Lessico


Myxos - Μύξος

con l'approvazione del Professor Antonio Garzya
che ha presentato questo studio all'Accademia Pontaniana di Napoli
rendendo così disponibile la pubblicazione della versione condensata

Con la collaborazione del Professor Roberto Ricciardi

e la revisione del Dottor Fernando Civardi

venerdì 17 Novembre 2006

Stiamo per addentrarci in un dedalo dal quale troveremo una scappatoia solo accettando che una parola come cavolata equivale non solo a un'insalata di cavoli ma più spesso a cazzata, che l'inglese cock e gli equivalenti kir (persiano), kar (albanese e rom) e kur (macedone e bulgaro) corrispondono sia al gallo che al pene. Lo stesso iter semantico del gallo è toccato a lampredotto e anguilla (che in romanesco suona inguilla), ai quali possiamo aggiungere stoppino.

Non dobbiamo dimenticare che il latino penis - πέος in greco - in prima istanza significava coda e solo successivamente indicò il membro virile. Ma nessuno oggigiorno si sognerebbe di usare l'italiano pene per indicare una coda. A questo proposito possiamo ricordare alcuni vocaboli greci che indicavano sia la coda che il pene: οὐρά (Sofocle, Esichio), κέρκος (Aristofane) e il derivato κέρκιον (Esichio). Altro termine per indicare il pene è πόσθη derivato da πέος. Ma, ciò che più è interessante, è che il pene veniva anche detto σάθη, anch'esso di genere femminile come il precedente, e la cui etimologia è da ricondurre al verbo σαίνω che significa scodinzolare, agitare la coda. Quale coda? Ovviamente la coda che il maschio possiede in regione pubica, non certo quella in sede coccigea, dove ha solo dei residui ossei visibili unicamente ai raggi X.

Il motivo di questa carrellata risulterà chiaro quando ci saremo resi conto dell'esistenza di antiche parole greche che costituiscono praticamente degli hápax legómenon, cioè vocaboli che si riscontrano una sola volta e la cui interpretazione viene affidata non tanto alla loro etimologia, quanto al senso traslato - o doppio senso che dir si voglia -, un doppio senso che emerge dalla meditazione del testo in cui sono contenuti. Fra uno o due millenni anche il nostro termine cavolata potrebbe risultare incomprensibile e trasformarsi tout court in un hápax legómenon.

La colpa di ciò in cui andremo a impegolarci è in gran parte del gallo, che ha la ventura di comparire in una formula magica contro la ritenzione urinaria dell'asino tramandata dal lessico Suida (lessico bizantino d'autore ignoto, redatto intorno al X secolo), formula che viene citata da Gessner e che ovviamente, pur con gli scontati errori, non può essere tralasciata da Aldrovandi.

A mio avviso né Gessner, né stavolta Aldrovandi, erano tanto perversi - come chi scrive - da poter giungere a una corretta interpretazione dell'incantesimo del lessico Suida, una formula magica che starebbe benissimo anche sulla bocca degli urologi del XXI secolo invitando il paziente anurico a decidersi una buona volta a urinare se vuol evitare di farsi introdurre un catetere in vescica: così ne guadagnerebbero il medico e l'esausta spesa pubblica, ma soprattutto il paziente.

Vediamo in sequenza i testi di Gessner e di Aldrovandi tratti dalle rispettive ornitologie e dai rispettivi trattati sui quadrupedi. Poi affronteremo la fase più difficile: l'interpretazione di due vocaboli del lessico Suida.

Conrad Gessner Historia Animalium III (1555) pag. 407

Ἀλέκτωρ πίνει καὶ οὐκ οὐρεῖ, {μυξὸς} <μύξος> (forte μυοξὸς) οὐ πίνει καὶ οὐρεῖ, incantatio in dysuriam asini apud Suidam.

Il gallo beve e non urina, il mýxos (forse myoxòs – il rospo) non beve e urina, formula magica contro la ritenzione urinaria dell'asino presente nel lessico Suida.

