Vol. 1° -  VI.1.3.

Gallus morio
esatto: Gallus morion

Originario dell'India e così battezzato da Temminck nel 1813, è il Gallo Nero del Mozambico di Buffon, o Degro [1] .

Dovrebbe corrispondere all'attuale razza indiana che va sotto il nome di Kadakanath o Kadaknath o Karaknath o Karnatak e il cui appellativo originale pare essere Kalamasi, che significa pollo dalla carne nera.

Ha un manto nero intenso con riflessi bronzei e, oltre alla pelle, sono neri i muscoli - carne calata nell’inchiostro -, il periostio, il midollo osseo ed altre strutture anatomiche.

Secondo taluni deriverebbe dalla Moro a seta - , in quanto alcuni esemplari hanno piume sfioccate con aspetto sericeo. La Moroseta non riesce però a raggiungere il grado di melanosi del Kalamasi, in quanto non ha i muscoli neri, o perlomeno lo sono poco, e quelli del petto non lo sono mai.

Per non ripetere le stesse cose, si veda quanto riferito a proposito del Sumatra. Ma Temminck è categorico circa il Coq nêgre da lui descritto: solo la pelle e il periostio sono neri, mentre il resto delle ossa e la carne hanno il colore come in tutte le altre razze di polli.

In letteratura antica una delle prime citazioni della gallina del Mozambico dalla carne nera risale indirettamente ad Aldrovandi, e precisamente a Bartolomeo Ambrosini (1588-1657) che nel 1642 pubblicò Paralipomena accuratissima historiae omnium animalium, cioè l'appendice ai trattati di zoologia di Aldrovandi. Orbene, a pagina 11 possiamo leggere quanto segue:

Gallinarum, in regione Mozambicha, caro atra est; immo pennae, carnes, ossa ita nigricant, ut si coquuntur, in atramento elixae esse videantur: nihilominus sapidissimae sunt, et reliquis longe meliores creduntur.

La carne delle galline del Mozambico è nera; anzi, le penne, le carni e le ossa sono nere a tal punto che se vengono cotte sembra siano state bollite in un liquido nero: tuttavia sono estremamente saporite e vengono ritenute di gran lunga migliori delle altre.

Dato che grazie a Mendel mastichiamo un po' di genetica, non dovremmo permetterci di sorridere per ciò che pensava Buffon sull'origine di questa melanosi, che noi sappiamo essere semplicemente dovuta a un gene, il gene Fm, acronimo di fibromelanosis. Bartolomeo Ambrosini si limita a riferire una sintetica notizia corredata da positivi giudizi gastronomici, mentre Buffon a pagina 122 della sua Histoire naturelle des oiseaux II (1771) pare non apprezzare questa carne, e così fantastica:

15°Le coq nègre. On en trouve aux Philippines, à Java, à Delhi, à Sanjago, l'une des îles du Cap-vert. Becman prétend que la plupart des oiseaux de cette dernière île ont les os aussi noirs que du jais, et la peau de la couleur de celle des Nègres. Si ce fait est vrai, on ne peut guère attribuer cette teinture noire qu'aux alimens que les oiseaux trouvent dans cette île. On connoît les effets de la garence, des caille-lait, des graterons &c. & l'on fait qu'en Angleterre on rend blanche la chair des veaux en les nourrissant de farineux & autres alimens doux, mêlés avec une certaine terre ou craie que l'on trouve dans la province de Bedford. Il seroit donc curieux d'observer à Sanjago, parmi les différentes substances dont les oiseaux s'y nourrissent, quelle est celle qui teint leur périoste en noir: au reste, cette poule nègre est connue en France & pourroit s'y propager; mais comme la chair, lorsqu'elle est cuite, est noire et dégoûtante, il est probable qu'on ne cherchera pas à multiplier cette race[...].

Ulisse Aldrovandi era a conoscenza di una particolare gallina inglese che latinizzò in Morenna Anglorum, alla quale è dedicata la seconda parte del capitolo De Gallo scotico sylvestri et de Morenna anglorum, incluso nella sezione riservata ai polli stranieri. Quando passa a parlare della Morenna, o per svista, o per ossequio alla lingua della terra d’origine, la latinizzazione del nome inglese viene scritta con la lettera h, cioè Morhenna.

