Ulisse Aldrovandi
Ornithologiae tomus alter - 1600
Liber
Decimusquartus
qui
est
de Pulveratricibus Domesticis
Libro
XIV
che tratta
delle domestiche amanti della polvere
trascrizione di Fernando Civardi - traduzione di Elio Corti
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Cum
vero ille copiam sui negaret, seque iam altiora cogitare diceret,
caelestibusque tantum una cum patre, et matre incumbere, ac in
sanctissimo itinere esse, in summa nec posse, nec velle illicitae illius
libidini obtemperare, illam, quo [247] maximo flagrabat amore in summum
converso odium, in abeuntis sarcina clam argenteam patinam celavisse, et
cum iam ille aliquot passus[1]
ab urbe discessisset, altum exclamavisse, patinam illam furto ab eo
iuvene ablata fuisse: cauponemque eius patrem convocatis lictoribus
illum persequentem ab incoepto itinere redire coegisse, et reperta in
sarcina patina, manifesti furti illum apud senatum accusavisse, et ad
furibus peculiarem mortem, furcam, nempe condemnatum fuisse. |
Dal
momento che lui negava la propria disponibilità e diceva che lui ormai
pensava a cose più sublimi, e che insieme al padre e alla madre si
dedicava solo alle cose celesti, e che si trovava in un viaggio
oltremodo santo, insomma, che né poteva né voleva sottomettersi alla
sua illecita libidine, allora lei, avendo tramutato in grandissimo odio
l’enorme amore di cui ardeva, celò di nascosto un piatto d’argento
nella sacca di lui che stava partendo, e quando lui si era ormai
allontanato di alcuni passi dalla città, proclamò ad alta voce che
quel piatto era stato portato via con un furto da parte di quel giovane:
e l’oste suo padre, inseguendolo con i littori
che aveva convocato, lo aveva costretto a tornare indietro dal viaggio
appena intrapreso, ed essendo stato rinvenuto il piatto nella sacca, lo
aveva accusato presso il senato di furto palese, e fu condannato alla
morte riservata ai ladri, cioè all’impiccagione. |
Parentes
vero quamvis tam inopinatam, tamque infamem carissimi filii sui necem
maximopere flerent, ab incoepto tamen itinere non destitisse, sed
Compostellam appulsos D. Iacobum tam obnixe rogavisse, ut dolorum eorum
misereretur, quod se fecisse sanctus post edito evidentissimo miraculo
declaravit. Nam cum domum revertentes per eandem viam iter haberent,
filium suum vivum laetumque reperisse in eodem loco, ubi mortem tam
turpem subierat. Unde persolutis primum D. Iacobo gratiis miraculum
publicasse, revixisse filium suum laeta voce proclamantes, etsi tamen id
illius loci praefecto persuadere non possent, sed nunciantibus miraculum
nihil respondisse aliud, quam ita vivere filium eorum, atque Gallus ille,
quem iam assum in mensa positum habebat. Quo
tempore coctam alitem non cucu<r>risse duntaxat, sed ex patina
resumptis pennis etiam exili<v>isse. Tum tam insolenti spectaculo
perculsum incredulum illum loci praefectum correctam hospitis filiam, et
infandum scelus suum confitentem, qua prius innocentem iuvenem affecerat,
poena mulctavisse. Gallum autem tanti miraculi testem in eo loco
conservari, et a peregrinantibus, qui illius in memoriam plumulam e
corpore eius evulsam cum magna pietate domum reportant, pie ibi colitur. |
Ma
i genitori, nonostante piangessero moltissimo per la morte tanto
inaspettata e tanto infame del loro carissimo figlio, tuttavia non
rinunciarono al viaggio intrapreso, ma, giunti a Compostela, con tutte
le loro forze supplicarono tanto San Giacomo di aver compassione del
loro dolore, cosa che il santo dimostrò dopo aver compiuto un miracolo
più che evidente. Infatti mente tornando a casa percorrevano lo stesso
cammino, trovarono loro figlio vivo e allegro nello stesso posto dove
aveva subito una morte tanto turpe. Laonde, dopo aver prima reso grazie
a San Giacomo, resero pubblico il miracolo proclamando con voce lieta
che loro figlio era resuscitato, anche se non riuscivano a far persuaso
di ciò il prefetto di quella località, che invece rispose loro, mentre
gli annunciavano il miracolo, solamente che loro figlio era altrettanto
vivo come quel gallo già arrostito che lui aveva giacente sulla mensa.
