Lessico


Alberto Magno

Alberto Magno

Teologo, filosofo, santo, detto Doctor universalis (Lauingen, Svevia ca. 1200 - Colonia 1280). Nato nella famiglia dei conti Bollstädt, appartenne all'ordine domenicano, rivestendo anche l'ufficio di padre provinciale. Compì i suoi studi a Padova e insegnò successivamente in vari conventi; fu poi maestro di teologia a Parigi, dove ebbe come discepolo San Tommaso d’Aquino, e infine insegnò presso l'Università di Colonia. Viene festeggiato il 15 novembre.

La sua opera filosofica è molto ampia ed è costituita da un completo commento ad Aristotele, da commentari a Pietro Lombardo, allo Pseudo-Dionigi, al Vecchio e al Nuovo Testamento.

Alberto non può essere tuttavia ritenuto un semplice commentatore, ma un vero e proprio autore. Tale infatti lo considerarono i contemporanei, citandolo spesso come auctoritas. Il merito fondamentale di Alberto consiste nell'aver intuito il significato che la tradizione aristotelico-araba poteva avere per la filosofia cristiana, anche se i risultati da lui conseguiti non sono sempre pari all'enorme sforzo compiuto. Spesso infatti i suoi commentari, per quanto perspicui, non distinguono esattamente il pensiero di Aristotele da quello dei suoi commentatori arabi.

Un secondo grande merito che gli si può attribuire è l'aver introdotto, in polemica con gli agostiniani, una sempre più netta distinzione tra filosofia e teologia. La teologia è fondata sulla rivelazione, la filosofia sulla ragione; ne segue che non è possibile in filosofia discutere di questioni teologiche. Da questa distinzione si trae anche una sempre più viva esigenza di autonomia della ragione.

incisione di Theodor de Bry (1528-1598)
da Bibliotheca chalcographica di Jean-Jacques Boissard - 1669

L'autorità dei padri della Chiesa e di Agostino viene così confinata nel puro campo della rivelazione, per cui – come scrive Alberto – per ciò che concerne la medicina ci si dovrà affidare a Galeno e a Ippocrate, per ciò che concerne la scienza naturale ad Aristotele. Ciò non significa tuttavia attribuire una radicale autonomia al metodo filosofico, in quanto esso si trova, come ogni aspetto della natura, inserito in una sorta di ordine divino.

La trattazione del problema dell'eternità del mondo offre un esempio di questo atteggiamento: dopo aver esposto le ragioni pro e contro l'eternità, Alberto conclude che nessuna di queste si mostra risolutiva. Perciò, dopo aver salvato l'autonomia della ragione, rivendica alla fede la libera decisione di fronte a scelte probabili. Non diversamente egli procede anche riguardo al problema dell'unità dell'intelletto, che comporta la possibilità di un'immortalità individuale. Egli infatti illustra, confrontandole, le opposte posizioni e, se conclude per l'individualità dell'intelletto, è più per motivi religiosi che per ragioni direttamente razionali.

Si può notare anche da qui come Alberto, pur essendo molto vicino a San Tommaso per alcune soluzioni, sia ancora lontano dall'equilibrio tomista di rapporti tra filosofia e teologia. L'opera di Alberto ha inoltre un significato storico, come summa del sapere del suo tempo; in essa egli rivela il suo valore di scienziato oltre che di filosofo. Dal punto di vista pedagogico, in Alberto è rilevabile il metodo della ricerca scientifica. In un tempo in cui predominava la cabala, egli ha saputo realizzare con la natura un tipo di approccio fondato sull'esperienza reiterata, che, se ancora ignora il concetto di esperimento, anticipa le posizioni dei più maturi rinascimentali. Egli inoltre intende la ricerca non solitaria ma comune: s'inaugura così il metodo del confronto e della collaborazione, che è proprio della scienza moderna.

incisione di Theodor de Bry (1528-1598)
da Bibliotheca chalcographica di Jean-Jacques Boissard - 1669

I discepoli di Alberto, dopo la sua morte, si raccolsero nella Scuola Albertina di Colonia e diedero un ulteriore sviluppo al suo pensiero, mettendo l'accento sulla tematica neoplatonica (illuminazione della mente come base della conoscenza), che valorizzarono anche nei commenti alle opere di Aristotele. Nella scuola si distinsero Ugo Ripelin, Ulrico di Strasburgo e quel Teodoro di Vriberg che assieme al discepolo Bertoldo di Moosburgo sviluppò tutta la tematica scientifica di Alberto Magno.

La vasta e multiforme produzione del doctor universalis è stata raccolta in due edizioni quasi complete, la prima curata da Jamni a Lione nel 1651 (21 vol.), la seconda da Auguste Borgnet (38 vol., Parigi). Una terza edizione critica è in corso di pubblicazione a opera degli istituti domenicani di Colonia e di Roma e prevede circa 40 volumi, di cui 14 già pubblicati.

Tra le opere principali vanno ricordate: De praedicabilibus, De praedicamentis, De coelo et mundo, De proprietatibus elementorum, De mineralibus, De anima, De intellectu et intelligibili, De unitate intellectus contra Averroem, Summa theologiae, Summa de creaturis.

Alberto Magno

Alberto Magno di Bollstädt, O.P. (dell'Ordine dei Predicatori), detto Doctor Universalis (conosciuto anche come Alberto il Grande, Alberto di Colonia; Lauingen, 1206 – Colonia, 15 novembre 1280), è stato un vescovo cattolico, filosofo e scienziato tedesco. È considerato il più grande filosofo e teologo tedesco del Medioevo sia per la sua grande erudizione che per il suo impegno a livello logico-filosofico nel conciliare fede e ragione, applicando la filosofia aristotelica al pensiero cristiano. Fu inoltre il maestro di san Tommaso d'Aquino. La Chiesa cattolica lo venera come santo protettore degli scienziati e Dottore della Chiesa. – O.P. significa Ordo Predicatorum, Ordine dei Predicatori, fondato nel 1216 da Domenico di Guzmán figlio di Felice di Guzmán (Calaroga, Castiglia e León, Spagna ca. 1170 – Bologna, 6 agosto 1221) e perciò gli appartenenti  all'Ordine dei Predicatori sono detti anche Domenicani.

Alberto, figlio minore del Conte di Bollstädt in Svevia, nacque a Lauingen (Svevia) ma l'anno di nascita non è esattamente conosciuto: alcuni sostengono nel 1205, altri nel 1206; molti storici inoltre indicano il 1193. Nulla di certo è poi noto circa la sua istruzione iniziale, se sia stata ricevuta in casa o in una scuola del circondario. Da giovane, comunque, fu mandato a proseguire i suoi studi presso l'Università di Padova, città scelta sia perché vi risiedeva un suo zio, sia perché Padova era famosa per la sua cultura delle arti liberali, per le quali il giovane svevo aveva una speciale predilezione. Anche la data di questo viaggio a Padova non può essere determinata con precisione. Nell'anno 1223, dopo aver ascoltato i sermoni del Beato Giordano di Sassonia, secondo maestro generale dell'Ordine dei Ppredicatori, decise di entrare nell'ordine domenicano.

Gli storici non riportano se gli studi di Alberto continuarono a Padova, Bologna, Parigi, o Colonia. Comunque, dopo averli completati, insegnò teologia a Hildesheim, Friburgo, Ratisbona, Strasburgo e Colonia. Si trovava nel convento di Colonia, intento nello studio del Liber Sententiarum di Pietro Lombardo (teologo e vescovo, Novara fine sec. XI - Parigi 1160), quando, nel 1245, gli fu ordinato di recarsi a Parigi. Qui si laureò all'università che più di ogni altra veniva celebrata come scuola di teologia. Durante il viaggio da Colonia e Parigi ebbe tra i suoi ascoltatori Tommaso d'Aquino, un giovane silenzioso e riflessivo del quale riconobbe il genio e al quale predisse la futura grandezza. Il nuovo discepolo accompagnò il suo maestro a Parigi e nel 1248 tornò con lui al nuovo Studium Generale di Colonia, del quale Alberto era stato nominato Rettore, mentre Tommaso divenne secondo professore e Magister Studentium.

Al Capitolo Generale dei Domenicani tenutosi a Valenciennes nel 1250, insieme a san Tommaso d'Aquino e a Pierre de Tarentaise, elaborò le norme per la direzione degli studi e per la determinazione del sistema di meriti all'interno dell'ordine. Quindi, nel 1254, fu eletto provinciale per la Germania, incarico difficile che ricoprì con efficienza e responsabilità. Nel 1256 si recò a Roma per difendere gli ordini mendicanti dagli attacchi di Guglielmo di Saint-Amour, il cui libro, De novissimis temporum periculis, fu condannato da papa Alessandro IV il 5 ottobre 1256. Durante la sua permanenza nell'Urbe, Alberto ricoprì l'ufficio di maestro del Sacro Palazzo (istituito ai tempi di san Domenico) e colse l'occasione per commentare il Vangelo secondo Giovanni. Nel 1257, però, per dedicarsi allo studio e all'insegnamento, rassegnò le dimissioni dall'ufficio di provinciale.

Nell'anno 1260 fu consacrato vescovo di Ratisbona. Umberto di Romans, maestro generale dei Domenicani, temendo di perdere i servigi di Alberto, cercò tuttavia di impedirne la nomina, ma fallì. Alberto, infatti, governò la diocesi fino al 1262 quando, dopo che furono accettate le sue dimissioni, riprese volontariamente l'ufficio di professore presso lo Studium di Colonia. Nel 1270 inviò una memoria a san Tommaso, che si trovava a Parigi, per aiutarlo nella disputa con Sigieri di Brabante (filosofo averroista - ? ca. 1240 - Orvieto ca. 1284) e gli Averroisti. Questo fu il suo secondo trattato contro il filosofo arabo (il primo fu scritto nel 1256 con il titolo De unitate intellectus contra Averroem). Nel 1274 fu invitato da papa Gregorio X a partecipare ai lavori del secondo Concilio di Lione, alle cui conclusioni prese parte attiva. L'annuncio della morte di san Tommaso a Fossanova, durante il viaggio che aveva intrapreso per partecipare ai lavori del Concilio, fu un duro colpo per Alberto, che lo commentò dichiarando che "La luce della Chiesa" si era estinta.

Il suo antico spirito e vigore tornarono a galla nel 1277, quando fu annunciato che Étienne Tempier, arcivescovo di Parigi, e altri volevano condannare gli scritti di san Tommaso perché li consideravano poco ortodossi. Per tale motivo si mise in viaggio alla volta di Parigi, deciso a difendere la memoria del suo discepolo. Qualche tempo dopo, nel 1278 (anno in cui scrisse il suo testamento) ebbe dei vuoti di memoria; la sua forte mente a poco a poco si offuscò, il suo corpo fiaccato da una vita austera di privazioni e di lavoro cedette sotto il peso degli anni e morì nel 1280. Fu sepolto nella chiesa parrocchiale di sant'Andrea a Colonia.

Fu beatificato da papa Gregorio XV nel 1622; la sua festa ricorre il 15 novembre. Nel settembre 1872 i vescovi tedeschi riuniti a Fulda inviarono alla Santa Sede una petizione per la sua canonizzazione. Finalmente, nel 1931, papa Pio XI lo elevò agli onori dell'altare e lo proclamò Dottore della Chiesa. Nel 1941 papa Pio XII lo dichiarò patrono dei Cultori delle Scienze Naturali.

