Conrad Gessner

Historiae animalium liber III qui est de Avium natura - 1555

De Gallo Gallinaceo

trascrizione di Fernando Civardi - traduzione di Elio Corti

406

 


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¶ Ipse semet canit, Αὐτὸς [406] αὐτὸν αὐλεῖ, ipse suimet tibicen est: proverbium conveniens cum alias tum in illos qui semetipsos laudant, qui mos est gallis gallinaceis, etiam quum e pugna se proripuerint. Plato in Theaeteto, Φαινόμενά μοι ἀλεκτρυόνος ἀγεννοῦς δίκην, πρὶν νενικηκέναι, ἀποπεδήσαντες ἀπὸ τοῦ λόγου ᾄδειν, id est, Videmur mihi ignavi galli in morem, quum ante victoriam a sermone resilierimus canere, Erasmus.

¶ Egli canta se stesso, Autòs autòn auleî, egli stesso è il flautista di se stesso: un proverbio che si addice sia ad altre circostanze che a coloro che lodano se stessi, un'abitudine che è propria dei galli, anche quando abbandonano precipitosamente un combattimento. Platone nel dialogo Teeteto scrive: Phainómená moi alektryónos agennoûs díkën, prìn nenikëkénai, apopedësantes apò toû lógou áidein, cioè, Socrate: Sembra che noi, alla stregua di un gallo vile, cantiamo vittoria prima di avere vinto, balzando giù dal ragionamento, Erasmo da Rotterdam.

¶ Ex sambuco magis canoram buccinam tubamque credit pastor ibi caesa, ubi gallorum cantum frutex ille non exaudiat, Plinius[1]. Hoc cur fiat, si modo verum est, (inquit Caelius Calcagninus in epistolicis quaestionib. lib. 2.) nemo facile dixerit. Sunt qui hoc non simpliciter, sed συμβολικῶς traditum putent, more Pythagorico, ut multum diversum quam dicitur, intelligatur. Sicut proditum est, non ex omni ligno Mercurium debere fieri: Deum non populari ritu, sed electo ac religioso colendum esse: sic non vulgari, sed remotiori Musicae incumbendum esse admonentes, non ex obvia quaque sambuco tibiam sambucenque coagmentari oportere dixerunt, et expedire ut remotiora petantur, atque inde decerpatur ubi cantus galli non obstrepat. Nam sic hodie quoque locum longe sepositum ad quem nemo adeat significantes, dicunt in eo ne gallum quidem unquam exauditum. Aut certe stridula illa atque admodum obstrepera vox galli hebetare, et stridore suo quodammodo diffindere et convellere potest penetrabilem ac fungosam sambuci materiem: utpote qua leo etiam tantae animal constantiae consternetur. Alii sunt qui eo dicto nil praeterea ostendi putent, quam sylvestrem sambucum sativae multo esse praeferendam: quod ea procul locisque abditis, haec prope inter nostra septa adolescat, Haec ille.

¶ Il pastore ritiene che dal sambuco possono essere costruite una buccina e una tromba più sonore se questo arbusto viene tagliato là dove non sente il canto dei galli, Plinio. Perché ciò accada, ammesso che sia vero (dice Celio Calcagnini nel II libro di Epistolicae quaestiones) nessuno potrebbe dirlo con facilità. Alcuni ritengono che ciò sia stato tramandato non in modo puro e semplice, ma symbolikôs allegoricamente, alla Pitagora, cosicché viene inteso in un modo molto diverso da come viene detto. Così come è stato tramandato che Mercurio non deve essere fabbricato con qualsiasi tipo di legno: un dio va venerato non in modo ordinario, ma speciale e rispettoso: così, raccomandando che bisogna mirare non a una musica ordinaria ma un po’ diversa, dissero che bisogna assemblare un flauto e una sambuca non da un qualunque sambuco che capita a tiro, e che conviene tendere alle cose un po’ diverse, e che pertanto deve essere raccolto là dove non risuona il canto del gallo. Infatti allo stesso modo anche oggi, quando vogliono indicare un luogo molto isolato dove nessuno riesce ad arrivare, dicono che nemmeno un gallo vi è mai stato udito. Perlomeno, quella voce stridula e oltremodo strepitante del gallo può indebolire e spaccare e traumatizzare in qualche modo con il suo stridore il materiale penetrabile e spugnoso di cui è costituito il sambuco: dato che anche il leone, animale di così grande coraggio, ne viene spaventato. Altri in base a quanto si è detto ritengono che non abbia bisogno di ulteriori dimostrazioni il fatto che il sambuco selvatico è molto da preferirsi a quello coltivato: in quanto il primo cresce lontano e in luoghi remoti, il secondo vicino, tra le nostre siepi. Queste le sue parole

