Lessico


Dita dispari del pollo

Gallus hirsutis pedibus
Acquarello
di Ulisse Aldrovandi

Nel XV-XVI secolo qualcuno in Italia aveva parlato di dita dispari nel pollo, un certo qualcuno che moriva nel 1523 quando Aldrovandi aveva un anno. Si tratta di Alexander ab Alexandro alias Alessandro Alessandri - (Napoli, 1461 circa - 1523), archeologo nonché giureconsulto di fama che studiò a Roma sotto l'umanista Francesco Filelfo ed esercitò l'avvocatura nella città natale per poi dedicarsi definitivamente agli studi classici e filologici. Ma il nostro giureconsulto non parlò affatto di polli pentadattili a lui contemporanei. Ne parlò invece a proposito dei sacrifici a Esculapio, il dio della Medicina, il cui culto - che a Epidauro raggiunse il massimo tra il VI e il IV secolo aC, con un apogeo dal 370 al 250 aC - fu introdotto a Roma nel 293 aC grazie a una pestilenza. Il tempio di Epidauro, insieme a gran parte dei templi pagani, venne chiuso nel 426 dC per ordine dell'imperatore romano d'Oriente Teodosio II (401-450).

Alexander ab Alexandro scrisse tre opere: Genialium dierum libri sex, Dissertationes quatuor de rebus admirandis, quae in Italia nuper contigere, Miraculum tritonum & nereidum. Aldrovandi non specifica in quale opera di Alessandri è contenuto quanto segue, citato a pagina 256 del II volume della sua Ornithologia nel paragrafo dedicato a Usus in sacris Ethnicorum - Impiego (del pollo) nelle cerimonie sacre dei Pagani. In questo paragrafo Aldrovandi sta parlando di sacrifici di galli e galline a Esculapio e ha appena riferito le testimonianze relative a sacrifici di galline al dio della Medicina contenute in Giovenale, Festo Sesto Pompeo e Prudenzio. Per cui i siffatti sacrifici che aprono il brano di Aldrovandi altro non sono che i sacrifici di polli a Esculapio.

Non admittebantur vero Gallinae ad eiusmodi sacra, nisi, ut Alexander ab Alexandro scribit, quae rostro essent nigro, nigrisque pedibus, et digitis imparibus. Si enim rostrum pedesque lutea habuissent, velut impurae ab aruspicibus credebantur. Plinius huius rei quidem mentionem facit, sed de imparitate non {:} inquiens: Gallinae luteo rostro pedibusque ad rem divinam purae non videntur: ad opertanea sacra nigrae.

Ma erano ammesse a siffatti sacrifici solo quelle galline che, come scrive Alessandro Alessandri, presentavano becco nero e zampe nere, e dita dispari. Se infatti avessero avuto becco e zampe gialli sarebbero state ritenute impure da parte degli aruspici. Senza dubbio Plinio fa menzione di ciò, ma senza parlare del numero dispari: Per i servizi divini non sono ritenute incontaminate quelle con becco e zampe gialli: quelle nere sono adatte per i riti segreti.

Potrebbe sembrare difficile esprimere un giudizio su quanto afferma Alessandro Alessandri a proposito delle galline nere e dalle dita dispari adatte per i sacrifici a Esculapio. Non si può escludere che nel XV-XVI secolo egli avesse osservato in Italia dei polli a zampe nere, becco nero e dita dispari, o comunque solo con dita dispari, che gli fornirono l’input per ampliare il contenuto del testo di Plinio. Ma ritengo che l'Alessandri non abbia mai visto polli siffatti, cioè pentadattili, essendo più verosimile pensare a una sua involontaria illazione.

Infatti il testo di Plinio relativo alle galline sacrificali segue immediatamente quello attinente alle cinque dita: “[...] aliquando et super IIII digitos traverso uno. Ad rem divinam luteo rostro pedibusque purae non videntur, ad opertanea sacra nigrae.”