Sono state pubblicate due edizioni dell'Opera Omnia di Alberto, la prima a Lione nel 1651 a cura di Padre Pietro Jammy, O.P., l'altra a Parigi (Louis Vivès) nel 1890-99, sotto la direzione dell'Abate Auguste Borgnet dell'Arcidiocesi di Reims. La cronologia delle opere fu stilata da Paul von Lee in Analecta Bollandiana (De Vita et scriptis B. Alb. Mag., XIX, XX e XXI). La sequenza logica, invece, fu estrapolata da Padre Mandonnet, O.P., nel Dictionnaire de théologie catholique. L'elenco che segue indica gli argomenti dei vari trattati, i numeri si riferiscono ai volumi dell'edizione Borgnet.

Logica
Sette trattati (I 2).

Scienze fisiche
Physicorum -
Divi Alberti Magni Physicorum sive de physico auditu libri octo (3);
De Coelo et Mundo (Il cielo e il mondo);
De Generatione et Corruptione (La generazione e la corruzione);
Meteororum (4);
De Mineralibus (I minerali) (5);
De Natura locorum;
De passionibus aeris (9).

Biologia
De vegetabilibus et plantis (I vegetali e le piante) (10);
De animalibus (Gli animali) (11-12);
De motibus animalium (I moti degli animali);
De nutrimento et nutribili (Il nutrimento e il nutribile);
De aetate (L'età);
De morte et vita (La morte e la vita);
De spiritu et respiratione (Lo spirito e la respirazione) (9).

Psicologia
De Anima (L'anima) (5);
De sensu et sensato (Il senso e il sensato);
De Memoria, et reminiscentia;
De somno et vigilia;
De natura et origine animae;
De intellectu et intelligibili (L'intelletto e l'intelligibile);
De unitate intellectus contra Averroistas (L'unità dell'intelletto contro gli Averroisti) (9).
Philosophia pauperum (Filosofia dei poveri).

Morale e Politica
Ethicorum (7);
Politicorum (8).

Metafisica
Metaphysicorum (Metafisica) (6);
De causis et processu universitatis (10).

Teologia
Commentario su Dionigi l'Areopagita (14);
Commentario alle Sentenze di Pietro Lombardo (25-30);
Summa Theologiae (31-33);
Summa de creaturis (34-35);
De sacramento Eucharistiae (Il sacramento dell'Eucaristia) (38);
Super evangelium missus est (37).

Esegesi
Commentari sui Salmi e sui Profeti (15-19);
Commentari sui Vangeli (20-24);
Sull'Apocalisse (38).

Sermoni
De quindecim problematibus (Su quindici problemi), edito dal Mandonnet nel suo Siger de Brabant (Friburgo, 1899).

L'autenticità delle opere seguenti non è stata accertata:
De apprehensione (5);
Speculum astronomiae (Specchio di astronomia) (5);
De alchimia (38);
Scriptum super arborem Aristotelis (38);
Paradisus animae (37);
Liber de Adhaerendo Deo (Il dover accostarsi a Dio) (37);
De Laudibus Beatae Virginis (36);
Biblia Mariana (37);
Compendium theologicae veritatis (Compendio della verità teologica);
De causis et proprietatibus elementorum (Le cause e le proprietà degli elementi);
De erroribus philosophorum (Gli errori dei filosofi);
De fato (Il fato);
De lapidibus (Le pietre);
De praedicabilibus (Le cose lodevoli);
De praedicamentis (Le categorie);
In categorias Aristotelis (Nelle categorie di Aristotele);
Super geometriam Euclidis (Sulla geometria di Euclide).

L'influenza esercitata da Alberto sugli studiosi dei suoi tempi e su quelli degli anni seguenti fu, naturalmente, molto grande. La sua fama è dovuta in parte al fatto che fu il precursore, la guida e il maestro di San Tommaso d'Aquino, ma sicuramente è stato grande anche di per sé. È interessante notare come questo frate medioevale in mezzo ai suoi molti doveri di religioso, come provinciale del suo ordine, come vescovo e legato pontificio, come predicatore di una crociata, pur effettuando molti faticosi viaggi tra Colonia, Parigi e Roma e frequenti escursioni in varie parti della Germania, abbia potuto essere in grado di comporre una vera enciclopedia, contenente trattati scientifici su quasi ogni argomento dello scibile umano, mostrando una conoscenza della natura e della teologia che sorprese i suoi contemporanei, e ancora suscita l'ammirazione dei dotti dei nostri tempi. Fu, realmente, un Doctor Universalis. Di lui, i critici moderni hanno scritto: "Sia che lo consideriamo un teologo o un filosofo, Alberto è stato sicuramente uno dei più straordinari uomini della sua epoca; si potrebbe dire, uno dei più meravigliosi uomini di genio che sono apparsi in passato." (Jourdain, Recherches Critiques)

Non sorprende che Alberto si fosse basato sulle fonti di informazioni che esistevano ai suoi tempi, in particolare sugli scritti scientifici di Aristotele. Tuttavia egli diceva: "L'obiettivo delle scienze naturali non è semplicemente accettare le dichiarazioni [narrata] degli altri, ma investigare le cause che sono all'opera in natura" (De Mineralibus Libro II, tr. ii, i). Nel suo trattato sulle piante affermò il principio: Experimentum solum certificat in talibus (L'esperimento è l'unica guida sicura in tali indagini). (De Vegetabilibus, VI, tr. ii, i). Profondamente versato come era in teologia, egli dichiarava: "Nello studiare la natura non abbiamo a indagare come Dio Creatore può usare le sue creature per compiere miracoli e così manifestare la sua potenza: abbiamo piuttosto a indagare come la Natura con le sue cause immanenti possa esistere." (De Coelo et Mundo, I, tr. iv, x)

Anche se sulle scienze naturali preferiva Aristotele a Sant'Agostino, egli non esitava a criticare il filosofo greco. "Chiunque creda che Aristotele fosse un dio, deve anche credere che non commise alcun errore. Ma se si crede che Aristotele sia stato un uomo, allora è stato certamente passibile di errori, così come lo siamo noi." (Physic. lib. VIII, tr. 1, xiv). In realtà Alberto dedicò un lungo capitolo a ciò che egli definiva "gli errori di Aristotele" (Sum. Theol. P. II, tr. i, quaest. iv). In una parola, il suo apprezzamento per Aristotele era critico. Egli merita credito non solo per aver portato l'insegnamento scientifico del filosofo greco all'attenzione degli studiosi medievali, ma anche per aver indicato il metodo e lo spirito in cui tale insegnamento doveva essere recepito.

Come il suo contemporaneo Ruggero Bacone (filosofo, teologo e scienziato inglese - Ilchester, Somersetshire, ca. 1214 - forse Oxford dopo il 1292 (1214-1294)), Alberto fu un infaticabile studioso della natura e applicò la stessa energia allo studio delle scienze sperimentali, con tale zelo che fu accusato di trascurare le scienze sacre (Enrico di Gent, De scriptoribus ecclesiasticis, II, x). In realtà, circolarono molte leggende che gli attribuivano poteri magici. Joachim Sighart (Albertus Magnus, 1876) ha esaminato queste leggende e si è sforzato di recuperare la verità da storie false o esagerate. Altri biografi si sono accontentati del fatto che la versatilità di Alberto nelle scienze fisiche poteva essere stato il fondamento su cui si basavano tali storie. La verità, naturalmente, si trova tra i due estremi. Alberto coltivò assiduamente le scienze naturali; era un'autorità nella fisica, in geografia, in astronomia, mineralogia, chimica (alchimia), zoologia e fisiologia. In tutti questi soggetti la sua erudizione era vasta e molte delle sue osservazioni sono tuttora valide.

Ernst Meyer (Geschichte der Botanik, 1854-57) scriveva: "Nessun botanico che sia vissuto prima di Alberto può essere paragonato a lui, tranne Teofrasto, che non conosceva; e dopo di lui nessuno ha dipinto la natura in tali vividi colori, o l'ha studiata così approfonditamente, fino all'arrivo di Conrad von Gessner e Andrea Cesalpino. Tutti gli onori, dunque, vanno tributati all'uomo che ha fatto tali stupefacenti progressi nella scienza della natura, da non trovare nessuno, non che lo sopravanzi, ma che lo eguagli nei tre secoli successivi."

L'elenco delle sue opere pubblicate è sufficiente a scagionarlo dall'accusa di trascurare la teologia e le Sacre Scritture. D'altro canto, egli espresse il suo disprezzo per tutto ciò che sapeva di incantesimo o di arte magica. Egli non ammise mai la possibilità di creare l'oro con l'alchimia o attraverso l'uso della pietra filosofale; ciò è evidente dalle sue parole: "L'arte da sola non può produrre una forma sostanziale". (Non est probatum hoc quod educitur de plumbum esse aurum, eo quod sola ars non potest dare formam substantialem – De Mineralibus Lib. II, dist. 3).

Ruggero Bacone e Alberto dimostrarono al mondo che la Chiesa non è contraria allo studio della natura: la scienza e la fede possono andare di pari passo; la loro vita e i loro scritti sottolineano l'importanza della sperimentazione e dell'indagine. Bacone fu infaticabile e coraggioso nelle indagini, anche se, a volte, la sua critica fu troppo forte. Ma di Alberto disse: Studiosissimus erat, et vidit infinita, et habuit expensum, et ideo multa potuit colligere in pelago auctorum infinito (Opera, ed. Brewer, 327). Alberto rispettava l'autorità e le tradizioni, era prudente nel proporre i risultati delle sue indagini e, di conseguenza, "contribuì molto più di Bacone al progresso della scienza nel XIII secolo" (Turner, Hist. of Phil.).

Il suo metodo di trattamento delle scienze fu storico e critico al tempo stesso. Raccolse in una grande enciclopedia tutto ciò che era noto ai suoi tempi e poi espresse le sue opinioni, principalmente sotto forma di commentari sulle opere di Aristotele. Talvolta, tuttavia, era titubante e non espresse il suo pensiero, probabilmente perché temeva che le sue teorie, che per quel periodo erano piuttosto "avanzate", avrebbero potuto provocare disappunto e commenti non favorevoli. Dicta peripateticorum, prout melius potui exposui: nec aliquis in eo potest deprehendere quid ego ipse sentiam in philosophia naturali (De Animalibus, circa finem).

Nell'opera dell'inglese Augusta Theodosia Drane (1823-1894) "Scuole Cristiane e studiosi" (1867, pagina 419 e seguenti) vi sono alcune interessanti osservazioni su "alcuni pareri scientifici di Alberto che mostrano quanto egli dovette alle sue sagaci osservazioni dei fenomeni naturali, e in che misura era in anticipo rispetto alla sua epoca.... Parlando delle isole britanniche, alludeva alla comune idea che esisteva nell'oceano occidentale un'altra isola -- Tile, o Thule --, inabitabile a causa del sua clima, ma che", affermava," forse non era ancora stata visitata dall'uomo." Alberto elaborò anche una dimostrazione della sfericità della terra; qualcuno ha anche sottolineato come le sue idee sull'argomento condussero, in seguito, alla scoperta dell'America (Mandonnet, in Revue Thomiste, I, 1893; 46-64, 200-221). Si ipotizza infine che Alberto Magno sia stato il primo ad aver isolato l'arsenico nel 1250.

