Lessico


Anemone

Genere di piante erbacee della famiglia Ranuncolacee frequenti soprattutto nella zona submontana. Le specie, generalmente rizomatose, sono però abbastanza variabili l'una dall'altra, con 3-5 foglie palmato-composte, più o meno incise; i fiori, solitari o in ombrelle, possono avere tre brattee verdi a mo' di calice o esserne prive; i sepali, da 6 a 12 a seconda della specie, sono bianchi o colorati mentre i petali sono ridotti; i frutti sono acheni muniti di un breve rostro e costituiscono infruttescenze globose.

Gli anemoni sono caratteristici delle regioni boreali temperate o fredde e della regione mediterranea. Le numerose specie spontanee hanno dato luogo a notevoli cultivar ornamentali come per esempio Anemone coronaria e Anemone hortensis, il fiore stella. Altre specie molto note sono Anemone nemorosa, la silvia, e Anemone hepatica o Hepatica triloba, l'epatica, detta anche anemone fegatella e erba trinità. Nello stesso genere vengono comprese anche specie del genere Pulsatilla (per esempio, Pulsatilla alpina, Pulsatilla vulgaris) caratterizzate da acheni lungamente piumosi.

Cosa voleva dire Pausania quando paragonò la cresta e i bargigli dei galli neri di Tanagra a un anemone?

Egli voleva semplicemente mettere in risalto come - per una questione di puro contrasto cromatico - cresta e bargigli spiccassero su un piumaggio nero.

Inoltre, forse Pausania dava per scontato che il colore più frequente dell’anemone fosse il rosso brillante. Vediamo se ciò può corrispondere al vero. Insieme all’anemone analizziamo anche il ranuncolo asiatico, qualora a qualcuno ronzasse per la testa che Pausania abbia voluto parlare magari della cresta a ranuncolo - buttercup - della Siciliana, detta comunemente in italiano cresta a coppa .

L’Anemone coronaria è l’anemone dei giardini per eccellenza; secondo alcuni è originario dell’Oriente ed è presente in Dalmazia, Grecia (quindi senz’altro anche a Tanagra), Turchia (forse Pausania era nato in Lidia), Asia occidentale e si è naturalizzato nella regione mediterranea occidentale.

Il Ranunculus asiaticus, capostipite delle moderne varietà coltivate di ranuncoli, è spontaneo a Creta, Cipro, Arcipelago dell’Asia Minore, Siria, Persia, Egitto e Libia. Tutti i ranuncoli contengono succhi spesso dannosi per la presenza di anemonina, posseduta anche dall’anemone, sostanza irritante in grado di causare gravi dermatiti.

 

Somiglianza morfologica tra le infiorescenze di Anemone coronaria e di Ranunculus asiaticus

Non solo la morfologia, ma anche il colore dei fiori di queste due Ranunculaceae è molto simile. Infatti l’Anemone coronaria varietà cyanea presenta fiori azzurri o porporini; nella varietà phoenicea o coccinea i fiori sono di un bel rosso cocciniglia. La forma tipica di Ranunculus asiaticus può avere fiori bianchi, gialli, rossi, porporini o variegati; nella varietà sanguineus i fiori possono presentarsi porporini, gialli, aranciati o variegati. Per cui potrebbe essere indifferente da un punto di vista cromatico parlare di cresta ad anemone oppure di cresta a ranuncolo: ambedue i fiori possono essere rossi come abitualmente è rossa una cresta.

Ma Pausania tra i due fiori ha scelto come termine di paragone l’anemone, forse perché a lui familiare, o in quanto ai suoi tempi c’era qualcuno che sbrigativamente chiamava anemone il ranuncolo nonostante il ranuncolo avesse in greco un nome ben preciso – batráchion – perché vive volentieri nei luoghi umidi prediletti dalle rane. Sia Dioscoride che Plinio[1] conoscevano quattro specie di ranuncoli, di batráchia, e nel XVI secolo Pierandrea Mattioli arrivò a descriverne sei.

