Ulisse Aldrovandi
Ornithologiae tomus alter - 1600
Liber
Decimusquartus
qui
est
de Pulveratricibus Domesticis
Libro
XIV
che tratta
delle domestiche amanti della polvere
trascrizione di Fernando Civardi - traduzione di Elio Corti - revisione di Roberto Ricciardi
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[198] Hos
item M. Varro[1]
laudat, quod pulchri sint, et ad praeliandum inter se idonei, sed ad
partus damnat, ceu aliis steriliores. Rationem Columella[2]
reijcit in corporis gravitatem, additque, inertes esse ad incubandum,
multoque magis ad excludendum, et raro foetus suos educare, nimirum
eorum Gallinas. Et Plinius[3]
eosdem ad bella tantum, et praelia assidua nasci tradit, iisque etiam
patriam nobilitasse Rhodum, ac Tanagram: secundum esse honorem habitum
Medicis, ac Chalcidicis. Quibus
itaque cordi est ea genera, inquit Columella[4],
propter
corporum speciem possidere: cum exceperunt ova generosarum, vulgaribus
Gallinis subijciunt, {et} <ut> ab his exclusi pulli {nutriuntur}
<nutriantur>. Et
mox omnium horum nothos pullos optimos esse ait, quoniam paternam
speciem gerant, et salacitatem, foecunditatemque vernaculam retineant. |
Anche
Marco Varrone
ne tesse le lodi, in quanto sono belli e abili nel combattere tra loro,
ma li biasima dal punto di vista della prole, in quanto sono più
sterili degli altri. Columella
attribuisce il motivo alla pesantezza del corpo e aggiunge che sono
inette all’incubazione e molto di più nel far schiudere le uova, e
che raramente allevano i loro piccoli, ovviamente si tratta delle loro
galline. E Plinio
riferisce che essi nascono soltanto per le lotte e i frequenti
combattimenti, e che grazie a essi hanno nobilitato anche la loro
patria, Rodi
e Tanagra:
il secondo posto è stato conseguito da quelli della Media
e di Calcide.
Columella dice: Pertanto, coloro ai quali sta a cuore il
possedere tali razze per la bellezza del loro corpo, quando hanno
raccolto le uova delle galline di razza, le mettono sotto alle galline
comuni, in modo che i neonati vengano allevati da queste.
E subito dopo dice che gli ibridi di tutte queste razze sono degli
ottimi rampolli, in quanto sono dotati dell’aspetto paterno, e
conservano la salacità e la fecondità della razza nostrana. |
Sed
ut ad vernaculum genus revertamur, et ut omisso illo Graecorum
studio, qui ferocissimum quemque alitem certaminibus, et pugnae
praeparabant, industrium patremfamilias doceamus, qui ex eo vectigal
suum adaugeat: itaque ex eiusdem Columellae[5]
et Varronis potissimum praescripto illi omnino authores sumus, ut nisi
salacissimos Gallinaceos alat, atque in his quoque, uti {etiam}[6]
in faeminis, {quibus} idem color, idemque unguium numerus {est}, et
status altior. Cristas habeant sublimes, sanguineas, nec {oblongas} <obliquas>:
oculos ravos sive nigros: rostrum breve, et aduncum, non autem acutum,
ut Varro[7]
praecipit: paleas ex rutilo albicantes, quae velut incanae barbae
dependent: aures maximas, candidissimasque: collum varium, et aureolum:
iubas varias, vel ex auro flavas, per colla, cervicemque in humeros
diffusas; pectus latum, musculosum, ac lacertosum: alas procerissimas;
caudam duplici ordine singulis utrinque prominentibus pinnis inflexam:
crura robusta, breviuscula, sed solidis spiculis egregie armata: ungues
longos. Qui eiusmodi Gallum na<c>tus fuerit, haud dubio genus suum
cohortale insigniter promovebit, eoque magis, si Gallinas etiam ad
foeturam foecundissimas sibi comparet.
