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Numismatica

Suessa Aurunca


Numismatica

La numismatica (dal latino numisma, dal greco nómisma, usanza, moneta, a sua volta da nomízø, avere in uso) è lo studio scientifico della moneta e della sua storia, in tutte le sue varie forme, dal punto di vista storico, artistico ed economico. Spesso anche il collezionismo di monete viene impropriamente denominato numismatica.

L'oggetto più importante della numismatica è la moneta. Ma questa scienza si interessa anche di altre forme di denaro, come le moneta cartacea, mezzi di pagamento pre-monetari e oggetti a forma di moneta come medaglie, medaglioni, gettoni e medagliette religiose. La numismatica può anche includere lo studio di molti differenti aspetti legati a monete, comprese storia, geografia, economia, metallurgia, uso e processi di produzione.

Anche altri metodi di pagamento, come assegni, banconote, carta moneta, scripofilia e carte di credito sono spesso oggetto di interesse numismatico. Anche le prime monete o pre-monete usate da popoli primitivi fanno parte dello studio della numismatica.

Per epoche in cui esistono poche fonti scritte, le monete hanno un elevato valore come fonti sia per la cronologia che per la storia delle scienze, della cultura e dell'economia. Ciò si applica in particolare alle antichità greche e romane, ma anche per le aree al di fuori delle antiche culture del Mediterraneo (ad esempio per gli imperi dei Parti e degli Sciti) nonché per il primo e per l'alto Medioevo.

Per questi periodi i rinvenimenti monetari (cioè le monete che vengono trovate in una sepoltura assieme ad altri oggetti o in qualche tesoro) sono importanti non solo per facilitare la datazione ma anche come fonti storiche. Si è sviluppata una vera e propria numismatica dei ritrovamenti, che costituisce attualmente la parte più dinamica e metodologicamente più innovativa di questa scienza.

A partire dal Medioevo, con l'incremento della frequenza delle fonti scritte, la numismatica è particolarmente legata con la storia del denaro, cui dà basi sia storiche che economiche. Nei periodi più recenti, con il forte aumento dell'importanza del denaro monetato, la numismatica diviene un punto fermo nella storia dell'economia. Oltre a una disciplina ancillare altamente specializzata della storia e dell'archeologia, la numismatica ha anche numerose connessioni con discipline vicine come la storia dell'economia, le storia sociale, la storia dell'arte o la onomastica.

Metodi

I metodi della numismatica, nel senso più stretto, sono essenzialmente legati all'oggetto, la moneta. Altri principi metodologici derivano dai problemi della storia del denaro. Le monete sono un prodotto di massa, con la stessa forma, eseguito in grande numero. In questo senso sono simili alle ceramiche. Tuttavia ogni singola moneta, anche a causa dei metodi di coniazione, è un individuo con caratteristiche speciali (errori di coniazione, variazioni dei materiali, irregolarità) che possono essere usate per una valutazione.

Il più importante metodo numismatico, che serve alla ricostruzione della sequenza della coniazione, è l'analisi dei coni. Si basa sull'osservazione che ogni moneta (a due facce) è formata da un conio di incudine (al diritto) e da un conio di martello (al rovescio). I due conii, che nella monetazione martellata sono distinti in conio superiore - o conio di martello - e conio inferiore - o d'incudine - si usurano in tempi diversi. Il conio di martello deve essere sostituito più frequentemente di quello d'incudine. Ciò porta alle cosiddette combinazioni di conii; le diverse combinazioni formano una catena di conii che corrisponde alla sequenza temporale con cui i singoli conii sono stati prodotti e usati. L'analisi dei conii venne usata per la prima volta nel XIX secolo e introdotta nella numismatica greca da Friedrich Imhoof-Blumer.

Altri importanti metodi per determinare la cronologia reciproca o la contemporaneità sono lo studio della tipologia e l'analisi dello stile. I limiti di questi metodi si trovano nel fatto che solo un numero infinitamente piccolo delle monete originariamente coniate è sopravvissuto. Stime basate sui rinvenimenti monetari lasciano assumere che oggi abbiamo a disposizione non più dell'uno per mille delle monete originariamente battute.

Un altro ruolo importante lo giocano ora anche le ricerche scientifiche come l'analisi dei metalli, che dà indicazioni sulla provenienza dei metalli monetari, ma che possono anche dare risposte a problemi di politica monetaria (variazioni del titolo di purezza dei metalli nel quadro di una svalutazione).

La numismatica dei ritrovamenti si occupa meno della singola moneta e più con gruppi di monete che costituiscono le varie categorie di ritrovamenti monetari. Esamina la distribuzione nel territorio dei vari tipi di monete tenendo presente i problemi del corso delle monete, la storia dell'economia, dei traffici e dei commerci (area dei mercati, percorsi delle merci e dei commerci).

Ricerca e insegnamento

La numismatica è una tipica scienza da museo (Bernd Kluge), giacché lavori significativi sono per lo più possibili solo presso le fonti materiali, cioè le monete. Le grandi collezioni numismatiche pubbliche sono state perciò anche centri di ricerca e sono tuttora i promotori di grandi opere di catalogazione e di compendi. Tra le più importanti collezioni numismatiche, ci sono quelle di Parigi (Biblioteca Nazionale), Londra (British Museum), New York (American Numismatic Society), Berlino (Gabinetto Numismatico) e il gabinetto numismatico al Kunsthistorisches Museum di Vienna. In Svizzera non c'è una collezione di uguali dimensioni, quindi i gabinetti numismatici sono numerosi. In Italia esistono diverse collezioni. Le più importanti sono a Napoli, Roma, Milano, Padova, Torino e Venezia.

La numismatica non lavora intensivamente solo nei musei. Ci sono anche collezionisti preparati, che a volte sono tra i migliori conoscitori dei loro rispettivi ambiti d'interesse e collaborano con importanti contributi alla ricerca, in forma di studi dettagliati o di cataloghi. Nel sistema della formazione universitaria la numismatica è inserita tra le scienze ausiliarie della Storia e dell'Archeologia e in particolare opera essenzialmente nel campo della storia delle antichità classiche.

Storia

Se dobbiamo credere alle descrizioni dello storico romano Svetonio (70-140 dC), l'imperatore Augusto è stato uno dei primi a collezionare "monete reali e straniere" più di 2000 anni fa. Sono riportati altri casi di collezioni e collezionisti nel periodo romano; a differenza di altre opere d'arte, nella collezione di monete il centro dell'attenzione non era sempre l'aspetto estetico.

I primi tentativi a occuparsi scientificamente delle monete datano al XIV e XV secolo. Per questo periodi si hanno notizie su Francesco Petrarca e sul vescovo Stefan Mathias von Neidenburg, che possedevano ampie collezioni di monete storiche o, come di diceva allora, di "monete di tutte le terre".

In Germania i principi possedevano le prime collezioni numismatiche importanti. A queste collezioni risalgono i vari gabinetti numismatici delle città tedesche. In Austria esisteva una collezione numismatica già nel XVI secolo come parte di un gabinetto di arte degli imperatori Asburgo; in particolare Rodolfo II acquistò una grande quantità di monete. In Svizzera all'inizio dei successivi gabinetti numismatici ci sono le collezioni delle biblioteche cittadine. Solamente a Basilea l'inizio della collezione è collegabile ad una determinata persona, l'umanista e collezionista Basilius Amerbach.

Alla fine del XVIII secolo, si colloca la figura di Eckhel che è considerato il fondatore della numismatica come scienza. Il XIX secolo fu il più fecondo nella strutturazione delle collezioni nazionali e nella pubblicazione dei cataloghi. Theodor Mommsen supportò l'idea di un corpus generale di tutte le monete greche di tutte le collezioni, un'idea che non è ancora possibile realizzare.

Nel 1931 la British Academy lanciò l'idea della Sylloge Nummorum Graecorum, una sistematica serie di pubblicazioni delle singole collezioni di monete greche, in ordine di zecca e con la foto di ogni singola moneta. Sono già apparse un centinaio di volumi in molti paesi. L'idea è stata ripresa dagli studiosi della Gran Bretagna medioevale e nel 1993 dagli esperti di numismatica Islamica.

Nel XX secolo si rafforzò sempre più la consapevolezze dell'importanza delle monete come oggetti archeologici. Dopo la seconda guerra mondiale in Germania è stato lanciato il progetto Fundmünzen der Antike (Ritrovamenti monetari dell'antichità), per registrare ogni ritrovamento effettuato in Germania. Questa idea ha trovato seguaci in molti Paesi.

Numismatics

Numismatics (Latin: numisma, nomisma, "coin"; from the Greek: nomízein, "to use according to law") is the study or collection of currency, including coins, tokens, paper money, and related objects. While numismatists are often characterized as students or collectors of coins, the discipline also includes a much larger study of payment media used to resolve debts and the exchange of goods. Lacking a structured monetary system, people in the past as well as some today lived in a barter society and used locally found items of inherent or implied value. Early money used by primitive people is referred to as "Odd and Curious", but the use of other goods in barter exchange is excluded, even where used as a circulating currency (e.g., cigarettes in prison). The Kyrgyz people used horses as the principal currency unit and gave small change in lambskins. The lambskins may be suitable for numismatic study, but the horse is not. Many objects have been used for centuries, such as conch shells, precious metals and gems.

Today, most transactions take place by a form of payment with either inherent, standardized or credit value. Numismatic value may be used to refer to the value in excess of the monetary value conferred by law. This is also known as the "collector's value" or "intrinsic value." Economic and historical studies of money's use and development are separate to the numismatists' study of money's physical embodiment (although the fields are related; economic theories of money's origin depend upon numismatics, for example).

History of money

Money itself must be a scarce good. Many items have been used as money, from naturally scarce precious metals and conch shells through cigarettes to entirely artificial money such as banknotes. Modern money (and most ancient money too) is essentially a token - an abstraction. Paper currency is perhaps the most common type of physical money today. However, goods such as gold or silver retain many of the essential properties of money.

Coin Collecting may have existed in ancient times. Caesar Augustus gave "coins of every device, including old pieces of the kings and foreign money" as Saturnalia gifts. Petrarch, who wrote in a letter that he was often approached by vinediggers with old coins asking him to buy or to identify the ruler, is credited as the first Renaissance collector. Petrarch presented a collection of Roman coins to Emperor Charles IV in 1355.

The first book on coins was De Asse et Partibus (1514) by Guillaume Budé. During the early Renaissance ancient coins were collected by European royalty and nobility. Collectors of coins were Pope Boniface VIII, Emperor Maximilian of the Holy Roman Empire, Louis XIV of France, Ferdinand I, Elector Joachim II of Brandenburg who started the Berlin coin cabinet and Henry IV of France to name a few. Numismatics is called the "Hobby of Kings", due to its most esteemed founders.

Professional societies organized in the 19th century. The Royal Numismatic Society was founded in 1836 and immediately begins publishing the journal that became the Numismatic Chronicle. The American Numismatic Society was founded in 1858 and began publishing the American Journal of Numismatics in 1866. In 1931 the British Academy launched the Sylloge Nummorum Graecorum publishing collections of Ancient Greek coinage. The first volume of Sylloge of Coins of the British Isles was published in 1958.

In the 20th century as well the coins were seen more as archaeological objects. After World War II in Germany a project, Fundmünzen der Antike (Coin finds of the Classical Period) was launched, to register every coin found within Germany. This idea found successors in many countries. In the United States, the US mint established a coin Cabinet in 1838 when chief coiner Adam Eckfeldt donated his personal collection. William E. Du Bois’ Pledges of History... (1846)) describes the cabinet. C. Wyllys Betts' American colonial history illustrated by contemporary medals (1894) set the groundwork for the study of American historical medals.

Modern numismatics

Modern numismatics is the study of the coins of the mid 17th to the 21st century, the period of machine struck coins. Their study serves more the need of collectors than historians and it is more often successfully pursued by amateur aficionados than by professional scholars. The focus of modern numismatics lies frequently in the research of production and use of money in historical contexts using mint or other records in order to determine the relative rarity of the coins they study. Varieties, mint-made errors, the results of progressive die wear, mintage figures and even the socio-political context of coin mintings are also matters of interest.

Subfields

Exonumia is the study of coin-like objects such as token coins and medals, and other items used in place of legal currency or for commemoration. This includes elongated coins, encased coins, souvenir medallions, tags, badges, counterstamped coins, wooden nickels, credit cards, and other similar items. It is related to numismatics proper (concerned with coins which have been legal tender), and many coin collectors are also exonumists.

Notaphily is the study of paper money or banknotes. It is believed that people have been collecting paper money for as long as it has been in use. However, people only started collecting paper money systematically in Germany in the 1920s, particularly the Serienscheine (Series notes) Notgeld. The turning point occurred in the 1970s, when notaphily was established as a separate area by collectors. At the same time, some developed countries such as the USA, Germany and France began publishing their respective national catalogues of paper money, which represented major points of reference literature.

Scripophily is the study and collection of stocks and Bonds. It is an interesting area of collecting due to both the inherent beauty of some historical documents as well as the interesting historical context of each document. Some stock certificates are excellent examples of engraving. Occasionally, an old stock document will be found that still has value as a stock in a successor company.

Numismatists

The term numismatist applies to collectors and coin dealers as well scholars using coins as source or studying coins. The first group chiefly derive pleasure from the simple ownership of monetary devices and studying these coins as private amateur scholars. In the classical field amateur collector studies have achieved quite remarkable progress in the field. Examples are Walter Breen, a well-known example of a noted numismatist who was not an avid collector, and King Farouk I of Egypt was an avid collector who had very little interest in numismatics. Harry Bass by comparison was a noted collector who was also a numismatist.

The second group are the coin dealers. These often called professional numismatists authenticate or grade coins for commercial purposes. The buying and selling of coin collections by numismatists who are professional dealers advances the study of money, and expert numismatists are consulted by historians, museum curators, and archaeologists.