Ed è proprio Mattioli a riferire che Pausania conosceva quel particolare batráchion “acutissimo al gusto” che “mangiandosi questa herba fa ritirare i nervi, di modo che fa slongar la bocca, di sorte, che nel morire par propriamente che ridano coloro che se la mangiano.”

Ma Pausania, quando parlando della Sardegna[2] cita questa pianta, non usa la parola batráchion. Egli si limita a descriverne gli effetti letali e risori, dice che vive nei pressi delle sorgenti, che è molto simile al sélinonapium in latino[3], in italiano detto in passato appioriso – e che ne aveva parlato Omero. Ma non dice di che colore avesse i fiori, né immagina che si trattava di un ranuncolo, di un batráchion.

Invece si trattava proprio di quel ranuncolo che dalla Sardegna – dove è abbondante - aveva preso il nome volgare di sardonia o erba sardonica, quell’erba che messa in bocca fa digrignare i denti provocando il riso sardonico - come accade anche nel tetano[4], a causa però dello spasmo muscolare indotto dalla tossina tetanica - erba alla quale calza perfettamente il nome di Ranunculus sceleratus appioppatogli da Linneo nel 1753, guarnito però di fiori piccoli e gialli.

Quando finalmente Pausania usa il termine batráchia non specifica il colore dei fiori di queste piante. Si limita a paragonare il colore della capigliatura dei Tritoni[5] a quello dei batráchia, dei ranuncoli. Ovviamente – come nel caso dei galli di Tanagra - paragona la chioma dei Tritoni al colore dei fiori dei ranuncoli che crescono negli acquitrini – tà batráchia tà en taîs límnais – e non precisa se i Tritoni avessero le chiome bianche, gialle, rosse, porporine o variegate.

In questa identificazione cromatica non ci viene in soccorso neppure Giglio Gregorio Giraldi che nel suo Historiae Deorum Gentilium (1548) travisa il testo greco di Pausania[6] presumibilmente identico a quello nelle mani di Ludwig Dindorf: infatti Giraldi dà a batráchia il significato di ranocchie, cosicché i ranuncoli diventano i colori del dorso delle rane, e i Tritoni anziché avere dei capelli - che ne so - biondi, si ritrovano ad averli del colore della schiena delle rane palustri.

Per amore della precisione – o della pedanteria – non possiamo non sottolineare che i Latini per indicare una piccola rana, un ranocchio, potevano servirsi sia del vocabolo ranula - utilizzato per esempio da Apuleio – sia di ranunculus, ma solamente ranunculus indicava anche la pianta di cui stiamo parlando.

Invece se i Greci volevano indicare una piccola rana disponevano del vocabolo femminile batrachís che troviamo per esempio nella Theriaca di Nicandro di Colofone, mentre con batráchion esprimevano il ranunculus, la pianta amante dei luoghi umidi. Ce lo conferma anche Conrad Gessner nel suo Lexicon Graecolatinum (1537).

 

I batráchia di Pausania e di Ludwig August Dindorf  nel suo Pausaniae descriptio Graeciae IX,21,1
edito a Parigi nel 1845

Né possiamo trovare un conforto cromatico per i capelli dei Tritoni nel sito www.perseus.tufts.edu, in quanto la sequenza verbale conduce alla stessa conclusione di Giraldi, che forse fece da caposcuola. Questo sito afferma che i Tritoni di Pausania avevano i capelli verdi come sono verdi le rane che vivono della paludi.

Nel sito www.perseus.tufts.edu è presente lo stesso testo greco edito da Ludwig Dindorf nel 1845. Questo sito riferisce da A Latin Dictionary di Lewis-Short che ranunculus è sì una piccola rana, è anche un girino, ma è pure a medicinal plant, called also batrachion, e che ranunculus ha come sinonimo greco sardanios (che ovviamente non è altro che quel batráchion oggi chiamato Ranunculus sceleratus o erba sardonica).