Tales autem fere sunt fuscis, aut rubicundis, flavis, aureisque,
aut etiam nigris plumis. |
Ma
torniamo alla razza nostrana, e lasciamo da parte quella passione dei
Greci che preparavano per le battaglie e il combattimento tutti i
volatili più aggressivi, al fine dare degli insegnamenti all’operoso
capofamiglia in modo che con tale razza possa aumentare il proprio
reddito: pertanto in base ai precetti di Columella e di Varrone gli
siamo del tutto garanti che non deve allevare galli se non estremamente
lussuriosi che debbono avere la stessa colorazione e lo stesso numero di
dita come le femmine, e una statura piuttosto elevata. Debbono avere le
creste alte e sanguigne e non debbono essere inclinate: gli occhi
giallo-grigiastri o nerastri: il becco corto e adunco, ma non aguzzo
come consiglia Varrone: i bargigli rossi soffusi di bianco che pendono
come le barbe di persone attempate: gli orecchioni grandissimi e
candidissimi: il collo variegato e leggermente dorato: le piume della
mantellina debbono essere policrome o giallo oro, sparse dal collo e
dalla nuca fino alle spalle; il petto largo e muscoloso e robusto: le
ali lunghissime; la coda ricurva con un duplice ordine di singole penne
che sporgono da ambo i lati: le zampe robuste, piuttosto corte, ma
perfettamente armate di solide formazioni acuminate: le dita lunghe. Chi
si imbatterà in un gallo siffatto, senza dubbio alcuno migliorerà
notevolmente la sua razza da cortile, e ancor di più se si procura
anche delle galline molto prolifiche. Orbene, per lo più sono tali
quelle che hanno le piume scure, oppure rosse, bionde e dorate, o anche
nere. |
Sint[8],
si fieri potest, omnes eiusmodi, sin minus, ab his proxime colores
eligantur. Improbantur albae, et damnatur, quod plerunque molles sint,
ac minus vivaces, tum ne foecundae quidem tales facile reperiuntur. Sunt
praeterea quia candore suo conspicuae avium rapacium, Aquilarum,
Accipitrum, Milvorumque praedis magis, quam aliae expositae. Sint igitur
matrices coloris probati, robusto corpore, ac pectore, magnis capitibus,
rectis rutilisque cristis, et interdum geminis, auribus albis, et sub
hac specie quam amplissimae, unguibus imparibus[9].
Generosissimae,
inquit Columella[10],
habentur, quae quinos habent
digitos, sed ita, ne cruribus emineant transversa calcaria; quod
Plinius etiam testatur, cuius verba paulo ante citavimus, ubi nostro
aevo eiusmodi Gallinas haud dari diximus: cur vero tales Gallinae,
quibus nempe calcaria transversa eminent, vitentur, Columella rationem
hanc adiungit, quod id virile signum sit, illae vero ad concubitum
contumaces, dedignentur admittere marem, raroque etiam foecundae sint,
denique cum incubant, calcis aculeis ova perfri<n>gant. |
Se
possibile, siano tutte così, altrimenti tra esse vengano scelte le
colorazioni che più si avvicinano. Quelle bianche vengono disapprovate
e rifiutate in quanto sono spesso deboli e meno longeve, ma
neppure è facile trovarne che siano prolifiche. Inoltre, poiché a
causa del loro candore sono individuabili, più delle altre sono esposte
a diventare prede degli uccelli rapaci, delle aquile, dei falchi
e
dei nibbi.
Le riproduttrici siano dunque del giusto colore, di corpo e di petto
robusto, dalla testa grande, con la cresta dritta e rosso splendente, e
talora doppia, con gli orecchioni bianchi, e sotto questo aspetto li
abbiano quanto più grandi possibile, con le dita dispari: Columella
dice Sono ritenute molto fertili quelle dotate di cinque dita ma che
non debbono avere speroni che sporgono di traverso sulle zampe, cosa
testimoniata anche da Plinio, le cui parole abbiamo citato poco prima,
quando abbiamo detto che ai nostri tempi non si riscontrano galline
siffatte: sul perché si debbano evitare tali galline dotate appunto di
speroni che sporgono di traverso, Columella adduce questa motivazione:
si tratta di un segno di mascolinità, restie invero all’accoppiamento
sono sdegnose nell’accettare il maschio e sono anche raramente
feconde, infine, quando covano, rompono le uova con gli speroni della
zampa. |
Aristoteles,
Pliniusque Hadrianas in primis celebrant, quod multa admodum
pariant: qua de re supra[11]
satis superque disputatum est. Idem Aristoteles[12]
vulgares Gallinas generosis foecundiores esse scribit: corpora nempe {illis}
<his> humidiora, {his} <illis> sicciora haberi, in quibus
animus generosus potius consistit[13].