Gallinaceum sylvestre [silvestre] genus apud nos est (inquit Turnerus Anglus, Morhennam vulgo vocant, ni fallor, forte propter colorem maris nigrum, ut in mauris [Mauris]; alii, puto Hetcock, id est, Gallum ericarum) in quo faemina ita a mare differt, ut duorum generum istiusmodi rerum imperito videri possint.

Presso di noi esiste un genere di gallinaceo selvatico (dice Turner l’Inglese, e lo chiamano volgarmente Morhenna, se non vado errato, forse per il colore nero del maschio, come negli abitanti della Mauritania; ritengo che altri lo chiamino Hetcock [Heath cock - Gallo di brughiera], cioè, Gallo delle eriche) e in questo genere la femmina differisce talmente dal maschio che a un inesperto in materia potrebbero sembrare appartenenti a due generi diversi.

È palese che Aldrovandi - o William Turner - ha cercato di mantenere quasi intatto il vocabolo inglese moor trasformandolo in mor, che in questo caso specifico viene ad assumere il significato di moro, scuro, poiché questa era l’interpretazione etimologica corrente in Inghilterra. Però, se egli avesse voluto ad ogni costo dare a tale vocabolo il significato di scuro, di moro, anziché di gallina delle eriche, la latinizzazione sarebbe stata Maurhenna, in quanto solo l'aggettivo latino Maurus significa mauro, mauritano, e quindi, in senso traslato, bruno, scuro, nero.

Ora, bisognerebbe sapere se Aldrovandi non ricordava con esattezza quanto riferito da William Turner (probabilmente in Avium praecipuarum, quarum apud Plinium et Aristotelem mentio est, brevis et succincta historia, Colonia, 1544) sul parallelismo tra il piumaggio del maschio e il colore della pelle dei Mori, o se invece se lo ricordava benissimo, fingendo però di porre in dubbio le sue capacità mnemoniche, al fine di dissentire, con discrezione, da questa tesi.

Infatti, in inglese, Moor in antico significava nativo della Mauritania, per assumere più tardi il significato di nativo dell'Africa nordoccidentale, cioè Marocchino. La sua etimologia è identica a quella dell'italiano moro, cioè dal greco (a)mauròs e màuros: difficile a vedersi, oscuro, scuro, tetro, cieco.

Mentre moor, con l’iniziale minuscola, significa landa, brughiera, terreno paludoso, e la sua etimologia proviene dall'Antico Inglese mere: mare, lago. Gli attuali termini moor cock e moor fowl significano Gallo di brughiera. Questa seconda possibilità etimologica viene subito riportata da Aldrovandi, in quanto “altri lo chiamano gallo di brughiera, cioè, gallo delle eriche”.

Attualmente, con moorhen si intende la femmina del Fagiano di montagna, oppure la Gallinella d’acqua. In base alle descrizioni fornite, Aldrovandi era incerto sull’identità del volatile britannico. Audubon riporta, tra gli uccelli d’America, anche l’onnipresente Gallinula chloropus - la Gallinella d’acqua - e la denomina Common Moorhen. La Gallinula chloropus è di piumaggio scuro, ma allo stesso tempo frequenta laghi, stagni, paludi.

Diventa un rompicapo voler arguire se nel XVI secolo il termine moor andava inteso anche nell’accezione di Moro, o se indicava solamente l’habitat palustre dell’uccello sul quale indagò Aldrovandi che, meticoloso com’era, non ha omesso di riportalo tra i volatili stranieri. L’ha incluso in tale sezione in quanto, essendo discordanti le descrizioni di origine britannica, non gli era possibile una precisa identificazione del volatile; altrimenti, di Gallinelle d’acqua ne aveva a iosa anche lui a Bologna.

In conclusione: mor, incluso nella parola morhenna, se può significare scuro è perché si tratta di un vocabolo inglese latinizzato, e in quanto i Britannici hanno suggerito quest’interpretazione. Ma la morhenna non ha nulla a che fare col Gallo Nero del Mozambico. Si trattava del Tetrao tetrix o Black grouse, o Lyrurus tetrix, che noi chiamiamo Gallo minore o Gallo forcello o Fagiano di monte, comune nelle lande e nelle brughiere.