The third category are scholar numismatists working in public collections, universities or as independent scholars acquiring knowledge about monetary devices, their systems, their economy and their historical context. Coins are especially relevant as source in the pre-modern period.

Numismatica antica

Numismatica antica è la definizione convenzionale della branca della Numismatica occidentale che studia le monetazioni dei Greci, dei Romani, di tutte le altre popolazioni che gravitarono in vario modo intorno a queste due civiltà e delle altre culture del bacino del Mar Mediterraneo.

Joseph Hilarius Eckhel

Alla fine del XVIII secolo Eckhel (Enzesfeld, Vienna, 1737 -Vienna 1798), che è considerato il fondatore della Numismatica come scienza, organizzò la collezione del Gabinetto numismatico imperiale di Vienna, di cui era responsabile, secondo nuovi criteri, che impiegò per la stesura del nuovo catalogo della collezione imperiale (Catalogus Musei Cæsariensis). In precedenza le monete venivano suddivise in base al metallo in cui erano prodotte, al modulo (cioè alla loro dimensione), separando, ad esempio, le monete d'oro da quelle di bronzo prodotte dalla stessa zecca e/o autorità emittente, e quelle di bronzo di "grande modulo" da quelle di "piccolo modulo"

Lo studioso austriaco cominciò con il rivedere e ad applicare rigidamente la suddivisione tradizionale della numismatica in due settori: quello delle monete greche, dove si trovavano le monete coniate da tutte le città escluso Roma, e quello delle monete romane, dove si trovavano le monete emesse sotto l'autorità di Roma. Capitava infatti, nelle opere a lui precedenti, che monete greche e monete romane venissero schedate insieme, seguendo soprattutto la logica della divisione per metallo di produzione.

Per le monete greche scelse una suddivisione di tipo geografico, dalla penisola iberica procedendo verso est fino all'Asia Minore e proseguendo poi per l'Africa verso ovest, facendo così il giro del Mediterraneo.

Per le monete romane prima pose le monete fuse, poi le monete repubblicane anonime, quindi le altre monete repubblicane divise per famiglia e infine le monete imperiali in ordine cronologico. Questa organizzazione è tuttora in uso presso gli studiosi di numismatica classica.

Differenze tra le monetazioni greca, italica e romana

La prima ovvia differenza è nell'autorità che emette le monete (le singole poleis) e nell'area di circolazione. Altre, meno ovvie, riguardano la forma, lo stile, i tipi e l'indicazione del valore.

Moneta greca

Per quanto riguarda la forma le monete greche, in particolare lo statere che è la moneta più diffusa, si presenta come una moneta abbastanza spessa, del diametro tra i 18 ed i 23 mm e di pesi che variano secondo lo standard usato. I più diffusi in Italia sono quello Attico (statere di ca. 8.5 g) e quello Foceo-Campano (ca. 7.5 g). Il denario romano, durante la repubblica, è una moneta che pesa ca. 3.7 g e misura ca. 18 mm. Quindi il tondello su cui viene battuto si presenta notevolmente più sottile. Lo stile nella moneta greca serve a esaltare la polis che la emette. Sono vere e proprie opere d'arte in miniatura. Si ingaggiano gli artisti migliori che producono conii con cui vengono battute monete che tuttora sono ammirate per la loro bellezza. Le monete romane si presentano con immagini semplici, quasi piatte. Si ha più l'impressione di un disegno che di un bassorilievo.

I tipi utilizzati in Grecia cambiano tra le varie città. Ogni città in genere usa lo stesso tipo.

Atene: Atena e civetta
Corinto: Atena e Pegaso
Egina: tartaruga

Calabria Tarentum c 500-480 BC - Nomos 21mm 8.02 g

TARAS (retrograde), Taras riding dolphin left,
holding cuttle-fish in left hand, right hand extended.
TARAS (retrograde), hippocamp left; cockel shell below.

Spesso il tipo richiama il nome della città: una rosa (rhodon) per Rodi, un granchio (akragas) per Agrigento, un sedano (selinos) per Selinunte. Oppure viene rappresentato il fondatore eponimo: Taras a cavallo del delfino per Taranto; più spesso una divinità protettrice del luogo: Partenope e Acheloo a Napoli, Ercole ad Heracleia Lucaniae, Poseidon a Poseidonia (in seguito ribattezzata Paestum).

Pur nella diversità è quindi comune il fenomeno della fissità dei tipi. Con questa espressione si indica il fatto che per secoli viene usato lo stesso tipo identificativo della città. Spesso si hanno casi in cui non ne viene rinnovato lo stile per adeguarlo alle nuove tendenze artistiche e di conseguenza la moneta presenta degli arcaismi, in notevole ritardo rispetto all'evoluzione del gusto. Questo fenomeno è comunque diffuso quasi ovunque anche in tempi recenti. Basti pensare al Tallero di Maria Teresa, usata dal 1741 fino a pochi anni fa e battuto fino ai giorni d'oggi assolutamente identico, perfino con la stessa data del 1780.

Moneta romana

Denarius ca. 137 aC - Testa di Roma

A Roma il denario presenta all'inizio la testa di Roma al diritto e i Dioscuri su cavalli al galoppo sul rovescio. In un secondo tempo i Dioscuri vengono sostituiti da bighe guidate da varie divinità: Vittoria, Diana. Solo più tardi emerge una delle caratteristiche peculiari del denario romano: l'esaltazione degli antenati del magistrato monetario, veri o presunti, con la rappresentazione di gesta, accadimenti, anche questi spesso leggendari, che li possono ricordare. I Marci rappresentano nella stessa moneta sia il re Anco Marzio, presunto antenato della gens, che l'acquedotto che portava il loro nomen.

Mentre i denari presentano una varietà così elevata, nelle monete enee, cioè di bronzo, si ha una certa fissità dei tipi: al rovescio c'è una prua di galea e al diritto ogni valore riporta una divinità, divinità che era già in uso nella monetazione fusa. Sia al diritto che al rovescio viene indicato il valore della moneta. Solo in periodo ellenistico per la monetazione greca e a partire dagli ultimi anni della repubblica per la monetazione romana, i tipi rappresentati sono i re ellenistici o i generali romani prima e il princeps dopo.

Per quanto riguarda l'indicazione del valore, questa è eccezionale nelle monete greche, mentre nelle monete romane e più in generale nelle monete sia italiche che etrusche, questa è quasi sempre presente. Nell'asse e nei suoi multipli il valore è indicato in assi con il numero romano corrispondente, per le frazioni dell'asse viene indicato il valore in oncie con un pari numero di globuli.

Esistono poi due fenomeni particolari, che riguardano entrambi l'Italia:

la monetazione incusa
la monetazione fusa

La monetazione incusa è costituita dalle monete di alcune città della Magna Grecia, in cui a fronte di un dritto tradizionale, cioè con il disegno in rilievo, il rovescio presenta lo stesso disegno, di norma stilizzato, incavato nella monete, cioè incuso. La monetazione fusa è l'insieme delle monete emesse da città e da popoli dell'Italia Centrale nel III secolo aC. Queste monete anziché essere battute tra due coni su un tondello metallico, erano prodotte colando bronzo (aes) fuso in uno stampo. Anche la prima monetazione romana (l'aes grave) era di questo tipo.

Numismatica greca

La numismatica greca studia le monetazione greca, cioè l'insieme delle monete emesse dalle città-stato greche, i regni ellenistici e da quelle civiltà che pur non essendo di lingua greca, gravitavano comunque nell'area del Mar Mediterraneo oppure la cui monetazione era influenzata dalla monetazione greca.

Numismatica romana

La numismatica romana studia la monetazione romana, cioè l'insieme delle monete emesse da Roma e dal suo Impero dalla prime emissioni di monete fuse, dalle monete romano-campane sino alla fine dell'Impero Romano. È normalmente suddivisa in:

monetazione romana repubblicana
monetazione imperatoriale
monetazione imperiale
monetazione provinciale

I nummi atriani
il biunce atriano

Le monete atriane sono le più antiche di quante se ne conoscano in Italia, e di quelle che portano i nomi di città basterà dire e provare col fatto che furono e sono le più pesanti. Le monete atriane essendo sempre state nella loro durata opera della fusione o getto, e non del conio, ciò prova che esse cessarono di comparire prima di quest’invenzione.

Le impronte delle monete rivelano celebrità marittima, civiltà avanzata, commercio fiorente. Atri nel Piceno dovette essere celebre nei tempi antichissimi, poiché fu la sola città lungo la costa fino a Venezia, e tra tutte le altre d’Abruzzo, che ebbe monetazione indipendente. Il gran numero delle monete atriane trovate anche nel riminese, nel Lazio, e perfino a Roma, è documentazione della grandezza, ricchezza e preminenza di Atri prima e dopo l’incontro con Roma.

Si conserva un centinaio di nummi atriani, di cui una sessantina nel Museo Sorricchio, e una quarantina nei Musei di Londra, Vienna, Berlino e Roma; alcuni altri sono in possesso di privati. L’antichità di tali monete è dimostrata dal segno della libbra di dieci once, mentre il sistema romano era duodecimale, e l’asse romano scese da 12 a 4 once, come si vede nelle monete emesse a Lucera nel 314 aC.

Inoltre, mente Roma impresse i suoi segni di dominio sui numismi della Campania e del Sagno, non impose alcun mutamento alle monete atriane, quando, affacciandosi sull’Adriatico (289 aC), le trovò tanto numerose. Questo dimostra la preesistenza dei nummi atriani a quelli di Roma. L’asse romano più antico giunse al peso di 13 once, quello di Todi a 15, di Volterra a 12; quello di Atri fu di 18 once. Il maggior peso, pertanto, è una prova indiscutibile della superiore antichità.

Valori più piccoli dell’asse erano rappresentati dal biunce: biunce (sestante) (2/10 dell’asse) mostra nel diritto un gallo, o una gallina (da Plinio si sa che erano famose le galline atriane), e nel rovescio una scarpa con gamba corta e sotto HAT.

Monetazione greca

Alla fine del XVIII secolo Eckhel riorganizzò la collezione del Gabinetto numismatico imperiale di Vienna, di cui era responsabile, secondo nuovi criteri. Divise la numismatica antica in due dipartimenti: quello delle monete greche, dove si trovavano le monete coniate da tutte gli Stati dell’antichità classica ad esclusione di Roma, e quello delle monete romane. Di fatto incluse tra le monete greche anche quelli di popoli non greci come ad esempio gli Etruschi o i Fenici. Organizzò le monete "greche" secondo una suddivisione di tipo geografico, che procedeva dalla Penisola Iberica verso est fino all'Asia Minore e proseguiva poi per l'Africa verso ovest, seguendo così il Mediterraneo. Questa organizzazione è quella tuttora in uso presso gli studiosi di numismatica classica.

Kings of Lydia. Uncertain King. Early 6th century BC.

EL Third Stater - Trite (4.71 g).
Head of roaring lion right, sun with multiple rays on forehead.
Double incuse punch.

La moneta fu inventata nel regno di Lidia, nell’attuale Turchia, verso il 620 aC. Fu inventata nello stesso periodo indipendentemente anche in Cina e in India. La monetazione si diffuse molto rapidamente prima nelle città-stato della Ionia sulle coste del mare Egeo e poi nel resto del mondo greco, che allora si estendeva dal mar Nero alla Sicilia e all’Italia meridionale (Magna Grecia).

Le monete dell'antica Grecia sono considerate le più belle e di maggiore contenuto artistico tra tutte quelle prodotte dall'introduzione dell'uso della moneta. Una caratteristica comune di queste monete è di essere prodotte con la coniazione al martello; esse sono inoltre caratterizzate da un elevato rilievo delle immagini raffigurate, che sono spesso frutto del lavoro di grandi artisti.

La storia delle monete greche antiche può essere suddivisa, come peraltro la maggior parte delle forme d’arte greche, in tre periodi: il periodo arcaico, quello classico e quello ellenistico. Il periodo arcaico inizia con l’introduzione della moneta nel mondo greco (ca. 600 aC) fino alle Guerre Persiane (ca. 480 aC). Poi inizia il periodo classico che termina con le conquiste di Alessandro Magno (ca. 330 aC), quando ha inizio il periodo ellenistico che arriva fino all’assorbimento da parte dell’Impero Romano del mondo greco nel I secolo aC. Molte città greche continuarono a produrre le loro monete per molti secoli anche durante l’Impero romano.

Periodo arcaico

Tetradrachm 16.85 g - Attica Athens after 449 BC

Helmeted head of Athena
owl standing right; olive-sprig and crescent above.

Durante il periodo arcaico le monete erano relativamente grezze rispetto agli standard successivi. Erano principalmente piccole gocce di oro o argento a forma di fagiolo, marcate con un disegno geometrico o con un simbolo che indicava la città di provenienza. Con il miglioramento delle tecniche di produzione le monete divennero più standardizzate, a forma di piccoli dischi metallici. Divenne consueta l’abitudine di porre una rappresentazione della divinità protettrice della città o animali simbolici come la civetta sacra ad Atena nelle monete ateniesi. Il mondo greco era diviso in un migliaio di città (poleis) indipendenti e la maggior parte di queste emisero le proprie monete. Tuttavia per facilitare il commercio tra le città, con il tempo le monete furono battute in valori standard anche se contrassegnate ognuna con i simboli della città che le aveva emesse. Qualcosa di simile alle monete dell’Euro, in cui è riconoscibile lo stato che le ha battute ma che sono valide in tutta la zona Euro. La dracma divenne l’unità di scambio più diffusa. Verso il 510 aC Atene iniziò a produrre una moneta da quattro dracme, il tetradramma, che fu usata in tutto il mondo greco e che rifletteva la crescente egemonia di Atene.

Periodo classico

Il periodo classico vide la monetazione greca raggiungere un elevato livello di qualità tecnica ed estetica. Le città più grandi ora producevano un’ampia varietà di monete d’argento e d’oro, che per lo più presentavano da una parte il ritratto della divinità protettrice oppure un eroe leggendario e dall’altra un simbolo della città. Alcune monete usavano un’immagine che rappresentava il nome della città: una rosa (rhodon) per Rodi, un granchio (akragas) per Agrigento.