Materies quidem sambuci mire firma traditur. constat enim ex cute et ossibus. quare venabula ex ea facta praeferunt omnibus. Quoniam vero loca sylvestria (qualia sunt in quibus gallorum cantus non auditur) sicciora sunt, ligna etiam illic sicciora solidioraque fiunt, et ex tali materia tibiam magis canoram tornari credibile est, cum unumquodque corpus eo magis sonorum sit quo siccius simul solidiusque.

In realtà il materiale che costituisce il sambuco si dice essere molto solido. Infatti è costituito dalla scorza e dalle parti dure centrali. Perciò preferiscono gli spiedi da caccia costruiti con esso rispetto a tutti gli altri. In realtà siccome le località boscose (come sono quelle in cui non si ode il canto dei galli) sono più asciutte, costì anche il legname diventa più asciutto e compatto, ed è credibile che da siffatto materiale si possa fabbricare col tornio un flauto più sonoro, dal momento che qualsiasi struttura è tanto più sonora quanto più è secca e al tempo stesso solida.

Ἀλεκτοροφωνία, id est gallicinium, apud Marcum Evangelistam[2]. Περὶ ἀλεκτρυόνων ᾠδὰς, ἀλεκτρυόνων ᾀδόντων, ὑπὸ τὸν ᾠδόν ὄρνιθα, Pollux. Κῆρυξ ὁ ἀλεκτρυών. τρίτον δὲ ᾄδει, Suidas, Τῆς νυκτὸς ἤδη περὶ δευτέραν οὔσης ὀρνίθων ᾠδὴν, Synesius in epistola. Ὄρνιθες τρίτον ἄρτι τὸν ἔσχατον ὄρθρον ἄειδον, Theocritus Idyll. 31.[3] Καθὃν καιρὸν ἀλεκτρυόνες ᾄδουσι, τοὺς συνοικοῦντας ἰδίῳ κηρύγματι ἐπὶ ἔργον ἐγείροντες, Heliodorus in Aethiopicis. Διάτορόν τι καὶ γεγωνὸς ἀναβοήσας, Lucianus[4] de gallinaceo quem et ὀξύφωνον cognominat. Ἕως ἐβόησεν ἀλέκτωρ, Homerus in Batrachomyomachia. {Ἄδειν} <ᾌδειν> verbum de gallinaceorum voce privatim usurpatur, Pollux et Eustathius. ut κοκκύζειν de cuculis, Pollux[5] et Aristophanis Scholiastes. sed Hyperides et Demosthenes de gallinaceis etiam κοκκύζειν dixerunt, Pollux. Gaza Aristotelis interpres pro hoc verbo cucurrire reddidit. Vide plura in Cuculo a. Κοκκύζειν τὸν ἀλεκτρυόνα (ἤγουν ᾄδειν ὡς αὐτῷ ἔθος) οὐκ ἀνέχονται, Cratinus[6] apud Eustathium[7]. qui et hoc Platonis Comici[8] citat, Σὲ δὲ κοκκύζων ἀλέκτωρ προκαλεῖται. Cum Nibas coccyssaverit, Ὅταν {νίβας} <Νίβας> κοκκύσῃ: proverbium[9] simillimum illi ad Graecas calendas. Tradunt in Thessalonica Macedoniae civitate vicum esse, cui nomen Nibas, ubi galli nunquam vocem {a}edant[10], (ut Nibas per synecdochen dicatur pro gallinaceis qui in eo vico sunt.) Hesychius addit (ait) nibades dici capras cristatas, ut ab iis expectetur τὸ κοκκύζειν, quod est gallinaceorum, Erasmus. Νιβάδες αἱ τοὺς λόφους ἔχουσαι αἶγες, Hesych. et Varinus. ego capras feras quae montium iuga nivosa incolunt, interpretarer, non ut Erasmus cristatas, nam et νίβα nivem[11] exponunt: et νιφόβολον, ὑψηλόν.