In latino il sostantivo maschile morio, che al genitivo fa morionis, significa scimunito, sciocco, imbecille. Il vocabolo deriva dall’aggettivo greco mwrÕj, murah in sanscrito, che hanno lo stesso significato del latino: sciocco, semplice, fatuo, stolto, insensato, folle, pazzo.

Di genere neutro è il sostantivo latino morion, che fa morii al genitivo, e che significa cose differenti.

Uno dei significati di morion è quello di Morella o Erba mora, Solànum nigrum  L. , cosmopolita e comunissima negli incolti e tra le macerie, il cui frutto è rappresentato da bacche nere grandi quasi come un mirtillo, salvo in sottospecie molto meno frequenti in cui le bacche possono essere gialle, giallo-verdognole o rosso miniate. Attenzione, è tossica per il pollame e per i volatili da cortile, mentre per l’uomo va usata con molta cautela. Il principio attivo è rappresentato dalla solanina, un glucoalcaloide con azione antispastica, antisettica, analgesica - effetto più lento ma più persistente della morfina, con paralisi delle terminazioni nervose sensitive e motorie - narcotico-sedativa, anafrodisiaca. Insomma, la Morella, come altre solanacee, ha la proprietà di procurare un po’ di solamen, che in latino significa conforto, consolazione, sollievo. Dell’Erba mora parla Plinio nella Naturalis historia (21,180):

Quin est alterum genus, quod halicacabon vocant, soporiferum est atque etiam opio velocius ad mortem, ab aliis morion, ab aliis moly appellatum [...]

Eccoci al secondo significato di morion.

Una sorta di mandragora è detta in greco μώριος, vocabolo di genere femminile, e anche il latino morion significa una specie di mandragora. Parlando della mandragora (XXV,147), Plinio non riferisce effetti così rapidamente letali come per l’Erba mora, essendo questa più veloce dell’oppio nel procurare la morte, anzi la mandragora, anch’essa da taluni detta morion, passerebbe per un’erba piuttosto maneggevole. Si può pertanto presumere che per Plinio il vegetale più importante dal punto di vista tossicologico sia il Solanum nigrum, dalle bacche intensamente nere.

La Mandragora autumnalis Bert.,1820, è una delle due specie mediterranee di mandragora, essendo l’altra la Mandragora vernalis Bert.,1824. L’autumnalis si distingue dalla primaverile innanzitutto per avere i fiori violacei anziché bianco-verdognoli. Ma la chiave di volta per spiegare perché morion possa magari indicare qualcosa di scuro non è la tinta della corolla dell'autumnalis, bensì della sua radice. La Mandragora autumnalis ha infatti una radice nerastra, mentre la radice della vernalis è biancastra.

Tuttavia, se vogliamo comprendere l’etimologia dei vocaboli morion e μώριος non dobbiamo basarci sul colore della radice della Mandragora autumnalis, né su quello più frequente delle bacche di Solanum nigrum, bensì sugli effetti esplicati dai principi attivi presenti sia nell’autumnalis che nella vernalis, nonché su quelli già visti per la Morella. Abbiamo anche visto che l’aggettivo greco μωρός deriva dal sanscrito murah, col significato di sciocco.

Mandràgora o mandràgola - che proviene dal greco mandragóras, probabilmente dal persiano mardum-gia = pianta dell’uomo, oppure dal sanscrito mad = inebriarsi - indica un genere di piante della famiglia delle Solanacee con tre specie di erbe perenni: due sono sud europee, la terza è dell’Himalaia, Mandragora microcarpa. Le mandragore hanno fusto molto breve e radice grossa, biforcuta, di odore sgradevole, alla quale si attribuivano virtù mediche e afrodisiache.

La droga omonima estratta dalle radici contiene vari alcaloidi tra cui la scopolamina, la L-giusquiamina, la nor-giusquiamina, la mandragorina, con struttura e proprietà farmacologiche simili a quelle dell'atropina.