In questo periodo comincia l’uso delle iscrizioni, di solito il nome della città o preferibilmente con l’etnico (il genitivo plurale del nome degli abitanti). Le ricche città della Sicilia produssero monete particolarmente belle. I grandi decadrammi (dieci dracme) d’argento di Siracusa sono considerati da molti collezionisti come le più belle monete prodotte nel mondo antico o forse le più belle mai battute in assoluto.

Usare le monete a scopo di propaganda è un’invenzione greca. Le monete sono importanti, durevoli, viaggiano per molti luoghi e sono viste da molte persone. In un’età senza giornali e senza altri mass media, le monete erano il vettore ideale per la diffusione di messaggi politici. La prima di queste monete fu un decadracma (dieci dracme) commemorativo emesso da Atene in seguito alla vittoria greca nelle guerre persiane. In questa monete la civetta di Atene è rappresentata di fronte con le ali distese e con un ramoscello di ulivo. Il messaggio è che Atene è potente e vittoriosa ma allo stesso tempo ama la pace.

Periodo ellenistico

Gold 20-stater of Eucratides

This coin, the largest gold coin of Antiquity, was originally found in Bukhara, and later acquired by Napoleon III. The coin weighs 169.2 grams, and has a diameter of 58 millimeters. - Cabinet des Medailles, Paris.

Il periodo ellenistico fu caratterizzato dalla diffusione della cultura greca in gran parte del mondo allora conosciuto. Regni di lingua greca furono stabiliti in Egitto, Siria e per un certo tempo anche in Iran e nell’attuale Afghanistan. Mercanti greci diffusero le monete greche in questi ampi territori e i nuovi regni iniziarono presto a produrre le loro monete. Poiché questi regni erano molto più grandi e ricchi delle vecchie città-stato del periodo classico, le monete furono prodotte in quantità enormemente maggiori, di maggiori dimensioni e più frequentemente anche in oro. Tuttavia spesso mancava loro il senso estetico delle monete del periodo precedente. Comunque alcune delle monete greco-bactriane e quelle dei loro successori in India, le monete indo-greche, sono considerate tra i migliori esempi dell’arte numismatica greca con una "raffinata miscela di realismo e idealizzazione", comprese le più grandi monete emesse nel mondo ellenistico: la più grande moneta d’oro fu battuta da Eucratide (che ha regnato dal 171 al 145 aC) e la più grande moneta d’argento del re indo-greco Aminta (che ha regnato dal 95 al 90 aC). I ritratti "mostrano un grado di individualità che non ebbe mai riscontro nelle rappresentazioni spesso insipide dei re loro contemporanei che si trovavano più a occidente" (Roger Ling, Greece and the Hellenistic World).

La nuova caratteristica più evidente delle monete ellenistiche è l’uso di ritratti di persone viventi, più precisamente dei re stessi. Questa pratica era già iniziata in Sicilia, ma era stata disapprovata dagli altri Greci perché era segno di hybris, (orgoglio). Ma i Tolomei dell’Egitto e i Seleucidi della Siria non avevano questo tipo di scrupoli ed emisero magnifiche monete d’oro ornate con i loro ritratti e con i simboli del loro stato sul rovescio. Anche i nomi dei re furono frequentemente scritti sulle monete. Questa prassi ha fissato uno schema che è arrivato fino a noi: il ritratto del re, in genere di profilo e in posa eroica, al dritto con il nome accanto, e lo stemma o altri simboli dello stato al rovescio.

La monetazione fiduciaria

Agli inizi del IV secolo aC il valore della moneta era dato esclusivamente dal valore del metallo prezioso (oro o argento) che la costituiva. L’uso delle monete d’argento poneva grandi limiti nel commercio minuto, quello di tutti i giorni.
Le monete fuse di bronzo o rame, utilizzate in Italia centrale prevalentemente dalle popolazioni Italiche (Aes grave), d’altronde avevano il grande svantaggio di essere troppo pesanti per essere realmente pratiche e inoltre, visto le dimensioni non potevano essere battute al martello, facilitando così l’opera dei falsari.

Le città greche, probabilmente Siracusa, cominciarono a emettete per il commercio locale monete di bronzo il cui valore non era più legato al contenuto metallico della moneta, ma assicurato dal buon nome della città-stato.

Tecniche di produzione

Tutte le monete greche erano battute al martello. In disegno del dritto e quello del rovescio erano incise (al contrario) in blocchi di ferro detti conii. Un dischetto (tondello) d’oro o d’argento, riscaldato per renderlo malleabile, era sistemato tra questi due blocchi. Il conio superiore veniva colpito con forza con un martello e imprimeva così l’immagine su entrambe le facce della moneta. Questa tecnica era abbastanza rozza e produceva quindi un’elevata quantità di insuccessi, cosicché l’alto standard tecnico raggiunto dalle migliori monete greche – la perfetta centratura dell’immagine sul disco metallico, la corretta distribuzione del rilievo su tutta la moneta, la nitidezza del bordo – è una testimonianza del perfezionismo dei Greci.

Le monete

Didrachm 6.50 g (230-226 BC)

Helmeted head of Mars right, club behind
Rearing horse right, club above.

Per quanto riguarda i materiali, le monete d'oro avevano come unità monetaria lo statere, del peso di circa 8,7 g. Per le monete di valore inferiore, invece, veniva impiegato l'argento, con un rapporto di 1:10 con l'oro.

Il riferimento per le monete d'argento era la dracma (o dramma). Due dracme in equilibrio su di una bilancia rappresentano uno statere (il termine statere, infatti, viene anche utilizzato per indicare un tipo di bilancia). Dato il rapporto tra oro e argento, uno statere d'oro equivaleva a 20 dracme d'argento.

Un sottomultiplo della dracma era l'obolo, con un rapporto in valore pari ad 1/6. Per quanto riguarda le monete di valore inferiore, queste venivano realizzate in rame, con un'unità monetaria data dalla litra.

La classificazione geografica

Normalmente le monete greche sono divise secondo la regione di provenienza. Queste regioni, che rispecchiano l’organizzazione di Eckhel, sono: Hiberia, Gallia, Britannia, Italia, Sicilia, Grecia, Asia, Africa.

Monetazione greca in Italia

In particolare per le monete prodotte in Italia, tradizionalmente vige la classificazione che usa in gran parte la divisione in ‘‘Regiones’’ di Augusto: Etruria, Aes grave, Umbria, Picenum, Vestini, Latium, Samnium, Frentani, Guerra Sociale, Campania, Apulia, Calabria, Lucania e Bruttium. Da notare che in questa divisione tradizionale sono presenti molte popolazioni non greche e che la Calabria dell'antichità corrisponde alla parte meridionale della moderna Puglia.

Monetazione della Sicilia antica

La Sicilia al tempo di Augusto era una provincia romana e quindi la monetazione antica della Sicilia è considerata separatamente da quella dell'Italia peninsulare. In Sicilia si trovano:

polis greche
colonie Puniche, essenzialmente a ovest
insediamenti di popolazioni precedenti all'arrivo dei Greci e dei Cartaginesi
città controllate da mercenari mamertini
.

Le zecche più importanti sono:

a nord - Zancle - Messana
a ovest - Panormus, Agrigentum e Selinus

a est - Syracusa
a sud ovest - Gela e Leontini
a nord est - Catana e Naxus.

Sylloge Nummorum Graecorum

A partire dagli anni '30 del XX secolo in Gran Bretagna è nato un progetto della British Academy, denominato Sylloge Nummorum Graecorum il cui obiettivo è pubblicare cataloghi illustrati delle monete greche nelle collezioni pubbliche e private. Le Sylloge pongono il testo a fronte delle illustrazioni, limitando il testo e dando più ampio spazio alle fotografie. Questo progetto è stato adottato anche da altri Paesi tra cui l’Italia, che stanno pubblicando le loro collezioni secondo questo schema.

Ancient Greek coinage

The history of Ancient Greek coinage can be divided (along with most other Greek art forms), into three periods, the Archaic, the Classical and the Hellenistic. The Archaic period extends from the introduction of coinage to the Greek world in about 600 BCE until the Persian Wars in about 480 BCE. The Classical period then began, and lasted until the conquests of Alexander the Great in about 330 BC, which began the Hellenistic period, extending until the Roman absorption of the Greek world in the 1st century BCE. The Greeks cities continued to produce their own coins for several more centuries under Roman rule, called Roman provincial coins.

Archaic period

Coins were invented in Lydia-Ionia, possibly in Ephesus, in about 650-600 BCE (they were independently invented in China and India in about 600 BCE). An important source of the metal used in these coins was the river Pactolus close to Sardis where there were alluvial deposits of gold mixed with as much as 40% silver and some copper; such a gold-silver mix is called electrum. The earliest coins were made of electrum with a standardized 55% gold, 45% silver and 1-2% copper concentration and had either no design or some apparently random surface striations on one side and a punch impression on the other.

The first bimetallic currency of pure gold and silver coins was introduced during the reign of King Croesus in Sardis (561-547 BCE) using a design of a lion or a lion and bull on one side; the other side remained a punch mark. By this time, coinage had spread to Greece proper and to the many Greek colonies spread from the Black Sea to Sicily and southern Italy (Magna Graecia).

In the "Archaic period" coins were fairly crude by later standards. They were mostly small disk-shaped lumps of gold, silver, or bronze, stamped with a geometric design or symbol to indicate its city of origin. As coining techniques improved, coins became more standardized as flat circular objects and the convention of putting a representation of the patron deity of the issuing city became established. Animal symbols such as the bees (sacred to Artemis) of Ephesus, turtles of Aegina, or the owl (sacred to Athena) of Athens were also widely used.

The Greek world was divided into at least a hundred self-governing cities and towns (in Greek, poleis), and most of these issued their own coins. Some coins circulated widely beyond their polis, indicating that they were being used in inter-city trade; the first example appears to have been the silver drachm of Aegina. As such coins circulated more widely, coins of other cities came increasingly to be minted to the same weight standard (the weight standard of the Aeginetan drachma was 6.1 g) although marked with the symbols of the issuing city. This is rather like today's Euro coins, which are recognisably from a particular country, but usable all over the Euro zone.

Different weight standards co-existed; these may well have indicated different trade alliances. In about 510 BC Athens began producing a fine silver tetradrachm (four drachm) coin. As Athens and Aegina were hostile, this was minted to a different weight standard, the "Attic" standard drachm of 4.3 g. Over time, Athens' plentiful supply of silver from the mines at Laurion and its increasing dominance in trade made this the pre-eminent standard. Tetradrachms on this weight standard continued to be a widely used coin (often the most widely used) through the classical period, by Alexander, and by the Hellenistic monarchs. The word drachm means "a handful". Drachmae could be divided into six obols (from the Greek word for a spit of iron).

Classical period

The "Classical period" saw Greek coinage reach a high level of technical and aesthetic quality. Larger cities now produced a range of fine silver and gold coins, most bearing a portrait of their patron god or goddess, or a legendary hero, on one side, and a symbol of the city on the other. Some coins employed a visual pun: coins from Rhodes featured a rose, since the Greek word for rose is rhodon. The use of inscriptions on coins also began, usually the name of the issuing city. The wealthy cities of Sicily produced some especially fine coins. The large silver decadrachm (ten drachm) coin from Syracuse is regarded by many collectors as the finest coin produced in the ancient world, perhaps ever.

The use of coins for propaganda purposes was a Greek invention. Coins are valuable, durable and pass through many hands. In an age without newspapers or other mass media, they were an ideal way of disseminating a political message. The first such coin was a commemorative decadrachm issued by Athens following the Greek victory in the Persian Wars. On these coins the owl of Athens was depicted facing the viewer with wings outstretched, holding a spray of olive leaves. The message was that Athens was powerful and victorious, but peace-loving.

Hellenistic period

The Hellenistic period was characterised by the spread of Greek culture across a large part of the known world. Greek-speaking kingdoms were established in Egypt and Syria, and for a time also in Iran and as far east as what is now Afghanistan and northwestern India. Greek traders spread Greek coins across this vast area, and the new kingdoms soon began to produce their own coins. Because these kingdoms were much larger and wealthier than the Greek city states of the classical period, their coins tended to be more mass-produced, as well as larger, and more frequently in gold. They often lacked the aesthetic delicacy of coins of the earlier period.

Still, some of the Greco-Bactrian coins, and those of their successors in India, the Indo-Greeks, are considered the finest examples of Greek numismatic art with "a nice blend of realism and idealization", including the largest coins to be minted in the Hellenistic world: the largest gold coin was minted by Eucratides (reigned 171–145 BC), the largest silver coin by the Indo-Greek king Amyntas (reigned c. 95–90 BC). The portraits "show a degree of individuality never matched by the often bland depictions of their royal contemporaries further West" (Roger Ling, "Greece and the Hellish World").

The most striking new feature of Hellenistic coins was the use of portraits of living people, namely of the kings themselves. This practice had begun in Sicily, but was disapproved of by other Greeks as showing hubris (pride). But the kings of Ptolemaic Egypt and Seleucid Syria had no such scruples, and issued magnificent gold coins adorned with their own portraits, with the symbols of their state on the reverse. The names of the kings were frequently inscribed on the coin as well. This established a pattern for coins which has persisted ever since: a portrait of the king, usually in profile and striking a heroic pose, on the obverse, with his name beside him, and a coat of arms or other symbol of state on the reverse.

Minting

All Greek coins were hand-made, rather than milled as modern coins are. The design for the obverse was carved (in reverse) into a block of iron. The design of the reverse was carved into a similar punch. The blank gold, silver or bronze planchet, heated to make it soft, was then placed between these two and the punch struck hard with a hammer, "punching" the design onto both sides of the coin.

This is a fairly crude technique and produces a high failure rate, so the high technical standards achieved by the best Greek coins - perfect centering of the image on the disk, even relief all over the coin, sharpness of edges - is a remarkable testament to Greek perfectionism.

