Lessico


Galeote

In greco Galeøtës. Nella mitologia greca figlio di Apollo, che l'oracolo di Dodona avrebbe inviato in Occidente dove, in Sicilia, diede origine a una stirpe d'indovini, i Galeoti.

Galeoti

I Galeoti erano considerati degli indovini e il loro culto doveva essere, in qualche modo, legato a quello della dea Ibla, se è vero che nell’antica Ibla Galeote o Ibla Geleàtide, all’interno del tempio dedicato a Ibla, sorgeva un santuario sede di questi sacerdoti indovini. L’ubicazione di Ibla Galeote è incerta; non si sa se si deve far coincidere a quello di Pantalica oppure a quello di Ibla Megarese o, ancora, a quello di Ibla Herea, o alla Ibla Etnea nei pressi dell'attuale Paternò.

Non a caso, nel passato, gli storici non sono stati in grado di assegnare con precisione un sito all'antica Ibla il cui soprannome, oltre a quello di Galeote, era anche Galeonte, Galeotide e Gereatide. Lo storico ragusano Solarino scrive che “Galeotide” deriva dal siriaco "Gala" che vuol dire "rivelare" e che con il termine Galeoti si indicava una casta di uomini che avevano la facoltà di interpretare i sogni ed erano esperti in cerimonie divinatorie. Egli conclude affermando che l'origine dei Galeoti era orientale e precisamente fenicia.

Il Ciaceri, invece, è concorde sull'origine orientale ma afferma che essi erano greci e non fenici e li mette in stretta relazione con gli abitanti di Megara, città greca. Il Sacerdozio dei Galeoti è messo da Ciaceri in relazione con l'antico culto di Apollo Cario. La leggenda dice che Galeote (o Galeo) fu l'antenato di una stirpe di indovini siciliani, era figlio di Apollo e di Temisto, la figlia del re degli Iperborei. L'oracolo di Dodona ordinò a Galeote e a un altro Iperboreo di nome Telmiso di camminare, uno verso est e l'altro verso ovest, fino a quando, durante un sacrificio, sarebbe giunta un'aquila che avrebbe rubato loro la carne della vittima sacrificale. Nel punto in cui ciò fosse avvenuto, avrebbero dovuto costruire un tempio. Telmiso si fermò in Caria e Galeote arrivò fino in Sicilia.

Secondo il Ciaceri la leggenda riflette la colonizzazione delle coste siciliane da parte dei megaresi che, giungendo in Sicilia, portarono con loro la tradizione di Galeote e, forse, anche le corporazioni degli indovini Galeoti.

Dodona

Im greco Dødønë, località in Epiro, antico centro greco, sede del maggiore oracolo dei Greci in età anteriore all'affermarsi di quello di Delfi (nella Focide, sul versante sud-occidentale del monte Parnaso), e di una delle più antiche anfizionie del mondo greco (leghe politico-religiose tra popoli vicini). Già in età preellenica Dodona fu un importantissimo centro religioso e proprio una triade indigena che ivi si adorava fu dai Greci identificata con la triade famosa composta da Zeus, Dione e Afrodite (poi Zeus, Era e Afrodite).

Della città resta la cinta muraria, di forma quadrata, con torri e una porta. Sul pendio a sud della città si trova il teatro, con ampia cavea e poderosi muri di sostegno. A sudest del teatro si estende il recinto sacro del santuario, con il tempio di Zeus (trasformato in basilica cristiana), vari sacelli e, al centro, un recinto quadrato, più volte rifatto, da identificarsi probabilmente con il recinto delle divinazioni.

Dodona

Nella città di Dodona (in greco antico Dødønë, moderno Dodoni), situata nell'Epiro, in Grecia nord-occidentale, si trovava un oracolo dedicato a due divinità pelasgiche, Zeus, il dio del fulmine re dell'Olimpo, e la Dea Madre, identificata con Dione (mentre in altri luoghi era associata a Rea o Gaia). Secondo quanto riportato dallo storico del V secolo Erodoto, Dodona fu il più antico oracolo di tutta la Grecia, datandolo in epoca pre-ellenica, forse addirittura risalente al II millennio aC. I sacerdoti e le sacerdotesse interpretavano il fruscio delle foglie di quercia (o di faggio) per predire il futuro e assicurare la benevolenza delle divinità. I Selli, gli abitanti di Dodona, erano invece incaricati di custodire l'oracolo e i suoi beni.