Ulisse Aldrovandi Ornithologia II (1600) pag. 285

Suidas adversus dysuriam eiusmodi carmen recitat;

Gallus bibit, et non mingit, myxus <non> bibit, et mingit.

Sed huiusmodi cantilenae credere, quod nimirum contra eiusmodi malum valeat, superstitiosum est.

Il lessico Suida riporta la seguente formula magica contro la ritenzione d’urina:

Il gallo beve e non urina, il myxus non beve e urina.

Ma credere a siffatta litania, e cioè che sarebbe efficace contro quella malattia, è superstizioso.

Non posso tralasciare l'allucinante traduzione di Lind (1963), cattedratico dell'Università del Kansas, emulo e invidioso delle cavolate di Aldrovandi:

Suidas recites a line of poetry of this sort against difficulty in passing urine: "The rooster drinks and does not urinate; he drinks mucus and urinates." But it is superstitious to believe that a charm of this kind can prevail against an illness of such a sort.

Conrad Gessner Historia Animalium I (1551) pag. 6 – De asino

Ad urinae difficultatem asini, ut Suidas scribit, superstitiosi quidam haec verba immurmurabant, Gallus bibit et non meiit, myxus non bibit et meiit. Ego pro myxo hîc myoxum id est bufonem accipio, ut suo loco repetam copiosius.

Contro la difficoltà a urinare dell'asino, come scrive il lessico Suida, alcuni superstiziosi sussurravano queste parole: Il gallo beve e non urina, il myxus non beve e urina. Io in questo punto al posto di myxus intendo myoxus, cioè rospo, come a suo tempo disquisirò più a fondo.

Ulisse Aldrovandi De quadrupedibus solidipedibus (1639) pag. 307 – De asino

Ad urinae asini difficultatem, quidam superstitiosi, ut Suidas scribit, haec verba inmurmurabant: Gallus bibit et non meiit, myxus non bibit et meiit. Sed {myxonum} <myoxum> puto, id est, bufonem dicere voluit.

Contro la difficoltà a urinare dell'asino alcuni superstiziosi, come scrive il lessico Suida, sussurravano queste parole: Il gallo beve e non urina, il myxus non beve e urina. Ma ritengo che abbia voluto dire myoxus, cioè rospo.

Commento ai testi di Gessner

Credo che Gessner non abbia affatto commesso un errore nel riportare μυξὸς invece di μύξος, per cui non si tratta neppure di errore tipografico. Da persona precisa qual era egli suggerisce in alternativa il vocabolo μυοξὸς, il rospo, un'accezione insolita che compare anche nel suo Lexicon graecolatinum (1537), ma qui sotto la veste di Μύοξος, bufo. È possibile, anzi, è verosimile che Gessner avesse tra le mani l'edizione del lessico Suida curata da Demetrio Calcondila edita a Milano nel 1499. Questa edizione apre la voce ἀλέκτωρ direttamente con l'incantesimo senza alcun preambolo; il testo completo curato da Calcondila e contenente l'errato μυξς è il seguente:

Ἀλέκτωρ πίνει καὶ οὐκ οὐρεῖ, μυξὸς οὐ πίνει καὶ οὐρεῖ. Λέγεται ἡ {ἐπωδὴ} <ἐπῳδή> αὕτη εἰς δυσουρίαν ὄνου.

Il finale latino di Gessner, con le ovvie omissioni di traduzione, corrisponde alla parte finale del testo greco: "incantatio in dysuriam asini apud Suidam." Quindi un incantesimo utilizzato solo per l'asino.