Pumiliones Gallinas etsi vetustas[14]
cum propter alias causas improbat Columella, Plinius eas laudat, sed de
hac re etiam ante diximus. Si vero cibi futuri causa eligendae sint:
sunt qui illas suavioris carnis esse existimant, quae cibo non abunde
eis apposito, sed quem ipsae pedibus fodientes eruant, non absque labore,
pastae fuerint. Alii ad saginam aptas potissimum autumant, quae in
cervice pingui cute sunt. |
Aristotele
e Plinio decantano in special modo le galline Hadrianae in quanto
depongono moltissime uova: sulla qual cosa in precedenza si è
dissertato in modo più che sufficiente. Lo stesso Aristotele scrive che
le galline comuni sono più feconde di quelle di razza: infatti il corpo
di queste è più ricco di umori, quello delle prime è più asciutto, e
in questo tipo - di corpo - risiede preferibilmente il carattere di
qualità. Mentre Columella per altri motivi non apprezza le galline nane
anche se vecchie, Plinio le loda, ma su ciò abbiamo già parlato in
precedenza. Per quanto riguarda quali siano da preferire al fine di
diventare cibo: vi sono alcuni che ritengono essere di carne più
gustosa quelle che saranno state nutrite non con cibo abbondantemente
fornito ma con quello che dissotterrano scavando con le zampe e non
senza fatica. Altri sostengono che sono soprattutto adatte a essere
ingrassate quelle che presentano una pelle grassa a livello del collo. |
Ut
autem in caeteris animalibus rusticis, ita in hoc avium genere,
optimae servandae, et deteriores vendendae, aut mensae destinandae sunt:
quod per autumni tempus quotannis, cum fructus earum cessat, commode
fiet. Nostrae etiam mulierculae eo tempore numerum minuunt. Antiqui tunc
etiam omnes, quae trimatum excedunt, vendi iubent. Addo ego nunquam
habendas, quae aut parum foecund<a>e, aut non bonae nutrices sunt:
atque in primis quae ova vel sua, vel aliena ex<s>orbent, neque
minus, quae, ut Gallus, cantare, atque calcare incipiunt. Galli vero
quandiu foeminas implent, retineri possunt{,}<.>
Rarior enim in hisce
avibus mariti praestantia est: probantur tamen iuniores: nam et hoc
experientia didici, cum trimatum excedunt, implere quidem Gallinas, sed
ad Venerem impotentiores evadere. Sed istaec de externa Gallinacei
generis delineatione dicta sufficiant: iam videndum videtur, an ne
internas aliquas partes peculiares prae caeteris volucribus obtineat. |
Inoltre,
come si verifica per gli altri animali di campagna, così in seno a
questo tipo di volatili bisogna conservare i soggetti migliori, e
vendere i peggiori, oppure destinarli alla tavola: cosa che si
verificherà in modo opportuno annualmente durante la stagione
autunnale, quando viene a cessare il profitto che ne deriva. Anche le
nostre donne in quella stagione ne riducono il numero. È appunto allora
che anche gli antichi consigliano di vendere tutte quelle che superano
il terzo anno d’età. Io aggiungo che non bisogna mai tenersi quelle
che sono poco feconde oppure non sono delle buone nutrici: e
innanzitutto quelle che divorano le proprie uova o quelle altrui, e
nondimeno quelle che cominciano a cantare e a montare come un gallo.