Ancient Greek coins today

The best Greek coins are rare and expensive, and many can only be seen in museums, of which the National Numismatic Museum in Athens, the British Museum and the American Numismatic Society are among the finest. An active market in both high quality and common ancient Greek coins exists, dominated by on-line auction houses in the United States and Europe. Moreover, hoards of Greek coins are still being found in Europe and the Middle East, and many of the coins in these hoards find their way onto the market, often via the Internet. Coins are the only art form from the Ancient world which are common enough and durable enough to be within the reach of ordinary collectors.

Monetazione italiana antica

Campania Cales c 280-268 BC – Nomos

Head of Athena right, in Corinthian helmet
decorated with a griffin; serpent behind.
Nike in biga galloping left; CALENO in exergue.

Le monete prodotte in Italia, tradizionalmente sono divise seguendo grosso modo le Regiones in cui Augusto aveva diviso l'Italia. In ogni regio le zecche seguono in ordine alfabetico. Per tradizione i nomi delle città sono in genere in Latino.

Etruria: Populonia, Volsinii, Cosa

Umbria: Ariminum (Rimini), Iguvium (Gubbio), e Tuder (Todi)

Picenum: Ancona, Asculum, Firmum, Hadria

Vestini: Vestini

Latium : Latini, Roma, Alba Fucens, Aquinum, Cora, Signia

Samnium: Samnites, Aesernia, Aquilonia, Beneventum, Telesia

Frentani: Frentani, Larinum

Campania: Cales, Capua, Hyria, Cumae, Neapolis, Nola, Phistelia, Suessa Aurunca, Teanum Sidicinum

Apulia: Arpi, Ausculum, Butuntum, Canusium, Teate (Apulia), Venusia

Calabria (in antichità corrispondente all'attuale Salento geograficamente in parte rientra la città di Taranto ma almeno prima della conquista romana Taranto era un organismo a se stante che si differenziava dal resto della Calabria antica, abitata dai Messapi): Rudiae, Lupiae,Brundisium, Graxa, Oria (Uria, Orra), Tarentum

Lucania: Lucani, Siris - Heraclea, Laos, Metapontum, Poseidonia (poi Paestum), Sybaris, Thurium (poi Copiae), Velia

Bruttium: Brettii, Caulonia, Croton, Locri Epizephyrii, Pandosia, Petelia, Rhegium, Terina

Inoltre sono considerate anche i seguenti gruppi di monete:

Aes grave e le monete della Guerra Sociale emesse dai popoli italici quando mossero guerra a Roma. In questa divisione tradizionale sono presenti sia polis greche che molte popolazioni non greche.

Bruttium - Terina

Monetazione romana

La monetazione romana studia le monete emesse da Roma dalle prime forme premonetali alla caduta dell'Impero Romano

Monetazione repubblicana

Monetazione fusa

Nella prima parte della storia di Roma, dalla sua fondazione (21 aprile 753 aC) a tutto il periodo monarchico (753-509 aC) e parte del periodo repubblicano, fino al III secolo aC, il commercio non si basava sull'uso della moneta, ma su una forma di baratto che sfruttava barre di bronzo (aes rude) come mezzo di scambio: si consideri, per contro, che già alla metà del IV secolo aC, nel mondo greco, la moneta aveva raggiunto una diffusione e livelli artistici elevatissimi. L'utilizzo dell'aes rude si scontrava con la necessità di dover pesare il quantitativo di bronzo a ogni scambio; su iniziativa di singoli mercanti, quindi, iniziarono a essere utilizzati getti in bronzo di forma rotonda o rettangolare che riportavano il loro valore, detti aes signatum.

La prima moneta standardizzata da parte dello stato fu l'Aes grave, introdotta con l'avvio dei commerci su mare intorno al 335 aC. La parola latina aes (aeris al genitivo) significa bronzo; da aes derivano parole come erario. Il peso dell'asse era inizialmente pari a una libbra latina (272,87 g), passando poi a una libbra romana (327,45 g). Multipli dell'asse furono il dupondio (2 assi), il tripondio (3 assi) e il decusse (10 assi). Frazioni dell'asse furono il semisse (1/2 asse), il triente (1/3 di asse), il quadrante (1/4 di asse), il sestante (1/6 di asse) e l'oncia (1/12 di asse). Con il passaggio alla monetazione al martello l'asse diventò una moneta fiduciaria, il cui valore non era cioè più legato al contenuto in metallo.

Il peso dell'asse conobbe una progressiva diminuzione, acquisendo via via il peso delle sue frazioni, con 1/2 libbra romana nel 286 aC, 1/6 di libbra nel 268 aC, 1 oncia (cioè 1/12 di libbra) nel 217 aC e 1/2 oncia nell'89 aC. L'uso del bronzo in periodo repubblicano ha termine nel 79 aC e riprenderà solo durante il principato.

Monetazione di stile greco

Le prime monete battute emesse da Roma furono alcuni didracmi d'argento e alcune monete frazionarie collegate sia in argento che in bronzo. Queste monete sono comunemente indicate con il nome di romano-campane. Erano realizzate sullo stile di quelle greche e furono coniate molto probabilmente in Campania allo scopo di facilitare il commercio con le colonie greche del sud Italia nel III secolo aC. Anche se lo stile era chiaramente greco, i tipi erano caratteristici delle civiltà italiche: Marte, Minerva, la lupa con i gemelli, Giano (divinità). L'etnico che inizialmente, secondo l'usanza greca, era "ROMANO", diventa presto ROMA, secondo le abitudini italiche.

La più famosa è conosciuta col nome di quadrigato. Presenta al diritto una testa giovanile di Giano e al rovescio Giove e la Vittoria su una quadriga da cui il nome. Le prime didracme pesavano intorno ai 7 g (7,3 - 6,8) le ultime intorno ai 6,6 g. Queste monete sono contemporanee alle emissioni di una serie di colonie e socii, tra cui Cales, Suessa, Teanum, con tipi simili, che permettono di ipotizzare accordi monetari.

Denario

La moneta d'argento che costituì l'ossatura dell'economia romana fu, però, il denario, battuto per la prima volta a Roma intorno al 211 aC. Il valore iniziale del denario era di 10 assi, pari a 1/72 di libbra (4,55 g), ed aveva come frazioni il quinario (1/2 denario) e il sesterzio (1/4 di denario). In seguito il denario fu rivalutato a 16 assi, a seguito della riduzione del valore di quest'ultimo. Il denario rimase la moneta più importante del sistema monetario romano fino alla riforma monetaria di Caracalla, all'inizio del III secolo quando fu di fatto sostituito dall'antoniniano.

Venne anche coniata un'altra moneta d'argento, il Vittoriato, con un valore pari a 3 sesterzi, di scarsa diffusione e usata quasi esclusivamente nei commerci con i Greci dell'Italia meridionale prima e con le Gallie dopo. Accanto al denario furono battute monete in bronzo: l'asse e le sue frazioni. La produzione di monete in oro (aureo) fu estremamente sporadica prima della conquista della Gallia (e delle sue miniere) da parte di Giulio Cesare.

Le prime emissioni di aurei, ricalcando anche in questo caso il sistema monetario greco per facilitare gli scambi con il sud dell'Italia e con l'oriente, si ebbero comunque nel 286 aC (con un peso per l'aureo di 6,81g) e nel 209 a.C. (con un peso di 3,41 g). I primi aurei realmente romani si ebbero nell'87 aC da parte di Silla (con un valore di 1/30 di libbra, 9,11 g), seguiti da emissioni nel 61 aC da parte di Pompeo (con un valore di 1/36 di libbra, 9,06 g), nel 48 aC da parte di Cesare (con un valore di 1/38 di libbra, 8,55 g) ed ancora nel 48 aC, sempre da parte di Cesare (con un valore di 1/40 di libbra, 8,02 g).

Monetazione imperatoriale

Il termine è usato per indicare le emissioni coniate degli ultimi anni della Repubblica romana nel periodo che precede immediatamente la nascita del principato. Il termine, non accettato da tutti, deriva dal fatto che in questo periodo di guerre civili le monete venivano emesse a nome dei generali che si combattevano tra loro in virtù del loro imperium. Si tratta quindi delle monete di Pompeo, Giulio Cesare, Bruto, Cassio, Labieno, Sesto Pompeo, Lepido, Marco Antonio e Ottaviano da soli o assieme tra loro o con altre persone.

Le monete emesse in questi anni rispecchiano l'andamento della lotta politica e delle guerre in corso. I contenuti propagandistici sono accentuati e per le prime volte sono rappresentati anche le persone viventi. Le monete di Ottaviano sono a cavallo tra questo periodo ed il periodo successivo.

Monetazione imperiale

Denarius 3.88 g struck circa 19-18 BC.

CAESAR AVGVSTVS laureate head right
DIVVS IVLIV[S] comet of eight rays with tail upward.

Anche se il denario restò l'elemento portante dell'economia romana dalla sua introduzione nel 211 aC fino al termine della sua coniazione nella metà del III secolo dC, la purezza e il peso della moneta andò lentamente, ma inesorabilmente riducendosi. Il fenomeno della svalutazione nell'economia romana era pervasivo e causato da una serie di fattori, quali la carenza di metallo prezioso, lo scarso rigore delle finanze statali e la presenza di una forte inflazione. Come detto in precedenza, il denario alla sua introduzione conteneva argento quasi puro con un peso di circa 4,5 grammi. Questi valori rimasero abbastanza stabili durante tutta la repubblica, a eccezione dei periodi bellici. Ad esempio, i denari coniati da Marco Antonio durante la sua guerra con Ottaviano erano di diametro leggermente più piccolo e con un titolo considerevolmente inferiore: il dritto raffigurava una galea e il nome di Antonio, mentre il rovescio presentava il nome delle particolare legione per la quale la moneta era stata emessa. C'è da notare che queste monete rimasero in circolazione per più di 200 anni a causa della carenza di metallo prezioso.

La prima riforma monetaria importante del periodo imperiale fu la Riforma monetaria di Augusto, che prevedeva dal 15 aC la coniazione delle monete in oro e argento controllata direttamente dall'imperatore, mentre il senato poteva decidere su delibera la coniazione dei valori minori. Per quanto riguarda le monete d'oro, ci si basava sull'aureo (1/42 di libbra romana, 7,78 g) con il quaternione come multiplo (4 aurei) e il quinario come sottomultiplo (1/2 aureo). Per le monete d'argento,rimaneva il denario (1/84 di libbra, 3,90 g) e il suo sottomultiplo quinario (1/2 denario). Per i valori minori si aveva l'asse in rame (10,90 g), i suoi multipli in oricalco, un metallo simile all'ottone, detti dupondio (2 assi) e sesterzio (4 assi); per i sottomultipli si aveva il quadrante in rame (1/4 di asse).

Durante la dinastia Giulio-Claudia (Tiberio, Caligola, Claudio, Nerone) il valore del denario rimase relativamente stabile. Nerone, invece, introdusse nel 65 dC una nuova riforma monetaria: l'aureo venne portato a 1/42 di libbra (7,28 g), mentre il denario a 1/96 di libbra (3,41 g). Alla fine della dinastia del Flavi (Vespasiano, Tito, Domiziano) Domiziano annullò la riforma di Nerone, riportando le monete ai valori della riforma di Augusto, mentre nel periodo degli imperatori adottivi (Nerva, Traiano, Adriano, Antonino Pio, Marco Aurelio) Traiano reintrodusse i valori della riforma di Nerone.

III secolo

7 Antoninianii

row 1

Elagabalus (silver 218-222 AD), Trajan Decius (silver 249-251 AD),
Gallienus (billon 253-268 AD Asian mint)

row 2

Gallienus (copper 253-268 AD), Aurelian (silvered 270-275 AD),
barbarous radiate (copper), barbarous radiate (copper)

Un'altra riforma si ebbe nel 215 per opera dell'imperatore Caracalla. Il denario, infatti, continuò il suo declino durante tutto l'impero di Commodo e di Settimio Severo. Con Caracalla l'aureo venne svalutato di nuovo, portandolo a 1/50 di libbra (6,54 g). Inoltre, sia per l'aureo che per il denario (ridotto ad avere meno del 50% di argento), vennero introdotte monete con valore raddoppiato: il doppio aureo (o binione) e il doppio denario (o antoniniano), anche se quest'ultimo non contenne mai più di 1,6 volte il contenuto d'argento del denario. Comunque, mentre l'aureo riuscì ad avere una valutazione abbastanza stabile, anche l'antoniniano conobbe la stessa progressiva svalutazione vista col denario, fino a ridursi a un contenuto d'argento del 2%.

Tra il 272 e il 275, probabilmente nel 274, Aureliano riformò nuovamente il sistema monetario romano eliminando la possibilità di coniazione locale delle monete minori per riportarle a un livello qualitativo paragonabile a quello delle altre monete. L'aureo fu portato inizialmente a 1/60 di libbra (5,54 g), ma poi il suo valore fu fissato a 1/50 di libbra (6,50 g). Per l'antoniniano si fissò un peso di 3,90 g e un titolo di 20 parti di rame e uno d'argento, rapporto indicato sulla moneta tramite il simbolo XXI in Latino o KA in Greco.

La tetrarchia

Mezzo follis di Giustiniano I (482-565)

Follis: moneta di bronzo del peso di ca. 13 g
creata da Diocleziano nella riforma monetaria del 294.