Invece alla voce μύξος – non μυξὸς - equivalente quindi per accento a quella dei nostri vocabolari, l'incantesimo nuovamente citato dal redattore del lessico Suida non esordisce ex abrupto come alla voce ἀλέκτωρ, essendo preceduto e seguito da un breve testo che ha dei risvolti interpretativi di non facile soluzione. Ecco l'altra versione dell'incantesimo del Suida che senz'altro Gessner nella fretta non ha pensato di consultare, non credo per pigrizia, giustificato dal fatto che stavolta la formula magica era inserita in un altro lemma, nel lemma μύξος, quindi un lemma in sé e per sé estraneo al gallo di cui stava appunto disquisendo nel trattato di ornitologia:

Μύξος ὁ λαγόγηρως [λαγωγήρως] παρ'ἡμῖν. {ἐπωδὴ} <ἐπῳδή>. ἀλέκτωρ πίνει καὶ οὐκ οὐρεῖ, μύξος οὐ πίνει καὶ οὐρεῖ. λέγεται δὲ καὶ εἰς δυσουρίαν ὄνου.

Il finale, come si può notare, è lievemente diverso da quello presente alla voce ἀλέκτωρ, in quanto vi si afferma che questo sortilegio veniva recitato anche per la disuria dell'asino, ma non si specifica se fosse usato anche in caso di disuria umana o di qualsivoglia altro animale.

Tra parentesi quadra è stata posta un'altra versione del termine λαγόγηρως così come viene fornita da Evangelenus Apostolides Sophocles (1890) e da Ada Adler (1928-38).

Quindi, stando a quanto esplicitamente espresso nel capitolo De asino, il μυοξὸς suggerito da Gessner a proposito del gallo corrisponderebbe al rospo e, se non bastasse, nel suo Lexicon graecolatinum (1537) troviamo μύοξος equivalente al latino bufo, mentre in Historia animalium II (1554) μύοξος "non rubetam sed glirem significat" , quindi ghiro e non rospo, e in Icones animalium (1560) parlando del rospo Gessner riferisce le parole di Giulio Scaligero secondo il quale il vocabolo μυοξὸς non corrisponde assolutamente al rospo. Una bella confusione!

La convinzione di Gessner che in questa formula magica sia in ballo il rospo la troviamo appunto nel capitolo De asino di Historia Animalium I (1551), ma il rospo, come la maggioranza dei pesci e come tutti gli anfibi, beve e urina in cloaca, tanto quanto il gallo. Per cui l'identificazione zoologica di Gessner è errata, con illazioni linguistiche greche – per colpa di Calcondila - che alterano il testo del Suida.

Se vogliamo confonderci un po' di più le idee, un vocabolo vocalicamente simile a μυοξὸς è rappresentato da μυωξός, che per Oppiano di Apamea e il vescovo Epifanio di Costanza di Cipro corrisponde al ghiro (forse derivato da μύω = essere chiuso, avere gli occhi chiusi), e così il gessneriano μυοξὸς usato per emendare μυξὸς ha titillato il sito ufficiale del lessico Suida (www.stoa.org) inducendo a traslitterare μυξὸς con muco\s nonché a tradurlo - non si sa perché, forse in quanto parola tronca - con ghiro (dormouse in inglese). Ma è scontato che anche il ghiro, tra un letargo e l'altro, beve e urina, e stavolta senza servirsi di cloaca.

Commento ai testi di Aldrovandi

Aldrovandi non poteva venir meno al suo naturale vezzo di elargire errori, per cui nel II volume di ornitologia omette il non - myxus <non> bibit, et mingit – rendendo così possibile affibbiare a myxus alcune identità proibite in Gessner. Infatti se il myxus beve e urina, può trattarsi di un rospo, di un ghiro o anche dello stoppino della lucerna, che beve olio ed emette luce. Ma parlando dell'asino in De quadrupedibus solidipedibus Aldrovandi corregge questa sua involontaria interpretazione, il non ricompare e, grazie a un ineccepibile download, il testo di Suida si allinea al 100% con quello di Gessner dal quale fu tratto:

Gessner: Gallus bibit et non meiit, myxus non bibit et meiit.
Aldrovandi: Gallus bibit et non meiit, myxus non bibit et meiit.