Alektorophønía, cioè il canto del gallo, in Marco l'evangelista. Perì alektryónøn øidàs, alektryónøn aidóntøn, hupò tòn øidòn órnitha – Intorno ai canti dei galli, dei galli che cantano, verso il canto del gallo, Giulio Polluce. Kêryx ho alektryøn. Tríton dè áidei – Il gallo messaggero. Infatti canta tre volte, lessico Suida. Tês nyktòs ëdë perì deutéran oúsës orníthøn øidën - Essendo già intorno al secondo canto notturno dei galli, Sinesio di Cirene in una lettera. Órnithes tríton árti tòn éschaton órthron áeidon – Proprio adesso i galli cantavano per la terza volta l'ultima alba, Teocrito Idillio 31 24. Kath'hòn kairòn alektryónes áidousi, toùs synoikoûntas idíøi kërýgmati epì érgon egeírontes – I galli cantano al momento opportuno, spronando al lavoro con il loro annuncio quelli che abitano nella stessa dimora, Eliodoro di Emesa in Le etiopiche o Teagene e Cariclea. Diatorón ti kaì gegønòs anaboësas – Hai gridato in modo penetrante e sonoro, Luciano a proposito del gallo cui dà l'epiteto di oxýphønon -  dalla voce acuta. Héøs eboësen aléktør – Finché un gallo cantò a voce spiegata, Omero nella Batracomiomachia.  Il verbo áidein viene usato in modo specifico per la voce dei galli, Giulio Polluce ed Eustazio di Tessalonica. Come accade per kokkýzein a proposito dei cuculi, Giulio Polluce e il commentatore di Aristofane. Ma Iperide e Demostene a proposito dei galli dissero anche kokkýzein, Giulio Polluce. Teodoro Gaza, traduttore di Aristotele, tradusse questo verbo con cucurrire – far chicchirichì. Vedi parecchi dati nel capitolo del cuculo paragrafo a. Kokkýzein tòn alektryóna (ëgoun áidein høs autôi éthos) ouk anéchontai – Non tollerano che il gallo faccia chicchirichì (cioè che canti come è suo costume), Cratino in Eustazio, il quale cita anche questo verso di Platone Comico: Sè dè kokkýzein aléktør prokaleîtai - Il gallo ti invita a cantare. Quando Nibas avrà cantato, Hótan Níbas kokkýsëi: un proverbio molto simile a quello che dice alle calende greche. Riferiscono che nei pressi della città macedone di Tessalonica vi è una località che si chiama Nibas dove i galli non cantano mai (e Nibas per sineddoche lo si dice per i galli che si trovano in quella località). Esichio di Alessandria aggiunge (dice) che delle capre fornite di ciuffo vengono dette di Nibas, in quanto ci si aspetterebbe da loro tò kokkýzein - che cantino, il che è caratteristico dei galli, Erasmo da Rotterdam. Nibádes hai toùs lóphous échousai aîges – Le capre di Nibas che hanno il ciuffo, Esichio e Guarino. Io intenderei le capre selvatiche che abitano le cime innevate dei monti, e non ciuffate come dice Erasmo, infatti riportano anche níba col significato di neve, nonché niphóbolon, hypsëlón – battuto dalla neve, cioè elevato.

Amator quidam apud Theocritum Idyllio 7. ne expectemus (inquit) amplius, ὁ δ’ὄρθριος ἄλλον ἀλέκτωρ | Κοκκύσδων νάρκαισιν (ἀπραξίαις) ἀνιηρῇσι διδοίη.