A seguito della riforma di Diocleziano, la monetazione romana cambiò radicalmente. Dato che il governo introdotto da Diocleziano si basava su di una tetrarchia, con la suddivisione dell'impero in due territori assegnati a due diversi imperatori e con due Cesari a supporto dei due reggenti, le monete iniziarono a non personificare più un singolo reggente, ma a dare un'immagine idealizzata dell'imperatore sul dritto, con il rovescio che celebrava tipicamente la gloria di Roma e la sua potenza militare. Anche dopo l'adozione del cristianesimo come religione di stato, quest'impostazione rimase abbastanza invariata: solo in poche eccezioni vennero utilizzate immagini cristiane come il chi-rho, monogramma greco per il nome Gesù Cristo. Nel 300 venne emanato un editto (l'Editto sui prezzi massimi) che fissava i prezzi massimi delle merci, con l'intento di calmierarli: i prezzi venivano espressi in denarii, anche se questa non era ormai più una moneta in circolazione. L'aureo torna a un peso di 1/60 di libbra. Si introduce una moneta in argento, detta argenteo, con un peso pari a 1/96 di libbra. Oltre ad un antoniniano con un peso di 3,90 g, fu introdotta anche una moneta in bronzo, il follis, con un peso di circa 10 g.

Ultima riforma dell'impero romano fu nel 310 quella di Costantino, che si rifaceva al sistema bimetallico di Augusto. Venne introdotto il solido d'oro, con un peso di 4,54 g pari a 1/72 di libbra, e la siliqua d'argento, di 2,27 g pari a 1/144 di libbra: il miliarense, con un valore doppio della siliqua, aveva quindi lo stesso peso del solido. Per quanto riguarda i bronzi, il follis, ormai fortemente svalutato, venne sostituito da una moneta di 3 g, detto nummus centonionalis, cioè 1/100 di siliqua. Questo sistema monetario durò fino alla fine dell'Impero d'Occidente.

Monetazione provinciale

Nell'impero romano alcune città conservarono il diritto di emettere monete proprie. Queste monete erano essenzialmente indirizzate ai commerci interni di una città o di un'area limitata. Di conseguenza le emissioni furono molto più limitate e meno regolari. Inoltre i tipi utilizzati riflettevano temi locali. Questa monetazione ci permette di conoscere particolari della vita del mondo romano altrimenti poco conosciuti.

Coniazione e ruolo della moneta

Il valore delle monete romane, e di tutte le monete antiche, era dato, a differenza delle monete attuali, dal loro valore intrinseco cioè dal valore del metallo con il quale erano realizzate. In realtà, il valore delle monete era maggiore di quello del solo metallo in esse contenute: stime del valore di un denario, ad esempio, vanno da 1,6 a 2,85 volte il suo contenuto in argento. Ovviamente, non tutte le monete in circolazione erano in metallo prezioso, per avere anche valori utilizzabili per un uso quotidiano. Nel I secolo dC, ad esempio, con un asse si poteva acquistare metà libbra di pane.

Questo, però, portava a una dicotomia tra monete con elevato valore intrinseco (sulla circolazione delle quali lo stato era particolarmente attento) e quelle che non ne avevano. Questo si può constatare, ad esempio, nella scarsa produzione di monete in bronzo dalla fine del periodo repubblicano, quando dal tempo di Silla a quello di Augusto non venne coniata nessuna moneta in bronzo; anche quando queste monete venivano poi prodotte, esse erano molto grossolane e di bassa qualità. La coniazione di monete in bronzo, infatti, venne permessa a molte autorità locali, mentre questo non avvenne per le monete in metallo prezioso. Uno dei motivi per i quali l'emissione locale di monete in bronzo era considerata di scarsa importanza per Roma, risiedeva nel fatto che le spese per lo stato erano sempre di entità considerevole e quindi venivano pagate con monete in metallo prezioso.

Oltre al riflesso economico, le monete ebbero anche un ruolo fondamentale nel diffondere nella società romana idee e messaggi tramite le iscrizioni e le immagini in esse utilizzate. La scelta delle immagini veniva delegata a dei monetari ("tresviri monetales"), giovani in attesa di diventare senatori. Questa carica, creata nel 289 aC e che durò fino alla metà del III secolo dC, prevedeva inizialmente solo tre magistrati, ma il loro numero fu portato a quattro da Giulio Cesare verso la fine delle Repubblica.

Le immagini dei primi denari consistevano di solito nel busto di Roma sul dritto e di una divinità alla guida di una biga o di una quadriga al rovescio. Il nome del magistrato monetario non appariva, anche se a volte le monete presentavano dei segni di controllo, come lettere o simboli che potevano essere utilizzati per identificare chi era responsabile di una particolare moneta. Questi simboli, poi, iniziarono a essere sostituiti da forme abbreviate del nome del magistrato e in seguito si iniziarono a utilizzare le monete per rappresentare scene della storia della famiglia dei monetari: ad esempio, Sesto Pompeio Fostulo rappresentò il suo avo Fostulo che assisteva Romolo e Remo allattati dalla lupa. Il numero di questi casi si fece sempre più ampio e con riferimenti sempre più recenti, diventando strumento di promozione delle classi in lotta per il governo delle Repubblica.

Un salto di livello nella immagini utilizzate si ebbe con l'emissione da parte di Giulio Cesare di monete con il proprio ritratto invece di quello di propri antenati. Questa impostazione venne adottata anche nel periodo imperiale, con l'immagine del capo del governo utilizzata per rafforzare l'impersonificazione nell'imperatore dello stato e delle sue regole. Successivamente, l'immagine dell'imperatore venne progressivamente associata a quella delle divinità. Ulteriore salto di livello si ebbe durante la campagna contro Pompeo, nella quale Cesare emise monete con anche immagini di Venere ed Enea, con l'obiettivo di avallare in questo modo l'ipotesi di una sua discendenza divina. Questa tendenza venne portata all'estremo da Commodo, che proclamò il suo stato divino emettendo nel 192 una moneta che raffigurava sul dritto il suo busto vestito con una pelle di leone, mentre sul rovescio un'iscrizione lo proclamava come la reincarnazione di Ercole. Ulteriore sviluppo dell'utilizzo della moneta si ebbe come legittimazione della successione al trono. Dal tempo di Augusto fino alla fine dell'impero, infatti, la rappresentazione di antenati venne sostituita da quella dei familiari e degli eredi dell'imperatore, rafforzando l'immagine pubblica di quelli che si voleva venissero considerati all'altezza dell'imperatore stesso.

Mentre il dritto continuava a riportare l'immagine dell'imperatore, si assistette a una progressiva diversificazione del rovescio delle monete per uso propagandistico. L'incisione di frasi propagandistiche, già avvenuta al termine della repubblica, durante l'impero venne spesso utilizzata in concomitanza di eventi bellici, per sottolineare l'occupazione, liberazione o pacificazione di un territorio. Alcune di queste iscrizioni erano a volte estremamente di parte, come avvenne nel 244, quando si annunciò la conquista della pace con la Persia, anche se in realtà Roma era stata costretta dai Persiani a pagare forti somme di denaro per ottenere la fine delle ostilità.

Roman currency

The main Roman currency during most of the Roman Republic and the western half of the Roman Empire consisted of coins including the aureus (gold), the denarius (silver), the sestertius (bronze), the dupondius (bronze), and the as (copper). These were used from the middle of the third century BC until the middle of the third century AD. They were still accepted as payment in Greek influenced territories, even though these regions issued their own base coinage and some silver in other denominations, either called Greek Imperial or Roman provincial coins.

During the third century, the denarius was replaced by the double denarius, now usually known as the antoninianus or radiate, which was then itself replaced during the monetary reform of Diocletian which created denominations such as the argenteus (silver) and the follis (silvered bronze). After the reforms Roman coinage consisted mainly of the gold solidus and small bronze denominations. This trend continued to the end of the Empire in the West. See also Byzantine currency.

Early currency

The first currency of Rome consisted of large irregular lumps of bronze known as aes rude, which was different from Greek currency, where initially silver was used exclusively, even for very small denominations. Ancient minting techniques caused lumps as modern coins were forced to be round. Aes rude were impractical since they needed to be weighed for every transaction; they were eventually replaced with large cast objects that were round or rectangular called aes signatum. Next came a standardized currency of cast bronze, called aes grave, based around the denomination known as the as, which weighed one Roman pound, and fractional values.

The first silver coins struck by Rome were a series of drachmae minted during the outbreak of war with Pyrrhus. The value of a drachma was equivalent to the daily wage for a skilled laborer. These coins, of the highest Greek style, were not struck in Rome, but in Neapolis, and were most likely made to facilitate trade with the Greek colonies of southern Italy. The silver coin that became the backbone of Roman economy, the denarius, was first struck in 211 BC; valued at originally at 10 asses, it was retariffed in 140 BC to 16 asses (to reflect the diminished size of the as). The use of gold in the production of coinage was originally sporadic. During the Republic, gold coins were issued only in times of great need, such as during the Second Punic War or during the campaign of Sulla. The regular mintage of the aureus, the main gold coin of the Roman Empire, began during the time of the Imperators, who required huge sums to fight their enormous wars. The aureus had a fixed value of 25 denarii. As time went on, in Rome, while the coin was 95% silver, it gradually lowered, finally to a quality of 0%. Roman coins were worth from a loaf of bread up to a new horse or lion depending on their value.

Authority to mint coins

Unlike most modern coins, Roman coins had intrinsic value. While they contained precious metals, the value of a coin was higher than its precious metal content, so they were not bullion. Estimates of the value of the denarius range from 1.6 to 2.85 times its metal content, thought to equal the purchasing power of 10 modern British Pound Sterling (comparing bread prices) and around three days' pay for a Legionnaire.

The majority of the written information about coins that survives is in the form of papyri preserved in Egypt’s dry climate. The coinage system that existed in Egypt till the time of Diocletian’s monetary reform was a closed system based upon the heavily debased tetradrachm. Although the value of these tetradrachmas can be reckoned as being equivalent in value to the denarius, their precious metal content was always much lower. Clearly, not all coins that circulated contained precious metals, as the value of these coins was too great to be convenient for everyday purchases. A dichotomy existed between the coins with an intrinsic value and those with only a token value. This is reflected in the infrequent and inadequate production of bronze coinage during the Republic, where from the time of Sulla till the time of Augustus no bronze coins were minted at all; even during the periods when bronze coins were produced, their workmanship was sometimes very crude and of low quality.

Later, during the Roman Empire, there was a division in the authority of minting coins of particular metals. While numerous local authorities were allowed to mint bronze coins, no local authority was authorized to strike silver coins. On the authority to mint coins Dio Cassius writes, "None of the cities should be allowed to have its own separate coinage or a system of weights and measures; they should all be required to use ours." Only Rome itself struck precious metal coinage, and the mint was centralized in the city of Rome during the Republic and during the early centuries of the Empire. Some Eastern provinces struck coins in silver, but these coins were local denominations that were intended to circulate and to fill only a local need. The issue of bronze coins can be interpreted to be of little value, and of little importance to the central government of Rome, since expenditures of the state were large and could be more easily paid with coins of high value. It is known that during the first century an as could only purchase a pound of bread or a litre of cheap wine (or according to Pompeiian graffiti, the services of a cheap prostitute). The importance and the need for smaller denominations for the population of Rome was probably high. Evidence of this can be seen in the numerous imitations of imperial Claudian bronzes that, although probably not authorized by Rome, appear to have been tolerated and were struck in large numbers. Since the government required coins mainly as a means to pay its army and officials, it had little impetus or desire to fulfill the need for bronze coins.

Republican iconography

Another role that coins played in Roman society, although secondary to their economic role within Roman commerce, was their ability to convey a meaning or relate an idea via their imagery and inscriptions. The interpretation of imagery featured on coins is clearly subjective, and has drawn criticism for over-interpreting minor details. The first images to appear on coins during the Republic were rather limited in diversity and generally represented the entire Roman state. The job of deciding what imagery to feature belonged to the committee of tresviri monetales ('trio of money men'), young statesmen who aspired to be senators. The position of tresviri monetales (moneyers) was created in 289 BC and lasted until at least the middle of the third century AD. Although initially there were only three, the number was increased by Julius Caesar to four during the end of the Republic.

Imagery on the earliest denarii usually consisted of the bust of Roma on the obverse, and a deity driving a biga or quadriga on the reverse. There was no mention of the moneyer’s name, although occasionally coins featured control marks such as small symbols, letters, or monograms which might have been used to indicate who was responsible for a particular coin. Eventually, monograms and other symbols were replaced with abbreviated forms of the moneyer’s name. After the addition of their names, moneyers began to use the coins to display images that relate of their family history. An example of this are the coins of Sextus Pompeius Fostulus, which feature his traditional ancestor, Fostulus, watching Romulus and Remus being suckled by a she-wolf. While not every coin issued featured references to an ancestor of a moneyer, the number of references increased and the depictions became more and more of current interest. Self-promoting imagery on coins was part of the increasing competition amongst the ruling class in the Roman Republic. The Lex Gabinia, which introduced secret ballots in elections in order to reduce electoral corruption, is indicative of the degree of competition amongst the upper class of this time period. The imagery on Republican coins wasn’t meant to influence the populace; the messages were designed for and by the elite.

Imperial iconography

The imagery on coins took an important step when Julius Caesar issued coins bearing his own portrait. While moneyers had earlier issued coins with portraits of ancestors, Caesar’s was the first Roman coinage to feature the portrait of a living individual. The tradition of putting one’s own portrait on coinage was not abandoned following the assassination of Caesar, although the imperators from time to time also produced coins featuring the traditional deities and personifications found on earlier coins. The image of the Roman emperor took on a special importance in the centuries that followed, because during the empire, the emperor embodied the state and its policies. The names of moneyers continued to appear upon the coins until the middle of Augustus’ reign. Although the duty of moneyers during the Empire is not known, since the position was not abolished, it is believed that they still had some influence over the imagery of the coins.