Non solo! Aldrovandi osa pure avventurarsi in un download semantico, ma senza aver analizzato i testi di Gessner come abbiamo appena fatto noi. Infatti se per Gessner il myxus corrisponde al myoxum, cioè al rospo - pro myxo hîc myoxum id est bufonem accipio – per Aldrovandi si tratta invece di un altro vocabolo, si tratta di myxonum che senz'altro riecheggia molto di più il lessico Suida - Sed myxonum puto, id est, bufonem dicere voluit – ma, vedi caso, pur usando myxonum invece di myoxum, giunge alla stessa conclusione di Gessner: si tratta di un rospo.

Ma già sappiamo che il rospo beve, magari solo rugiada, e fabbrica urina. Anche il topo delle piramidi (Jaculus jaculus) urina: essendo scarsissima l'acqua alimentare di cui può disporre, i suoi reni hanno imparato a riassorbirla, tanto da fabbricare urina simile per densità a sperma.

Lessico Suida

È venuto il momento di affrontare il lessico Suida. I testi sono tratti dall'edizione di Milano del 1499 curata da Demetrio Calcondila e porremo tra parentesi quadra un vocabolo discrepante così come viene riferito da Evangelenus Apostolides Sophocles (1890) e da Ada Adler (1928-38).

Ἀλέκτωρ πίνει καὶ οὐκ οὐρεῖ, μυξὸς οὐ πίνει καὶ οὐρεῖ. Λέγεται ἡ {ἐπωδὴ} <ἐπῳδή> αὕτη εἰς δυσουρίαν ὄνου.

Il gallo beve e non urina, il mýxos non beve e urina. Questo sortilegio lo si dice contro la disuria dell'asino.

Μύξα, τὸ περίττωμα τῆς κεφαλῆς. ἔνθεν καὶ μυξωτὴρ τὸ μέρος τοῦ σώματος. λέγεται μύξα καὶ τὸ τοῦ λύχνου. ἐν ἐπιγράμματι. [...] Μύξος ὁ λαγόγηρως [λαγωγήρως] παρ'ἡμῖν. {ἐπωδὴ} <ἐπῳδή>. ἀλέκτωρ πίνει καὶ οὐκ οὐρεῖ, μύξος οὐ πίνει καὶ οὐρεῖ. λέγεται δὲ καὶ εἰς δυσουρίαν ὄνου. καὶ παροιμία ἐπὶ τῶν κομπαζόντων καὶ μεγαλαυχούντων. μύξος γὰρ ἐγένετο τῆς ἀρτέμιδος ἱερεὺς ἀστεῖός τις καὶ μεγάλαυχος.

Mýxa, lo spurgo della testa. Da cui anche myxøtër – narice – la parte del corpo. Si dice mýxa anche quella parte della lucerna. In un epigramma. [...] Il mýxos per noi è il lagógërøs / lagøgërøs. Incantesimo. Il gallo beve e non urina, il mýxos non beve e urina. Infatti lo si dice anche per la disuria dell'asino. È anche un'espressione proverbiale che si applica a coloro che si vantano e insuperbiscono. Infatti Mýxos fu un sacerdote di Artemide veramente spiritoso e sbruffone.

Μύξος

Nelle Iscrizioni di Delo il vocabolo δεκάμυξος indica una lucerna dotata di 10 lucignoli. Il lucignolo, o stoppino che dir si voglia, in greco è detto anche ἐλλύχνιον, composto da ἐν + λύχνος, cioè, ciò che sta dentro alla lucerna.

Per l'etimologia di δεκάμυξος il rimando dei vocabolari è a μύξος.

Per Aldrovandi invece il rimando non è a μύξος bensì a μύξα col significato di narice, da cui sappiamo scendere il muco nasale, che in effetti è il primo significato posseduto da μύξα: "Lucerna autem simplex unico contenta ellychnio vocabatur Monomyxos, Dimyxos, si duo Ellychnia ferebat, Trimyxos, si tria, & Polymyxos, si plura habuerit: siquidem μὺξας Graecis nares exponuntur, & canaliculi, quibus ellychnia {inseruatur} <inseruntur/inserantur>. (Musaeum metallicum, 1648, pag. 235)

E in effetti le lampade alimentate da grasso liquido sono munite di un prolungamento perforato, un beccuccio da cui fuoriesce lo stoppino che è immerso nel combustibile – scivoloso quanto il muco - e il numero di queste narici è assai variabile a seconda della luce richiesta.