Le mandragore furono famose fin dai tempi antichi per le credenze superstiziose che le circondavano, dovute in parte all'azione tossica di cui sono realmente dotate e in parte alla forma vagamente antropomorfa delle radici, per cui, ancora nel Medioevo e oltre, si parlava di mandragora maschio e di mandragora femmina. Oltre al potere soporifero, alla mandragora fu appunto attribuito un effetto afrodisiaco; si diceva anche che estrarla dal terreno fosse causa di pazzia, per cui si consigliava di legare alla pianta un cane il quale, tirando la corda, l'avrebbe estratta e sarebbe morto, dando così all'uomo la possibilità di utilizzarla senza pericolo.

Mandragora maschio = Mandragora vernalis
Mandragora femmina = Mandragora autumnalis
da Commentarii in libros sex Pedacii Dioscoridis Anazarbei De Medica Materia (1554)
di Pierandrea Mattioli (1500-1577)

L’impiego più razionale della mandragora si deve ai Romani, che la usarono per stordire gli ammalati da sottoporre a intervento chirurgico, ottenendo così uno stato di semincoscienza. Ecco spiegato il significato di morion e mërioj per identificare la mandragora, e non solo una specie, in quanto ambedue posseggono gli stessi effetti farmacologici: calmante del sistema nervoso e narcotico; effetti posseduti anche dal Solanum nigrum.

Esiste un altro vegetale che non ha alcun effetto farmacologico sulla psiche, essendo solo emolliente e antidiarroico. Si tratta dell’Orchis morio o Giglio caprino, un’orchidacea dei boschi, dei prati e dei pascoli umidi, dai fiori porporini violacei. Parendomi errata la sua denominazione come nel caso del Gallus morio, ho posto la domanda sull’etimologia di morio attribuito a quest’orchidacea al Professor Carlo Del Prete dell’Orto Botanico dell’Università di Modena, il quale così si è espresso:

"Ho letto, ma non ricordo dove, che il termine morio indica la forma ad elmo dei tepali superiori, riuniti in cappuccio o elmo. Il termine deriverebbe dall’incorretta latinizzazione seicentesca in morio, morionis del termine, appunto, morione, che è un tipo di elmo."

Infatti il morione è un casco metallico dei secoli XVI-XVII, forse di origine spagnola, portato dagli archibugieri e anche da personaggi importanti al posto del più pesante elmo da guerra. L’etimologia di morione, in questo caso, è rappresentata dallo spagnolo morro, di origine incerta, che indica qualsiasi cosa rotonda la cui figura sia simile a quella della testa. Il morione in spagnolo è detto morrión. Quindi, anche l’elmo non ha nulla a che fare con il colore scuro.

Ed eccoci al terzo significato che può assumere morion.

Esiste in italiano ancora un morione, usato per indicare una varietà di quarzo particolarmente scuro, talora anche nero, grazie alle inclusioni contenute nel cristallo. L’Enciclopedia De Agostini dà l’esatto etimo del morione: da (mor)morion, mentre il Dizionario Enciclopedico Treccani propende a farlo derivare da morio, morionis. Tra poco vedremo perché.

È ancora Plinio che parla del morione nella Naturalis historia (XXXVII,173):

Mormorion ab India nigerrimo colore tralucet, vocatur et promnion [...]

Il morione è una pietra trasparente di colore nerissimo che viene dall’India, detto anche promnion [...]

Non tutti i codici riportano il brano di Plinio allo stesso modo. Mormorion è presente nel Codex Bandergensis, ed è l’unico codice a riportare il morione con questo lemma di genere femminile, che al genitivo fa mormorionis. Gli altri codici, che non sto ad elencare, riportano: morio, moryon e morion. Uno dei più accreditati, e che deve essere stata la fonte di Temminck, è l’Editio Parisina Harduini del 1685 (prima edizione) o del 1741 (seconda edizione). Ecco perché la Treccani riporta morio come origine del quarzo morione.

Esiste una spiegazione solo filologica del perché questo quarzo scuro sia stato trascritto non solo come morio, ma anche come mormorion, morion, moryon. La spiegazione è solo filologica, torno a ripetere, e non etimologica, a meno che non esistesse la superstizione che chi osava guardare il quarzo morione fosse colto da sintomi come quelli provocati dalla mandragora o dalla morella. Ma di ciò non esiste tradizione.