The main focus of the imagery during the empire, was on the portrait of the emperor. Coins were an important means of disseminating this image throughout the empire. Coins often attempted to make the emperor appear god-like through associating the emperor with attributes normally seen in divinities, or emphasizing the special relationship between the emperor and a particular deity by producing a preponderance of coins depicting that deity. During his campaign against Pompey, Caesar issued a variety of types that featured images of either Venus or Aeneas, attempting to associate himself with his divine ancestors. An example of an emperor who went to an extreme in proclaiming divine status was Commodus. In 192, he issued a series of coins depicting his bust clad in a lion-skin (the usual depiction of Hercules) on the obverse, and an inscription proclaiming that he was the Roman incarnation of Hercules on the reverse. Although Commodus was excessive in his depiction of his image, this extreme case is indicative of the objective of many emperors in the exploitation of their portraits. While the emperor is by far the most frequent portrait on the obverse of coins, heirs apparent, predecessors, and other family members, such as empresses, were also featured. To aid succession, the legitimacy of an heir was affirmed by producing coins for that successor. This was done from the time of Augustus till the end of the empire.

Featuring the portrait of an individual on a coin, which became legal in 44 BC, caused the coin to embody the attributes of the individual portrayed. Dio wrote that following the death of Caligula the Senate demonetized his coinage, and ordered that they be melted. Regardless of whether or not this actually occurred, it demonstrates the importance and meaning that was attached to the imagery on a coin. The philosopher Epictetus jokingly wrote: "Whose image does this sestertius carry? Trajan’s? Give it to me. Nero’s? Throw it away, it is unacceptable, it is rotten." Although the writer did not seriously expect people to get rid of their coins, this quotation demonstrates that the Romans attached a moral value to the images on their coins. Unlike the obverse, which during the imperial period almost always featured a portrait, the reverse was far more varied in its depiction. During the late Republic there were often political messages to the imagery, especially during the periods of civil war. However, by the middle of the Empire, although there were types that made important statements, and some that were overtly political or propagandistic in nature, the majority of the types were stock images of personifications or deities. While some images can be related to the policy or actions of a particular emperor, many of the choices seem arbitrary and the personifications and deities were so prosaic that their names were often omitted, as they were readily recognizable by their appearance and attributes alone.

It can be argued that within this backdrop of mostly indistinguishable types, exceptions would be far more pronounced. Atypical reverses are usually seen during and after periods of war, at which time emperors make various claims of liberation, subjugation, and pacification. Some of these reverse images can clearly be classified as propaganda. An example struck by emperor Philip in 244 features a legend proclaiming the establishment of peace with Persia; in truth, Rome had been forced to pay large sums in tribute to the Persians.

Although it is difficult to make accurate generalizations about reverse imagery, as this was something that varied by emperor, some trends do exist. An example is reverse types of the military emperors during the second half of the third century, where virtually all of the types were the common and standard personifications and deities. A possible explanation for the lack of originality is that these emperors were attempting to present conservative images to establish their legitimacy, something that many of these emperors lacked. Although these emperors relied on traditional reverse types, their portraits often emphasized their authority through stern gazes, and even featured the bust of the emperor clad in armor.

Further history of Roman coins

The type of coins issued changed under the coinage reform of Diocletian, the heavily debased antoninianus (double denarius) was replaced with a variety of new denominations, and a new range of imagery was introduced that attempted to convey different ideas. The new government set up by Diocletian was a tetrarchy, or rule by four, with each emperor receiving a separate territory to rule. The new imagery includes a large, stern portrait that is representative of the emperor. This image was not meant to show the actual portrait of a particular emperor, but was instead a caricature that embodied the power that the emperor possessed. The reverse type was equally universal, featuring the spirit (or genius) of the Romans. The introduction of a new type of government and a new system of coinage represents an attempt by Diocletian to return peace and security to Rome, after the previous century of constant warfare and uncertainty. Diocletian characterizes the emperor as an interchangeable authority figure by depicting him with a generalized image. He tries to emphasize unity amongst the Romans by featuring the spirit of Romans (Sutherland 254). The reverse types of coins of the late Empire emphasized general themes, and discontinued the more specific personifications depicted previously. The reverse types featured legends that proclaimed the glory of Rome, the glory of the army, victory against the "barbarians", the restoration of happy times, and the greatness of the emperor. These general types persisted even after the adoption of Christianity as the state religion of the Roman Empire. Muted Christian imagery, such as standards that featured Christograms (the chi-rho monogram for Jesus Christ’s name in Greek) were introduced, but with a few rare exceptions, there were no explicitly Christian themes. From the time of Constantine until the "end" of the Roman Empire, coins featured indistinguishable, idealized portraits and general proclamations of greatness.

Although the denarius remained the backbone of the Roman economy from its introduction in 211 BC until it ceased to be normally minted in the middle of the third century, the purity and weight of the coin slowly, but inexorably decreased. The problem of debasement in the Roman economy appears to be pervasive, although the severity of the debasement often paralleled the strength or weakness of the Empire. While it is not clear why debasement was such a common occurrence for the Romans, it's believed that it was caused by several factors, including a lack of precious metals, inadequacies in state finances, and inflation. When introduced, the denarius contained nearly pure silver at a theoretical weight of approximately 4.5 grams. The theoretical standard, although not usually met in practice, remained fairly stable throughout the Republic, with the notable exception of times of war. The large number of coins required to raise an army and pay for supplies often necessitated the debasement of the coinage. An example of this is the denarii that were struck by Mark Antony to pay his army during his battles against Octavian. These coins, slightly smaller in diameter than a normal denarius, were made of noticeably debased silver. The obverse features a galley and the name Antony, while the reverse features the name of the particular legion that each issue was intended for (it is interesting to note that hoard evidence shows that these coins remained in circulation over 200 years after they were minted, due to their lower silver content). The coinage of the Julio-Claudians remained stable at 4 grams of silver, until the debasement of Nero in 64, when the silver content was reduced to 3.8 grams, perhaps due to the cost of rebuilding the city after fire consumed a considerable portion of Rome.

The denarius continued to decline slowly in purity, with a notable reduction instituted by Septimius Severus. This was followed by the introduction of a double denarius piece, differentiated from the denarius by the radiate crown worn by the emperor. The coin is commonly called the antoninianus by numismatists after the emperor Caracalla, who introduced the coin in early in 215. Although nominally valued at two denarii, the antoninianus never contained more than 1.6 times the amount of silver of the denarius. The profit of minting a coin valued at two denarii, but weighing only about one and a half times as much is obvious; the reaction to these coins by the public is unknown. As the number of antoniniani minted increased, the number of denarii minted decreased, until the denarius ceased to be minted in significant quantities by the middle of the third century. Again, coinage saw its greatest debasement during times of war and uncertainty. The second half of the third century was rife with this war and uncertainty, and the silver content of the antonianus fell to only 2%, losing almost an appearance of being silver. During this time the aureus remained slightly more stable, before it too became smaller and more base before Diocletian’s reform.

The decline in the silver content to the point where coins contained virtually no silver at all was countered by the monetary reform of Aurelian in 274. The standard for silver in the antonianus was set at twenty parts copper to one part silver, and the coins were noticeably marked as containing that amount (XXI in Latin or KA in Greek). Despite the reform of Aurelian, silver content continued to decline, until the monetary reform of Diocletian. In addition to establishing the tetrarchy, Diocletian devised the following system of denominations: an aureus struck at the standard of 60 to the pound, a new silver coin struck at the old Neronian standard known as the argenteus, and a new large bronze coin that contained two percent silver. Diocletian issued an Edict on Maximum Prices in 301, which attempted to establish the legal maximum prices that could be charged for goods and services. The attempt to establish maximum prices was an exercise in futility as maximum prices were impossible to enforce. The Edict was reckoned in terms of denarii, although no such coin had been struck for over 50 years (it is believed that the bronze folles was valued at 12.5 denarii). Like earlier reforms, this too eroded and was replaced by an uncertain coinage consisting mostly of gold and bronze. The exact relationship and denomination of the bronze issues of a variety of sizes is not known, and is believed to have fluctuated heavily on the market.

The exact reason that Roman coinage sustained constant debasement is not known, but the most common theories involve inflation, trade with India, which drained silver from the Mediterranean world, and inadequacies in state finances. It is clear from papyri that the pay of the Roman soldier increased from 900 sestertii a year under Augustus to 2000 sestertii a year under Septimius Severus and the price of grain more than tripled indicating that fall in real wages and a moderate inflation occurred during this time.

Another reason for debasement was lack of raw metal with which to produce coins. Italy itself contains no large or reliable mines for precious metals, therefore the precious metals for coinage had to be obtained elsewhere. The majority of the precious metals that Rome obtained during its period of expansion arrived in the form of war booty from defeated territories, and subsequent tribute and taxes by new-conquered lands. When Rome ceased to expand, the precious metals for coinage then came from newly mined silver, such as from Greece and Spain, and from melting older coins. Without a constant influx of precious metals from an outside source, and with the expense of continual wars, it would seem reasonable that coins might be debased to increase the amount that the government could spend. A simpler possible explanation for the debasement of coinage is that it allowed the state to spend more than it had. By decreasing the amount of silver in their coins, Rome could produce more coins and "stretch" their budget. As time progressed the trade deficit of the west because of its buying of grain and other commodities led to a currency drainage in Rome. As a renowned collector from the 18th century once said, "Each Roman coin is a unique, yet sophisticated piece of history."

Monetazione bizantina

La monetazione bizantina è costituita dalla monete usate nell'Impero Romano d'Oriente dopo la caduta dell'Impero Romano d'Occidente ed è rappresentata principalmente da due tipi di monete: il solido (solidus) d'oro e una serie di monete di bronzo.

Storia della monetazione

La monetazione bizantina, secondo i numismatici, inizia con la riforma monetaria dell'imperatore romano Anastasio I del 498 dC, che riformò il sistema monetario del tardo impero organizzandolo intorno al solido d'oro e ai nummi di bronzo. Il nummo era una moneta di bronzo estremamente piccola (ca. 8-10 mm), poco comoda perché anche per le piccole transazioni ne era richiesta una grande quantità. Quindi furono emesse nuove monete di bronzo, multipli del nummo, come il follis, pari a 40 nummi, e altre da 20, 10 e 5 nummi. Il dritto di queste monete recava l'immagine molto stilizzata dell'imperatore, mentre al rovescio era indicato il valore della moneta con il sistema numerico greco (M=40, K=20, I=10, E=5).

L'unica moneta d'argento emessa in modo quasi regolare fu il miliarense, battuto con un titolo variabile e con un peso generalmente fra 7,5 e 8,5 grammi. Il miliarense fu coniato fin dal VI secolo, ma sembra più comune nel settimo e nel IX secolo. Accanto al miliarense fu emessa anche la siliqua, che valeva mezzo miliarense: il miliarense e la siliqua avevano un valore rispettivamente di 1/12 e 1/24 di solido. Comunque le piccole transazioni durante questo periodo erano per lo più effettuate con le monete di bronzo.

La moneta d'oro era il solido (solidus), con i suoi sottomultipli semisse (pari a 1/2 di solido) e tremisse (pari a 1/3 di solido). Il valore di un solido era di 1/72 della libbra romana, corrispondenti a 4,5 grammi. Il solido rimase la moneta standard per i commerci internazionali fino all'XI secolo, quando cominciò a essere svalutato a più riprese sotto diversi imperatori a partire dal 1030 ca. sotto l'imperatore Romano Argiro (1028 - 1034). Fino a questo periodo il titolo dell'oro era ca. .955-980.

Histamenon di Costantino VIII (960-1028)

Figlio di Romano II, gli succedette insieme col fratello maggiore Basilio II (963), alla cui morte regnò da solo dal 1025 al 1028, dimostrandosi del tutto incapace e crudele.

All'inizio del IX secolo, fu emesso un solido di tre quarti di peso in parallelo con il solido del peso pieno; con lo stesso titolo in oro, nel tentativo (fallito) di spingere il mercato ad accettare le monete sottopeso allo stesso valore delle monete di peso pieno. La moneta del peso di tre quarti fu denominata Tetarteron (greco 'quarto') e il solido di peso pieno fu denominato Histamenon. Il tetarteron fu impopolare e fu riconiato solo sporadicamente durante il X secolo.

Il solido di peso pieno era battuto a 72 in una libbra romana, approssimativamente 4,48 grammi di peso. Fu il modello per il dinar islamico (il cui nome fu anche applicato al dinar d'argento - peso ca. 1.5g - e che era battuto a imitazione del denario romano che aveva circolato ampiamente in Medio Oriente) e in seguito ispirò la monetazione veneziana e altre monetazione dell'Italia settentrionale.

Al tempo dell'imperatore Romano Diogene (1067–1071) il solido era stato svalutato fino a contenere solo il 15% di contenuto in oro. Sotto Alessio Comneno (1081–1118) il solido svalutato non fu più emesso e fu definita una coniazione in oro di titolo più alto (generalmente .900-950), comunemente denominato hyperpyron. L'hyperpyron era un po' più piccolo del solido. Rimase in circolazione regolarmente fino alla fine dell'impero Bizantino nel 1453. Comunque dopo la seconda metà del XIV secolo anche questo fu svalutato frequentemente. Dopo il 1400 la coniazione Bizantina divenne insignificante, mentre la monetazione circolante predominante era costituita oramai dalle monete italiane.

Justinian II Second Reign 705-711 AD
Solidus 4.42 g - Constantinople 705 AD

dN IhS ChS REX REGNANTIUM, facing bust of Christ.
DN IUSTINIA NUS MULTUS A, crowned facing bust, wearing loros,
holding cross potent on base and patriarchal globus with PAX.

Il sistema monetario Bizantino in bronzo cambiò nel VII secolo quando la moneta da 40 nummi (anche conosciuto come follis), ora significativamente più piccola, divenne l'unica moneta di bronzo a essere emessa regolarmente. Anche se Giustiniano II (685–695 e 705–711) tentò di ripristinare il formato del follis di Giustiniano I, il follis continuò lentamente a diminuire nel formato. Nel X secolo furono battuti i cosiddetti "follis anonimi" anziché le monete precedenti che rappresentavano l'imperatore. I follis anonimi presentavano il busto di Gesù al diritto e l'iscrizione "XRISTUS/bASILEU/bASILE", che si traduce con "Cristo, re dei re".

