Ulisse Aldrovandi
Ornithologiae tomus alter - 1600
Liber
Decimusquartus
qui
est
de Pulveratricibus Domesticis
Libro
XIV
che tratta
delle domestiche amanti della polvere
trascrizione di Fernando Civardi - traduzione di Elio Corti
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[246]
CAPIENDI
RATIO. |
MODO
DI CATTURARLI |
Quanvis
eiusmodi volucres ab aucupibus nec retibus capiantur, nec fallantur
laqueis, nec visco denique decipiantur, quoniam eas vel in cortibus
vagantes vel gallinariis inclusas habemus, attamen ut vagantes, quae
nobis saepe huc et illuc fugiendo {negocium} <negotium> facessunt,
absque molestia {ocyus} <ocius>, ubi necessitas urget, allectae e
media corte vel ex agris etiam ad praesentem usum nobis cedant eiusmodi
astus possunt excogitari. Berytius[1]
frumentum lasere, et melle mixtis maceratum, et Gallinis obiectum eas
quasi vertigine affici scribit. Quod si verum est, ut multi affirmant,
id allectis Gallinis in pastum exhibere possemus, et ceu temulentas
capere. Solus Andreas a Lacuna laseri contrariam facultatem tribuit,
quod, ut pace eius dixerim, neutiquam approbare possum, cum nec verba
Graeca sic habeant: neque talis aliqua laseris vis legatur apud alios
scriptores, sed potius plerisque animalibus venenosa. Tradunt enim
pecora eo assumpto, cum aegre habent, aut subinde pristinam sanitatem
recuperare, ut plerunque contingit, aut emori. Eodem modo si {hyosciami}
<hyoscyami> suffitum percipiant, corripiuntur amentia quadam adeo,
ut non de sedibus suis duntaxat abire obliviscantur, sed decidant etiam,
et capiendi sui copiam faciant. Quo astu utuntur illi nebulones Aegyptii,
quos vulgo Cinganos appellant. Nec verendum est ab eiusmodi Gallinarum
esu noxam proficisci. Nam et reliquae quae eodem cibo (loquor autem de
frumento, de quo paulo ante) pastae sunt, mox convalescunt. Si assam
foetidam exhibueris in victu, pennae omnes decident, et velut mortuae
sese capiendas tradent. |
Nonostante
siffatti uccelli non vengano né catturati degli uccellatori con le
reti, né vengano gabbati dalle trappole, né infine vengano tratti in
inganno dalla pania,
in quanto li abbiamo o che vagano nei cortili oppure rinchiusi nei
pollai, tuttavia affinché quelli che se ne vanno in giro, che fuggendo
qua e là spesso ci provocano delle seccature, e che abbiamo adescato
dal bel mezzo del cortile o anche dai campi, quando urge la necessità
si sottomettano prontamente a noi per il presente scopo senza dare dei
fastidi, si possono escogitare i seguenti stratagemmi. Berytius - un
geoponico - scrive che il
frumento macerato in una miscela di succo
di silfio e di miele e gettato alle galline, esse vengono colte come
da un capogiro. Se ciò è vero, come parecchi affermano, potremmo darlo
in pasto alle galline che abbiamo scelto e catturarle come se fossero
ubriache. È solo Andrés de Laguna ad attribuire al silfio un effetto
opposto e, sia detto senza offenderlo, non posso assolutamente
concordare con ciò, dal momento che le parole greche non significano
così: e neppure in altri autori si legge un qualche simile potere del
silfio, ma piuttosto che agisce da veleno per la maggior parte degli
animali. Infatti dicono che, quando il bestiame è ammalato, dopo che
l’ha assunto o recupera rapidamente il primitivo stato di benessere,
come per lo più avviene, oppure muore. Allo stesso modo se ricevono dei
suffumigi di giusquiamo vengono colti come da una forma demenziale,
fino al punto che non solo si dimenticano di uscire dai loro ricoveri,
ma crollano a terra e fanno in modo di essere catturati in gran quantità.