Il sito riporta da A Greek-English Lexicon di Liddell-Scott che batrachion in prima istanza corrisponde al Ranunculus asiaticus e che sinonimi di questo batrachion - citato da Ippocrate, nonché da Dioscoride in II,175 (171 di Mattioli) - sono sia il chrysanthemon (dai fiori gialli) che il sardanios.

Liddell & Scott aggiungono che in Pausania IX,21,1 il sostantivo batrachion equivale esattamente a bathrachos, cioè rana. Questo salto mortale – al quale si è sottratto Ludwig Dindorf che forse era scevro da simili genialità - è stato compiuto da Liddell & Scott al solo scopo di poter tingere di verde anziché di giallo i capelli dei Tritoni.

Ecco spiegato perché in www.perseus.tufts.edu - sulla scia di Giraldi – si plagia Pausania e gli si fa dire che i capelli dei Tritoni hanno il colore delle rane e non dei ranuncoli (che, come le rane, vivono volentieri nei luoghi paludosi):

“I saw another Triton among the curiosities at Rome, less in size than the one at Tanagra. The Tritons have the following appearance. On their heads they grow hair like that of marsh frogs not only in color, but also in the impossibility of separating one hair from another,”

Ed ecco il testo greco di www.perseus.tufts.edu identico a quello di Ludwig Dindorf: “Eidon de kai allon Tritôna en tois Rhômaiôn thaumasi, megethei tou para Tanagraiois apodeonta. Parechontai de idean hoi Tritônes: echousin epi têi kephalêi komên hoia ta batrachia en tais limnais chroan te kai hoti tôn trichôn ouk an apokrinais mian apo tôn allôn,”

E così, probabilmente sulla scia di Giglio Gregorio Giraldi – non certo su quella di Ludwig Dindorf - anche William Smith in A dictionary of Greek and Roman biography and mythology (London. John Murray. 1873) afferma che i Tritoni hanno i capelli verdi: “Pausanias (ix. 21. § 1) says: the Tritons have green hair on their head, very fine and hard scales, breathing organs below their ears, a human nose, a broad mouth, with the teeth of animals, sea-green eyes, hands rough like the surface of a shell, and instead of feet, a tail like that of dolphins.”

È così che anche in tempi moderni nascono i miti, anche i miti relativi ai capelli verdi dei Tritoni, il cui padre, Poseidone, forse li aveva azzurri, o meglio, il mare gli aveva fatto le mèches per cui aveva la chioma nerazzurra, come specifica Giraldi nel Syntagma V del suo Historiae Deorum Gentilium:

“Pingebatur Neptunus et ipse variis modis, nunc pacatus et tranquillus, nunc commotus, ut in primis in Homero et Vergilio poetis videmus: nunc nudus etiam cum tridente et concha, quo modo ipse conspexi: nunc in veste caerulea, id est cyanea, ut Phurnutus ait[7]. Lucianus in Sacrificiis, cyaneis capillis et nigris effingit. Sic tamen a Philostrato[8] in Imaginibus, cum equis scilicet et cetis in mari tranquillo incedere. [...] Hoc quidem loco Phurnutus ait, propter maris colorem. Unde etiam, ait, et illum Kyanochaítēn appellabant, quod cyaneas et caeruleas iubas haberet.”

Dopo questa lungaggine non bisogna tralasciare di dire che Tritone per Ovidio era tutto quanto azzurro, laonde le mie chiome bionde se ne andrebbero a ramengo: “exstantem atque umeros innato murice tectum|caeruleum Tritona vocat conchaeque sonanti|inspirare iubet fluctusque et flumina signo” (Metamorfosi I,332-334)

Ovviamente da Ovidio non possiamo arguire se anche tutti gli altri Tritoni successivamente clonati, o non clonati, fossero completamente azzurri oppure policromi come li aveva dipinti Pausania. La possibilità dei capelli biondi rimane pertanto aperta!

