Nella rosa dei grandi naturalisti del 1500, tra i quali possiamo annoverare Pierre Belon, Guillaume Rondelet, Ippolito Salviani e Conrad Gessner, il bolognese Ulisse Aldrovandi occupò una posizione di spicco. Nonostante i dati biografici siano scarsi, non mancano dei particolari insoliti: sappiamo che nacque a Bologna alle ore 11 dell’11 settembre 1522, un mercoledì, dedicato ai Santi Proto e Giacinto.
Queste notizie provengono dall’autobiografia, in cui Ulisse ci dice che suo padre si chiamava Teseo, notaio e segretario del Senato Bolognese, che la madre era Veronica Marescalchi e che la zia paterna di Veronica fu madre di Ugo Boncompagni, successore di Pietro col nome di Gregorio XIII. Quindi la madre di Ulisse era cugina di Ugo Boncompagni. Ricordiamoci di questo rapporto di parentela col Papa in quanto riemergerà nel capitolo dedicato al problema della presenza del tacchino in Europa e a Bologna.
Ulisse rimase orfano di padre all’età di 6 anni, dimostrò intelligenza precoce e vivacità nell’apprendere. A 12 anni, senza un soldo in tasca e senza avvisare la madre, faceva la sua prima uscita per recarsi a Roma, dove divenne paggio del Vescovo di Sardegna; si stancò ben presto di questa mansione e fece ritorno a Bologna, dove si dedicò agli studi di aritmetica sotto la guida di Annibale della Nave. Facendo tesoro di tali insegnamenti, a 14 anni si recava a Brescia nella veste di contabile alle dipendenze di un potente mercante.
Fig. VIII. 33 - Ulisse Aldrovandi - Bologna, 1522-1605
Tornato a Bologna - e nuovamente senza dir nulla a nessuno - si reca per la seconda volta a Roma. Durante il ritorno fa tappa a Loreto, e a due passi ormai da casa - a Castel San Pietro, 23 km a sudest di Bologna - incontra un pellegrino siciliano che lo convince a seguirlo fino a Santiago de Compostela. L’irrequieto Ulisse non se lo fa ripetere due volte: non rientra a Bologna e con un viaggio avventuroso, non privo di incontri con ladri e assassini ai valichi dei Pirenei, raggiunge il grande centro di spiritualità spagnolo. Oggi ci lamentiamo dei giovani! Dobbiamo ricordare che allora non esisteva il telefono e da certe distanze era impossibile comunicare rapidamente con la famiglia. Il sedicenne Ulisse se ne stava invece bellamente in giro per l’Europa, facendo tuttavia tesoro di quanto gli capitava a tiro: piante, animali e minerali.
Ma non finisce certo qui. Giunto a Genova di ritorno dalla Galizia, invece di attraversare l’Appennino per riabbracciare la madre, vorrebbe recarsi direttamente in pellegrinaggio a Gerusalemme: ma questa boutade non ha un seguito, in quanto il compagno di viaggio vuole tornarsene a casa a tutti i costi. Finalmente Ulisse è costretto a rimettere piede a Bologna, dedicandosi allo studio delle lettere umanistiche, della logica e della legge, nella quale si dottorò. Dal 1548 al 1549 studiò matematica e medicina a Padova. Nel 1549 cadde in sospetto d’eresia insieme ad altri 7 intellettuali bolognesi, magari su istigazione dell'Inquisizione da parte del domenicano e concittadino Leandro Alberti che fu poi inquisitore nel 1550 e nel 1551.
Recatosi a Roma per discolparsi, conobbe il grande naturalista francese Guillaume Rondelet che stava stilando il suo libro sui pesci, Histoire naturelle des poissons, e gli venne l’idea di cominciare a raccogliere pesci lui stesso, iniziando così il primo nucleo del suo futuro importante museo.
Tornato a Bologna, nel 1553 si laureò in filosofia e medicina senza però dedicarsi all’arte di cerusico come avrebbero voluto gli amministratori della sua città. Preferì la filosofia, grazie alla quale raggiunse notevole popolarità in seno agli studenti universitari.
Spinto dalla famiglia a non a rimanere scapolo dedicandosi alle sole attività culturali, nel 1563 - e quindi all'età di 41 anni - Ulisse si decise per il matrimonio. I suoi occhi si posarono sulla diciottenne Paula Macchiavelli, ma dopo soli 19 mesi rimase vedovo e si ritirò per alcuni giorni a Ravenna. Qui, per consolarsi della dolorosa perdita, collezionò meravigliosi marmi orientali. Anche se non incline al matrimonio convolò nuovamente a nozze nel 1565 con Francesca Fontana, bella ragazza e ricca di talento, che aiutò il marito nella compilazione del Lessico degli Oggetti Inanimati e nelle relazioni epistolari. Il matrimonio fu allietato da un maschietto e da una femminuccia, deceduti ambedue in tenera età. Ulisse ebbe anche un figlio illegittimo, Achille (1560-1577), al quale riconobbe la paternità e al quale avrebbe potuto arridere una brillante carriera di letterato: morì prematuramente a 17 anni cadendo da una terrazza.