A Dodona Zeus fu associato a un altro dio pre-ellenico sconosciuto, e veniva adorato col nome di Zeùs Molossòs o di Zeùs Nàios. Originariamente dedicato alla sola Dea Madre, il sito fu poi condiviso sia da Zeus sia da Dione (il nome della quale, così come Zeus, significa semplicemente "divinità"). Molte iscrizioni votive recuperate a Dodona riportano i nomi di Zeus Naios e Dione, che nella mitologia arcaica erano probabilmente considerati marito e moglie. Tuttavia, durante l'epoca classica, Dione venne destinata a ricoprire un ruolo di minor rilevanza, poiché la vera consorte del re degli dèi fu sempre considerata la gelosissima Era.

All'epoca in cui Omero compose l'Iliade (800-750 aC ca.), non era presente nessun edificio nel sito, e i sacerdoti dormivano sul terreno senza alcun riparo, con i piedi ritualmente non lavati. Precedentemente al IV secolo aC c'era invece un piccolo tempio in pietra dedicato a Zeus. Da quando Euripide nominò Dodona nella sua opera Melanippo, ed Erodoto scrisse dell'oracolo (Storie, libro II), si installò anche un corpo di sacerdotesse. Nonostante non riuscisse ad eclissare la fama e ricchezza dell'oracolo di Apollo a Delfi, Dodona acquistò allo stesso modo una certa importanza e celebrità fra i Greci. Nelle Argonautiche di Apollonio Rodio, la narrazione dei viaggi di Giasone e degli Argonauti, la nave di questi ultimi, chiamata "Argo", aveva la capacità di profetizzare perché un'asse della sua carena era stata intagliata nel legno di una quercia proveniente da Dodona.

Il teatro di Pirro a Dodona

Nel III secolo aC, Pirro, re dell'Epiro, fece ricostruire il santuario di Zeus in maniera grandiosa e aggiunse molti altri edifici, con festeggiamenti che prevedevano giochi atletici, agoni musicali e tragedie da rappresentarsi nel teatro. Furono costruite delle mura che circondavano l'oracolo e gli alberi sacri, così come vennero edificati i templi di Eracle e Dione.

Nel 219 aC gli Etoli invasero la regione e bruciarono il tempio fino alle fondamenta. Nonostante Filippo V di Macedonia avesse fatto ricostruire tutti gli edifici più grandi e belli di quanto fossero mai stati, e avesse aggiunto al complesso uno stadio per i giochi annuali, l'oracolo di Dodona non si riprese mai completamente. Nel 167 aC il centro fu nuovamente distrutto e riedificato, per poi essere saccheggiato dalla tribù Trace dei Maedi. Fu poi ancora riedificato, per l'ultima volta, nel 31 aC grazie all'imperatore Augusto.

Quando il geografo e viaggiatore Pausania vi sostò nel 167 dC, Dodona era ridotta a una singola quercia (Descrizione della Grecia, libro I, cap. XVIII). I pellegrini a ogni modo continuarono a consultare l'oracolo fino al 391 dC, quando i cristiani abbatterono l'albero. Anche se ciò che rimaneva della città era un insignificante agglomerato di casupole, il vecchio sito pagano dovette sembrare di una certa importanza alla comunità cristiana, visto che il vescovo di Dodona partecipò al Concilio di Efeso nel 431.

Scavi archeologici durati ben più di un secolo hanno riportato alla luce diversi manufatti, molti dei quali sono ora conservati al Museo Archeologico Nazionale di Atene, altri al museo archeologico sito vicino a Ioannina capoluogo della regione dell'Epiro.

Erodoto e le origini di Dodona

Quando nel V secolo aC Erodoto giunse per i suoi studi a Tebe (in Egitto), alcuni sacerdoti della città gli raccontarono che due grandi sacerdotesse erano state rapite dai Fenici molto tempo addietro, e che una fu venduta come schiava in Libia, l'altra in Ellade. Costoro furono le fondatrici dei due più importanti santuari dedicati al dio supremo: Dodona (nel quale era adorato Zeus) e Siwa (ove si venerava Amon, divinità egizia che i greci identificarono con il padre degli dei olimpici). L'Egitto, per i Greci e per gli Egiziani stessi, era la culla di ogni cultura e conoscenza umana, ma infinitamente antico. Secondo tradizioni mitologiche, l'oracolo di Amon nell'oasi di Siwa in Libia e quello epirota di Dodona sarebbero stati ugualmente antichi, similmente trasmessi dalla cultura fenicia, e fondati da vatesse (Erodoto non usa mai il termine sibille).