In effetti μύξα se in prima istanza significa muco, per estensione significa pure naso oppure narice, ma narice in prima istanza si diceva μυκτήρ derivato come μύξα da μύσσομαι (soffiarsi il naso) oppure μυξωτήρ derivato da μύξα ovviamente nel senso di muco e non di stoppino.

Stando agli abituali vocabolari di greco, μύξος non deriverebbe da nulla!!! Quindi non dovremmo azzardarci a ipotizzare una sua etimologia da μύξα.

Μύξος in Ateneo secondo Lorenzo Rocci dovrebbe corrispondere alla lampreda, nome comune di vertebrati acquatici agnati (cioè senza mandibole) dal corpo anguilliforme lungo e cilindrico, rivestito da pelle nuda e viscida, ricca di cellule mucipare. Una delle specie più rappresentative è la lampreda di mare (Petromyzon marinus) detta anche pesce flauto (chi non ha mai detto col piffero! nel senso di nemmeno per idea!? i Francesi inoltre chiamano il pene flûte à un trou, flauto a un buco), il pesce flauto, dicevamo, è pure un ciclostoma (bocca rotonda) presente anche nel Mediterraneo e in alcuni fiumi italiani come il Po, l'Arno e il Tevere dove migra durante il periodo degli amori. Da non dimenticare la lampreda di fiume (Lampetra fluviatilis) anch'essa più marina che fluviale a seconda dei suoi cicli biologici.

L'unico altro termine greco che indica un animale che succhia come la lampreda (la cui bocca dotata di denti cornei e foggiata a ventosa le permette di ancorarsi ai sassi e di attaccarsi ai pesci per suggerne i liquidi corporei), è rappresentato da βδέλλα, usato sì da Strabone per indicare appunto la lampreda, ma in Erodoto, Aristotele e Teocrito identifica la sanguisuga.

Sarebbe strano che gli antichi Greci avessero avuto a disposizione solo questo vocabolo derivato da βδάλλω (mungere, succhiare, poppare) per indicare la lampreda, quando una caratteristica lampante di questo pesce è quella di sgusciare dalle mani come un'anguilla, anch'essa assai viscida per l'abbondante quantità di muco che la ricopre e che viene secreto da apposite ghiandole.

D'accordo, è l'italiano e non il greco ad avere le ali tarpate dal punto di vista lessicale, in quanto l'italiano possiede solo lampreda che non indica assolutamente qualcosa di scivoloso, forse una corruzione di naupreda, in quanto questo pesce sarebbe un predatore delle navi. Infatti, così come aderisce alle prede per nutrirsi, avrebbe pure l'abitudine di attaccarsi allo scafo delle imbarcazioni. Il vocabolo naupreda s'incontra in Polemio Silvio (sec. V), ma anche in Antimo (prima del 533) e nella Vita di S. Ermelando del sec. VIII (A. Thomas in Romania XXXV, 1906, 185). Ma nel Rinascimento la lampreda veniva identificata in latino come Lampetra, per cui ittiologi come Guillaume Rondelet accettavano di buon grado che questo nome potesse derivare dal fatto di succhiare le pietre: Lampetra a lambendis petris nomen traxit.

Per il vocabolo μύξος – secondo Lorenzo Rocci usato da Ateneo per indicare la lampreda, ma secondo altri per designare un pesce non meglio identificato, e che quindi non sarebbe la lampreda - qualche dizionario rimanda a un vocabolo usato da Aristotele in HA 570b 2: μύξων/μύξωνος, che corrisponderebbe a un pesce detto in italiano missone.

Però, per la sua identificazione, Mario Vegetti nella traduzione italiana dell'HA di Aristotele non si è sbilanciato: si è limitato solo a traslitterarlo in myxon. Per l'etimologia di μύξων il rimando è a μύξα che, come si è detto, corrisponde al muco nasale nonché allo stoppino di una lampada.