Più tardi furono emessi degli scifati (cioè a forma di coppa) noti come "trachi" emessi sia in elettro (oro e argento) sia un biglione (argento svalutato). L'esatto motivo per cui sono state emesse monete di questa forma non è conosciuto, anche se qualcuno teorizza che la forma serviva a impilarli meglio.

Byzantine coinage

Byzantine currency, money used in the Eastern Roman Empire after the fall of the West, consisted of mainly two types of coins: the gold solidus and a variety of clearly valued bronze coins. By the end of the empire the currency was issued only in silver stavraton and minor copper coins with no gold issue.

Iconography

Early Byzantine coins continue the late Roman conventions: on the obverse the head of the Emperor, now full face rather than in profile, and on the reverse, usually a Christian symbol such as the cross, or a Victory or an angel (the two tending to merge into one another). The gold coins of Justinian II departed from these stable conventions by putting a bust of Christ on the obverse, and a half or full-length portrait of the Emperor on the reverse. These innovations incidentally had the effect of leading the Islamic Caliph Abd al-Malik, who had previously copied Byzantine styles but replacing Christian symbols with Islamic equivalents, finally to develop a distinctive Islamic style, with only lettering on both sides. This was then used on nearly all Islamic coinage until the modern period.

Anastasius 40 nummi (M) and 5 nummi (E)The type of Justinian II was revived after the end of Iconoclasm, and with variations remained the norm until the end of the Empire. In the 10th century so-called "anonymous folles" were struck instead of the earlier coins depicting the emperor. The anonymous folles featured the bust of Jesus on the obverse and the inscription "XRISTUS/bASILEU/bASILE", which translates to "Christ, King of Kings"

Byzantine coins followed, and took to the furthest extreme, the tendency of precious metal coinage to get thinner and wider as time goes on. Late Byzantine gold coins become thin wafers that could be bent by hand. The Byzantine coinage had a prestige that lasted until near the end of the Empire. European rulers, once they once again started issuing their own coins, tended to follow a simplified version of Byzantine patterns, with full face ruler portraits on the obverse.

Denominations

The start of what is viewed as Byzantine currency by numismatics began with the monetary reform of Anastasius in 498, who reformed the late Roman Empire coinage system which consisted of the gold solidus and the bronze nummi. The nummus was an extremely small bronze coin, at about 8-10 mm, weight of 0.56 making it at 276 to the Roman pound which was inconvenient because a large number of them were required even for small transactions.

The new bronze coins called a follis weighed at 8.5 grs and were made from the multiple versions of this coin such as the 40 nummi (follis), 20 nummi, 10 nummi, and 5 nummi coins (other denominations were occasionally produced). The obverse (front) of these coins featured a highly stylized portrait of the emperor while the reverse (back) featured the value of the denomination represented according to the Greek numbering system (M=40,K=20,I=10,E=5). Silver coins were rarely produced.

The only (semi)regularly issued silver coin was the Miliaresion issued be Leo III sometime between 717 and 741, and its double Hexagram first issued by Heraclius in 615 which lasted till the end of the 6th century, minted in varying fineness with a weight generally between 7.5 and 8.5 grams. The Miliaresion was minted as early as the 6th century, but seems most common in the seventh through ninth centuries. Small transactions were conducted with bronze coinage throughout this period.

The golden solidus remained a standard of international commerce until the eleventh century, when it began to be debased under successive emperors beginning in the 1030s under the emperor Romanos Argyros (1028–1034). Until that time, the fineness of the gold remained consistent at about .955-980. The Byzantine monetary system changed during the 7th century when the 40 nummi (also known as the follis), now significantly smaller, became the only bronze coin to be regularly issued. Although Justinian II (685–695 and 705–711) attempted a restoration of the follis size of Justinian I, the follis continued to slowly decrease in size.

In the early ninth century, a three-fourths-weight solidus was issued in parallel with a full-weight solidus, both preserving the standard of fineness, under a failed plan to force the market to accept the underweight coins at the value of the full weight coins. The three-fourths weight coin was called a Tetarteron (a Greek comparative adjective, literally "fourth-er"), and the full weight solidus was called the Histamenon. The tetarteron was unpopular and was only sporadically reissued during the tenth century. The full weight solidus was struct at 72 to the Roman pound, roughly 4.48 grams in weight. There were also solidi of weight reduced by one siliqua issued for trade with the Near East. These reduced solidi, with a star both on obverse and reverse, weighed about 4.25 g. Abd al-Malik reformed the Islamic Dinar in 693, and issued gold coins of 4.25 g weight.

Alexius I reforms

By the time of the Emperor Romanos Diogenis (1067–1071) the solidus had been debased to only roughly 15% gold content. Under Alexius I Comnenus (1081–1118) the debased solidus was discontinued and a gold coinage of higher fineness (generally .900-.950) was established, commonly called the hyperpyron at 4.45 grs.

The hyperpyron was slightly smaller than the solidus. It was introduced along with the electrum aspron trachy worth a third of a hyperpyron and about 25% gold and 75% silver, the billon aspron trachy or stamenon valued at 48 to the hyperpyron and with 7% silver wash and the copper tetarteron and Noummion worth 18 and 36 to the billon aspron trachy.

Andronicus II reforms

During Andronicus II reign he instituted a some new coinage based on the hyperpyron. They were the silver miliaresion or basilika at 12 to the hyperpyron and the billon politika at 96 per hyperpyron along with the copper assaria, tournesia and follara The basilicon was a copy of the Venetian ducat and circulated since 1304 for fifty years. The hyperpyron remained in regular issue and circulation until the end of the Byzantine Empire in 1453, though after the second half of the fourteenth century it was also frequently debased. After 1400, Byzantine coinage became insignificant, as Italian money became the predominant circulating coinage. These scyphate (cup-shaped) coins known as trachy were issued in both electrum (debased gold) and billon (debased silver). The exact reason for such coins is not known, although it is usually theorized that they were shaped for easier stacking.

1367 reform

During this last phase of Byzantine coinage gold issues were discontinued and a regular silver issue was commensed. The denomination was the Stavraton issued in 1, a half, an eighth and a 16th of its value. Also issued were the copper follaro and tornesse.

Monetazione Sannitica

Per comprendere se, quando e con quali forme e modi tra le popolazioni sannitiche si introdusse l'uso di un'economia monetale, cioè se, quando e come i rapporti di scambio furono regolati attraverso la moneta, occorre indagare in due campi: da una parte quello della produzione di moneta autonoma, dall'altra quello della circolazione ossia della presenza nel territorio sannitico di moneta locale e/o straniera

Il termine iniziale del periodo cronologico preso in esame, cioè gli ultimi decenni del IV secolo aC, corrisponde alla fase di avvio nelle popolazioni italiche dell'uso della moneta coniata, fenomeno che tra le genti indigene dell'Italia antica non si verificò contemporaneamente nei vari ambiti territoriali, né con la stessa intensità, ma andò attuandosi a seconda delle dinamiche interne alla comunità e ai contatti intercorsi con l'esterno. Finanche Roma produsse le sue prime emissioni monetali in bronzo solo a partire da quegli anni che corrispondono al momento della sua espansione nel Mezzogiorno segnata dal secondo conflitto con i Sanniti. In precedenza, in maniera non dissimile da altre popolazioni italiche, i Romani avevano utilizzato come strumento dello scambio economico e misura del valore i capi di bestiame o il bronzo a peso.

Gli esiti delle guerre sannitiche e i rapporti intercorsi con Napoli e la Campania in occasione del secondo conflitto, costituirono un incisivo fattore di stimolo per una radicale trasformazione delle strutture economiche di Roma. La seconda guerra sannitica modificò anche il precedente assetto territoriale del Sannio. I contrasti presero spunto dalla fondazione nel 328 aC della colonia di Fregellae nella valle del fiume Liri, territorio laziale allora sotto il controllo sannitico, e si conclusero nel 304 quando fu stipulato un trattato tra i contendenti fortemente penalizzante per i Sanniti.

Per comprendere gli sviluppi della storia monetaria della regione occorre tenere ben presente l'assetto politico determinatosi nel territorio dopo i conflitti con Roma. I Sanniti avevano perso la valle del Liri, Teanum Sidicinum nella Campania settentrionale interna e Saticula (Sant'Agata dei Goti) in area caudina e, sul versante apulo, Luceria. Comunità diventate alleate di Roma come quelle dei Marsi, Peligni, Marrucini, Frentani e Larinum, che da allora acquisì la condizione di stato autonomo all'interno di quello dei Frentani, accerchiavano i Sanniti Pentri stringendoli in una insopportabile morsa. Inevitabilmente dopo pochi anni nel 294 aC scoppiò un nuovo conflitto a seguito del quale essi persero anche Venafro. I confini del loro stato a nord-ovest vennero quindi spostati al fiume Volturno, mentre a controllo del territorio a sud dell'Ofanto fu fondata la colonia di Venusia (291).

Dopo la guerra contro Pirro e Taranto, Roma completò l'opera di controllo del territorio fondando le colonie latine di Benevento (268) e di Aesernia (263). Se prendiamo in esame le monetazioni delle comunità campane e sannitiche sviluppatesi in tale contesto storico risulta evidente che i centri di emissione della moneta sono colonie latine o comunità alleate di Roma: è il caso di Benevento, di Aesernia, di Venafro e Telesia (a queste ultime due vengono attribuite con qualche incertezza rari esemplari in bronzo), di Cales, di Teano, di Suessa, dei Frentani e di Larino. In queste emissioni la tecnica e i tipi monetali utilizzati si ispirarono a quelli delle monete in bronzo napoletane, che come vedremo furono la valuta più attestata in circolazione nella zona nel secondo quarto del III secolo aC.

Allargando lo sguardo alla fascia alto-adriatica, anche le monetazioni di Rimini, di Atri, di Fermo, dei Vestini, e in ambito apulo di Lucera e di Venosa, che hanno invece caratteristiche formali tipiche dell'ambiente latino, furono emesse in connessione con la presenza di Roma nelle diverse aree e funzionali alle sue esigenze nei territori occupati. Emerge con chiarezza un dato: l'area geografica dell'Italia centro-meridionale, in cui è più scarsa la produzione monetale, è quella dei territori dei Sanniti Pentri, area corrispondente alla regione Samnium nella suddivisione dell'Italia di età augustea. Una possibile spiegazione va rintracciata nel tipo di relazioni intercorse tra i Sanniti Pentri e Roma. Infatti, nella prima fase della monetazione romana il volume della coniazione fu proporzionale all'entità delle spese militari e la paga dei soldati arruolati fu una delle cause principali dell'emissione di moneta. Alcune serie monetali delle colonie latine e dei centri alleati vennero coniate proprio per i contributi che essi erano tenuti a versare, in uomini e mezzi, per sostenere Roma nelle sue imprese militari: molto probabilmente, ad esempio, talune emissioni in bronzo di Neapolis e dei centri campani contrassegnate dalla sigla IS furono prodotte per contribuire al finanziamento della prima guerra punica. La scarsità di produzione monetale nel Sannio potrebbe corrispondere allora alla condizione di non alleanza con Roma.

I Sanniti Pentri non furono infatti aggiogati da Roma, e continuarono a rimanere organizzati in un'entità politica di tipo statale (in osco un touto). La comunità dei Pentri fu uno Stato con propria dignità politica: lo si deduce da una serie di indizi forniti sia dalla tradizione letteraria (non viene mai citata in occasione dei conflitti con Roma alcuna città autonoma, ma sempre l'etnico Samnites), sia da documenti epigrafici in lingua osca attestanti magistrature di tipo statale. Il nome di questo Stato in osco è "Safinim" e a documentarlo sono un'iscrizione di II secolo aC dal santuario di Pietrabbondante e una moneta coniata durante la guerra sociale, quando i Sanniti insieme alle altre popolazioni italiche si ribellarono contro Roma per acquisire a pieno titolo la cittadinanza romana. Su questa moneta ritorneremo in seguito a proposito delle emissioni del bellum sociale (91-87 aC) con cui si concluderà la nostra analisi perché gli esiti del conflitto - in seguito al quale lo stato romano allargò le sue basi per comprendere tutte le genti italiche - trasformarono totalmente l'organizzazione politica e territoriale del Sannio omologando la regione a quelle del resto d'Italia.

La più antica attestazione del nome della comunità (in osco "Safinim" e in latino "Samnium") è data però da una moneta su cui appare in lingua greca e grafia osca (nella trascrizione riportata dal Sambon è retrograda e il sigma presenta tre tratti): "Saunitàn".

Si tratta dell'unica emissione monetale, oltre quelle cui accenneremo in seguito quando tratteremo delle emissioni durante il Bellum Sociale, attribuibile allo Stato sannitico e merita, pertanto, qualche parola di commento. La moneta presenta al dritto una testa femminile ricoperta da un velo cinto sulla fronte e ricadente in pieghe dalla nuca e al rovescio la cuspide di un giavellotto (in greco "saunìon") in corona di alloro.

L'iscrizione e il gioco erudito di utilizzare come immagine monetale un oggetto dal nome rapportabile a quello dell'autorità emittente sono di impronta greca; si è ritenuto, quindi, che la moneta fu coniata da Taranto per sancire rapporti di alleanza con i Sanniti (l'ipotesi avanzata alla fine del secolo scorso dal Garrucci è stata più recentemente ripresa dal Salmon e dal La Regina).

E infatti, sebbene la moneta vada considerata a tutti gli effetti un'emissione dello Stato sannitico come indica la legenda, in essa confluiscono più elementi che mostrano influenze greche e riportano ad ambiente tarantino: innanzi tutto queste rare monetine (ne sono noti soli tre esemplari) sono oboli di peso campano in argento come quelli coniati ad Allifae e a Phistelia, due centri al confine tra il Sannio e la Campania interna, la prima corrispondente all'odierna Piedimonte di Alife, l'altra non ancora identificata (la Plistica citata da Livio IX, 21, 6 e 22, 2-11 e da Diodoro XIX, 72,3 ?).