In quel momento il volatile cotto non solo cantò, ma, riassunte le
penne, schizzò fuori dal piatto. Allora quell’incredulo prefetto del
posto, rimasto sbigottito da quella scena tanto insolita, inflisse la
pena con cui prima aveva punito il giovane innocente alla figlia
dell’oste che si era ravveduta e che ammetteva il suo esecrabile
misfatto. D’altra parte in quel luogo si custodisce un gallo come
prova di un così grande miracolo e vi viene accudito con devozione dai
pellegrini, i quali in ricordo di quell’altro si portano a casa con
grande religiosità una piumetta strappata dal suo corpo – a Santo
Domingo de la Calzada. |
Simile
propemodum de Gallo cocto, et in frust{r}a conciso, mensaeque ad
mandendum imposito miraculum doctissimus mihique amicissimus Carolus
Sigonius[2]
e S. Petro Damiani recenset his verbis: Verum me religio aliqua tenet,
quae aut sancti, aut pii homines posteritati pro re magna consecranda
putarunt, ea dum se occasio praebet, quasi contemnenda silentio
praeterire. Quare cum per hos
annos, authore S. Petro Damiani huius aetatis (circiter annum 1014.)
aequali portentum ingens a S. Petro Apostolo Bononiensi in ecclesia
editum sit, mihi reticendum esse non duxi. Prudentis, inquit, et
honorati cuiusdam apud saeculum diaconi didici narratione, quod refero.
In Bononiae partibus duo quidam viri, qui et amicitiae foedere, et
compaternitatis, si digne recolo, necessitudine tenebantur, in convivio
discumbebant: quibus in mensam allatus est Gallus. Quod videlicet
pulmentum unus illorum arrepto cultello, ut mos est, in frusta dissecuit,
tritum quoque piper cum liquamine superfudit: Quo pacto, alter protinus
ait: Profecto compater, sic explicuisti Gallum, ut ipse S. Petrus,
etiamsi velit, redintegrare non possit. Cui mox intulit ille{;}<:> Plane
non modo D. Petrus, sed etsi ipse Christus imperet, hic perpetuo non
resurget. Ad
hanc vocem repente Gallus vivus, et plumis coopertus exiluit, alas
percussit, et cecinit, totum et liquamen super eos, qui convescebantur,
aspersit. Ilico sacrilegium blasphemae temeritatis digna poena sequitur
ultionis: nam et in aspersione piperis lepra percussi sunt, quam
videlicet plagam non modo ipsi usque ad obitum pertulerunt, sed et
posteris suis in omnes generationes velut quoddam haereditarium
reliquerunt. Unde factum est, ut in famulatum redacti sint sanctae
Bononiensis Ecclesiae, quae videlicet B. Petri Apostoli est insignita
vocabulo. Quorum progenies, ut relator asseruit, hucusque leprosa durae
illationis canone censita est ut ex operibus manuum suarum inferant
Ecclesiae capisteria. Sic nimirum duplici<s> poenae, leprae simul,
et servitutis addicti suppliciis, instruunt alios, ut iam temere de
divina potentia non loquantur. Et Gallus, qui dudum arguerat, Petrum in
terra negantem, tunc probavit Petrum cum eo, quem negaverat, in caelo
regnantem. |
Il
dottissimo e mio grande amico Carlo Sigonio racconta con le seguenti
parole un miracolo quasi uguale traendolo da San Pier Damiani a
proposito di un gallo cotto e tagliato a pezzi, e messo su una mensa per
essere mangiato: In verità, quando se ne presenta l’occasione, un
certo scrupolo mi trattiene dal passare sotto silenzio, come se fossero
da disprezzare, quelle cose che persone sante o virtuose ritennero di
dover essere dedicate ai posteri come avvenimenti importanti. Per cui
dal momento che durante questi anni, stando a San Pier Damiani
contemporaneo a tale periodo (intorno all’anno 1014), è stato
compiuto un grande prodigio da San Pietro Apostolo in seno alla comunità
dei fedeli di Bologna, ho ritenuto che non dovessi tacerlo. Quello che
riferisco, egli dice, l’ho appreso dal racconto di un certo diacono
assennato e oggetto di stima da parte di questa generazione. Due uomini
che si trattenevano dalle parti di Bologna sia per un vincolo di
amicizia che, se ci rifletto bene, per il legame derivante dal fatto di
avere il padre in comune, se ne stavano sdraiati a un banchetto: fu
portato loro in tavola un gallo. Naturalmente uno di loro, preso un
piccolo coltello, come è consuetudine tagliò a pezzi quella portata e