D’accordo col Professor Capponi, si può concludere che il quarzo morione sia stato così denominato in quanto può essere nero come le bacche dell’erba più tossica - e quindi più importante - tra le due di cui ci siamo occupati: il Solanum nigrum.

Erba mora e mandragora vengono tramandate come morion, per cui anche il nostro gallo deve essere denominato in questo modo; alla stessa regola non sfugge anche il quarzo morione, al cui colore Temminck deve aver fatto riferimento quando classificò il Gallo Nero che era indiano come il mormorion di Plinio.

A questo punto propongo una correzione:

Gallus morion Corti, 1996

 sommario 

 avanti 



[1] Non ho trovato l’etimologia di Degro, ma mi sa tanto che si tratti di una corruzione di Negro, in quanto in inglese questo pollo è detto Negro fowl e in tedesco Neger oppure Mohrenhühner. Credo che Darwin, nel suo elenco delle razze, gli attribuisca l’appellativo Sooty = fuligginoso. Anche Teodoro Pascal riporta il vocabolo morio a pagina 321 di Le Razze della Gallina Domestica, 1905.

Mattioli Pierandrea - Naturalista e medico (Siena 1500 - Trento 1577). Altre fonti danno rispettivamente 1501 e 1578. Nasce a Siena nel 1500 da Francesco Mattioli, medico, e da Lucrezia Buoninsegna. Si trasferisce col padre a Venezia e nel 1523 si laurea a Padova in medicina. Rientrato a Siena alla morte del padre, se ne allontana poco dopo a causa degli scontri tra le diverse fazioni, per recarsi a Perugia che lascia, dopo la specializzazione in chirurgia, per raggiungere Roma dove si ferma fino al 1527, anno del sacco. Nel 1527 si sposta a Trento, divenendo medico personale del Principe Vescovo Bernardo di Clès. Al potente protettore dedica il trattato De morbo gallico e il poema in versi Il Magno Palazzo del Cardinale di Trento, pubblicato nel 1539. Quest’opera costituisce un documento di grande importanza, perché fornisce preziose informazioni sul nuovo aspetto assunto dal Castello del Buonconsiglio dopo gli interventi architettonici voluti da Bernardo di Clès. Mattioli si trattiene in Trentino per circa un trentennio, durante il quale soggiorna soprattutto in Val di Non, nei dintorni di Trento e sul monte Baldo. In queste zone di montagna ha modo di dedicarsi alla botanica, sua grande passione e di venire in contatto con conoscenze e tradizioni popolari che forniranno la base delle sue ricerche sulle proprietà terapeutiche delle piante. Nel 1539, forse a seguito della morte del Principe Vescovo Bernardo, parte alla volta di Gorizia e, in seguito, di Praga. Nel 1544 pubblica a Venezia il suo lavoro di botanica Discorsi  redatto in italiano e nel 1554 pubblica sempre a Venezia, ma in latino, l’equivalente opera a carattere naturalistico e terapeutico che lo rese celebre: Commentarii in libros sex Pedacii Dioscoridis Anazarbei De Medica Materia (Venetiis, apud Valgrisium, 1554) e che dominò il sapere botanico per due secoli, con 61 edizioni e con traduzione in 5 lingue. La prima traduzione in italiano dei Commentarii vide anch’essa la luce a Venezia  nel 1557 ad opera di Valgrisi. Pierandrea Mattioli raggiunge l’apice della sua carriera nel 1555, quando Ferdinando I d’Austria lo chiama a corte come medico personale del suo secondogenito e rimane a servizio degli Asburgo (anche di Massimiliano II, primogenito di Ferdinando I e suo successore nel 1564)  fino al 1571, anno in cui decide di far ritorno a Trento, dove rimane fino alla morte nel 1577 dovuta alla peste e viene sepolto nella cattedrale dove gli viene eretto un sepolcro marmoreo che lo raffigura al suo tavolo da lavoro. La sua pietra tombale è conservata all’ingresso del Duomo di Trento. Per i suoi meriti Charles Plumier, valoroso botanico di Marsiglia (1646-1706), gli dedicò il genere Matthiola. (da www.buoncosiglio.it - con alcune modifiche e aggiunte)