Il perché le rane possano smettere di gracidare ce lo ha sintetizzato il 18 ottobre 2004 il sito www.animali.com.
Inquinamento
e clima,
così le rane non gracidano più.
18
ottobre 2004
Uno studio pubblicato dalla rivista Science.
Le rane non gracidano più e con loro molti altri anfibi hanno scelto il silenzio: gli scienziati non sanno dare una spiegazione ma forse è un modo per manifestare il rischio che sentono di correre negli ultimi anni.
Un terzo delle 5.743 specie anfibie conosciute potrebbe presto estinguersi e per 427 specie la fine potrebbe arrivare anche domani. A lanciare l'allarme è un recente studio pubblicato sulla versione on-line di Science. La ricerca è durata tre anni e ha coinvolto 500 scienziati di oltre 60 paesi diversi.
Dal 1980, secondo l'indagine, si sono già estinte 122 specie di anfibi, facendo così salire questa categoria al primo posto nella classifica degli animali che presto potrebbero non abitare più il pianeta: fra i mammiferi è il 22% a rischiare l'estinzione, mentre fra gli uccelli il 12%. Le stime per quanto preoccupanti, sono tra l'altro, inferiori probabilmente alla realtà perché per il 22% delle specie anfibie conosciute gli scienziati non dispongono di informazioni sufficienti per trarre conclusioni.
Il tasso di estinzione ''è in una certa misura naturale - afferma il responsabile dello studio Simon Stuart - ma in questo caso ci troviamo di fronte a una situazione straordinaria. Nell'ultimo secolo si è estinto un numero pari alle perdite che si sono registrate nel corso di centinaia di anni''.
A essere sotto accusa sono, da una parte, l'inquinamento e i cambiamenti climatici, e dall'altra, una malattia portata da un fungo parassita (chytridiomycose) e la cui diffusione potrebbe essere favorita dall'innalzamento delle temperature. Il fenomeno è inoltre mondiale: alla fine degli anni '80, si è verificata una diminuzione del 40% del popolo degli anfibi in un sito protetto della Costa Rica, mentre altre perdite si sono registrate in Ecuador e Venezuela, in Brasile, in Australia, in Nuova Zelanda, per arrivare a toccare ultimamente anche il Perù, il Cile, la Repubblica Domenicana, la Spagna e la Tanzania.
Gli anfibi, inoltre, sono considerati degli eccellenti indicatori ambientali a causa della permeabilità della loro pelle, particolarmente sensibile ai cambiamenti, alla qualità dell'acqua e dell'aria, e così ''il catastrofico declino al quale stiamo assistendo - afferma Russel Mittermeier presidente dell'International Conservation - rappresenta un segnale chiaro del più generale degrado ambientale''. (ANSA).