Per cui l’Alessandri deve aver pensato che le galline con becco e zampe gialli - a suo avviso dotate di cinque dita come le altre galline appena citate da Plinio - non erano adatte ai riti sacri, tipo quelli per ingraziarsi Esculapio, mentre lo erano quelle pentadattile con zampe e becco neri: "In Aesculapii sacris ... haeque ad rem divinam luteo rostro & pedibus, purae non sunt: nigrae vero & imparibus digitis, idoneae. Ad Opertanea vero sacra, nigrae gallinae non videntur purae." Ma Plinio non dice in modo palese che queste galline votive dovessero essere anche pentadattile, e verosimilmente non ha mai pensato di affermarlo.

Insomma, a mio avviso, nel XV-XVI secolo l’Alessandri non conosceva polli pentadattili. È solo caduto in un lapsus a causa dell’abituale stringatezza di Plinio che passa da un argomento all’altro senza concedere respiro: salta di colpo dalla generositas delle galline con cinque dita a quali galline siano adatte per i riti sacri o per quelli misterici. Anche Aldrovandi, anziché manifestare soltanto stupore per la discrepanza fra testo pliniano e alessandrino, con un piccolo sforzo sarebbe approdato facilmente a questa mia conclusione.

Un valido supporto alla mia tesi sulla scarsa affidabilità dell’affermazione alessandrina sulle galline a cinque dita potrebbe essere la recensione del Genialium dierum che compare in http://40.1911encyclopedia.org, dove si dice che l’opera di Alessandro Alessandri consiste in una massa confusa di materiali eterogenei caratterizzati da una notevole credulità: “His work entitled Dies Geniales appeared at Rome in 1522, and was constructed after the model of the Noctes Atticae of Aulus Gellius, and the Saturnalia of Macrobius. It consists of a confused mass of heterogeneous materials relating to philology, antiquities, law, dreams, spectres, &c., and is characterized by considerable credulity.”

Le notizie, anche se inaffidabili, si tramandano di bocca in bocca come una preziosa eredità. Infatti la stessa affermazione di Alexander ab Alexandro compare in un’opera di Giglio Gregorio Giraldi che tira in ballo le galline a cinque dita nel Syntagma XVII del suo Historiae Deorum Gentilium (Basileae, Oporinus 1548) quando parla degli animali offerti al dio della medicina Esculapio. Giglio Giraldi (Ferrara 1479-1552) era quasi coetaneo dell’Alessandri (1461-1523), ma l’opera di Giraldi Historiae Deorum Gentilium venne pubblicata nel 1548, cioè 26 anni dopo la pubblicazione del Genialium dierum di Alessandri (che potrebbe aver rappresentato la fonte per le notizie di Giraldi). Non si può quindi escludere che Giraldi abbia riferito sic et simpliciter ciò che l’Alessandri aveva elaborato. Infatti le parole di Giraldi ricalcano appieno quelle che Aldrovandi riferisce traendole dall’Alessandri (eccetto gli aruspici che sono un'illazione di Giraldi), per cui non è neppure necessario tradurle. Ecco il testo di Giraldi ricavato da Historiae Deorum Gentilium Syntagma XVII:

Aesculapio de capra res divina in primis fiebat, quoniam capra nunquam sine febre esse dicitur: salutis vero deus Aesculapius. Sed et gallus illi immolabatur, ut est alibi a me dictum. Sunt qui gallinas scribant, et has quidem rostro nigro, nigrisque pedibus, et digitis imparibus. Si enim luteo essent rostro, vel pedibus, impurae putabantur ab aruspicibus.