Solo nel 1563 Ulisse accettò l’incarico di protomedico, cioè di supervisore della farmacia, in seguito alle insistenze di Padre Teofilo Gallinoni da Trevi, il quale nei suoi sermoni si lamentava della mancanza di un manuale che parlasse degli antidoti, ormai posseduto da numerose città italiane ma non da Bologna. In quei tempi medicina e farmacia battevano strade separate e toccò ad Aldrovandi preparare l’antidotario ufficiale - Antidotarium Bononiense - pubblicato nel 1574. Fino al 1581 si dedicò all’insegnamento della medicina, della botanica e della storia naturale, con 700 lezioni in 10 anni.
Nel 1592 Johannes Cornelius Uterverius, olandese di Delft, studiò botanica con Aldrovandi e ne divenne il pupillo, tanto da occuparne la cattedra come successore. Divenne stretto collaboratore del Maestro tanto da vivere nella sua casa, e assunse l’incarico di guardiano del giardino botanico, del museo e della biblioteca.
Con un disposto del Senato, Ulisse poté ritirarsi dalla vita attiva il 6 dicembre del 1600 con una pensione pari allo stipendio. Si ammalò il 10 novembre 1603, morì il 4 maggio 1605 e fu sepolto nella cripta dei suoi antenati nel chiostro della chiesa di Santo Stefano. Nel testamento lasciò i suoi abiti a Uterverius, il denaro e i mobili alla moglie Francesca, che gli sopravvisse di 12 anni, tutta la biblioteca personale e i manoscritti al Senato Bolognese.
Ulisse Aldrovandi fu lavoratore instancabile e conobbe gli uomini più importanti del suo tempo, con parecchi dei quali entrò in contatto epistolare, scambiando anche reperti per il suo museo. Ingaggiò a sue spese uno stuolo di disegnatori, pittori e incisori, che continuarono l’impresa iconografica nei decenni successivi alla sua morte, guidati da Uterverio e da Bartolomeo Ambrosini (1588-1657). In vita, Aldrovandi vide pubblicati solo i volumi di ornitologia e di entomologia, gli altri apparvero postumi. Benché possedesse un’inesauribile energia come collezionista, non fu un brillante organizzatore e sistematizzatore del materiale raccolto. Talora fece uso delle classificazioni aristoteliche, altre volte seguì schemi propri ma senza costanza, considerando la tassonomia un puro e semplice espediente organizzativo e non una rappresentazione dell’ordine naturale. Si dimostrò anche meno critico del suo contemporaneo Conrad Gessner. Tuttavia, le sue osservazioni dirette della natura furono dettagliate, con descrizioni precise. Sono una grande conquista della storia naturale del Rinascimento.
Aldrovandi fu uno dei primi zoologi a fornire, quando possibile, una rappresentazione dello scheletro. Ebbe anche la pazienza di aprire le uova durante l’incubazione per studiare lo sviluppo dell’embrione e spiegò come l’uovo passa dall’ovaio all’ovidutto. Uno dei risvolti più interessanti della sua attività scientifica furono le ricerche storiche e naturalistiche sul Nuovo Mondo, scoperto solo trent’anni prima ch’egli nascesse: in un primo tempo mise insieme un’infinità di dettagli raccogliendo notizie su flora e fauna dagli scritti più antichi di Vespucci, Cortés, Pietro Martire d’Anghiera [1] , Gonzalo Fernández de Oviedo [2] , Giovan Battista Ramùsio [3] , Nicola Monardes e José de Acosta [4] ; quindi comunicò i dati ai Granduchi di Toscana Francesco I (1541-1587) e Ferdinando I (1549-1609) tra il 1577 e il 1604.