Questo missone, riportato da Franco Montanari, è irreperibile anche nel web. O meglio, nel web esiste missone, ma solo quando è stato commesso l'errore di scrivere missone invece di missione. In data 10-10-2006 ho interpellato telefonicamente la Dsa Elena de Leo della Loescher per chiedere se potesse indicarmi un sinonimo di missone. Mi è stato risposto che la soluzione non poteva avvenire all'istante. Io non ho messo fretta, ma in data 24-10-2006 nella mia casella e-mail non è ancora giunta alcuna risposta. Penso che sarò io a mandare la risposta alla de Leo. Infatti la soluzione sta nel vocabolario Nomen della Paravia. Alla voce mugil, che in italiano suona muggine, si specifica che il vocabolo deve essere ricondotto alla stessa radice indoeuropea del verbo muceo (che tralascio) nel senso di "scivolare, sdrucciolevole, e quindi, viscido, muco". Nomen aggiunge che "il greco ha  μύξων, missone (il nome di un pesce.)" Ma neppure Nomen si scervella nell'identificare questo fantomatico missone.

Dobbiamo riconoscere che qualcuno è stato molto meno emblematico di Nomen e di Franco Montanari. Infatti nel Passow (1852) troviamo che μύξος equivale sia a  μυξῖνος (che vedremo tra poco) che a μύξων e che la traduzione consiste in Mugil, un pesce scivoloso. Tre fonti a mia disposizione – Vita degli animali di Grzimek, enciclopedia De Agostini ed enciclopedia Encarta – non si degnano di segnalare che né il muggine - o cefalo vero (Mugil cephalus) presente nel Mediterraneo e con le cui uova si prepara la squisita bottarga – né gli altri appartenenti alla famiglia dei Mugilidi siano pesci secernenti muco a livello cutaneo. Visto il silenzio delle tre fonti appena citate, possiamo supporre che il muggine sia sì scivoloso e vischioso, magari più di altri pesci che non vengono tacciati di sgusciare come un'anguilla, ma non tanto scivoloso come lampreda, anguilla e missina che di muco ne producono a iosa.

Mastro Martino, capo cuoco del godereccio cardinale Ludovico Trevisano patriarca d'Aquilea (1401-1465), ovviamente parla anche di pesci nel suo Libro de arte coquinaria, ma non accenna assolutamente alla viscosità dell'anguilla, tantomeno del cefalo. Invece, quando insegna a preparare la lampreda, così si esprime: "Mettila a mollare in pocha d'acqua et raschia via quella vescosità che ha di sopra, ma non guastare né rompere la pelle, et cavali la lingua et li denti, et in fondo del ventre dove è il suo sexo gli farai un buco piccholo tanto che vi possi mettere la ponta del dito,[...] "

Diversamente da missone, reperibile ovunque è invece la missina  – detta mussino da Montanari, che rispecchia così il maschile greco – che suona μυξῖνος e, vedi caso, è un vocabolo derivato da μύξα, e vedi caso, gli appartenenti alla famiglia dei Missinidi (il cui nome deriva appunto da μυξῖνος) presentano lungo tutta la regione addominale una serie di pori secernenti muco. Quindi si tratta di pesci viscidi e scivolosi come la lampreda. Anche i Missinidi appartengono con le lamprede ai ciclostomi, hanno la bocca priva di mascelle (quindi anch'essi agnati) con 4-6 bargigli all'estremità anteriore del capo e dal corpo anguilliforme. La specie più nota è la Myxine glutinosa - detta missina glutinosa - che attacca merluzzi e scombri già catturati dai pescatori. Ha colore rosso vivo, è lunga circa 40 cm e vive nell'Atlantico settentrionale.

Dopo questa sintetica disquisizione ittiologica possiamo quasi essere certi che il lessico Suida con il termine μύξος – vista la sua palese correlazione con μύξα – voglia far riferimento a un pesce viscido e scivoloso.