Un innamorato ai vv. 123-124 del VII idillio di Teocrito dice: non indugiamo oltre, ho d'órthrios állon aléktør | Kokkýsdøn nárkaisin (apraxíais) aniërêisi didoíë – Il mattiniero gallo, cantando, lasci un altro ai fastidiosi torpori (inattività).

Gallinacei nomina vel epitheta a cantu eius sumpta, ὀρθροβόας, κοκκοβόας, ὀρθριοκόκκυξ  et ὀλόφωνος, supra in H. a. memorata sunt. {Ὅσπερ} <σπερ> ὁ περσικὸς ὥραν πᾶσαν καναχὼν ὀλόφωνος ἀλέκτωρ.[12] Apodus, vox galli immatura et intempestiva[13], Scoppa grammaticus. est autem Graeca vox ἀπῳδὸς, id est absonus. Ἀλεκτρυόνα τὸν τοῦ Φιλίππου παραλαβὼν | Ἀωρὶ κοκκύζοντα, καὶ πλανώμενον, Heraclides apud Athenaeum[14].

I nomi o epiteti del gallo derivati dal suo canto, orthrobóas, kokkobóas, orthriokókkyx e olóphønos sono stati riportati precedentemente in H. a., pagina 402. Høsper ho persikòs høran pâsan kanachøn olóphønos aléktør - Come il gallo persiano tutto voce che strepita per un'ora intera. Apodus, la voce del gallo immatura e fuori tempo, il grammatico Lucio Scoppa. Infatti corrisponde alla parola greca apøidòs - stonante, dissonante, che non canta più -, cioè senza suono. Alektryóna tòn toû Philíppou paralabøn | Aørì kokkýzonta kaì planømenon - Catturando il Gallo di Filippo mentre cantava anzitempo e stava gironzolando, Eraclide Comico in Ateneo.

Ἐνδομάχας ἀλέκτωρ, Pindarus in Olympijs Carmine 12. id est, gallinaceus intestina et domestica praelia pugnans. Φιλονεικότεροι ἀλεκτρυόνων, id est gallinaceis pugnaciores, Erasmus ex Luciano.

Endomáchas aléktør - Il gallo che combatte in casa, Pindaro nel XII carme delle Olimpiche. Cioè, il gallo che combatte lotte intestine e domestiche. Philoneikóteroi alektryónøn, cioè, più attaccabrighe dei galli, Erasmo da Luciano.

Adde gregem cortis, cristatarumque volucrum
Induperatores, laterum qui sidera pulsu
Explaudunt, vigilique citant Titana canore,
Et regnum sibi Marte parant: quippe obvia rostris
Rostra ferunt, crebrisque acuunt assultibus iras.
Ignescunt animis, et calcem calce repulsant
Infesto: adversumque affligunt pectore pectus.
Victor ovans cantu palmam testatur, et hosti
Insultans victo, pavidum pede calcat iniquo.
Ille silet, latebrasque petit, dominumque superbum
Ferre gemit: comes it merito plebs caetera regi,
Politianus in Rustico.

Aggiungi lo stuolo del cortile, e i capi supremi degli uccelli forniti di cresta, che sbattendo le ali applaudono le stelle, e con un canto vigile chiamano il Sole figlio del Titano Iperione, e si procacciano il regno attraverso il combattimento: infatti vibrano i becchi contro i becchi, e con frequenti assalti acuiscono la loro ira. Si infiammano nello spirito e respingono il calcagno con un pericoloso calcagno: e urtano con il petto il petto che sta di fronte. Il vincitore esultando dichiara la vittoria col canto, e saltando sopra al nemico sconfitto, calpesta il pauroso col suo piede ostile. Costui se ne sta zitto e va in cerca di un nascondiglio, e si lamenta di dover sopportare un signore superbo: il resto del gruppo necessariamente si accompagna al re, Poliziano in Rusticus.

Gallus gallinaceus Ubi erat haec (olla) defossa, occepit ibi scalpur<r>ire ungulis | Circum circa, Plautus[15]. Ipse salax totam f{o}ecundo semine gentem | Implet, et oblongo nunc terram scalpur<r>it[16] ungui | Rimaturque cibos, nunc {a}edita nubila visu | Explorat cauto, Politianus in Rustico.