Senza dubbio i galli possono essere conservati fintanto che fecondano le
femmine. Infatti in questi volatili la prestanza sessuale maschile è
piuttosto scarsa: tuttavia i più giovani sono giudicati favorevolmente:
del resto con l’esperienza ho imparato anche quanto segue, che quando
superano i tre anni d’età fecondano sì le galline, ma risultano un
po’ impotenti dal punto di vista sessuale. Ma siano sufficienti queste
cose che abbiamo detto a proposito delle caratteristiche esterne del
razza dei gallinacei: adesso sembra opportuno esaminare se possiede
alcune parti interne peculiari rispetto agli altri uccelli. |
[1] Rerum rusticarum, III,9,6 Nec tamen sequendum in seminio legendo Tanagricos et Melicos et Chalcidicos, qui sine dubio sunt pulchri et ad proeliandum inter se maxime idonei, sed ad partus sunt steriliores.
[2] De Re Rustica, VIII: (2,12-13) Talibus autem maribus quinae singulis feminae comparantur. Nam Rhodii generis aut Medici propter gravitatem neque patres nimis salaces nec fecundae matres, quae tamen ternae singulis maritantur. Et cum pauca ova posuerunt, inertes ad incubandum multoque magis ad excludendum, raro fetus suos educant. Itaque quibus cordi est ea genera propter corporum speciem possidere, cum exceperunt ova generosarum, vulgaribus gallinis subiciunt, ut ab his excusi pulli nutriantur. (2,13) Tanagrici plerumque Rhodiis et Medicis amplitudine pares non multum moribus a vernaculis distant, sicut et Chalcidici. Omnium tamen horum generum nothi sunt optimi pulli, quos conceptos ex peregrinis maribus nostrates ediderunt, et salacitatem fecunditatemque vernaculam retinent. [13] Tanagrici plerumque Rhodiis et Medicis amplitudine pares non multum moribus a vernaculis distant, sicut et Chalcidici. Omnium tamen horum generum nothi sunt optimi pulli, quos conceptos ex peregrinis maribus nostrates ediderunt, et salacitatem fecunditatemque vernaculam retinent.
[3] Naturalis historia X,48: Iam ex his quidam ad bella tantum et proelia adsidua nascuntur - quibus etiam patrias nobilitarunt, Rhodum aut Tanagram; secundus est honos habitus Melicis et Chalcidicis -, ut plane dignae aliti tantum honoris perhibeat Romana purpura.
[4] De Re Rustica, VIII,2,12: Itaque quibus cordi est ea genera propter corporum speciem possidere, cum exceperunt ova generosarum, vulgaribus gallinis subiciunt, ut ab his excusi pulli nutriantur.
[5] De Re Rustica, VIII,2,9-10: [9] Gallinaceos mares nisi salacissimos habere non expedit. Atque in his quoque sicut feminis idem color, idem numerus unguium, status altior quaeritur; sublimes sanguineaeque nec obliquae cristae, ravidi vel nigrantes oculi, brevia et adunca rostra, maximae candidissimaeque aures, paleae ex rutilo albicantes, quae velut incanae barbae dependent; iubae deinde variae vel ex auro flavae, per colla cervicesque in umeros diffusae; [10] tum lata et musculosa pectora, lacertosaeque similes brachiis alae; tum procerissimae caudae duplici ordine singulis utrimque prominentibus pinnis inflexae; quin etiam vasta femina et frequenter horrentibus plumis hirta, robusta crura nec longa sed infestis velut sudibus nocenter armata - Non conviene avere dei galli se essi non sono estremamente lussuriosi. Anche loro debbono avere lo stesso colore come detto per le femmine, lo stesso numero di dita, ed è richiesta una statura maggiore; la loro cresta deve essere eretta e sanguigna e non inclinata, gli occhi giallogrigiastri o neri, becco corto e arcuato, orecchioni grandissimi e candidissimi, i bargigli rossi soffusi di bianco che pendono come le barbe di persone attempate; inoltre le piume della mantellina debbono essere policrome o giallo oro, sparse dal collo e dalla nuca fino alle spalle; [10] poi petto largo e muscoloso, ali robuste e simili a braccia; code lunghissime e ricurve con un doppio ordine di penne che sporgono da ambo i lati; devono anche avere cosce grosse e irte, spesso, per le piume che si rizzano; le gambe devono essere forti, ma non lunghe, e armate minacciosamente quasi di spunzoni pronti all’offesa. (traduzione di Rosa Calzecchi Onesti, adattata da Elio Corti)
[6] Questo etiam è di troppo: non è presente in Columella e neppure in Conrad Gessner Historia Animalium III (1555), pag. 385-386: Gallinaceos mares nisi salacissimos habere non [386] expedit, atque in his quoque sicut in foeminis, idem color, idemque numerus unguium: status altior quaeritur, Columel. – Si eliminano anche quibus e est, altrimenti la traduzione diventerebbe impresa da funamboli.