Quella dei capelli verdi rimane esclusa a priori. E per sempre!

 

Tritone e Nereide di Arnold Böcklin

Ma i Tritoni vivevano nell’acqua di mare e non di palude, per cui potrebbe essere nel giusto Ovidio quando dice che Tritone era tutto quanto azzurro, con le chiome che ricalcavano quelle del padre Nettuno. Siccome i Tritoni non vivevano negli stagni e nei fiumi, non si vede perché dovessero avere i capelli verdastri anziché azzurri oppure biondi.

Anche se Pausania non ce lo dice, possiamo dedurre da Dioscoride - nonché da Galeno - che a quei tempi il colore prevalente del ranuncolo era senz’altro il giallo. Infatti per Dioscoride un tipo di ranuncolo aveva fiori gialli, talora rossi (intendendo verosimilmente il Ranunculus asiaticus), due avevano sempre i fiori gialli (incluso il Ranunculus sceleratus), uno sfoderava fiori candidi come il latte.

Quindi ai tempi di Dioscoride e di Pausania a carico dei ranuncoli prevaleva il giallo, ed è verosimile molto assai che per Pausania i Tritoni fossero biondi, così come ha inteso che fossero rossi cresta e bargigli quando ha scritto “ma nel colore essi sono come i corvi, mentre i bargigli e la cresta sono molto simili all’anemone”, riferendosi con ogni probabilità al colore rosso cocciniglia dell’Anemone coronaria nella varietà phoenicea o coccinea, tralasciando un qualsivoglia batráchion dal fiore rosso, altrimenti avrebbe scritto che cresta e bargigli erano come un batráchion (specificando rosso) anziché come un anemone.

Se vogliamo essere pignoli e pedanti – o precisi per dirla eufemisticamente - non possiamo escludere che Pausania pensasse magari al fiore di quella Ranunculacea, a quell’anemone che nel 99,9% dei casi è rosso, battezzato poi Adonis annuus da Linneo nel 1753 e che nel XVI secolo - per esempio da Mattioli - era ancora chiamato anemone.

Per gli antichi Greci l’anemø – in dorico anemøna, talora anemønion in Dioscoride - era quel fiore che si apre al minimo vento, o che talora cresce nei luoghi ventosi, come indica la sua etimologia da ánemos che significa vento, soffio, come il latino anima.

Plinio propendeva per il primo dei due significati: “Flos numquam se aperit nisi vento spirante, unde et nomen accipere.” (XXI,165)

In greco antico non esiste nulla che si chiami adone - ádønis - se non un pesce citato da Ateneo (332c) e da Eliano[9] nonché da Plinio[10].

Ádønis era invece Adone, quel bellissimo ragazzo del quale si innamorò Venere e che morì assalito da un enorme cinghiale. In base a un calcolo percentuale – infatti non ero presente in Libano quando Adone morì - dal suo sangue sarebbe nato un anemone, che in realtà era quel fiore che oggi grazie a lui chiamiamo Adonis annuus[11], e ambedue le varietà annue, sia la aestivalis o phoeniceus che la autumnalis o atrorubens, hanno fiori color del sangue.

L’Adonis annuus cresce dal livello del mare fino ad altitudini di 1300 m, è presente in Europa, Caucaso, Africa boreale e, ciò che più conta, in Asia centrale e occidentale, quindi anche in Libano dove Adone morì.

  

Adone e Venere di Cristoforo Stati

 Adone inghirlandato da Venere di Antonio Canova

 

Adone e Venere di Tiziano Vecellio

 

Adone morente

Invece l’Adonis vernalis, che è perenne anziché annuale, ha fiori gialli, cresce in climi più freddi e non è presente in Asia se non in Siberia. Mattioli aveva individuato 5 diversi anemoni, e quello che aveva catalogato come Anemone quarta, dai fiori porporini, potrebbe corrispondere all’Adonis annuus di Linneo.