Il dramma è che tutti i pesci bevono, ed essendo dotati di mesonefro producono urina. Nei ciclostomi l'urina viene riversata all'esterno attraverso il poro urogenitale, per cui, come negli esseri umani, feci e urina rimangono distinti. Invece nel gallo e negli altri pesci l'urina si riversa nella cloaca insieme alle feci, con le quali abbandona l'organismo attraverso l'orificio cloacale.

In sintesi: a mio avviso il μύξος dell'incantesimo del lessico Suida dovrebbe corrispondere dal punto di vista etimologico a un pesce viscido come il muco, magari alla lampreda o alla missina glutinosa. Ma, stando alla formula magica, ambedue questi pesci sarebbero alieni dal bere. Il che palesemente contrasta con la biologia.

Λαγόγηρως - λαγωγήρως

E qui viene il bello. Questo secondo enigma linguistico verrebbe magari decifrato da un novello Noè prossimo alla fine dei suoi giorni, visto che il Noè biblico sfiorò il millennio, 950 anni per la precisione. Infatti disponiamo di un'unica fonte secondo cui anche il bizantineggiante λαγόγηρως - λαγωγήρως sarebbe equivalente a un pesce. Questa fonte è rappresentata dal lessico di Sophocles. Gli altri commmentatori del lessico Suida, compresa Ada Adler, si astengono dall'ipotizzare cosa possa essere questa lepre della vecchiaia, essendo tale una sua fantasmagorica traduzione che noi poveri grecisti del XXI secolo oseremmo azzardare.

Per completezza riportiamo la variegata grafia di questo vocabolo, reperibile in Lexikon zur byzantinischen Gräzität di Erich Trapp (2005). Innanzitutto l'unica traduzione riportata è Tier = animale. Quindi né pianta né minerale. Il lemma viene aperto da λαγόγερως cui seguono λαγόγηρως/λαγώγηρως quindi λαγόγερος e poi λαγόγηρος, quest'ultimo accompagnato da un bel (sic!), come se tutti quanti questi termini non meritassero un bel sic! vista la gran confusione. La colpa è della lingua greca, che manco si sa come fosse pronunciata, e a risolvere questo dilemma non ce la farebbe neanche il nostro novello Noè.

E se anche Sophocles – molto meno vago di Trapp - si è azzardato a definire λαγωγήρως un pesce, non sappiamo se l'abbia fatto in base a terminologie bizantineggianti obsolete e misconosciute oppure sulla scia di quanto abbiamo disquisito a proposito di  μύξος.

Sta di fatto che Linneo – difficilissimo saperne il motivo – ha battezzato Lagocephalus lagocephalus un pesce, detto anche Tetraodon lagocephalus perché ha 4 denti, che in italiano suona capo o testa di lepre, abitualmente scritta λαγώς ma talora anche λαγωός. Molto simile ai pesci palla e ai pesci istrice, il testa di lepre possiede come questi la capacità di gonfiarsi a palla, ingerendo acqua o aria in caso di pericolo, e provoca così l'erezione di alcune serie di aculei posti sulla regione ventrale, un'ottima difesa contro un eventuale aggressore. È una specie pelagica, cattiva nuotatrice, che può raggiungere i 60 cm di lunghezza e che si nutre prevalentemente di molluschi e crostacei. Diffuso nelle acque tropicali e temperate dell'Atlantico, è presente anche nel Mediterraneo, comprese le coste italiane, dove però è molto raro.

Il Lagocephalus lagocephalus però non è viscido quanto le lamprede, i Missinidi e le anguille. Se non fosse per la sua capacità di erigere qualcosa – gli aculei – lo metteremmo subito nel dimenticatoio. Inoltre, il testa di lepre beve e urina come tutti i pesci, anche se la sua urina va a miscelarsi con le feci così come accade al gallo.