Più importante dello sviluppo delle scienze fisiche fu la sua influenza sullo studio della filosofia e della teologia. Egli, più di chiunque dei grandi scolastici che precedettero San Tommaso, diede alla filosofia e alla teologia cristiana la forma e il metodo che, sostanzialmente, si sono conservati fino ai giorni nostri. Nel marcare il sentiero che fu seguito da altri, Alberto condivise la gloria di essere stato un pioniere con Alessandro di Hales († 1245), la cui Summa Theologiae fu il primo scritto, dopo tutte le opere di Aristotele, a diventare famoso a Parigi. La loro applicazione della metodologia e dei principi aristotelici per lo studio della dottrina rivelata funsero da base per il sistema scolastico, che postulava l'unione di ragione e fede. Dopo Averroè, Alberto fu il principale commentatore delle opere di Aristotele, i cui scritti studiò con la massima assiduità, e i cui principi adottò per sistematizzare la teologia, che intendeva come esposizione scientifica e difesa della dottrina cristiana.

La scelta di Aristotele come maestro provocò forti opposizioni. I commentari ebraici e arabi sulle opere del filosofo avevano originato tali e tanti errori nell'XI, XII e XIII secolo, che per alcuni anni (1210-1225) lo studio della metafisica e della fisica aristotelica furono vietati. Alberto, tuttavia, sapeva che Averroè, Pietro Abelardo, Amalrico di Bennes e altri avevano tratto false dottrine dagli scritti del filosofo; sapeva, inoltre, che sarebbe stato impossibile arginare la marea di entusiasmo a favore degli studi filosofici e così decise di purificare le opere di Aristotele da razionalismo, averroismo, panteismo e altri errori e quindi mettere la filosofia pagana al servizio della causa della verità rivelata. In questo seguì l'insegnamento agostiniano (II De Doct. Christ., xl), che sosteneva che le verità trovate negli scritti dei filosofi pagani dovevano essere adottate dai difensori della fede, mentre le loro opinioni erronee dovevano essere abbandonate o spiegate in un senso cristiano. (San Tommaso, Summa Theol., I, Q. lxxxiv, a 5). Tutte le scienze inferiori (naturali) avrebbero dovuto essere al servizio (ancillae) della teologia, che è la scienza superiore.

Contro il razionalismo di Abelardo e dei suoi seguaci, Alberto sottolineò la distinzione tra verità naturalmente conoscibile e misteri (la Trinità e l'Incarnazione), che non possono essere conosciuti senza la rivelazione. Scrisse due trattati contro l'averroismo, che distruggeva l'immortalità e le responsabilità individuali, insegnando che vi è una sola anima razionale per tutti gli uomini. Il panteismo, invece, fu confutato insieme all'averroismo quando la dottrina sugli Universali, il sistema noto come realismo moderato, fu accettata dai filosofi scolastici. Sebbene seguace di Aristotele, Alberto non trascurò Platone. Scias quod non perficitur homo in philosophia, nisi scientia duarum philosophiarum, Aristotelis e Platonis. Per questo erravano quando dicevano che era solo la scimmia (simius) di Aristotele.

Nella conoscenza delle cose divine la fede precede la comprensione della divina verità, l'autorità precede la ragione; ma nelle materie che possono essere naturalmente conosciute, un filosofo non dovrebbe assumere una posizione che non sia pronto a difendere con la ragione. La logica, secondo Alberto, era una preparazione all'insegnamento della filosofia come la ragione era il mezzo per passare attraverso ciò che è noto alla conoscenza dell'ignoto: Docens qualiter et per quae devenitur per notum ad ignoti notitiam. La filosofia era sia contemplativa che pratica. La filosofia contemplativa abbraccia la fisica, la matematica, e la metafisica; la filosofia pratica (morale) è monastica (per l'individuo), domestica (per la famiglia), o politica (per lo stato e la società). Escludendo la fisica, gli autori moderni conservano ancora la vecchia divisione della filosofia scolastica in logica, metafisica (generale e speciale) ed etica.

In teologia Alberto occupa un posto tra Pietro Lombardo (teologo e vescovo - Novara fine sec. XI - Parigi 1160), il magister sententiarum, e San Tommaso d'Aquino. Nell'ordine sistematico, nella precisione e nella chiarezza superò il primo, ma fu inferiore al proprio illustre discepolo. La sua Summa Theologiae, segnò un passo in avanti rispetto alla consuetudine del suo tempo sia sull'osservazione scientifica, sia nell'eliminazione delle questioni inutili, sia nella limitazione delle argomentazioni e obiezioni; rimanevano, tuttavia, molti degli impedimenta che San Tommaso considerava sufficientemente importanti da richiedere un nuovo manuale di teologia ad uso dei novizi (ad eruditionem incipientium), come il "Dottore Angelico" commentava nel prologo della sua Summa. La mente del Doctor Universalis era così pregna della conoscenza di molte cose che non poteva sempre adeguare le sue esposizioni della verità alle capacità dei novizi nella scienza della teologia. Quindi, addestrò e diresse un alunno che diede al mondo una concisa, chiara e perfettamente scientifica esposizione e difesa della dottrina cristiana. Fu proprio grazie agli indirizzi di Alberto che San Tommaso scrisse la sua Summa Teologica.

Nel campo della musica Alberto Magno è conosciuto per il suo prezioso trattato sulla musica del suo tempo; molte delle sue osservazioni sono contenute nel suo commentario alla Poetica di Aristotele. Tra le altre cose, egli definisce ridicola l'idea della musica universale: egli afferma che è impossibile che il movimento degli astri generi un suono. Egli scrisse molto sulle proporzioni nella musica, e sui tre differenti livelli soggettivi con cui la musica liturgica può influire sull'animo umano: purificazione, illuminazione che porta alla contemplazione, e conoscenza della perfezione tramite contemplazione. Di particolare interesse per gli studiosi della musica del XX secolo il fatto che egli consideri il silenzio parte integrante della musica.

Alberto è frequentemente citato da Dante Alighieri, che fece della dottrina della libera volontà il fondamento della propria etica. Egli lo pone col suo pupillo Tommaso d'Aquino tra gli "Spiriti Sapienti" nel Cielo del Sole.

Pochi sanno che la piazza parigina di Maubert porta il nome del grande santo domenicano. Maubert deriva da Magnus Albert, Alberto il Grande, il dotto maestro di teologia, di filosofia e di scienze naturali che, per la grande affluenza di studenti alle sue lezioni presso l'università francese, fu costretto a insegnare sulla pubblica piazza, che porta tuttora il suo nome.

La stazione Maubert – Mutualité della metropolitana di Parigi

Le conoscenze agricole nel Medioevo
da Alberto Magno a Pier de' Crescenzi

Nel corso degli ultimi decenni lo studio delle conoscenze agricole nel Medioevo ha registrato un progresso decisivo. Dalle ricostruzioni storiche emerge un forte contrasto tra l’inattività di molte regioni e il dinamismo agricolo delle Fiandre e dell’Inghilterra, dove si registrarono migliori rendimenti, un certo aumento della produttività e il ricorso alla diversificazione delle colture, che presupponevano arature più profonde, sarchiature e scerbature più accurate, concimazioni più abbondanti ed efficaci, la coltivazione di piante miglioratrici e l’uso di letame di qualità; in queste regioni, inoltre, furono perfezionate le tecniche di allevamento, grazie alla coltivazione delle piante da foraggio, e alla manutenzione di terreni erbosi permanenti e di praterie artificiali.

Benché fosse classificata tra le arti meccaniche, l’agricoltura era legata alla filosofia da un duplice rapporto; come principale fonte di approvvigionamento, questa disciplina svolgeva infatti un ruolo fondamentale nell’economia e, allo stesso tempo, come attività che ha per oggetto la materia vivente, consentiva di comprendere i modi di operare dell’anima vegetativa, degli umori e degli elementi, chiamando in causa in molte questioni il concetto di specie.

Il riflesso di questa dualità individuabile nei Libri X e XI dello Speculum naturale (de cultura agrorum et hortorum; de agris de arte mechanica) e nel Libro VI dello Speculum doctrinale, un testo dedicato all’ars oeconomica, di Vincenzo di Beauvais (ca. 1190-1265), dove l’autore riprende la definizione di Isidoro secondo cui oeconomica sive dispensativa est ars vel scientia qua domesticarum rerum sapienter ordo disponitur (cap. 1, col. 481). Tutta la letteratura agronomica è caratterizzata dalla tendenza ad andare oltre le considerazioni tecniche per affrontare tutti gli aspetti dell’arte di vivere in campagna, amministrando terreni, animali e persone. In questi testi, infatti, viene dato spazio anche ai temi della contabilità, della misurazione dei terreni, dell’arte veterinaria, della cucina e della medicina domestica. Questa tendenza è riscontrabile sia in Catone che in Olivier de Serres, sia nella Maison rustique di Estienne che nel Dictionnaire économique di Chomel.

L’aspetto gestionale e contabile è preso in esame soprattutto in un genere particolare di trattati redatti nel XIII sec. nell’area anglo-normanna: nei Rules di Roberto Grossatesta, in due trattati anonimi, Senechaucy e Husbandry, nell’opera di Walter de Henley e nella Fleta. In questi testi, dedicati alla gestione amministrativa e destinati ai siniscalchi o agli amministratori dei grandi possedimenti, sono descritti i compiti dei dipendenti, del balivo, del prevosto e del camparo, così come l’organizzazione del personale, il calcolo delle giornate di lavoro e i rendimenti, soprattutto in riferimento alla coltivazione dei cereali e all’allevamento. Questi trattati non si richiamano in alcun modo alla tradizione antica e la loro diffusione al di fuori dell’Inghilterra fu molto limitata.