Insomma, grazie al mito, quando Pausania pensava a un anemone, pensava al colore rosso, e magari pensava a quell’anemone il cui fiore era sbocciato dal sangue di Adone: Adonis annuus.

Anemone quarta di Pierandrea Mattioli
Si tratta verosimilmente dell’Adonis annuus di Linneo, detto Adonide o Fiore di Adone,
tratto dal Compendium de plantibus omnibus (1571) di Mattioli.

  Adonis annua, da N.L Britton e A. Brown,
Illustrated flora of the northern states and Canada (1913
)

   

Adonis annuus

  


[1] Naturalis historia XXV,172: Ranunculum vocamus quam Graeci batrachion. Genera eius IIII: unum pinguioribus quam coriandri foliis et ad latitudinem malvae accedentibus, colore livido, caule alto, gracili et radice alba. Nascitur in limitibus umidis et opacis. Alterum foliosius, pluribus foliorum incisuris, altius caulibus. Tertium minimum est, gravi odore, flore aureo. Quartum simile huic, flore lacteo.

[2] Ludwig Dindorf, Pausaniae descriptio Graeciae X,17,13: Eadem insula venenorum letalium, si unam plantam exceperis, est expers. Herba ista perniciosa, apio persimilis est; qui eam comederint, ridentes emori dicuntur. Ex eo Homerus aliique post eum Sardanium eum dixerunt risum, qui in re minime commoda et mente parum sana ederetur. Gignitur circa fontes maxime, nec tamen cum ipsis aquis veneni naturam communicat.

[3] Sélinon in greco indicava per esempio sia il sedano (Apium graveolens) che il prezzemolo (Petroselinum hortense Hoffmann = Apium petroselinum Linneo) appartenenti entrambi alle Ombrellifere. Il prezzemolo potrebbe essere originario della Sardegna. Anche il latino apium designava piante diverse. Dapprima le Ombrellifere vennero denominate Apiacee, successivamente si optò per Ombrellifere, e il motivo è semplice: si tratta di una famiglia di piante per lo più erbacee caratterizzate da fiori disposti in ombrella semplice o composta.

[4] Tetano: dal greco tetanós, teso, rigido, a sua volta dal verbo teíno, tendere. Malattia infettiva acuta causata dalla tossina prodotta dal batterio anaerobio Clostridium tetani, che genera spore molto resistenti nell'ambiente. Serbatoio dell'infezione sono gli animali erbivori, specialmente il cavallo, nel cui intestino il batterio si trova come ospite abituale: le spore vengono eliminate con le feci, contaminando il terreno e tutti gli oggetti che vengono in contatto con esso. Ci si infetta in caso di lesioni cutanee, anche lievi ma penetranti e poco sanguinanti, provocate da oggetti contaminati. La spora passa alla forma vegetativa e rimane localizzata nella sede di ingresso dove produce una tossina molto potente che va a legarsi ai neuroni delle corna anteriori del midollo spinale e ai motoneuroni del tronco encefalico, inibendo le sinapsi che regolano il movimento. La malattia si manifesta quindi con la contrazione continua di tutti i muscoli (paralisi spastica) a partire dai piccoli muscoli e con diffusione sino ai muscoli respiratori, cui segue, nella maggior parte dei casi, la morte. Attualmente, il tetano è molto raro, sia per la vasta diffusione della vaccinazione (obbligatoria per tutti i bambini, per gli sportivi e per i lavoratori) sia per la disponibilità del siero antitetanico per la profilassi passiva.