Come ci insegna Guillaume Rondelet, lepre di mare è il nome comune di alcuni Molluschi Gasteropodi Opistobranchi della famiglia Aplisidi che posseggono solo una conchiglia interna, molto piccola e piatta, di solito invisibile, e che vivono in mare nelle zone costiere ricche di vegetazione. Secondo la didascalia a un acquarello di Aldrovandi uno di questi molluschi verrebbe detto lepre per avere il colore della lepre terrestre: Lepus marinus a colore lepori terrestri simili. Λαγὼς θαλάσσιος Graecis.

Ma se il vocabolo λαγωγήρως corrispondesse per caso a dei molluschi, Sophocles verrebbe frustrato, in quanto i molluschi non sono Pesci, anche se possono vivere in acqua. I Pesci sono dei vertebrati acquatici mentre la lepre o le varie lepri di mare sono dei semplici molluschi.

Epilogo

Non rimane che rifugiarsi in un senso traslato di μύξος, lasciando a λαγόγηως - λαγωγήρως il significato di un pesce, come suggerito da Sophocles, ma di un pesce difficile da identificare.

Se la lampreda e la missina glutinosa riconoscono un'etimologia da  μύξα, allora possiamo presumere che con μύξος il lessico Suida si riferisse a qualcosa di viscido e cilindrico e foggiato a lampreda che assolutamente non beve, ma che urina, e che è ora che si sbrighi a urinare, pena la morte.

Qualcuno si chiederà se effettivamente l'asino possa andare incontro a mancata emissione di urina, definita anuria dai medici, essendo disuria un termine troppo estensivo, in quanto oscilla dal gocciolamento di urina alla mancata minzione. Sì. L'asino può essere anurico. E come mi ha insegnato la Dsa Alessandra De Sanctis (veterinario a Popoli in provincia di Pescara) in un'amabilissima ed esauriente telefonata dell'11 ottobre 2006, le cause più frequenti possono essere fondamentalmente due. La prima è la mioglobinuria, cioè l'eliminazione urinaria di mioglobina (il pigmento respiratorio deputato a catturare ossigeno - come l'emoglobina dei globuli rossi - e contenuto nei muscoli dei Mammiferi e degli Uccelli, ai quali conferisce il caratteristico colore rosso), eliminazione che si osserva, unitamente ad altri disturbi, dopo un intenso sforzo muscolare, nei traumatizzati gravi con spappolamento di vaste masse muscolari, nei folgorati da scariche elettriche ad alta tensione che scatenano una contrazione muscolare molto intensa. La mioglobina viene eliminata rapidamente dai reni, ma precipitando nei tubuli renali li ostruisce e l'eliminazione di urina si blocca. Ma oggigiorno, essendoci furgoni e camion a iosa, un'anuria dell'asino da intenso sforzo muscolare è una rarità, a differenza di quanto poteva accadere ai tempi del lessico Suida. La seconda causa di anuria può essere un'affezione prostatica, in quanto anche l'asino, come il nostro macho, è dotato di prostata. Ma torniamo a quel qualcosa di viscido e cilindrico e foggiato a lampreda.

Il pene dell'asino, che come quello del cavallo non termina a punta come quello dei bovini, e che assomiglia parecchio a una lampreda, quando viene sfoderato dal suo alloggiamento non necessita di vaselina, essendo fisiologicamente lubrificato, e nessuno può permettersi di affermare che non sia cilindrico come una lampreda o una missina. Se non bastasse, l'estremità richiama in tutto e per tutto la bocca di una lampreda che sta suggendo.

Quindi per l'asino ci fissiamo sulla lampreda. Infatti, se dovessimo paragonare il pene dell'ariete a uno di questi due pesci, dovremmo propendere per la missina, poiché il membro del montone finisce con un bargiglio.

Il pene dell'asino, come qualsiasi pene, non beve ma urina. Eccoci a ricollegare lampredotto e anguilla, nonché cazzata e cavolata. Potremmo quindi tradurre liberamente il lessico Suida in questo modo:

O asino! Non fare come il gallo, che beve e non urina!
Sbrigati a pisciare con la tua scivolosa anguilla!
Un'anguilla che non beve, ma che piscia a meraviglia!