In compenso, sulla scia di Alberto Magno si sviluppò una tradizione più attenta ai problemi teorici, rappresentata da Pietro de’ Crescenzi e dai suoi epigoni italiani. Verso il 1260, nel redigere il suo De vegetalibus, Alberto Magno si trovò ad affrontare gli stessi problemi incontrati nella stesura del De mineralibus. Quello che si proponeva di commentare era un modello aristotelico lacunoso, lo pseudoaristotelico De plantis di Nicola di Damasco (II sec.) basato su alcune note del Liceo, e tradotto dal siriaco all’arabo e poi dall’arabo in latino da Alfredo di Sareshel (Alfredo l’Inglese). Seguendo un procedimento analogo a quello adottato per il De mineralibus, che lo aveva portato a cercare chiarimenti presso minatori, fonditori e alchimisti, Alberto per il De plantis consultò erboristi e agronomi. Il Libro VI del De vegetalibus è un imponente erbario ordinato alfabeticamente in cui Avicenna è completato da Plateario, mentre il Libro VII è un vero e proprio trattato di agricoltura. Lungi dall’essere una semplice digressione, questo testo è dedicato ai fondamenti razionali delle conoscenze agricole, all’intervento dell’uomo sulla Natura: qualiter videlicet habitudinem vitae mutat de statu quando de silvestri fit domestica sive hortensis, et de hortensi fit silvestris (VII, 1, 1, p. 269). Alberto riordinò la sua fonte, l’opera di Palladio, in funzione di questo intento. La questione dell’addomesticamento delle piante, per esempio, non riguarda soltanto coloro che desiderano conoscere la Natura, ma anche la vita privata e pubblica (ad vitam et civitatum permanentiam): benché sia il solo principio delle cose naturali, come tutte le cose le cui sostanze sono trasmutabili, la Natura può ricevere un grande aiuto dall’arte e dalla cultura (multum iuvatur arte et cultu). I fattori che consentono l’addomesticamento sono quattro, cibus, aratio et fossio, seminatio e insitio. Il nutrimento (cibus) è il concime (stercorizatio laetamen) di cui l’autore spiega l’azione attraverso i quattro elementi. L’aratura o vangatura (aratio o fossio) ha quattro funzioni: l’apertura della terra (terrae apertio), il suo livellamento (eiusdem adaequatio), il suo mescolamento (agri commistio) e il suo sbriciolamento (comminutio). L’autore distingue diverse categorie di campi: sativi (sativi), consiti (piantati), compascui (da pascolo), novales (incolti); egli descrive i modi per migliorare il suolo affinché divenga sativus. Il termine seminatio indica la semina. Dell’insitio o innesto, invece, Alberto studia i meccanismi fisiologici (De vegetalibus, V, 1, 4). La descrizione degli innesti conduce l’autore a dedicare un capitolo alla coltura dell’ager compascuus, cioè ai pascoli e alla loro irrigazione e fienagione, come pure alla coltivazione delle graminacee e alla creazione dei frutteti. Il secondo trattato dello stesso libro è intitolato De plantis in speciali, quae usibus hominum domesticantur, i tipi di piante cioè che nascono in agro sativo, vale a dire nei campi seminati e negli orti, e in agro consito, cioè nei frutteti e nelle vigne. Alberto spiega l’addomesticamento con la teoria dei quattro elementi: tra tutti gli organismi viventi, le piante sono le più vicine agli elementi; il lavoro dell’uomo riesce a modificare la qualità del terreno e dell’umidità (et ideo quod mutat qualitatem terrae et humoris, in qua sita est planta, multum mutat naturam plantae). Tutte le piante che non sono curate diventano selvatiche e il loro sapore cambia perché cambia la loro alimentazione (ibidem, I, 2, 6). Le piante cambiano a seconda dei luoghi in cui crescono. Come ha osservato Jean-Louis Gaulin, Alberto combina tra loro con grande abilità le tecniche e i terreni, basandosi su una classificazione ripresa, attraverso la mediazione di Isidoro, dalla tradizione latina (ager sativus, ager consitus, ager compascuus, prata, viridarium). Più in generale, il contributo di Alberto riguarda lo studio dei principi teorici della crescita dei vegetali.

Alla parte teorica dell’opera di Alberto è ispirato il Ruralium commodorum opus, redatto tra il 1304 e il 1306 da un erudito bolognese, Pietro de’ Crescenzi. Dopo aver studiato all’università la logica, la medicina, la filosofia della Natura e il diritto, Pietro mise a frutto le sue conoscenze giuridiche come assessore del podestà, e successivamente si ritirò nella sua tenuta, la Villa dell’Olmo, per dedicarsi alla stesura della sua opera. Pietro de’ Crescenzi si situa al punto di incontro tra la tradizione gestionale e la tradizione scientifica di Alberto; è in effetti dal Libro VII del De vegetalibus che l’autore riprende il piano del suo trattato e i principi teorici di fisiologia vegetale che spiegano il passaggio delle piante dallo stato selvatico a quello domestico.

I Ruralia commoda sono composti da dodici libri. Il primo è dedicato all’aria, ai venti, ai luoghi, alla scelta di luoghi appropriati per costruire strade e case, ai pozzi, alle fontane, agli acquedotti, al ruolo dell’amministratore e del padre di famiglia; il secondo, che deve molto ad Alberto, descrive la natura delle piante e gli aspetti comuni all’agricoltura in tutti i tipi di terreno; nel terzo sono presi in esame i campi coltivati e, in particolare, quelli di cereali e leguminose; il quarto è consacrato alle vigne, il quinto agli alberi da frutto e non, e ai loro usi medicinali così come erano stati descritti da Avicenna e Isaac Israeli; il sesto tratta dei giardini e delle virtù delle erbe, sia coltivate che selvatiche, già analizzate dal medico salernitano Matteo Plateario e dalla tradizione latina delle Dietae di Isaac Israeli; il settimo descrive i pascoli e i boschi, l’ottavo i giardini ornamentali, il nono gli animali, incluse le api e gli animali da cortile, enunciando alcune nozioni di medicina veterinaria; il decimo è dedicato alla caccia; l’undicesimo è una ricapitolazione dei precedenti libri in forma di precetti e il dodicesimo enumera i lavori dei dodici mesi dell’anno richiamandosi al modello di Palladio.

Crescenzi è un autore di vaste letture, antiche e contemporanee. Per esempio, il Libro IV, che ha come oggetto anche il vino, è basato sul Liber vindemie o Liber de vindemiis, cioè sulla versione latina, eseguita da Burgundio di Pisa fra 1136 e 1193, della sezione dedicata alla vendemmia e alla vinificazione dei Geoponica, un vasto trattato bizantino di economia rurale la cui compilazione risale al regno di Costantino VII Porfirogeneta (905-959). I Geoponica sono costituiti da stratificazioni successive. Verso il IV-V sec. dC, Vindanio Anatolio di Beirut aveva compilato una raccolta di testi di nove agronomi. Tra la fine del VI e l’inizio del VII sec. Cassiano Basso amalgamò la sua opera con la compilazione di Didimo di Alessandria (IV-V sec.), a sua volta costituita da una raccolta di testi di sette autori; nel X sec. questo insieme di testi fu raccolto e diviso in venti libri da un autore non identificato; in seguito, Burgundio tradusse un testo del secondo strato. Crescenzi quindi mescolò elementi del VII sec. ed elementi della sua epoca; come ha osservato Jean-Louis Gaulin, Crescenzi ha ritenuto opportuno aggiungere alla descrizione delle tecniche che vedeva praticare alcune indicazioni trovate nei libri. Il suo intento non è tanto quello di fornire una giustapposizione di testi e una dualità di tecniche, quanto di confrontarli e fonderli, di compilare una raccolta di risposte alternative agli stessi problemi. La sezione dedicata al vino dei Ruralia commoda deve essere considerata un tutto organico, facendo attenzione a non perdere di vista i diversi strati dai quali è composta. Crescenzi si riferiva costantemente alla filosofia della Natura: per esempio, quando spiegando la trasformazione del vino in aceto attraverso gli umori affermava che questo processo ha luogo quando nel vino il caldo e l’umido cedono il passo al freddo e al secco, proprietà che caratterizzano l’aceto. La sua opera riscosse un considerevole successo e fu frequentemente copiata. In Italia ispirò la Divina villa (1410) del possidente perugino Corniolo della Cornia. In Francia, fu tradotta per la prima volta nel 1373 su richiesta di Carlo V con il titolo di Livre des prouffitz champestres et ruraux. Un’altra versione del testo di Crescenzi, intitolata il Rustican, le bon mesnage, conobbe quindici edizioni tra il 1486 e il 1540. Con l’invenzione della stampa – che diede un impulso decisivo all’organizzazione e alla diffusione delle conoscenze agricole, come, del resto, di tutte le altre conoscenze tecniche – le edizioni e le traduzioni in volgare dell’opera di Crescenzi si moltiplicarono, insieme a quelle dei testi di Palladio e di Columella nei Geoponica.

Treccani

Saint Albert le Grand
environ 1200-1280

Parmi les grands savants médiévaux Albert le Grand figure à juste titre. Il est né autour l'an 1200, peut-être en 1206, dans la petite ville de Lauingen en Schwaben, comme fils du comte de Bollstadt. Il se montre précoce et très doué des talents intellectuels. Pendant ses études en Italie septentrionale il est devenu dominicain en 1223 à Padoue dans la présence de Jourdain de Saxe, le successeur de saint Dominique. Depuis 1228 Albert a enseigné dans plusieures villes, comme Hildesheim, Freiburg, Regensburg, Strasbourg et Cologne.

En 1241 il est envoyé à Paris pour faire des études ultérieures. À Paris il a reçu en 1245 le titre de magistre de théologie. De 1243 à 1248 Albert a enseigné à Paris, en commençant avec les Sententiae de Pierre Lombard. Puis à Cologne saint Thomas d'Aquin était parmi ses étudiants. À Cologne Albert s'occupait en particulier de l'oeuvre aristotelienne dans tout l'ampleur philosophique et scientifique. Entre 1254 et 1257 Albert était prieur provincial de la province domicaine d'Allemagne. Le pape Alexandre IV lui a fait l'évêque de Regensburg, parce que ce pape était fortement impressioné par les efforts pacifiques de saint Albert en Cologne.

Déjà en 1262 Albert a demandé au pape de lui relever de ses tâches épiscopaux, et le pape Urbain IV lui a déchargé. D'ailleurs le comportement ascétique de saint Albert comme évêque était une source d'irritation pour l'élite urbaine de Regensburg. En suite le pape lui a confié la prédication dans Allemagne et Bohème pour les croisades. Dans les années 1264 à 1267 Würzburg était son domicile et puis Strasbourg.

À partir de 1270 il a vécu à Cologne où il a consacré le dernier part de sa vie à l'enseignement et l'étude. On dit qu'il était présent au concile de Lyon en 1274. Il a défendu son ancien étudiant Thomas d'Aquin après son mort contre l'opposition face à son oeuvre. Albert mourut le 15e novembre 1280. Son corps se trouve maintenant à Cologne dans le crypte du convent dominicain Saint André. Là on garde aussi comme un souvenir albertien une chape liturgique bleue du treizième siècle.

Comme savant Albert le Grand n'était pas seulement actif aux champs de la théologie et philosphie, mais il a eu aussi un intérêt profond des sciences naturelles. Il a beaucoup souligné l'importance de l'observation personnelle. Saint Albert a écrit plusieurs commentaires sur les travaux de l'oeuvre du philosophe grec Aristote, un oeuvre dont un part était tout récemment traduit en latin. Les études de saint Albert ont fait des emprunts aussi des travaux du philosophe espagnol et musulman Avèrroes (Ibn Rush, 1126-1198). L'édition moderne de l'oeuvre de saint Albert occupera plus de quarante volumes. Albert le Grand était béatifié en 1622 et canonisé en 1931. Le pape Pie XI lui a créé au même temps aussi le saint patron de la paix et de la science, et il lui a donné le titre d'un Docteur de l'Église.

Alberto Magno nelle vesti di vescovo

L'iconographie de saint Albert connait au moins deux types de représentation, comme dominicain et comme évêque. Le sculpture moderne à la place près de l'Université de Cologne est remarquable: on voit le saint assisié avec un livre sur ses genoux et en regardant le monde autour lui avec une curiosité inépuisable. Cela semble très caractéristique de ce saint appellé par ses contemporains le "doctor universalis", le docteur universel.

Ici il s'agit de quelques thèmes seulement. On trouve la littérature sur saint Albert le Grand en utilisant un nombre des essais bibliographiques. Les travaux théologiques et scientifiques de saint Albert sont partiellement déjà parus dans l'édition moderne de ses Opera omnia, quelques oeuvres sont publiés dans autres éditions, mais il reste un nombre des textes imprimés seulement dans les éditions anciennes. Heureusement il existe quelques traductions des travaux touchants surtout à la science naturelle. J'ai ajouté une sélection des grands études modernes.