vi versò sopra anche del pepe tritato insieme all’intingolo. Fatto ciò,
l’altro subito dice: Confratello, hai senza dubbio squartato un gallo
in un modo tale che lo stesso San Pietro, anche se lo volesse, non
riuscirebbe a rimetterlo insieme. L’altro subito gli replicò:
Certamente, non solo San Pietro, ma se anche lo comandasse Cristo in
persona, costui non risorgerà mai più. A queste parole improvvisamente
il gallo schizzò in piedi vivo e ricoperto di piume, agitò le ali e
cantò e spruzzò tutto l’intingolo sui commensali. Immediatamente
un’adeguata pena di castigo fa seguito al sacrilegio di tracotanza
blasfema: infatti durante l’aspersione del pepe furono colpiti dalla
lebbra, e naturalmente dovettero sopportare questa calamità non solo
essi stessi fino alla morte, ma la tramandarono anche ai loro posteri
per tutte le generazioni come se fosse un’eredità. Per cui avvenne
che sono stati inseriti tra la servitù della santa Chiesa bolognese,
che appunto è stata insignita del titolo di San Pietro Apostolo. Come
ha affermato il narratore, la loro progenie tuttora affetta da lebbra è
stata registrata con l’imposta annua di un duro tributo, affinché
forniscano con la propria attività manuale i setacci alla Chiesa. Senza
dubbio così, sottoposti ai supplizi di una duplice pena, della lebbra e
della schiavitù, insegnano agli altri di non parlare mai della potenza
divina senza riflettere. E il gallo, che da tempo aveva dimostrato che
Pietro mentre si trovava sulla terra era un rinnegato, in quel momento
fornì la prova che regnava in cielo con colui che aveva rinnegato. |
Laurentius
Surius diversam a superioribus historiam de S. Pachomio a cacodaemone in
magnum Gallinaceum immutato, vexato, ac tentato refert his verbis:
Cumque domum apprehendissent (daemones) speciem praebuerunt, quod eam
concuterent adeo ut existimaret Sanctus moveri domum ex fundamentis.
Ipse vero minime conturbatus, rursus chordam pulsavit spiritalem, et cum
voce cecinit, dicens{,}<:> Deus refugium nostrum, et virtus, adiutor valde
in afflictionibus, propterea non timebimus, dum turbabitur terra. Haec
autem cum is dixisset, repente fuit quies maxima. Ipsi vero tanquam
fumus defecerunt, et paulo post tanquam canes, qui a{m}biguntur,
recedunt, et rursus impudenter accedunt. Sic etiam post preces beato
illo ad opus {sedenti}
<sedente>, malignus, suscepta figura maximi Galli,
valde ante ipsum clamabat, continuas, saevasque voces edens, et simul
etiam in eum involans, et acerbe eum feriens unguibus. Is
autem cum rursus in eum sufflasset, et signum crucis in fronte fecisset,
effecit, ut is statim evanesceret etc. |
Lorenz
Sauer riferisce con le parole che seguono una storia differente dalle
precedenti riguardo a San Pacomio tormentato e indotto in tentazione
da un demone cattivo che si era trasformato in un gallo di grandi
dimensioni: (E i demoni) siccome si erano impossessati della casa
offrirono uno spettacolo tale da scuoterla a tal punto che il Santo
pensava che la casa si muovesse dalle fondamenta. Ma lui, per nulla
spaventato, a sua volta fece vibrare le corde del respiro e cantò ad
alta voce dicendo: Dio, nostro rifugio e forza, grande aiuto nei momenti
di afflizione, pertanto non avremo paura quando la terra verrà scossa.
Quando ebbe pronunciato queste parole, di colpo si verificò una quiete
estrema. Infatti essi si dileguarono come il fumo, e poco dopo fecero
come i cani che allontanati ritornano e di nuovo si avventano con
sfrontatezza. Allo stesso modo, mentre quella santa persona dopo le
invocazioni se ne stava seduta intenta alle sue occupazioni, il maligno,
assunto l’aspetto di un gallo enorme, faceva un grande schiamazzo,
emettendo delle urla continue e selvagge, e contemporaneamente
volandogli anche addosso e ferendolo con le unghie in modo severo. Ma
lui, dopo avergli a sua volta soffiato contro ed essersi fatto il segno
della croce sulla fronte, fece sì che di colpo si dileguasse, eccetera. |
[1] Un passo equivale a circa 1,5 metri ed è costituito da 5 piedi.
[2] De Episcopis Bononiensibus libri quinque (Bologna, 1586), liber 2, Vita Clementis.