Aldrovandia
- Monti 1747
Aldrovanda vesiculosa - Linneo 1753
Per
la bagarre relativa alla denominazione più corretta
si veda il lessico alla voce Aldrovand<i>a
Giuseppe Monti (1682-1760), professore e direttore dell’Orto Botanico di Bologna (1722-60) dedicò nel 1747 a Ulisse Aldrovandi una pianta perenne acquatica della famiglia delle Droseracee che denominò Aldrovandia. Sei anni dopo, e precisamente nel 1753, Linneo la battezzò in modo lievemente diverso, cioè Aldrovanda vesiculosa, e il genere Aldrovanda è rappresentato dalla sola specie vesiculosa, originaria delle regioni calde dell’Eurasia, oggi sempre più rara in quanto sensibile alla polluzione e quindi a rischio di estinzione, una sorte che è già toccata alla varietà giapponese, una pianta che conobbe il suo apogeo dopo la scomparsa dei Dinosauri. Essa è priva di vere radici, vive sommersa o natante nelle acque dolci stagnanti; i suoi fusticini sono gracili e ramosi e le foglioline, verticillate, consistono in due lamine concave, mobili a scatto qualora un minuscolo insetto vi si posi; esse sono contornate da setole, pure mobili, e sono rigonfie a guisa di vescicola. È considerata fra le piante insettivore poiché è in grado di digerire piccolissimi insetti, larve di molluschi e diatomee.
È verosimile che Giuseppe Monti, nel battezzare questa pianta, abbia voluto onorare il fondatore dell’Orto Botanico di cui fu direttore dal 1722 al 1760. Infatti Ulisse nel 1568 ottenne che fosse istituito in Bologna un orto botanico pubblico che venne situato, con sua insoddisfazione, in un cortile interno dell'attuale palazzo comunale. Nel 1587 ne ottenne il trasferimento in una sede più idonea, nei pressi di porta Santo Stefano. Egli stesso prefetto dell'orto, prese alloggio in una delle due case della nuova sede. Ma nel 1600 Ulisse chiese e ottenne di riportare l'orto botanico nella sua sede iniziale.
Aldrovandia
- Monti 1747
Aldrovanda vesiculosa - Linneo 1753
[1] Pietro Martire d’Anghiera: storico e geografo italiano (Arona 1457 - Granada 1526). Discendente da una famiglia originaria d'Anghiera (l'attuale Angera in provincia di Varese), intorno al 1478 si recò a Roma raccomandato da Ascanio Sforza e divenne segretario del Governatore. Seppur sconsigliato dal Leto e dall'Arcimbaldi, che tenevano in gran conto il suo ingegno, entrò al servizio del conte di Tendilla, che seguì in Spagna e nelle imprese d'arme a favore della cristianità riferite in lettere storicamente preziose. Vestito l'abito ecclesiastico (trasformando il proprio nome in quello di Pedro Mártir de Anglería) divenne cappellano della regina Isabella che lo mandò in Egitto da dove tornò con la Legatio Babylonica (1511), la relazione sulla sua missione. Venendo spesso a contatto con alcuni navigatori (Vasco da Gama, Magellano), amico personale di Colombo, Vespucci e Cortés, poté raccogliere molti elementi da inserire con attendibilità nelle Decades de Orbe novo, che coprono un arco di 34 anni di storia delle scoperte americane e che gli procurarono la benemerenza di storiografo ufficiale.
[2] Gonzalo Fernández de Oviedo: storico spagnolo (Madrid 1478 - Valladolid 1557). Partecipò alla conquista di Granada, alla campagna d'Italia e a cinque spedizioni nelle Indie. Alla sua esperienza di naturalista, etnologo e storico s'ispirarono le due opere principali: Sumario de la historia natural de las Indias (1526), un anticipo della monumentale Historia general de las Indias (1535-57).
[3] Giovan Battista Ramùsio: umanista, geografo e storico italiano (Treviso 1485 - Padova 1557). Fu aperto ai più diversi interessi culturali e pienamente partecipe ai fervori del suo tempo, intrattenendo interessanti corrispondenze con scienziati e umanisti quali Fracastoro e Bembo; fu anche cancelliere della Repubblica Veneta e dal 1515 segretario del Senato. Viaggiò moltissimo; a viaggi e studi storico-geografici dedicò la sua opera maggiore: Delle navigationi et viaggi, in 3 volumi.
[4] José de Acosta: scrittore e storico spagnolo (Medina del Campo 1539 ca. - Salamanca 1600). Entrato nella Compagnia di Gesù, nel 1571 fu inviato in Perù dove fu provinciale dell'ordine (1576-81) e assistette quale consigliere teologico al Concilio di Lima (1582). Nel 1583 pubblicò un catechismo per gli indios in lingua aymará. Tornato in Spagna, scrisse in latino un trattato di geografia, De natura novi orbis (1589), e un'altro di storia naturale, usi e costumi sugli indigeni del Messico e del Perù, Historia natural y moral de las Indias (1590). È anche autore di altre opere fra cui Confesionario para los curas de Indias (1585) e De temporibus novissimis (1590). José de Acosta occupa un posto di primo piano nella diatriba sul pollo precolombiano in Sudamerica.