Bibliographie

Congar, Yves, et Marie Hyacinthe Laurent, 'Essai de bibliographie Albertinienne', Revue Thomiste 36 (1931) 198-238.

Walz, Angelus, et August Pelzer, 'Bibliographia S. Alberti Magni indagatoris rerum naturalium', Angelicum 21 (1944) 13-40 - les publications sur saint Albert le Grand et les sciences naturelles.

Catania, F.J., 'A bibliography of St. Albert the Great', The Modern Schoolman 37 (1959) 11-28.

Schooyans, M., 'Bibliographie philosophique de Saint Albert le Grand (1931-1960)', Revista da Universidade Catolica de São Paulo 21 (1966) - un numéro special de ce revue.

Layer, Adolf, 'Albertus-Magnus-Bibliographie (1931-1980)', Jahrbuch des Vereins für Augsburger Bistumsgeschichte 15 (1981) 71-112.

Krieger, Gerhard, 'Albertus Magnus. Veröffentlichungen aus den Jahren 1973-1988', dans : Contemporary philosophy. A new survey, VI : Philosophy and sciences in the Middle Ages 1-2, G. Floistad et R. Klibansky (éd.) (Dordrecht 1990) 241-259

Éditions

Un guide de haute importance aux travaux authentiques de saint Albert le Grand et leur transmission manuscrit -plus de soixante-dix travaux- est le livre suivant : Winfried Fauser, Die Werke des Albertus Magnus in ihrer handschriftlichen Überlieferung I, Die echten Werke (Münster 1982). Ce panorame est un résultat du travail scientifique à l'Albertus-Magnus-Institut, Bonn.

Beati Alberti Magni, Ratisbonensis episcopi O.P., Opera, Pierre Jammy (éd.) (21 vol., Lyon 1651).

Albertus Magnus, Opera omnia, Auguste et Emil Borgnet (éd.) (38 vol., Paris 1890-1899) - largement appuié sur l'éditon Lyon 1651

Alberti Magni ordinis fratrum praedicatorum episcopi Opera omnia, Bernhard Geyer et alii. (éd.) (Münster 1951-).

Albertus Magnus, De animalibus libri XXVI, Hermann Stadler (éd.) (2 vol.., Münster 1916-1920).

Alberto Magno, Speculum astronomiae, Stefano Caroti et Paola Zambelli (éd.) (Pise 1977).

Albertus Magnus, Ausgewählte Texte, Lateinisch-Deutsch, Albert Fries (sélection et traduction) (Darmstadt 1981).

Tummers, Paul, Albertus (Magnus)' commentaar op Euclides' Elementen der geometrie : inleidende studie, analyse en uitgave van boek I (Nijmegen 1984) - un étude avec une édition partielle du commentaire d'Albert le Grand des "Élements" d'Euclide.

Traductions

Oeuvres choisies de saint Albert le Grand, André Garreau (trad.) (Paris 1942).
Libellus de alchemia, ascribed to Albertus Magnus, Virginia Heines (trad.) (Berkeley, Ca., 1958).

Albertus Magnus, Book of minerals, Dorothy Wyckoff (trad.) (Oxford 1967).

[Pseudo-] Albertus Magnus, The book of secrets of Albertus Magnus : of the virtues of herbs, stones and certain beasts, Michael Best et Frank Brightman (trad.) (Oxford 1971).

Albert the Great, Man and the beasts : De animalibus (books 22-26), James Scanlan (trad.) (Binghamton, N.Y., 1987).

Albert and Thomas. Selected writings, Simon Tugwell (trad. et introduction) (New York 1988).

Women's secrets : a translation of Pseudo-Albertus-Magnus' De secretis mulierum with commentaries, Helen Lemay (trad.) (Albany, N.Y., 1992).

Albertus Magnus, Le monde minéral, Michel Angel (trad.) (Paris 1995).

Albertus Magnus, On animals : a medieval summa zoologica, Kenneth Kitchell (trad.) (Baltimore, Md., 1999).

Albertus Magnus, Ausgewählte Texte  : lateinisch-deutsch, Albert Fries (trad.) (4e éd., Darmstadt 2001).

Albertus Magnus, Über den Menschen - De homine, Henryk Anzulewicz et Joachim Söder (éd. et trad.) (Hamburg 2004) - le latin et une traduction en allemand.

Études (dans l'ordre chronologique) - une sélection

Arendt, Wilhelm, Die Staats- und Gesellschaftslehre Alberts des Grossen nach den Quellen dargestellt (Jena 1929).

Grabmann, Martin, Der hl. Albert der Grosse, ein wissenschaftliches Charakterbild (Cologne 1932).

Scheeben, Heribert Christian, Albertus Magnus (1e éd., 1932; 2e éd., Cologne 1955; Cologne 1980).

Balss, Heinrich, Albertus Magnus als Biologe ; Werk und Ursprung (Stuttgart 1947).

Wyckoff, Dorothy, 'Albertus Magnus on ore deposits', Isis 49 (1958) 109-122 - Albert le Grand et la minéralogie.

Geyer, Bernhard, Die Universitätspredigten des Albertus Magnus (Munich 1966).

Tilmann, Jean Paul, An appraisal of the geographical works of Albertus Magnus and his contributions to geographical thought (Ann Arbor, Mich., 1971).

Craemer-Ruegenberg, Ingrid, Albertus Magnus (Munich 1980).

Schäfke, Werner, Albertus Magnus : Wissenschaftler, Politiker, Heiliger (Cologne 1980).

Albertus Magnus, Doctor Universalis, 1280-1980, Gerbert Meyer et Albert Zimmermann (éd.) (Mainz 1980) - avec une bibliographie.

Albertus Magnus and the sciences. Commemorative essays, James A. Weisheipl (éd.) (Toronto 1980) - aussi avec une bibliographie.

Albert der Grosse : seine Zeit, sein Werk, seine Wirkung, Albert Zimmermann (éd.) (Berlin-New York 1981).

Hossfeld, Paul, Albertus Magnus als Naturphilosoph und Naturwissenschaftler (Bonn 1983).

Libera, Alain de, Albert le Grand et la philosophie (Paris 1990).

Zambelli, Paola, The Speculum astronomiae and its enigma : astrology, theology, and science in Albertus Magnus and his contemporaries (Dordrecht-Boston, Mass., 1992).

Emery, Gilles, La Trinité créatrice : trinité et création dans les commentaires aux Sentences de Thomas d'Aquin et de ses précurseurs Albert le Grand et Bonaventure (Paris 1995).

Albertus Magnus und der Albertismus : Deutsche philosophische Kultur des Mittelalters, Maarten Hoenen et Alain de Libera (éd.) (Leyde, etc., 1995).

Albert der Grosse in Köln, Jan Aertsen (éd.) (Cologne 1999).

Schieffer, Rudolf, Albertus Magnus. Mendikantentum und Theologie im Widerstreit mit dem Bischofsamt (Münster 1999).

Albertus Magnus. Zum Gedenken nach 800 Jahren : Neue Zugänge, Aspekte und Perspektiven, Walter Senner (éd.) (Berlin 2001).

Müller, Jörn, Natürliche Moral und philosophische Ethik bei Albertus Magnus (Münster 2001).

http://home.hetnet.nl/~otto.vervaart

Albert the Great

Known as Albert the Great; scientist, philosopher, and theologian, born c. 1206; died at Cologne, 15 November 1280. He is called "the Great", and "Doctor Universalis" (Universal Doctor), in recognition of his extraordinary genius and extensive knowledge, for he was proficient in every branch of learning cultivated in his day, and surpassed all his contemporaries, except perhaps Roger Bacon (1214-94), in the knowledge of nature. Ulrich Engelbert, a contemporary, calls him the wonder and the miracle of his age: "Vir in omni scientia adeo divinus, ut nostri temporis stupor et miraculum congrue vocari possit" (De summo bono, tr. III, iv).

Life

Albert, eldest son of the Count of Bollstädt, was born at Lauingen, Swabia, in the year 1205 or 1206, though many historians give it as 1193. Nothing certain is known of his primary or preparatory education, which was received either under the paternal roof or in a school of the neighbourhood. As a youth he was sent to pursue his studies at the University of Padua; that city being chosen either because his uncle resided there, or because Padua was famous for its culture of the liberal arts, for which the young Swabian had a special predilection. The date of this journey to Padua cannot be accurately determined. In the year 1223 he joined the Order of St. Dominic, being attracted by the preaching of Blessed Jordan of Saxony second Master General of the Order. Historians do not tell us whether Albert's studies were continued at Padua, Bologna, Paris, or Cologne. After completing his studies he taught theology at Hildesheim, Freiburg (Breisgau), Ratisbon, Strasburg, and Cologne. He was in the convent of Cologne, interpreting Peter Lombard's "Book of the Sentences", when, in 1245, he was ordered to repair to Paris. There he received the Doctor's degree in the university which, above all others, was celebrated as a school of theology. It was during this period of reaching at Cologne and Paris that he counted amongst his hearers St. Thomas Aquinas, then a silent, thoughtful youth, whose genius he recognized and whose future greatness he foretold. The disciple accompanied his master to Paris in 1245, and returned with him, in 1248, to the new Studium Generale of Cologne, in which Albert was appointed Regent, whilst Thomas became second professor and Magister Studentium (Master of Students). In 1254 Albert was elected Provincial of his Order in Germany. He journeyed to Rome in 1256, to defend the Mendicant Orders against the attacks of William of St. Amour, whose book, "De novissimis temporum periculis", was condemned by Pope Alexander IV, on 5 October, 1256. During his sojourn in Rome Albert filled the office of Master of the Sacred Palace (instituted in the time of St. Dominic), and preached on the Gospel of St. John and the Canonical Epistles. He resigned the office of Provincial in 1257 in order to devote himself to study and to teaching. At the General Chapter of the Dominicans held at Valenciennes in 1250, with St. Thomas Aquinas and Peter of Tarentasia (afterwards Pope Innocent V), he drew up rules for the direction of studies, and for determining the system of graduation, in the Order. In the year 1260 he was appointed Bishop of Ratisbon. Humbert de Romanis, Master General of the Dominicans, being loath to lose the services of the great Master, endeavoured to prevent the nomination, but was unsuccessful. Albert governed the diocese until 1262, when, upon the acceptance of his resignation, he voluntarily resumed the duties of a professor in the Studium at Cologne. In the year 1270 he sent a memoir to Paris to aid St. Thomas in combating Siger de Brabant and the Averroists. This was his second special treatise against the Arabian commentator, the first having been written in 1256, under the title "De Unitate Intellectus Contra Averroem". He was called by Pope Gregory X to attend the Council of Lyons (1274) in the deliberations of which he took an active part. The announcement of the death of St. Thomas at Fossa Nuova, as he was proceeding to the Council, was a heavy blow to Albert, and he declared that "The Light of the Church" had been extinguished. It was but natural that he should have grown to love his distinguished, saintly pupil, and it is said that ever afterwards he could not restrain his tears whenever the name of St. Thomas was mentioned. Something of his old vigour and spirit returned in 1277 when it was announced that Stephen Tempier and others wished to condemn the writings of St. Thomas, on the plea that they were too favourable to the unbelieving philosophers, and he journeyed to Paris to defend the memory of his disciple. Some time after 1278 (in which year he drew up his testament) he suffered a lapse of memory; his strong mind gradually became clouded; his body, weakened by vigils, austerities, and manifold labours, sank under the weight of years. He was beatified by Pope Gregory XV in 1622; his feast is celebrated on the 15th of November. The Bishops of Germany, assembled at Fulda in September, 1872, sent to the Holy See a petition for his canonization; he was finally canonized in 1931.