Ecco come Erodoto ci racconta di ciò che gli fu riferito dalle sacerdotesse stesse, chiamate peleiádes (colombe), a Dodona:

«Due colombe nere vennero volando da Tebe in Egitto, una in Libia e una a Dodona. Quest'ultima si sistemò su una quercia e da lassù, parlando il linguaggio umano, dichiarò che il luogo di divinazione per Zeus dovesse essere lì; il popolo di Dodona capì che il messaggio era di natura divina, e stabilì quindi l'oracolo. La colomba che andò in Libia disse ai libici di dedicarsi all'oracolo di Amon; anch'esso infatti è sacro a Zeus. Questa è la storia raccontata dalle sacerdotesse di Dodona, la più anziana delle quali era Promeneia, poi veniva Timarete e la più giovane era Nicandra; il resto dei servi al tempio di Dodona ritenevano questa storia vera.» (Erodoto, Storie, libro II, 54-57)

Nell'analisi più semplice, questa era una conferma della tradizione egiziana. L'elemento della colomba potrebbe essere comparato all'etimologia popolare del nome arcaico con cui si indicavano le donne sacre, che non aveva perso di significato. L'elemento pel- di peleiadi potrebbe essere collegato con l'omografa radice (traducibile con "nero", "fangoso") nei nomi parole "Peleo" o "Pelope"? È per questo motivo che nella tradizione greca le colombe sarebbero state nere? Erodoto aggiunge:

«La mia opinione riguardo a ciò, tuttavia, è questa. Se per davvero i Fenici portarono via le sacerdotesse e ne vendettero una in Libia e una in Ellade, per me il luogo dove quest'ultima fu venduta, che oggi è conosciuto come Grecia, ma allora era chiamato Pelasgia, era la Thesptrotia; e poi, rimanendo là come schiava, stabilì un santuario di Zeus sotto una quercia che ivi cresceva; per questo era ragionevole che, siccome era stata un ministro del culto nel tempio di Zeus a Tebe, avrebbe dovuto ricordarsi quello presente nella regione dalla quale proveniva. Dopo ciò, non appena riuscì a padroneggiare la lingua greca, cominciò a insegnare le pratiche della divinazione, e diffuse la notizia che sua sorella era stata venduta in Libia dai medesimi Fenici che l'avevano portata lì. (...) Io ritengo che queste donne siano state chiamate "colombe" dai Selli perché parlavano una strana lingua, e tutti pensarono a essa come al pianto di un uccello; poi la sacerdotessa cominciò a comunicare in un linguaggio a loro comprensibile, e questa è la ragione che spiegherebbe il significato mitico della colomba che utilizzava un linguaggio umano; quando la donna cominciò a parlare quella lingua a lei sconosciuta (il greco, n.d.r.), tutti probabilmente pensarono che la sua voce fosse come quella di un uccello. Come potrebbe, infatti, una colomba parlare il linguaggio umano? Il fatto che quest'ultima sarebbe stata nera, infine, avvalora l'ipotesi che la sacerdotessa era di origine africana, probabilmente egiziana.» (Erodoto, Storie, libro II, 54-57)

Thesprotia, sulla costa a ovest di Dodona, non sarebbe stata mai accessibile ai navigatori Fenici, che già i lettori di Erodoto ritenevano non essere penetrati così tanto all'interno da raggiungere Dodona. Molti secoli dopo, comunque, anche i cristiani rimasero affascinati dal mito delle colombe, che interpretarono come un veicolo dello spirito di Dio.

Dodona

Dodona in Epirus in northwestern Greece, was a prehistoric oracle devoted to the Mother Goddess identified at other sites with Rhea or Gaia, but here called Dione and later, in historical times also to the Greek god Zeus. The shrine of Dodona was the oldest Hellenic oracle, according to the fifth-century historian Herodotus and in fact dates to pre-Hellenic times, perhaps as early as the second millennium BCE. Aristotle considered the region to have been the most ancient part of Greece and where the Hellenes originated. Priestesses and priests in the sacred grove interpreted the rustling of the oak (or beech) leaves to determine the correct actions to be taken. Greek oracles are often misconstrued as having predicted the future. The oracle was firstly under control of Thesprotians before it passed into the hands of Molossians. Earliest inscriptions at the site date to ca. 550-500 BCE.

At Dodona, Zeus was worshipped as "Zeus Naios" or "Naos" (god of the spring cf. Naiads) — there was a spring below the oak in the temenos or sanctuary —  and "Zeus Bouleus" (Counsellor). Originally an oracle of the Mother Goddess, the oracle was shared by Dione (whose name, like "Zeus," simply means "deity") and Zeus. Many dedicatory inscriptions recovered from the site mention both "Dione" and "Zeus Naios". Elsewhere in Classical Greece, Dione was relegated to a minor role by Classical times, being made into an aspect of Zeus's more usual consort, Hera, but never at Dodona.