[7] Rerum rusticarum III,9,5: Gallos salaces qui animadvertunt, si sunt lacertosi, rubenti crista, rostro brevi pleno acuto, oculis ravis aut nigris, palea rubra subalbicanti, collo vario aut aureolo, feminibus pilosis, cruribus brevibus, unguibus longis, caudis magnis, frequentibus pinnis; item qui elati sunt ac vociferant saepe, in certamine pertinaces et qui animalia quae nocent gallinis non modo non pertimescant, sed etiam pro gallinis propugnent. - Bisogna scegliere galli lussuriosi, che si riconoscono se sono muscolosi, se hanno cresta rossa, becco corto, grosso e aguzzo, occhi gialli o neri, bargiglio rosso con tracce di bianco, collo screziato o color d’oro, cosce pelose, zampe corte, artigli lunghi, coda grande, piume folte; così, quelli che sono alti e cantano spesso, che sono resistenti nei combattimenti e che non solo non hanno paura degli animali nocivi alle galline, ma combattono anche in loro difesa. (traduzione di Antonio Traglia)
[8] Columella, De re rustica VIII,2,7: Parandi autem modus est ducentorum capitum, quae pastoris unius curam distendant, dum tamen anus sedula vel puer adhibeatur custos vagantium, ne obsidiis hominum aut insidiatorum animalium diripiantur. Mercari porro nisi fecundissimas aves non expedit. Eae sint rubicundae vel infuscae plumae nigrisque pinnis, ac si fieri poterit, omnes huius et ab hoc proximi coloris eligantur. Sin aliter, vitentur albae, quae fere cum sint molles ac minus vivaces, tum ne fecundae quidem facile reperiuntur, atque etiam conspicuae propter insigne candoris ab accipitribus et aquilis saepius abripiuntur. - La quantità da procurarsi è di duecento capi, i quali occupino interamente l’impegno di un solo custode, purché tuttavia venga impiegata una vecchia attenta oppure un fanciullo quale custode dei soggetti errabondi, affinché non vengano sottratti dalle insidie degli uomini o degli animali. Inoltre non conviene comperare volatili se non fecondissimi. Questi volatili debbono avere piume rosse o nerastre, e le penne nere, e se sarà possibile vengano scelti tutti di questo colore o di un colore molto simile. Se non è possibile fare altrimenti, si evitino i soggetti bianchi, i quali non solo sono per lo più deboli e meno longevi, ma neppure è facile trovarli che siano prolifici, e inoltre essendo visibili a causa della caratteristica del candore più spesso vengono rapiti dagli sparvieri e dalle aquile.
[9] A proposito della pentadattilia Columella usa l’espressione nec paribus unguibus. Sia Plinio che Varrone usano invece l’espressione digitis imparibus. O meglio, Varrone usa imparibus digitis, Plinio digitis imparibus, e si può senz’altro azzardare che la fonte di Plinio fu Varrone. Aldrovandi, che già aveva citato a pagina 197 un imparibus digitis tratto da Plinio, a questo punto, pur usando unguibus invece di digitis, sarebbe la volta che citasse Varrone. Ma non lo fa. Difficile spiegare questo scotoma di Aldrovandi nei confronti di Varrone, che oltretutto fu senz’altro la fonte di Plinio per quanto concerne i polli pentadattili, e la prima fonte in assoluto di questa peculiare mutazione genetica presente solo nel Gallus domesticus. Ecco il testo di Varrone, Rerum rusticarum III,9,4: Qui spectat ut ornithoboscion perfectum habeat, scilicet genera ei tria paranda, maxime villaticas gallinas. E quis in parando eligat oportet fecundas, plerumque rubicunda pluma, nigris pinnis, imparibus digitis, magnis capitibus, crista erecta, amplas; hae enim ad partiones sunt aptiores. – Ma ancora più difficile è spiegare il gravissimo scotoma che Aldrovandi dimostra nei confronti delle cinque dita che furono esattamente raffigurate dai suoi disegnatori nei polli pedibus pennatis di pagina 312-313. Aldrovandi, nel descrivere questa coppia, non fa il minimo accenno alla loro pentadattilia, che oltretutto, sia dal punto di vista iconografico che genetico, corrisponde perfettamente a una pentadattilia duplicata. Si limita a dire che avevano le zampe gialle!