Works

Two editions of Albert's complete works (Opera Omnia) have been published; one at Lyons in 1651, in twenty-one folio volumes, edited by Father Peter Jammy, O.P., the other at Paris (Louis Vivès), 1890-99, in thirty-eight quarto volumes, published under the direction of the Abbé Auguste Borgnet, of the diocese of Reims. Paul von Loë gives the chronology of Albert's writings the "Analecta Bollandiada" (De Vita et scriptis B. Alb. Mag., XIX, XX, and XXI). The logical order is given by P. Mandonnet, O.P., in Vacant's "Dictionnaire de théologie catholique". The following list indicates the subjects of the various treatises, the numbers referring to the volumes of Borgnet's edition. Logic: seven treatises (I. 2). Physical Sciences: "Physicorum" (3); "De Coelo et Mundo", "De Generatione et Corruptione". "Meteororum" (4); "Mineralium" (5); "De Natura locorum", " De passionibus aeris" (9). Biological: "De vegetabilibus et plantis" (10) " De animalibus" (11-12); "De motibus animalium", "De nutrimento et nutribili", "De aetate", "De morte et vita", "De spiritu et respiratione" (9). Psychological: "De Anima" (5); "De sensu et sensato", "De Memoria, et reminiscentia", "De somno et vigilia", "De natura et origine animae", "De intellectu et intelligibili", "De unitate intellectus" (9). The foregoing subjects, with the exception of Logic, are treated compendiously in the "Philosophia pauperum" (5). Moral and Political: "Ethicorum" (7); "Politocorum (8). Metaphysical: "Metaphysicorum" (6); "De causis et processu universitatis" (10). Theological: "Commentary on the works of Denis the Aereopagite" (14); "Commentary on the Sentences of the Lombard" (25-30); "Summa Theologiae" (31-33); "Summa de creaturis" (34-35); "De sacramento Eucharistiae" (38); "Super evangelium missus est" (37). Exegetical: "Commentaries on the Psalms and Prophets" (15-19); "Commentaries on the Gospels" (20-24); "On the Apocalypse" (38). Sermons (13). The "Quindecim problemata contra Averroistas" was edited by Mandonnet in his "Siger de Brabant" (Freiburg, 1899). The authenticity of the following works is not established: "De apprehensione" (5); "Speculum astronomicum" (5); "De alchimia" (38); Scriptum super arborem Aristotelis" (38); "Paradisus animae" (37); "Liber de Adhaerendo Deo" (37); "De Laudibus B. Virginis" (36); "Biblia Mariana" (37).

Influence

The influence exerted by Albert on the scholars of his own day and on those of subsequent ages was naturally great. His fame is due in part to the fact that he was the forerunner, the guide and master of St. Thomas Aquinas, but he was great in his own name, his claim to distinction being recognized by his contemporaries and by posterity. It is remarkable that this friar of the Middle Ages, in the midst of his many duties as a religious, as provincial of his order, as bishop and papal legate, as preacher of a crusade, and while making many laborious journeys from Cologne to Paris and Rome, and frequent excursions into different parts of Germany, should have been able to compose a veritable encyclopedia, containing scientific treatises on almost every subject, and displaying an insight into nature and a knowledge of theology which surprised his contemporaries and still excites the admiration of learned men in our own times. He was, in truth, a Doctor Universalis. Of him it in justly be said: Nil tetigit quod non ornavit; and there is no exaggeration in the praises of the modern critic who wrote: "Whether we consider him as a theologian or as a philosopher, Albert was undoubtedly one of the most extraordinary men of his age; I might say, one of the most wonderful men of genius who appeared in past times" (Jourdain, Recherches Critiques). Philosophy, in the days of Albert, was a general science embracing everything that could be known by the natural powers of the mind; physics, mathematics, and metaphysics. In his writings we do not, it is true, find the distinction between the sciences and philosophy which recent usage makes. It will, however, be convenient to consider his skill in the experimental sciences, his influence on scholastic philosophy, his theology.

Albert and the experimental sciences

It is not surprising that Albert should have drawn upon the sources of information which his time afforded, and especially upon the scientific writings of Aristotle. Yet he says: "The aim of natural science is not simply to accept the statements [narrata] of others, but to investigate the causes that are at work in nature" (De Miner., lib. II, tr. ii, i). In his treatise on plants he lays down the principle: Experimentum solum certificat in talibus (Experiment is the only safe guide in such investigations). (De Veg., VI, tr. ii, i). Deeply versed as he was in theology, he declares: "In studying nature we have not to inquire how God the Creator may, as He freely wills, use His creatures to work miracles and thereby show forth His power: we have rather to inquire what Nature with its immanent causes can naturally bring to pass" (De Coelo et Mundo, I, tr. iv, x). And though, in questions of natural science, he would prefer Aristotle to St. Augustine (In 2, Sent. dist. 13, C art. 2), he does not hesitate to criticize the Greek philosopher. "Whoever believes that Aristotle was a god, must also believe that he never erred. But if one believe that Aristotle was a man, then doubtless he was liable to error just as we are." (Physic. lib. VIII, tr. 1, xiv). In fact Albert devotes a lengthy chapter to what he calls "the errors of Aristotle" (Sum. Theol. P. II, tr. i, quaest. iv). In a word, his appreciation of Aristotle is critical. He deserves credit not only for bringing the scientific teaching of the Stagirite to the attention of medieval scholars, but also for indicating the method and the spirit in which that teaching was to be received. Like his contemporary, Roger Bacon (1214-94), Albert was an indefatigable student of nature, and applied himself energetically to the experimental sciences with such remarkable success that he has been accused of neglecting the sacred sciences (Henry of Ghent, De scriptoribus ecclesiasticis, II, x). Indeed, many legends have been circulated which attribute to him the power of a magician or sorcerer. Dr. Sighart (Albertus Magnus) examined these legends, and endeavoured to sift the truth from false or exaggerated stories. Other biographers content themselves with noting the fact that Albert's proficiency in the physical sciences was the foundation on which the fables were constructed. The truth lies between the two extremes. Albert was assiduous in cultivating the natural sciences; he was an authority on physics, geography, astronomy, mineralogy, chemistry (alchimia), zoölogy, physiology, and even phrenology. On all these subjects his erudition was vast, and many of his observations are of permanent value. Humboldt pays a high tribute to his knowledge of physical geography (Cosmos, II, vi). Meyer writes (Gesch. der Botanik): "No botanist who lived before Albert can be compared with him, unless it be Theophrastus, with whom he was not acquainted; and after him none has painted nature in such living colours, or studied it so profoundly, until the time of Conrad, Gesner, and Cesalpini. All honour, then, to the man who made such astonishing progress in the science of nature as to find no one, I will not say to surpass, but even to equal him for the space of three centuries." The list of his published works is sufficient vindication from the charge of neglecting theology and the Sacred Scriptures. On the other hand, he expressed contempt for everything that savoured of enchantment or the art of magic: "Non approbo dictum Avicennae et Algazel de fascinatione, quia credo quod non nocet fascinatio, nec nocere potest ars magica, nec facit aliquid ex his quae timentur de talibus" (See Quétif, I, 167). That he did not admit the possibility of making gold by alchemy or the use of the philosopher's stone, is evident from his own words: "Art alone cannot produce a substantial form". (Non est probatum hoc quod educitur de plumbo esse aurum, eo quod sola ars non potest dare formam substantialem -- De Mineral., lib. II, dist. 3).

Roger Bacon and Albert proved to the world that the Church is not opposed to the study of nature, that faith and science may go hand in hand; their lives and their writings emphasize the importance of experiment and investigation. Bacon was indefatigable and bold in investigating; at times, too, his criticism was sharp. But of Albert he said: "Studiosissimus erat, et vidit infinita, et habuit expensum, et ideo multa potuit colligere in pelago auctorum infinito" (Opera, ed. Brewer, 327). Albert respected authority and traditions, was prudent in proposing the results of his investigations, and hence "contributed far more than Bacon did to the advancement of science in the thirteenth century" (Turner, Hist. of Phil.). His method of treating the sciences was historical and critical. He gathered into one vast encyclopedia all that was known in his day, and then expressed his own opinions, principally in the form of commentaries on the works of Aristotle. Sometimes, however, he hesitates, and does not express his own opinion, probably because he feared that his theories, which were "advanced" for those times, would excite surprise and occasion unfavourable comment. "Dicta peripateticorum, prout melius potui exposui: nec aliquis in eo potest deprehendere quid ego ipse sentiam in philosophia naturali" (De Animalibus, circa finem). In Augusta Theodosia Drane's excellent work on "Christian Schools and Scholars" (419 sqq.) there are some interesting remarks on "a few scientific views of Albert, which show how much he owed to his own sagacious observation of natural phenomena, and how far he was in advance of his age. . . ." In speaking of the British Isles, he alluded to the commonly received idea that another Island -- Tile, or Thule -- existed in the Western Ocean, uninhabitable by reason of its frightful clime, "but which", he says, has perhaps not yet been visited by man". Albert gives an elaborate demonstration of the sphericity of the earth; and it has been pointed out that his views on this subject led eventually to the discovery of America (cf. Mandonnet, in "Revue Thomiste", I, 1893; 46-64, 200-221).