Il gallo: Là dove questa (la pentola) era sepolta lì cominciò a raspare tutt’intono con le unghie, Plauto. Sempre lui libidinoso riempie col seme fecondo tutto il suo harem, e ora con i lunghi artigli raspa la terra e fruga alla ricerca di cibi, ora con sguardo attento esamina in alto le nubi, Poliziano in Rusticus.

¶ Verbena quoquo modo applicata prohibet τὴν τοῦ αἰδοίου ἔντασιν, ita ut si gallus eam gustaverit, gallinas supervenire nequeat, Kiranidae interpres ut gallus gallinam non calcet, (saliat nimirum,) edendam ei verbenam dari iubet cum furfure et polenta. Idem si cinaedius[17] lapis gallo detur cum polenta, cinaedum futurum scribit. Dicunt quidam decrepitum gallum, ovum ex se generare, idque in fimo ponere absque testa, sed pelle tam dura ut ictibus validissimis resistat: atque hoc ovum fimi calore foecundari ita ut basiliscus ex eo gignatur: qui serpens sit per omnia gallo similis, sed cauda longa serpentina. ego hoc verum esse non puto, quanquam ab Hermete proditum, scriptore apud multos fide digno, Albertus. Et rursus, Basiliscos aliquando dicunt gigni de ovo galli, quod plane falsum est et impossibile. nam quod Hermes [407] docet basiliscum generare in utero (generari in fimo) non intelligit de vero basilisco, sed de elixir (elydrio) alchymico, quo metalla convertuntur.

¶ La verbena, applicata in qualunque maniera, impedisce tën toû aidoíou éntasin - la rigidità del pene, cosicché se il gallo l'avrà mangiata, non riesce ad accoppiarsi con le galline; il traduttore di Kiranide affinché il gallo non monti la gallina (cioè non le salga sopra) consiglia di dargli da mangiare la verbena con crusca e polenta d'orzo. Sempre lui scrive che se al gallo viene data una pietra cinedia con polenta d’orzo, diventerà un cinedo. Alcuni dicono che un gallo decrepito genera dentro di sé un uovo, e che lo depone nel letame senza il guscio, ma con un involucro membranoso tanto duro da resistere ai colpi più forti: e che questo uovo viene reso fecondo dal calore del letame, cosicché ne origina un basilisco: che è un serpente del tutto simile a un gallo, ma dalla lunga coda di serpente. Io ritengo che ciò non sia vero, nonostante sia stato tramandato da Ermete Trismegisto, che per molti è uno scrittore degno di fede, Alberto Magno. E aggiunge: Dicono che talora i basilischi nascono dall'uovo di un gallo, il che è falso e del tutto impossibile. Infatti quando Ermete afferma che il basilisco prende origine nell'utero (si genera nel letame) non intende il vero basilisco, bensì l'elisir (pietra chelidonia) alchemico, col quale i metalli vengono convertiti – in oro.


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[1] Naturalis historia XVI,179: Sui, sed frutectosi generis sunt inter aquaticas et rubi atque sabuci, fungosi generis, aliter tamen quam ferulae, quippe plus ligni est, utique sabuco, ex qua magis canoram bucinam tubamque credit pastor ibi caesa, ubi gallorum cantum frutex ille non exaudiat.

[2] Marco 13: 35 γρηγορεῖτε οὖν, οὐκ οἴδατε γὰρ πότε ὁ κύριος τῆς οἰκίας ἔρχεται, ἢ ὀψὲ ἢ μεσονύκτιον ἢ ἀλεκτοροφωνίας ἢ πρωΐ, 36 μὴ ἐλθὼν ἐξαίφνης εὕρῃ ὑμᾶς καθεύδοντας. 37 ὃ δὲ ὑμῖν λέγω, πᾶσιν λέγω, γρηγορεῖτε. - Vigilate ergo; nescitis enim quando dominus domus veniat, sero an media nocte an galli cantu an mane; 36 ne, cum venerit repente, inveniat vos dormientes. 37 Quod autem vobis dico, omnibus dico: Vigilate!