Ma gli oboli dei Sanniti soprattutto sono avvicinabili a quelli con la leggenda "Peripòlon Pitanatàn" (= moneta dei Pitanatae al controllo della frontiera). I Perìpoloi sono un servizio di guardia ai confini, che veniva svolto come servizio militare dai giovani spartani e i Pitanatae sono una comunità di Sanniti filoelleni di origine spartana, di cui resta menzione in Strabone (V,4,12).

 Su questi oboli è riprodotta una raffigurazione tipicamente tarantina: Eracle in lotta contro il leone nemeo, immagine ripresa da più monetazioni di centri indigeni di area apula e anche da Neapolis negli anni precedenti il "foedus aequum" con Roma (326 aC) quando in talune componenti cittadine prevalse un atteggiamento filo-tarantino.

Recenti contributi storici hanno evidenziato il ruolo di Taranto nella diffusione della tradizione mirata ad attribuire un'origine spartana alle popolazioni anelleniche dell'Italia meridionale; ben documentati appaiono anche i rapporti di amicizia intercorsi tra le popolazioni sannitiche e Taranto dalla prima metà del IV secolo aC, nell'età di Archita, fino alla seconda guerra sannitica quando furono cementati dai comuni interessi anti-romani.

Le emissioni di oboli in argento delle comunità campano-sannitiche si collocano in tale contesto storico; assai abbondante fu la produzione delle serie di Allifae e di Phistelia destinata a circolare soprattutto nelle aree al confine tra la Campania e il Sannio irpino, meno cospicua quella dei Pitanatae (esemplari ne sono stati rinvenuti in Campania interna e in Apulia settentrionale), rara quella con l'iscrizione Saunitàn nota da soli tre esemplari dei quali si ignora la provenienza. Non è facile intuire la funzione di queste frazioni che costituirono negli ultimi decenni del IV secolo a.C. - a quanto pare - un nominale caratteristico delle popolazioni italiche dell'Apulia interna, del Sannio e della Campania interna. Esse non ebbero una lunga durata e questo dato, comunque, lascia intuire che le motivazioni della loro emissione poco ebbero a che fare con durature pratiche di tipo commerciale: sembrano piuttosto il riflesso dell'alleanza antiromana tra Sanniti, Taranto e Napoli prima del "foedus aequum" tra Napoli e Roma.

Per tutto il III secolo aC non conosciamo altra emissione della comunità dei Sanniti Pentri, ad eccezione di una discussa serie in bronzo con legenda in osco Akudunniad, interpretata come Aquilonia. Di centri chiamati Aquilonia in area sannitica la tradizione letteraria ne tramanda due: uno in Irpinia, l'odierna Lacedonia, l'altro nella regione dei Pentri riconosciuto da più studiosi nell'abitato rinvenuto a Monte Vairano. Le monete di Aquilonia hanno al dritto una testa di Atena con elmo corinzio e al rovescio un guerriero in piedi con la patera nella mano, in atto di svolgere un sacrificio.

La testa di Atena con capelli raccolti sulla nuca e con lo stesso tipo di elmo crestato ricorre di frequente sulle monetazioni della prima metà del III secolo delle colonie latine o dei centri alleati di Roma (Alba Fucens, Aquino, Telesia, Venafro, Cales, Suessa, Teano, Caiatia, e sul versante orientale Larino, Azetium, Butuntum, Caelia, Teate, Venusia, Luceria), più originale l'immagine del guerriero. E su di essa, infatti, si è fermata l'attenzione dei numismatici del secolo scorso che hanno proposto di riconoscere nel soldato uno dei militi della celebre legio linteata, composta da truppe scelte della mobilitazione generale seguita alla sconfitta di Sentino che fece confluire ad Aquilonia pentra quarantamila armati per ricomporre l'esercito: da ciò scaturisce l'ipotesi (a mio parere assai improbabile) che sia un'emissione prodotta nel 293, in occasione della raccolta degli eserciti. Difficilmente la moneta si ricollega alle vicende della narrazione liviana; tra l'altro per il tipo del diritto e per il peso i bronzi di Aquilonia si collocano intorno al secondo venticinquennio del III secolo aC e si inquadrano, dunque, in orbita romana ne più ne meno di quelli delle colonie latine, prodotti da una comunità ormai totalmente ridotta all'alleanza (ipotesi questa già ventilata dal Salmon).

Adriano La Regina ritiene invece che Aquilonia possa aver coniato moneta esclusivamente per motivi di mero prestigio a imitazione delle città campane in virtù del suo ruolo di capitale dello Stato sannitico, posizione che la città avrebbe assunta nei primi anni del III secolo aC, prima che il capoluogo politico, sede del senato, divenisse Bovianum la cui ripresa fu favorita dalla realizzazione della strada di collegamento tra le due colonie di Beneventum e di Aesernia. Resterebbe da chiedersi, se così fosse, come mai in un touto come quello pentro, si ritrovi una moneta con il nome di un singolo centro. I bronzi di Aquilonia presentano le medesime caratteristiche di altre due comunità sannitiche alleate di Roma, quella dei Frentani e di una serie di Larino con la legenda osca, emesse anch'esse nel secondo venticinquennio del III secolo aC. Dunque essi si inseriscono meglio, a mio parere, tra le emissioni dei centri sanniti sottomessi a Roma: Aquilonia può aver coniato allo stesso titolo di comunità come Caiatia Venafro e Telesia (che peraltro ebbero gli stessi tipi dei bronzi di Teano, Cales, Suessa: testa di Atena con elmo corinzio/Gallo).

Si tratta di centri separati dal Sannio negli anni dopo Sentino, ubicati nella fascia nord-occidentale della regione pentra, in quell'area definita dal Salmon una zona cuscinetto tra il territorio romano e quello sannita. Una collocazione di Aquilonia in tale zona, come ha proposto Capini (e non a Monte Vairano), non sarebbe in contrasto con il quadro che emerge dall'evidenza numismatica. I bronzi di Aquilonia ebbero una circolazione locale, ne sono noti esemplari da Agnone e da Carife, e lo stesso peso di quelli delle città campane (circa 6-7 grammi). Essi presentano le medesime caratteristiche delle monetazioni di altre due comunità sannite, quella dei Frentani e di una serie di Larino con la legenda osca, emesse anch'esse nei decenni centrali del III secolo aC. Sono elementi che lasciano intuire per queste emissioni sannitiche in bronzo la stessa funzione: si tratta di nominali di basso valore, mezzo di uno scambio limitato sostanzialmente all'area geografica di appartenenza. I Sanniti Pentri, se anche Aquilonia emise moneta quando era ormai una delle città controllate da Roma, non ebbero una produzione monetale autonoma.

Passando all'altro campo di indagine, quello della presenza di moneta "estera" nel Sannio, riscontriamo una conferma a quanto emerge dai dati relativi alla produzione monetale: la data iniziale di arrivo nel Sannio di un cospicuo quantitativo di moneta non risale oltre i decenni intorno alla metà del III secolo aC.

La presenza di moneta "estera " di IV secolo non sembra particolarmente significativa: in molti casi sono esemplari ancora in circolazione nel III secolo aC, rinvenuti per lo più in contesti votivi (nel santuario della Mefite nella valle di Ansanto, a Pietrabbondante, a Campochiaro, a Campo Laurelli) e anche il tesoretto ritrovato a Morcone e quello di Benevento, che pure contiene monete del IV aC, forse sono stati seppelliti in quegli anni.

I rinvenimenti monetari si infittiscono piuttosto nel secondo quarto del III secolo aC: predominano (come del resto in tutta l'Italia centro-meridionale) le monete di Neapolis e dei centri campani, attestate a Pietrabbondante, a Isernia, San Giovanni in Galdo, Campochiaro, Monte Vairano. La presenza di moneta napoletana e dei centri campani deve essere stata motivo di stimolo per le emissioni dei Frentani, di Larino, di Aquilonia che furono però, come si è visto, assai limitate proprio per la natura degli scambi che si svolgevano in territorio sannita.

Altre emissioni di pieno III secolo documentate in Sannio sono quelle delle zecche apule di Arpi, Luceria, Salapia e Teate, di Paestum, di zecche siciliane, come Siracusa e Messana: pochi esemplari per ciascuno dei centri citati, la cui presenza è piuttosto comune nei depositi votivi dei santuari italici. Nella seconda metà del III secolo aC il ruolo in precedenza svolto dalla moneta napoletana fu assunto da quella di Roma, che andò sostituendosi dappertutto alle superstiti coniazioni autonome.

Le prime monete romane giunte nel Sannio sono le cd. romano-campane del tesoretto di Benevento e quelle di Campochiaro, i bronzi fusi di Gildone, i bronzi coniati e fusi rinvenuti a Pietrabbondante, a Carife, a Isernia, in area irpina nel santuario della valle di Ansanto. Più articolato e differenziato il quadro delle presenze monetali di II secolo aC: le monete di Roma (denari e vittoriati in argento e moneta divisionale in bronzo) divenute l'unico consistente mezzo monetario circolante in tutta la penisola, sono ovviamente presenti anche nel Sannio.

Ma accanto a esse, sporadici ritrovamenti di moneta straniera attestano contatti con l'esterno, da una parte con l'altra sponda dell'Adriatico e oltre, dall'altra con la Spagna meridionale. Paradigmatica, in questo senso, la documentazione di Monte Vairano, ben illustrata da G. De Benedittis. Qui sono state ritrovate due monete di Pharos, centro situato sulla costa slava, una di Apollonia, città greca nell'attuale Albania, una della lega epirota, una di Taso, isola dell'Egeo, un bronzetto di Ebusus, l'odierna Ibiza. Quest'ultima monetina non è isolata nel Sannio, altre sono state trovate a Pietrabbondante e a Campochiaro; ma l'area nella quale esse sono maggiormente attestate è quella della Campania meridionale, tra Pompei e Sorrento.

La presenza di moneta straniera si ricollega ai traffici che si svolsero in tutto il Mediterraneo dopo la seconda guerra punica a opera dei negotiatores italici, famiglie emergenti soprattutto della Campania costiera e di Capua, ma a quanto pare anche del Sannio, i cui nomi sono attestati peraltro tra quelli dei residenti a Delo, l'isola greca al centro dei commerci mediterranei. In questo senso le poche monete straniere che documentano lo spostamento di uomini nelle due direttrici di traffico indicate, tra Occidente e Oriente, insieme con la cospicua presenza di anfore rodie e quella meno abbondante di ceramica iberica e di anfore puniche, possono considerarsi una traccia dei flussi commerciali che investirono pur se parzialmente la regione pentra causando certamente anche qui delle forti differenziazioni nell'ambito del corpo sociale. Più volte è stato segnalato che sappiamo troppo poco della realtà economica nel II secolo di questa regione, ancora vincolata a modi di produzione sostanzialmente di tipo agro-pastorale; certo però la mancanza di emissioni monetali proprie non può essere considerata come prova dell'assenza di forze economiche in grado di inserirsi in un mercato più vasto di quello locale. I traffici internazionali non presuppongono necessariamente l'uso di moneta prodotta dalle comunità interessate e meno che mai in quest'epoca quando le uniche monete di un certo valore circolanti nella penisola furono quelle romane, essendo state interrotte fin dalla seconda metà del III secolo aC le superstiti emissioni in argento delle città magno-greche.

Molti altri indizi di natura letteraria e epigrafica mostrano invece come dalla prima guerra punica, e soprattutto dopo la guerra annibalica, in Sannio si verificarono situazioni di accumulo di notevoli ricchezze da parte di esponenti delle gentes locali: è il caso dei Decitii, degli Staii, degli Egnatii, membri di aristocrazie arricchitesi per lo sviluppo delle attività produttive tradizionali collegate al bestiame e alla vendita di prodotti dell'allevamento e dell'agricoltura. Il formarsi di élites sannitiche legate da rapporti clientelari a importanti famiglie romane, attive nei commerci regionali, ma anche presenti nella rete dei traffici internazionali, lo sviluppo del latifondo e del lavoro servile, l'acuirsi di una situazione sempre più precaria delle fasce economicamente più depresse, generarono la crisi sfociata poi all'inizio del secolo successivo nella guerra sociale.

Il conflitto, al quale parteciparono i Sanniti accanto agli altri popoli italici, scoppiò per la richiesta di ottenere la cittadinanza romana, che significava condividere i vantaggi dell'alleanza con Roma e non solo sostenerne il peso. In questa occasione gli Italici insorti coniarono una gran quantitativo di moneta in argento, non - come pure è stato suggerito - per affermare le loro capacità commerciali in contrapposizione a quelle romane, ma per finanziare le enormi spese di guerra. Le monete del "Bellum Sociale" sono denari in argento, cioè il nominale tipico di Roma comunemente utilizzato in gran parte della penisola, ma presentano la legenda "ITALIA" in latino o "VITELIV" in osco e riproducono, a eccezione di una prima serie che è del tutto simile ai denari di Roma, immagini fortemente propagandistiche, esaltanti l'accordo raggiunto tra i vari popoli o la virtus degli Italici: esempio eloquente dei due temi sono la raffigurazione della scena del giuramento che consolida l'alleanza tra i rappresentanti degli otto popoli insorti e il toro sannita che sconfigge la lupa romana. Tra i denari della guerra sociale una serie emessa da C. Papio Mutilo - il valoroso generale sannita, unico tra i confederati ad assumere il titolo di imperatore ("embradur" in osco) dopo le vittorie del 90 aC - presenta al posto del nome ITALIA comprensivo di tutte le genti, il nome Safinim (= Sannio). Questa serie, datata agli anni 89-88 aC quando lo sforzo economico e militare gravò soprattutto sul Sannio, raffigura un guerriero (per La Regina da identificare con Comio Castronio, il condottiero fondatore tra il V e IV secolo aC del touto Safinim) che schiaccia sotto il piede forse le spoglie della lupa romana, accanto a lui riposa il toro sannita. La moneta rappresenta l'ultima orgogliosa affermazione da parte dei Sanniti della loro autonomia politica da Roma.

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