Albert and Scholastic Philosophy

More important than Albert's development of the physical sciences was his influence on the study of philosophy and theology. He, more than any one of the great scholastics preceding St. Thomas, gave to Christian philosophy and theology the form and method which, substantially, they retain to this day. In this respect he was the forerunner and master of St. Thomas, who excelled him, however, in many qualities required in a perfect Christian Doctor. In marking out the course which other followed, Albert shared the glory of being a pioneer with Alexander of Hales (d. 1245), whose "Summa Theologiae" was the first written after all the works of Aristotle had become generally known at Paris. Their application of Aristotelean methods and principles to the study of revealed doctrine gave to the world the scholastic system which embodies the reconciliation of reason and Orthodox faith. After the unorthodox Averroes, Albert was the chief commentator on the works of, Aristotle, whose writings he studied most assiduously, and whose principles he adopted, in order to systematize theology, by which was meant a scientific exposition and defence of Christian doctrine. The choice of Aristotle as a master excited strong opposition. Jewish and Arabic commentaries on the works of the Stagirite had given rise to so many errors in the eleventh, twelfth and thirteenth centuries that for several years (1210-25) the study of Aristotle's Physics and Metaphysics was forbidden at Paris. Albert, however, knew that Averroes, Abelard, Amalric, and others had drawn false doctrines from the writings of the Philosopher; he knew, moreover, that it would have been impossible to stem the tide of enthusiasm in favour of philosophical studies; and so he resolved to purify the works of Aristotle from Rationalism, Averroism, Pantheism, and other errors, and thus compel pagan philosophy to do service in the cause of revealed truth. In this he followed the canon laid down by St. Augustine (II De Doct. Christ., xl), who declared that truths found in the writings of pagan philosophers were to be adopted by the defenders of the true faith, while their erroneous opinions were to be abandoned, or explained in a Christian sense. (See St. Thomas, Summa Theol., I, Q. lxxxiv, a. 5.) All inferior (natural) sciences should be the servants (ancillae) of Theology, which is the superior and the mistress (ibid., 1 P., tr. 1, quaest. 6). Against the rationalism of Abelard and his followers Albert pointed out the distinction between truths naturally knowable and mysteries (e.g. the Trinity and the Incarnation) which cannot known without revelation (ibid., 1 P., tr. III, quaest. 13). We have seen that he wrote two treatises against Averroism, which destroyed individual immortality and individual responsibility, by teaching that there is but one rational soul for all men. Pantheism was refuted along with Averroism when the true doctrine on Universals, the system known as moderate Realism, was accepted by the scholastic philosophers. This doctrine Albert based upon the Distinction of the universal ante rem (an idea or archetype in the mind of God), in re (existing or capable of existing in many individuals), and post rem (as a concept abstracted by the mind, and compared with the individuals of which it can be predicated). "Universale duobus constituitur, natura, scilicet cui accidit universalitas, et respectu ad multa. qui complet illam in natura universalis" (Met., lib. V, tr. vi, cc. v, vi). A.T. Drane (Mother Raphael, O.S.D.) gives a remarkable explanation of these doctrines (op. cit. 344-429). Though follower of Aristotle, Albert did not neglect Plato. "Scias quod non perficitur homo in philosophia, nisi scientia duarum philosophiarum, Aristotelis et Platonis (Met., lib. I, tr. v, c. xv). It is erroneous to say that he was merely the "Ape" (simius) of Aristotle. In the knowledge of Divine things faith precedes the understanding of Divine truth, authority precedes reason (I Sent., dist. II, a. 10); but in matters that can be naturally known a philosopher should not hold an opinion which he is not prepared to defend by reason ibid., XII; Periherm., 1, I, tr. l, c. i). Logic, according to Albert, was a preparation for philosophy teaching how we should use reason in order to pass from the known to the unknown: "Docens qualiter et per quae devenitur per notum ad ignoti notitiam" (De praedicabilibus, tr. I, c. iv). Philosophy is either contemplative or practical. Contemplative philosophy embraces physics, mathematics, and metaphysics; practical (moral) plilosophy is monastic (for the individual), domestic (for the family), or political (for the state, or society). Excluding physics, now a special study, authors in our times still retain the old scholastic division of philosophy into logic, metaphysics (general and special), and ethics.

Albert's theology

In theology Albert occupies a place between Peter Lombard, the Master of the Sentences, and St. Thomas Aquinas. In systematic order, in accuracy and clearness he surpasses the former, but is inferior to his own illustrious disciple. His "Summa Theologiae" marks an advance beyond the custom of his time in the scientific order observed, in the elimination of useless questions, in the limitation of arguments and objections; there still remain, however, many of the impedimenta, hindrances, or stumbling blocks, which St. Thomas considered serious enough to call for a new manual of theology for the use of beginners -- ad eruditionem incipientium, as the Angelic Doctor modestly remarks in the prologue of his immortal "Summa". The mind of the Doctor Universalis was so filled with the knowledge of many things that he could not always adapt his expositions of the truth to the capacity of novices in the science of theology. He trained and directed a pupil who gave the world a concise, clear, and perfect scientific exposition and defence of Christian Doctrine; under God, therefore, we owe to Albertus Magnus the "Summa Theologica" of St. Thomas.

Catholic Encyclopedia

Albert le Grand et l'alchimie

Biographie en résumé

Albertus Magnus. Homme de science, philosophe et théologien allemand du Moyen Age.

«Un récent Dictionnaire du Moyen Âge écrit qu'Albert le Grand fut le «premier interprète scolastique de l'ensemble de l'œuvre d'Aristote accessible au Moyen Âge» et aussi celui qui "a laissé une œuvre monumentale, de caractère encyclopédique, couvrant tous les domaines du savoir tant en philosophie qu'en théologie"[1]. Pour sa part, Benoît Patar, dans son récent Dictionnaire abrégé des philosophes médiévaux, fait du célèbre docteur dominicain rien de moins que "Le philosophe latin du Moyen Âge"[2]. Le célèbre philosophe allemand mérite bien son qualificatif de docteur universel et l'ampleur aussi bien que le génie de son jugement, qu'il a appliqué à tous les domaines d'étude, explique que sa réputation ait dépassé le milieu universitaire.»

Claude Gagnon, L'alchimie d'Albert le Grand

Vie et œuvres

Une notice biographique enthousiaste du célèbre religieux

«Les Parisiens qui traversaient, en l’année 1245, la place Maubert, étaient témoins d’un bien curieux spectacle. Un homme était là, petit, frèle et débile, religieux dominicain, entouré d’un cercle épais et serré de jeunes clercs studieux et avides de s’instruire, auxquels il exposait, dans un magnifique langage, les connaissances théologiques, philosophiques et scientifiques de l’époque, leur commentant les travaux d’Aristote et d’Avicenne, leur enseignant la logique, la métaphysique, la chimie, l’astronomie, leur dévoilant le mécanisme de l’homme et des animaux, leur infusant la science prodigieuse dont il était pénétré.

Dans les rangs de cette phalange qui se pressait autour du savant, on aurait pu voir de jeunes intelligences qui devaient s’illustrer à leur tour: Roger Bacon, avec sa tunique grise et ses sandales qui annonçaient un cordelier; Thomas d’Aquin, qui devait être sanctifié, l’émule de l’illustre maître, le grand scrutateur du monde intellectuel, des facultés physiologiques et de la métaphysique; Thomas de Cantipré, Albert de Saxe, Vincent de Beauvais, Jean de Sacrobosco, Arnold de Villeneuve, Michel Scott, Robert de Sorbon, Guillaume de Saint-Amour, etc.

Cet homme, ce professeur en plein vent, qui, comme Abailard (i.e. Abélard), avait été obligé d’entraîner dans la rue la foule immense d’auditeurs que les écoles, trop petites, des cloîtres et des églises, ne pouvaient contenir, se nommait Maître Albert.

Il était né, en 1205, à Lauingen, en Souabe, et descendait de la famille des Bollstadt, qui était alors puissante, célèbre et riche, ce qui permit au jeune Albert d’aller étudier tour à tour dans les plus renommées écoles de l’Allemagne, de l’Italie et de la France; pèlerinage indispensable pour celui qui voulait réunir un vaste réseau de connaissances, à une époque où les hommes profonds étaient si rares, et où chaque savant embrassait dans ses œuvres l’universalité des sciences. On pense que ce fut dans l’Université de Pavie qu’il s’occupa sérieusement de philosophie, de mathématiques et de médecine. Ce fut encore dans celle-ci qu’il se lia avec Jordan, supérieur général de l’ordre des Frères prêcheurs, qui employa tout son ascendant pour l’incorporer dans la congrégation; car, à cette époque, les Frères prêcheurs, dominicains, ou jacobins, fondés en 1216, s’ils avaient déjà parmi eux des hommes reconnus par leur savoir et leur éloquence, tels que Jordan, Mathieu Bertrand, Garrigues, Laurent, Jean de Navarre, Michel Fabre, Jean de Saint-Alban, médecin de Philippe Auguste, etc., ne se sentaient pas encore assez forts eu égard aux immenses travaux qu’ils préparaient, et cherchaient de toutes parts des hommes capables, par leur génie, leurs talents et leur dévouement, de donner un lustre extraordinaire à la communauté.

Édifié par l’exemple de son ami, subjugué par ses discours, Albert suivit donc l’entraînement de son époque pour la vie monastique, et il prit l’habit dominicain en 1222 ou 1223. Il le fit en Italie, où, après avoir demeuré un an dans un couvent, il alla étudier à Padoue et à Bologne.

Lorsqu’il eut achevé ses études, ses chefs l’envoyèrent à Cologne, à Fribourg, à Ratisbonne, à Strasbourg, pour y ouvrir des conférences qui furent pour lui une suite de triomphes.

En l’année 1240, nous le voyons fixé à Cologne, où des biographes et des peintres le représentent dans une cellule qu’éclairent à peine quelques rayons de lumière tamisés par d’étroites verrières, entouré de quelques instruments bizarres de physique et d’astronomie, de fourneaux étrangement compliqués, de manuscrits, de minéraux, travaillant au grand œuvre.

En 1245, il est à Paris, répandant, comme nous l’avons dit, des flots de science et de philosophie.

Il ne resta dans la capitale du royaume de France que trois ans, pour courir ensuite sur les bords du Rhin, où l’on ne voulait pas être plus longtemps privé de ses lumières.

En l’année 1254, Albert est fait provincial de son ordre et visite à pied, tant ses mœurs avaient de simplicité, les diverses provinces soumises à sa juridiction. Alexandre IV, dans l’espoir de le fixer dans la capitale du monde chrétien, l’appelle à Rome et lui confère la charge de maître du sacré palais.

En 1260, une bulle du pape le nomme évêque de Ratisbonne. La cour de Rome avait pensé que sa haute vertu et son profond savoir pouvaient seuls remédier au désordre temporel et spirituel qui régnait au sein du diocèse qu’on lui confiait.

Mais au bout de trois ans, sollicité par le général des dominicains, Humbert de Romans, Albert demandait au pape et obtenait la permission d’abandonner sa prélature; il retournait dans sa chère ville de Cologne, où il avait conquis tant de gloire et goûté de si pures jouissances au milieu de ses études; et c’est avec bonheur qu’il échange un titre magnifique contre sa laborieuse mission de frère prêcheur.

Peu après le pape lui ordonne d’aller prêcher la croisade dans toute l’Allemagne et la Bohême.

En 1274, un bref de Grégoire X lui enjoint de se rendre au concile de Lyon, où sa confiance l’appelait pour y faire prévaloir, par son éloquence et son autorité, les droits de Rodolphe, roi des Romains.

Immédiatement après la session de ce concile, il revint de nouveau reprendre ses leçons publiques à Cologne, champ de gloire pour lui, mais qui fut aussi son champ funéraire, car il y mourut le 15 novembre 1289[3].

Les funérailles du grand homme se firent avec une magnificence en rapport avec sa haute renommée. L’archevêque Sifrid et les chanoines de la cathédrale et des collégiales y assistaient, ainsi qu’une foule de gens nobles et d’hommes du peuple.

Son corps fut enterré au milieu du chœur de l’église du couvent des Jacobins, et ses entrailles furent portées à Ratisbonne, qui avait réclamé sa part des restes de son ancien évêque.