[3] A noi del XXI secolo di Idilli  in senso stretto ne sono noti 30 in totale. La citazione di Gessner corrisponde al verso 63 dell'idillio XXIV che reca il titolo di Hëraklískos – piccolo Eracle – che anche secondo Franco Montanari è il tilolo dell'idillio 24.

[4] Il sogno ovvero il gallo 1 - micillo Zeus in persona ti distrugga, pessimo gallo, con tutta la tua invidia e il tono penetrante della tua voce: ero ricco, in compagnia di un sogno dolcissimo, mi beavo di una beatitudine stupenda, e tu, con un grido pieno, potente, mi hai fatto svegliare, col risultato che neppure la notte sfuggo alla mia povertà, che è ben più squallida di te. (Claudio Consonni, 1994)

[5] Onomasticon 5. 89. (Lind, 1963)

[6] Cratinus Fragment 311, in Comicorum Atticorum Fragmenta (ed. by T. Kock, 3 vols., Leipzig, 1880-88). (Lind, 1963)

[7] ad Odysseam IV 10, p. 1479, 42-48.

[8] Plato Comicus, Fragment 209, in Kock, op. cit., I, 601. (Lind, 1963)

[9] Corpus Paroemiographorum Graecorum II (1851), 573. (Lind, 1963)

[10] Eliano La natura degli animali, XV, 20: Vi è una località vicino alla città di Tessalonica, in Macedonia, chiamata Nibas. I galli che vivono qui non lanciano il loro caratteristico canto, ma restano sempre silenziosi. Ed è per questo che quando una cosa è ritenuta impossibile, si cita abitualmente quel proverbio che dice: ‘avrai questo quando i galli di Nibas canteranno’. (traduzione di Francesco Maspero, 1998) -

[11] Níba dovrebbe corrispondere a nípha, accusativo di níps e usato solo all'accusativo, per esempio da Esiodo in Le opere e i giorni 535.

[12] A pagina 401 troviamo per ben due volte che la citazione è tratta da Cratino presente in Ateneo e che tale testo a causa dell'attuale Ὅσπερ è lievemente differente da quello ora citato. Ecco le citazioni di pagina 401: σπερ ὁ περσικὸς ὥραν πᾶσαν καναχών ὀλόφωνος ἀλέκτωρ, Cratinus. - Ὥσπερ ὁ περσικὸς ὥραν πᾶσαν καναχὼν ὀλόφωνος ἀλέκτωρ, Cratinus apud Athenaeum.

[13] Aldrovandi ci ha indotti col suo testo di pagina 203 alla seguente ricerca. Angelo Poliziano in una lettera del luglio 1494 a Battista Guarini (VII 33 del suo epistolario) riferisce che Giovanni Pico della Mirandola gli ha chiesto in quale modo i Greci definiscono “il verso del gallo, quando canta fuori dal tempo”. E aggiunge che Giovenale e Quintiliano ne fanno menzione. Da parte sua Poliziano comunica al Guarini che il termine greco è senz’altro apøidós, da lui trovato in autori importanti (per esempio Luciano Lexiphanes 6, De saltatione 75, Icaromenippus 17; Apollonio Discolo Syntaxis 307,14). - Per Quintiliano vedi Institutio oratoria XI 3,51: gallorum immaturo cantu. - Per Giovenale forse si tratta della Satira IX 107: quod tamen ad cantum galli facit ille secundi.

[14] Già citato a pagina 404.

[15] Aulularia 3,4,467: Ubi erat haec defossa, occepit ibi scalpurrire ungulis circum circa.

[16] Probabilmente nel rinascimento si usava scalpurire. Anche Poliziano ha scalpurit.

[17] Plinio Naturalis historia XXXVII,153: Cinaediae inveniuntur in cerebro piscis eiusdem nominis, candidae et oblongae eventuque mirae, si modo est fides praesagire eas habitum maris nubili vel tranquilli.