Di questo stratagemma si servono quegli Egiziani fannulloni che
comunemente chiamano Zigani. E non bisogna temere che possa derivare un
danno dal fatto di mangiare siffatte galline. Infatti anche le altre,
quelle che sono state alimentate con lo stesso cibo (intendo dire il
frumento, di cui poco prima) in breve si ristabiliscono. Se nel cibo
darai dell’assafetida, cadranno tutte le penne e loro si
abbandoneranno come morte per essere catturate. |
Cardanus
eosdem scurras Gallinas, Anates, Anseres, cuniculosque suffurari scribit,
ita autem cito {hamo
a} <a hamo> fixos auferre, ut neque motu alarum,
neque voce furtum prodant. Sed huiusmodi furtum nescio quomodo, ut ille
putat, bene cedat furi. Etenim esto, quod hamo in gulam iniecto vocem
illis adimant, non video, quomodo alarum concussionem impedire queant,
et si hoc etiam concedamus, ut nimirum duobus hamis utramque illam
actionem, vocem scilicet, et commotionem impediant, sociae vel Gallinae,
vel Gallus maxime vel Anseres elato clamore, ut in consimili casu facere
solent, Gallinarios excitabunt, furtumque prodent. |
Gerolamo
Cardano scrive che quegli stessi fannulloni rubano le galline, le
anatre, le oche e i conigli, e che portano via così rapidamente i
soggetti trafitti con un amo da non riuscire a segnalare il loro
rapimento né con lo sbattere delle ali né con la voce. Ma non so come
un furto siffatto possa riuscire bene al ladro, come lui pensa. E
infatti, ammesso pure che dopo aver ficcato l’amo in gola li privano
della voce, non vedo in che modo possano impedire lo sbattere delle ali,
e se dovessimo ammettere anche quanto segue, e cioè che con due ami
riescono a impedire ambedue le attività, cioè la voce e lo
scuotimento, le galline loro compagne, o soprattutto il gallo o le oche
facendo schiamazzo, come sono soliti fare in casi del genere,
sveglieranno i custodi e segnaleranno il furto. |
HISTORICA. |
LEGGENDE |
{Polyarchum}
<Poliarchum> referente Aeliano[2],
ferunt, eo mollitiei pervenisse, ut canes etiam, et Gallos, si quibus
delectatus fuisset, mortuos efferret publice, et amicos suos ad funus
convocaret, splendideque sepeliret, atque, quod maius est, in monumentis
eorum columnas erigeret, quibus eorum epitaphia inscriberet. Qui sane
Gallo amoris illius in hominem iustam reddidit talionem[3]. |
Dicono
che, in base a quanto riferisce Eliano, Poliarco era giunto a un punto
tale di licenziosità da fare un funerale pubblico anche ai cani e ai
galli morti se si era dilettato con alcuni di essi, e da far intervenire
al funerale i suoi amici, e che li seppelliva con sontuosità, e, ciò
che più conta, che sulle loro tombe erigeva delle colonne su cui faceva
incidere degli epitafi. Egli effettivamente pagò una giusta pena del
taglione al gallo per il suo amore nei confronti di un essere umano. |
Sed
ut ad veriora sermonem nostrum convertamus, Laurentius Surius[4] sanctum Germanum
Episcopum {Antisiodorensem} <Autessiodurensem> prodidit, cum in
itinere noctis caecitate compulsus mediocris hominum status successisset
hospitio (nam id maxime ambitum fugiens requirebat) et in divino opere
solito pernoctasset officio, lucem ortam esse nullis Gallorum cantibus
nunciatam, cum earum avium copia in eisdem domibus non deesset. Causam
novitatis explorasse, audi<i>sse multum iam tempus esse, quo
tristis taciturnitas naturale Gallicinium damnavisset: ab omnibus vero
exoratum mercedem mansionis exolvisse. Acceptum namque triticum
benedictione condivisse, avesque eo pastas auditus habitantium usque ad
molestiam frequentatis cantibus fatigasse. |
Ma
al fine di indirizzare il nostro discorso a cose più sensate, Lorenz
Sauer ha riferito che San
Germano vescovo di Auxerre, siccome cammin
facendo, costretto dall’oscurità della notte, aveva trovato riparo in
un ospizio di qualità mediocre per degli esseri umani (infatti
desiderava ciò in sommo grado dal momento che rifuggiva dalla vanità)
e aveva trascorso la notte nel servizio divino con l’abituale impegno,
sorse la luce del giorno annunciata dal canto di nessun gallo,
nonostante in quella stessa dimora non mancasse un’abbondanza di tali
uccelli. Si informò del motivo del fatto insolito, sentì dire che era
già parecchio tempo che una sgradevole silenziosità aveva fatto
scomparire il naturale canto del gallo all’alba: supplicato da tutti,
pagò il conto dell’albergo. E infatti, fattosi dare del frumento, lo
condì con una benedizione, e i volatili nutriti con esso coi loro
frequenti canti tormentarono l’udito degli abitanti fino alla
molestia. |
Ferunt,
et maiorum nostrorum aevo in Hispaniae nobili quodam oppido, et ob
miraculum iam per {totum} <totam> Europam celeberrimo, vulgo S. Domenico
della Calzada dicto, Gallum mortuum, coctumque canto suo illustre
quoddam, at potissimum cauponis filiae facinus prodidisse. Etenim virum
quendam una cum uxore, et filio haud deformi iuvene Compostellam, ubi D.