When Homer wrote the Iliad (circa 750 BCE), no buildings were present, and the priests slept on the ground with ritually unwashed feet. Not until the fourth century BCE, was a small stone temple to Zeus added to the site. By the time Euripides mentioned Dodona (fragmentary play Melanippe), and Herodotus wrote about the oracle, priestesses had been restored. Though it never eclipsed the Oracle of Apollo at Delphi, Dodona gained a reputation far beyond Greece. In Apollonius of Rhodes' Argonautica, a retelling of an older story of Jason and the Argonauts, Jason's ship, the "Argo", had the gift of prophecy, because it contained an oak timber spirited from Dodona.

In the third century BCE, King Pyrrhus grandly rebuilt the Temple of Zeus, and added many other buildings and a festival featuring athletic games, musical contests, and drama enacted in a theatre. A wall was built around the oracle itself and the holy tree, as well as temples to Heracles and Dione.

In 219 BCE, the Aetolians invaded and burned the temple to the ground. Though King Philip V of Macedon rebuilt all the buildings bigger and better than before, and added a stadium for annual games, the oracle at Dodona never fully recovered. In 167 BCE, Dodona was once again destroyed and later rebuilt 31 BCE by Emperor Augustus. By the time the traveller Pausanias visited Dodona in the second century AD, the sacred grove had been reduced to a single oak. Pilgrims still consulted the oracle until CE 391, when Christians cut down the holy tree. Though the surviving town was insignificant, the long-hallowed pagan site must have retained significance, for a Christian Bishop of Dodona attended the Council of Ephesus in CE 431.

Archaeological excavations over more than a century have recovered artifacts as early as the Mycenaean[11] era, many now at the National Archaeological Museum of Athens, and some in the archaeological museum at nearby Ioannina.

Herodotus (Histories 2:54-57) was told by priests at Egyptian Thebes in the 5th century BC "that two priestesses had been carried away from Thebes by Phoenicians; one, they said they had heard was taken away and sold in Libya, the other in Hellas; these women, they said, were the first founders of places of divination in the aforesaid countries." The simplest analysis: Egypt, for Greeks and for Egyptians themselves was a spring of human culture of all but immeasurable antiquity. This mythic element says that the oracles at the oasis of Siwa in Libya and of Dodona in Epirus were equally old, but similarly transmitted by Phoenician culture, and that the seeresses — Herodotus does not say "sibyls" — were women. Herodotus follows with what he was told by the prophetesses, called peleiades ("doves") at Dodona:

"That two black doves had come flying from Thebes in Egypt, one to Libya and one to Dodona; the latter settled on an oak tree, and there uttered human speech, declaring that a place of divination from Zeus must be made there; the people of Dodona understood that the message was divine, and therefore established the oracular shrine. The dove which came to Libya told the Libyans (they say) to make an oracle of Ammon; this also is sacred to Zeus. Such was the story told by the Dodonaean priestesses, the eldest of whom was Promeneia and the next Timarete and the youngest Nicandra; and the rest of the servants of the temple at Dodona similarly held it true."

In the simplest analysis, this was a confirmation of the oracle tradition in Egypt. The element of the dove may be an attempt to account for a folk etymology applied to the archaic name of the sacred women that no longer made sense. Was the pel- element in their name actually connected with "black" or "muddy" root elements in names like "Peleus" or "Pelops"? Is that why the doves were black? Herodotus adds:

"But my own belief about it is this. If the Phoenicians did in fact carry away the sacred women and sell one in Libya and one in Hellas, then, in my opinion, the place where this woman was sold in what is now Hellas, but was formerly called Pelasgia, was Thesprotia; and then, being a slave there, she established a shrine of Zeus under an oak that was growing there; for it was reasonable that, as she had been a handmaid of the temple of Zeus at Thebes, she would remember that temple in the land to which she had come. After this, as soon as she understood the Greek language, she taught divination; and she said that her sister had been sold in Libya by the same Phoenicians who sold her. I expect that these women were called 'doves' by the people of Dodona because they spoke a strange language, and the people thought it like the cries of birds; then the woman spoke what they could understand, and that is why they say that the dove uttered human speech; as long as she spoke in a foreign tongue, they thought her voice was like the voice of a bird. For how could a dove utter the speech of men? The tale that the dove was black signifies that the woman was Egyptian."

Thesprotia, on the coast west of Dodona, would have been available to the sea-going Phoenicians, whom Herodotus' readers would not have expected to have penetrated as far inland as Dodona. Christians will be particularly arrested by the doves as vehicles of divine spirit.