[5] Tritone: essere marino della mitologia greca, figlio del dio del mare Posidone – o Poseidone, il romano Nettuno, che forse aveva i capelli neri e azzurri - e di Anfitrite, una delle 50 o 100 Nereidi, le divinità marine figlie di Nereo. Si concepiva anche una pluralità di Tritoni, che erano solitamente rappresentati nel corteo di Posidone sotto forma di uomini-pesci in atto di suonare conchiglie come trombe. Tritone compare già nell'arte greca arcaica, in sculture e pitture vascolari, con la parte inferiore del corpo pisciforme, tronco umano e volto giovanile e barbato. Molto diffuso, fino al sec. V aC, è il tema della lotta con Eracle, mentre in seguito prevale il motivo del Tritone che accompagna sul mare mitici eroi. In età ellenistico-romana Tritone presenta anche zampe anteriori di cavallo ed è raffigurato, in sculture e rilievi, nel corteo marino di Posidone e Anfitrite, con ninfe o nereidi sul dorso. Frequente anche la rappresentazione di tritoni anguipedi nelle decorazioni architettoniche.

[6] Ludwig Dindorf, Pausaniae descriptio Graeciae IX,21,1: Vidi ego et alium Tritonem Romanorum in thesauris rerum admirabilium, sed hoc qui apud Tanagraeos est magnitudine inferiorem. Hanc prae se ferunt Tritones figuram: capitis coma persimilis est ranunculis colore, et capillum omnino nullum ad aliis possis discernere; [...] - Lilius Gregorius Giraldus, Historiae Deorum Gentilium syntagma quintum: Idem scribit et Pausanias qui ait, a se visum apud Tanagraeos in Boeotia: et item alterum Romae inter miracula habitum, Tanagraeo minorem: eosque commixtam habuisse hominis speciem cum pisce. Caput enim capillis contectum fuisse, neque facile discerni potuisse: colore eo fuisse, quo esse videntur ranae palustres in dorso:[...]

[7] Lucius Annaeus Cornutus, alias Phurnutus, filosofo e letterato latino (sec. I dC), nativo di Leptis Magna, fu a Roma come liberto, dove insegnò grammatica e filosofia (stoica) fra gli altri a Lucano e a Persio. Scrisse tragedie e, in greco, un'opera filosofica giunta fino a noi, il Compendio di teologia greca,  o un suo riassunto latinizzato in De natura deorum, dove fornisce un'interpretazione allegorico-naturalistica dell'antica mitologia.

[8] Filostrato: nato intorno al 190 dC, era un sofista dell’isola di Lemno nel Mar Egeo, al quale sono attribuite le Immagini, descrizioni di quadri posti in una villa di Napoli. Un'altra raccolta di Immagini, meno interessante della precedente, è attribuita al nipote Filostrato (sec. III) anch’egli di Lemno.

[9] La natura degli animali IX,36: C’è un pesce che appartiene alla famiglia dei muggini e che d’abitudine pascola tra le rocce. È giallo d’aspetto. Comunemente viene indicato con due nomi: alcuni lo chiamano adone, altri invece exoceto. [...] La gente ha voluto chiamarlo adone perché è amante della terra e del mare; i primi che gli hanno dato questo nome, mi sembra l’abbiano fatto volendo alludere al figlio di Cinira, la cui vita era divisa tra due dee: era infatti contemporaneamente amato da una dea abitante degli inferi [Persefone] e da un’altra che invece abitava sulla superficie terrestre [Afrodite]. (traduzione di Francesco Maspero) – Questo pesce non è stato identificato.

[10] Naturalis historia IX,70: Circa Clitorium vocalis hic traditur et sine branchiis, idem aliquis Adonis dictus. - Nella zona di Clitorio – città dell’Arcadia settentrionale – si dice che questo pesce abbia la voce e sia senza branchie; da alcuni è chiamato adone. – Non vi sono pesci senza branchie, per cui deve trattarsi di un errore di Plinio o della sua fonte.

[11] Fiori Adriano, Nuova flora analitica d’Italia, Edagricole, Bologna, 1974.