Iacobi corpus conservatur, cuius videndi, et adorandi gratia eo se
conferebat, ut plurimos quotidie facere videmus, et ego in iuventute mea
eadem etiam pietate ductus feci, iter fecisse, casuque in iam dicto
oppido in diversorio pernoctasse, filiam vero hospitis amore speciosi
illius iuvenis captam, ei corpus suum obtulisse{:}<.> |
Riferiscono
anche che al tempo dei nostri antenati in una famosa città della
Spagna, e adesso molto celebre in tutta l’Europa a causa di un
miracolo, detta abitualmente in italiano San Domenico della Calzada -
Santo Domingo de la Calzada - un gallo morto e cotto con il suo canto
svelò un famoso misfatto, e precisamente della figlia del taverniere. E
infatti un uomo, insieme alla moglie e al figlio, che non era
assolutamente un brutto ragazzo, si recò in viaggio a Compostela dove
è conservato il corpo di San Giacomo, dove si recava per poterlo
vedere e venerare come vediamo che moltissimi fanno tutti i giorni e
anch’io feci durante la mia gioventù spinto dalla stessa devozione, e
per caso quell’uomo pernottò nella suddetta città in una locanda, e
la figlia dell’oste, presa dall’amore per quel bel giovane, gli offrì
il suo corpo. |
[1] Per rendere più comprensibile questo brano – sopratutto per identificare i fantomatici verba Graeca - riportiamo l’equivalente brano di Conrad Gessner Historia Animalium III (1555), pag. 431: Ut gallinae vertigine afficiantur, Ὄρνιθας σκοτῶσαι: Frumentum maceratum lasere et melle mixtis, obijcito, Berytius. videtur autem hoc fieri, non tantum ad gallinas, sed alias etiam aves, feras praesertim, capiendas. quanquam haec inter ea quae de gallinis scribuntur in Geoponicis Graecis legantur. Andreas a Lacuna hoc fieri ait, ut gallinae vertiginosae non fiant. quod ego probare non possum, cum neque verba Graeca sic habeant: neque talis aliqua laseris vis legatur apud scriptores, sed potius plerisque animalibus prope venenosa. Pecora enim tradunt eo sumpto cum aegrotant, aut sanari protinus, quod fere consequitur, aut emori. si quando inciderit pecus in spem nascentis, hoc deprehendi signo: ove, cum comederit, protinus dormiente, capra sternutante. serpentes avidissimas vini admistum rumpere. praecipitasse se quendam ex alto cum in dentium dolore cavis addidisset inclusum cera.
[2] Aelian is Aldrovandi’s reference, but that author has nothing that even resembles the story about Polyarchus. (Lind, 1963) – Invece stavolta Aldrovandi ha perfettamente ragione e le sue fonti erano affidabili. Infatti Eliano parla di Poliarco l’Ateniese in Storia varia VIII,4. De Poliarchi deliciis. § Se non voleva farsi criticare per l'ennesima volta, Ulisse doveva scrivere Poliarchum al posto di Polyarchum, in quanto si tratta di personaggi totalmente diversi. Infatti in Eliano troviamo Πολίαρχος, mentre Polyarchus, in greco Πολύαρχος, è un altro personaggio citato da Iseo (oratore greco, ca. 420 - ca. 340 aC, nato forse a Calcide di Eubea) oltre a essere anche un medico greco forse del I secolo dC citato da Celso (De medicina libri V e VIII) oltre che da Galeno, Ezio di Amida, Marcello Empirico e Paolo di Egina. § Nessuna notizia biografica relativa a questo Poliarco cinofilo e gallofilo, eccetto ciò che ci elargisce Eliano.
[3] Questa della legge del taglione è un'aggiunta di Aldrovandi, in quanto il testo di Eliano finisce con epitaphia eorum insculpserat. § Taglione deriva dal latino talio la cui etimologia è ancora oscura: l'accostamento a talis ‘tale’ può essere solo popolare. Nel diritto penale antico il taglione era la pena inflitta a chi si rendeva colpevole di lesioni personali. Secondo il principio “occhio per occhio, dente per dente” il reo perdeva lo stesso arto o organo di cui aveva privato l'offeso. Questa legge era applicata anche nell'Antico Testamento, espressa nella formula efficace del Levitico (24, 19-20): «come fece... così sarà fatto a lui; il danno che avrà inflitto, quello dovrà sopportare». Nell'antica Roma la pena del taglione era applicata solo alle lesioni più gravi e ne era esecutore la stessa vittima o un parente da lei delegato. La stessa pena si riscontra nell'antico diritto germanico da dove s'introdusse in vari statuti italiani al punto che se ne trovano ancora tracce a Modena nel 1771 e in Toscana nel 1786. È da considerare che la pena del taglione, pur nella sua cruda espressione di pena vendicativa, rappresentò in origine un notevole progresso sulle forme indiscriminate di vendetta privata.
[4] Verosimilmente i dati sono desunti dal tomus 4, liber 1, caput 8 del De probatis sanctorum historiis.