[10] De re rustica VIII,2,8: Sint ergo matrices robii coloris, quadratae, pectorosae, magnis capitibus, rectis rutilisque cristulis, albis auribus, et sub hac specie quam amplissimae, nec paribus unguibus: generosissimaeque creduntur quae quinos habent digitos, sed ita ne cruribus emineant transversa calcaria. Nam quae hoc virile gerit insigne, contumax ad concubitum dedignatur admittere marem, raroque fecunda etiam cum incubat, calcis aculeis ova perfringit. - Le riproduttrici siano dunque di colore rossiccio, tarchiate, posseggano un petto largo, la testa grande, la piccola cresta dritta e rosso splendente, gli orecchioni bianchi, e sotto questo aspetto li abbiano quanto più grandi possibile, e non debbono avere le dita pari: e precisamente sono ritenute molto fertili quelle con cinque dita, ma non debbono avere speroni che sporgano di traverso sulle zampe. Infatti, quella che porta questo segno di mascolinità, restia all’accoppiamento, è sdegnosa nell’accettare il maschio, ed è raramente feconda e poi quando cova rompe le uova con gli speroni della zampa.
[11] A pagina 191.
[12] De generatione animalium - Libro III-1 (749b-750a): Anche gli uccelli di piccole dimensioni, come talvolta anche le piccole piante, sono propensi al coito e prolifici. Ciò perché quello che servirebbe all’accrescimento del corpo diventa residuo seminale. Perciò le galline di Hadria sono molto feconde: per la piccolezza del corpo l’alimento è destinato alla deposizione delle uova. E le galline comuni sono più prolifiche di quelle di razza perché il loro corpo è più umido e massiccio, mentre quello delle altre è più magro e asciutto; l’aggressività della razza si produce più in questo tipo di corpi. Inoltre anche la sottigliezza e la debolezza delle gambe concorre a che la natura di questi uccelli sia propensa al coito e prolifica, come è per gli uomini: l’alimento destinato agli arti è volto in costoro in residuo seminale, perché ciò che la natura toglie di là, aggiunge qui. (traduzione di Diego Lanza)
[13] A mio avviso Aldrovandi ha scambiato di posizione illis e his, salvo voler attribuire a questi due pronomi un significato opposto a quello che abitualmente posseggono. Infatti in base al testo di Aristotele - tradotto da Diego Lanza - dovrebbe essere il corpo delle galline di razza - le cosiddette generosae - a essere più umido, mentre il corpo delle galline vulgares dovrebbe essere più asciutto. Se poi passiamo a considerare il corpo miniaturizzato delle galline di Hadria, più piccole delle vulgares, vediamo che le prime - illae, quelle di Hadria - hanno un soma quasi liofilizzato a forza di trasformare l’alimento in residuo seminale per poter deporre uova su uova. Insomma, dal punto di vista sessuale e riproduttivo il concetto di Aristotele potrebbe essere reso con una massima genovese, riferita però al sesso maschile: Omu picìn, tütu belìn. Omu grande, tütu müande. Cioè: Uomo piccolo, tutto pene. Uomo grande, tutto mutande. Mi scuso per eventuali inesattezze grafiche del dialetto genovese, che non ho mai trascritto.
[14] Qui Aldrovandi commette un errore. Infatti Columella non si è mai sognato di disapprovare anche le galline nane anziane: Columella disapprova le galline nane, vecchie o giovani che siano. Stando alle parole di Aldrovandi, la disapprovazione delle galline nane anche se vecchie doveva essere un giudizio di Conrad Heresbach, come riferito a pagina 192: [...] et inter nostri saeculi scriptores Conradus Heresbachius pumiliones, etsi vetustas cum ob infoecunditatem, tum ob alias causas improbat:[...].