Ma, a ben vedere.... Sì, c'è ancora un ma. La verifica dell'autenticità dei dati contenuti nei testi antichi – come in quelli moderni - è straripante di ma. Questa volta a mettere il dito nella piaga ci pensa Conrad Gessner, che oltretutto era anche un ottimo medico. È palese che Aldrovandi nella stesura dei suoi trattati ha abusato dei testi di Gessner, ed è altrettanto palese che Aldrovandi poteva esimersi dallo spendere parole, tempo e denaro per allestire i suoi libri di zoologia. Sarebbero bastate delle aggiunte – dei Paralipomena, delle appendici, magari solamente iconografiche – ai volumi di Gessner e il gioco era fatto, e ben fatto, visto che Aldrovandi possedeva un tesoro iconografico sinora ineguagliato. Si sarebbero risparmiati carta e inchiostro, si sarebbe potuto devolvere più denaro a disegnatori, acquarellisti e incisori anziché ai tipografi, e così la perfetta intelligibilità dei testi di Gessner sarebbe rimasta intatta e i relativi riferimenti bibliografici indenni. Quanto a chiarezza – e posso affermarlo per esperienza diretta – è cosa ben diversa tradurre un passo di Gessner e l'equivalente brano di Aldrovandi. Tutte le volte che ciò accade – e accade a ogni piè sospinto - non posso non volare col pensiero a quella massima che mi avevano insegnato al liceo tanti lustri fa: Si vis intelligere Caietanum, lege Thomam – Se vuoi capire il Gaetano, leggi Tommaso. È quasi un indovinello, ma facile da svelare: San Tommaso d'Aquino (1225-1274) scrisse la famosa Summa theologica (1266) e Caietanus – alias Tommaso De Vio (1480-1547) – nel giro di una quindicina d'anni elaborò un commento alla Summa di Tommaso al fine di renderla intelligibile. A detta degli esperti il risultato fu disastroso: per comprendere il Gaetano conveniva leggere direttamente San Tommaso.

Orbene, il passo che Aldrovandi attribuisce ad Alessandri, Gessner lo attribuisce a Giraldi. Esistono due motivi per credere a Gessner: egli era estremamente corretto ed è assai difficile prenderlo in castagna – al contrario di Aldrovandi – e poi, anche per chi non conosce il latino, le parole dell'Alessandri aldrovandesco corrispondono eccessivamente a quelle del Giraldi gessneriano, come possiamo desumere dalla citazione di Conrad Gessner, Historia Animalium III (1555), pag. 408:

Artemidorus quoque in libro Onirocriticon quinto, somnium cuiusdam narrat, qui gallum Aesculapio vovit, si sanus foret, Gyraldus. Et rursus in libro de Symbolis Pythagorae. Aesculapio gallus immolabatur. sunt qui gallinas scribant, et has quidem rostro nigro, nigrisque pedibus, et digitis imparibus. Si enim luteo essent rostro, vel pedibus, impurae putabantur ab aruspicibus.

Anche Artemidoro di Daldi nel quinto libro dell'Onirocriticon narra il sogno di un’altra persona che promise un gallo a Esculapio se fosse diventato sano, Giraldi. E ancora nel Symbolorum Pythagorae Interpretatio dice: Un gallo veniva immolato a Esculapio. Alcuni scrivono le galline, e queste dovevano avere il becco nero e le zampe nere, e le dita dispari. Se infatti avessero avuto becco o zampe gialli venivano ritenute impure dagli aruspici.

Ma la sequenza temporale delle citazioni è ben diversa ed è la seguente. Colui che per primo in Italia nel XV-XVI secolo parlò di antiche galline dalle dita dispari fu Alessandro Alessandri, seguito a ruota da Giglio Gregorio Giraldi. Infatti nell'opera di Giraldi Libellus in quo aenigmata pleraque antiquorum explicantur - Paroeneticus Liber adversus ingratos - Symbolorum Pythagorae Interpretatio, cui adiecta sunt Pythagorica Praecepta mystica a Plutarcho interpretata - Libellus quomodo quis ingrati nomen et crimen effugere possit (Basileae 1551) non compare affatto quanto è citato da Gessner, che invece è contenuto solamente nel Syntagma XVII di Historiae Deorum Gentilium.. Stavolta Gessner ha avuto una svista.

Gallina hirsutis pedibus
Acquarello
di Ulisse Aldrovandi