Albert le Grand, que l’on connaît encore sous les noms d’Albertus Teutonicus, Albertus de Colonia, Albertus Ratisbonensis, Albertus de Bollstadt, est parvenu à la postérité, enveloppé de je ne sais quel nuage de magie, de sorcellerie, qui est une véritable flétrissure donnée à un si grand génie. D’infimes productions, imprimées parfois en encre rouge, afin de leur donner un cachet plus cabalistique, et répandues dans les campagnes sous le nom de Secrets admirables du Grand Albert, n’ont pas peu contribué à transformer l’admirable professeur, le profond penseur du treizième siècle en un vil sorcier. Heureusement que ses œuvres sont là pour le venger de telles abominations et pour le ranger parmi les plus beaux génies qui ont illustré l’humanité. Parmi les œuvres publiées sous son nom, immense collection de vingt et un volumes in-folio, il en est, il est vrai, qui sont apocryphes; mais en défalquant ces dernières, il reste un monument qui ne jette pas moins dans une stupéfiante admiration ceux qui veulent bien les lire avec attention et sans parti pris de dénigrer. Albert le Grand est le véritable chef, au moyen âge, de l’École expérimentale. La partie philosophique et scientifique de ses ouvrages n’est au fond qu’un savant commentaire des travaux d’Aristote et d’Avicenne; mais il les a enrichis de toutes les connaissances renfermées dans les auteurs postérieurs à ces deux grands hommes, et il remplit les lacunes de ses prédécesseurs. Il fut pour l’Occident ce qu’Avicenne avait été pour l’Orient; il agrandit le champ des sciences naturelles en traçant des lois appelées à jeter sur elles le plus vif éclat.

C’est surtout dans son Traité des animaux (t. VI de l’édition de Jammy) qu’il faut juger l’évêque de Ratisbonne; c’est là, particulièrement dans les sept derniers livres qui sont du propre fonds d’Albert, que l’on peut voir un tableau exact et complet de l’état de la zoologie au treizième siècle, et découvrir le germe d’une foule de lois scientifiques que notre époque n’a fait que développer et démontrer. N’est-il pas curieux de lui voir, contrairement aux autres anatomistes, commencer l’histoire du système osseux par la description de la colonne vertébrale, base réelle de tout le premier embranchement de la série animale; de le surprendre considérant la tête comme une série de vertèbres munies de leurs appendices; essayant de déterminer les facultés de l’âme d’après les organes extérieurs du crâne, et devançant ainsi Gall et Spurzheim; descendant l’échelle zoologique depuis l’homme jusqu’à l’éponge qui en est le dernier terme; définissant très-exactement l’espèce, montrant le mécanisme au moyen duquel on fait un genre avec les espèces; posant ainsi les bases d’une véritable classification; décrivant, par ordre alphabétique, toutes les espèces animales connues; désignant nos Annélidés d’aujourd’hui sous le nom d’animalium annulosorum; décrivant dans cent soixante pages in-folio la physiologie et l’anatomie des plantes, leur sommeil, leur engourdissement nocturne, les diverses espèces connues; passant en revue les minéraux; inventant le mot affinité dans le sens que nous lui attachons aujourd’hui; déclarant positivement que les empreintes à formes organiques qu’on rencontre sur différentes pierres ne sont que des êtres pétrifiés, …

Au reste, si Albert le Grand a eu ses détracteurs, qui semblent ne l’avoir pas même lu, ou qui n’ont pas fait la part ni du temps où il écrivait, ni des nombreuses et indigestes productions qu’on a publiées sous son nom; d’autres écrivains, après l’avoir médité, après avoir fait un triage nécessaire dans cette immense encyclopédie de vingt et un volumes in-folio, ont rendu justice à l’admirable religieux dominicain, en le considérant comme le plus grand génie qui soit sorti des flancs de l’humanité. Paul Jove, Trithème, Blount, Quenstedt, Bayle, Tiedmann, Jourdain, de Gérando, Cuvier, de Blainville, Meyer, Choulant, Dafin, d’Orbigny, Villemain, Haureau, etc., et surtout, dans ces derniers temps, M. F. A. Pouchet (Histoire des sciences naturelles au moyen âge, ou Albert le Grand et son époque, Paris, 1853, in-8), montrent Albert de Bollstadt tel qu’il a été: l’Aristote chrétien.

On trouvera le catalogue complet des œuvres d’Albert le Grand dans les Scriptores ordinis praedicat des PP. Quetif et Echard, p. 171; il n’y comprend pas moins de douze pages in-folio. Fabricius (Bibl. lat. med. et inf. aetatis) a aussi fait l’analyse des vingt et un volumes des œuvres complètes du célèbre religieux. Les amateurs de livres rares tâcheront de se procurer les éditions suivantes:

I. Opus de Animalibus (sive de rerum proprietatibus), Romae, 1478, in-folio. Édition regardée comme la première de cet ouvrage. – II. De Secretis mulierum opus, 1478, in-4 gothique, très-souvent réimprimé dans le quinzième siècle. On y a fréquemment ajouté, particulièrement dans les éditions de 1643, 1655, 1662 et 1699, le Secreta virorum, qui n’est pas d’Albert le Grand. – III. Liber secretorum de virtutibus herbarum, lapidum et animalium. 1478, in-4, première édition de ce livre très-souvent réimprimé. – IV. Albertus Magnus, Ratisbonensis episcopus, ordin. Praedicator. Opera omnia, edita studio et labore P. Petri Jammy. Lugduni, 1651, 21 vol. in-fol. Collection très-recherchée et qui atteint dans les ventes le prix de 300 francs.»

A. Chéreau, article «Albert le Grand», dans Jacques Raige-Delorme et Amédée Dechambre (dir.), Dictionnaire encyclopédique des sciences médicales. [Première série]. Tome deuxième, Adh-Alg. Paris, P. Asselin, V. Masson et fils, 1865, p. 394-397

Albert le Grand et l'alchimie

«Encyclopédie vivante du moyen âge, Albert, né en 1193, à Lauingen, sur le Danube, enseigna successivement la philosophie à Ratisbonne, à Cologne, à Strasbourg, à Hildesheim, enfin à Paris où le nom de la place Maubert (dérivé de Ma, abréviation de magister, et d’Albert) en rappelle encore le souvenir. Provincial de l’ordre des Dominicains, il fut nommé évêque de Ratisbonne. Mais préférant, exemple rare, l’étude des sciences aux dignités de l’Église, il se démit de ses fonctions épiscopales, et mourut, en 1280, à l’âge de quatre-vingt-sept ans, dans un couvent, près de Cologne.

Les ouvrages imprimés d’Albert le Grand forment 21 volumes in-fol. (Lyon, 1651, édit. de P. Jammi). Ce vaste recueil contient plusieurs traités qui intéressent l’histoire de la chimie.

Le petit traité de Alchimia donne des renseignements précieux sur l’état de la science au treizième siècle. L’auteur commence par déclarer qu’il est impossible de tirer quelques lumières des écrits alchimiques. «Ils sont, dit-il, vides de sens et ne renferment rien de bons… J’ai connu des abbés, des chanoines, des directeurs, des physiciens, des illettrés, qui avaient perdu leur temps et leur argent à s’occuper d’alchimie.» – Il conseille surtout aux adeptes de fuir tout rapport avec les princes et les grands: «Car si tu as, ajoute-t-il, le malheur de t’introduire auprès d’eux, ils ne cesseront pas de te demander: Eh bien, maître, comment va l’œuvre? Quand verrons-nous enfin quelque chose de bon? Et, dans leur impatience, ils finiront par te traiter de filou, de vaurien, etc., et te causeront mille ennuis. Et si tu n’obtiens aucun résultat, ils te feront sentir tout l’effet de leur colère. Si, au contraire, tu réussis, ils te garderont dans une captivité perpétuelle, afin de te faire travailler à leur profit.» Cet avertissement nous dépeint les relations des alchimistes avec les seigneurs d’alors.

Malgré quelques doutes, Albert croyait à la possibilité de la transmutation des métaux. Voici les arguments qu’il invoque à l’appui de sa croyance: «Les métaux sont tous identiques dans leur origine; ils ne diffèrent les uns des autres que par leur forme. Or la forme dépend des causes accidentelles que l’artiste doit chercher à découvrir et à éloigner; car ce sont ces causes qui entravent la combinaison régulière du soufre et du mercure, éléments de tout métal. Une matrice malade donne naissance à un enfant infirme et lépreux, bien que la semence ait été bonne; il en est de même des métaux engendrés au sein de la terre, qui leur sert de matrice: une cause accidentelle ou une maladie locale peut produire un métal imparfait. Lorsque le soufre pur rencontre du mercure pur, il se produit de l’or au bout d’un temps plus ou moins long, par l’action permanente de la nature. Les espèces sont immuables et ne peuvent, à aucune condition, être transformées les unes en les autres. Mais le plomb, le cuivre, le fer, l’argent, etc., ne sont pas des espèces, c’est une même essence, dont les formes diverses vous semblent des espèces.»

Ces arguments furent souvent reproduits par les alchimistes. Ils étaient acceptés comme des lois au beau temps des nominalistes et des réalistes.

Albert le Grand a l’un des premiers employé le mot affinité dans le sens qu’y attachent aujourd’hui les chimistes. «Le soufre, dit-il, noircit l’argent et brûle en général les métaux, à cause de l’affinité naturelle qu’il a pour eux (propter affinitatem naturae metalla adurit)»[4]. – Il paraît avoir aussi appliqué pour la première fois le mot vitreolum à l’atrament vert, qui était le sulfate de fer.

Que faut-il entendre par esprit métallique et par élixir? Voici la réponse d’Albert: «Il y a quatre esprits métalliques: le mercure, le soufre, l’orpiment et le sel ammoniac, qui tous peuvent servir à teindre les métaux en rouge (or) ou en blanc (argent). C’est avec ces quatre esprits que se prépare la teinture, appelée en arabe élixir, et en latin fermentum, destinée à opérer la transsubstantiation des métaux vils en argent ou en or.» – Mais l’auteur a soin de nous avertir que l’or des alchimistes n’était pas de l’or véritable. Ce n’était probablement que du chrysocale. Il connaissait aussi le cuivre blanc (alliage de cuivre et d’arsenic), qu’il se gardait bien de prendre pour de l’argent.

Albert le Grand démontra le premier, par la synthèse, que le cinabre ou pierre rouge (lapis rubens), qui se rencontre dans les mines d’où l’on retire le vif argent, est un composé de soufre et de mercure. «On produit, dit-il, du cinabre sous forme d’une poudre rouge brillante en sublimant du mercure avec du soufre.»

Il a décrit très-exactement la préparation de l’acide nitrique, qu’il nomme eau prime, ou eau philosophique au premier degré de perfection. Il en indique en même temps les principales propriétés, surtout celles d’oxyder les métaux et de séparer l’argent de l’or. Ce qu’il appelle eau seconde était une espèce d’eau régale obtenue en mêlant quatre parties d’eau prime avec une partie de sel ammoniac. Pour avoir l’eau tierce, on devait traiter, à une chaleur modérée, le mercure blanc par l’eau seconde. Enfin l’eau quarte était le produit de distillation de l’eau tierce qui, avant d’être distillée, devait rester, pendant quatre jours, enfouie dans du fumier de cheval. Les alchimistes faisaient le plus grand cas de cette eau quarte, connue sous les noms de vinaigre des philosophes, d’eau minérale, de rosée céleste, etc.»

Ferdinand Hoefer, Histoire de la physique et de la chimie: depuis les temps les plus reculés jusqu'à nos jours, Paris, Hachette, 1872, p. 365-367

http://agora.qc.ca/dev/2006e.nsf

 


[1] Claude Gauvard, Alain de Libera et Michel Zinc, Dictionnaire du Moyen Âge, Paris, P.U.F., 2002, p. 26.

[2] Benoît Patar, Dictionnaire abrégé des philosophes médiévaux, Longueuil, Les Presses Philosophiques, 2000, p. 29.

[3] Il s'agit sans doute d'une coquille. L'année admise de son décès est 1280.

[4] De Rebus metallicis, Rouen, 1476.