Conrad Gessner

Historiae animalium liber III qui est de Avium natura - 1555

De Gallina

trascrizione di Fernando Civardi - traduzione di Elio Corti

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Gallinae quae paucis incubat, triginta tantum subijciendi sunt pulli, quandoquidem generi gallinarum res infensissima est frigus, Florentinus[1]. Veruntamen servare oportet modum, neque enim debet maior esse quam triginta capitum. negant enim hoc ampliorem gregem posse ab una nutriri, Columella. Pulli autem duarum aut trium avium exclusi, dum adhuc teneri sunt, ad unam quae sit melior nutrix, transferri debent, sed primo quoque die, dum mater suos, et alienos propter similitudinem dignoscere non potest, Idem[2]. Pullos autem non oportet singulos, ut quisque natus sit, tollere, sed uno die in cubili sinere cum matre, et aqua ciboque abstinere, dum omnes excludantur. Postero die, cum grex fuerit effoetus, hoc modo deponitur. Cribro vitiario, vel etiam loliario, qui (quod) iam fuerit in usu, pulli superponantur: deinde pulegii surculis fumigentur. Ea res videtur prohibere pituitam, quae celerrime teneros interficit. Post haec cavea cum matre claudendi sunt, et farre ordaceo cum aqua incocto, vel adoreo farre vino resperso modice alendi. nam maxime cruditas vitanda est, et ob hoc tertia die cavea cum matre continendi sunt, priusque, quam emittantur, ad recentem cibum singuli tentandi, ne quid hesterni habeant in gutture: nam si vacua non est ingluvies, cruditatem significat, abstinerique debent, dum concoquant. Longius autem non est permittendum teneris evagari, sed circa caveam continendi sunt, et farina ordacea pascendi, dum corroborentur. Cavendumque ne a serpentibus adflentur, quarum odor tam pestilens est, ut interimat universos. id vitatur saepius incenso cornu cervino, vel galbano, vel muliebri capillo; quorum omnium fere nidoribus praedicta pestis submovetur.

A una gallina che ne copre pochi - pulcini, bisogna metterle sotto non più di trenta pulcini, dal momento che il freddo è una cosa assai nociva per gli appartenenti al genere Gallus, Florentino. Tuttavia bisogna porre un limite, infatti – il gruppo - non deve essere maggiore di trenta soggetti. Dicono infatti che da una sola gallina non possa venir allevata una frotta maggiore di questo numero, Columella. I pulcini nati sotto a due o tre galline, quando sono ancora dei neonati, debbono essere trasferiti a una sola che deve essere un'allevatrice piuttosto brava, e ciò deve avvenire al primo giorno di vita, quando la madre non è in grado di distinguere i suoi dagli intrusi per il fatto che si somigliano, ancora Columella. Non è buona cosa togliere i pulcini uno alla volta non appena sono nati, ma bisogna lasciarli nel nido insieme alla madre per un giorno intero, e debbono astenersi dall'acqua e dal cibo finché non sono nati tutti. Il giorno successivo, quando la nidiata sarà nata, la si sistema nel modo seguente. I pulcini vanno messi sopra a un setaccio per le veccie oppure per il loglio che è già stato usato: quindi va loro fatto un suffumigio con ramoscelli di puleggio - Mentha pulegium, mentuccia. Sembra che questa pratica impedisca la pipita che uccide molto rapidamente i soggetti in tenera età. In seguito vanno rinchiusi in una gabbia insieme alla madre e sono da nutrire con moderazione con farina di orzo cotta con acqua o con farina di frumento cosparsa di vino. Infatti bisogna evitare il più possibile un'indigestione, e perciò debbono essere tenuti nella gabbia insieme alla madre fino al terzo giorno, e prima di essere lasciati andare alla ricerca di cibo fresco, vanno palpati uno per uno per assicurarsi che nel gozzo non abbiano nulla del giorno precedente: infatti se l’ingluvie non è vuota significa che non hanno digerito: e debbono astenersi dal cibo finché non abbiano completato la digestione. Mentre sono ancora piccolini non bisogna permettere che se ne vadano in giro troppo lontano, ma bisogna tenerli intorno alla gabbia e nutrirli con farina di orzo finché non saranno diventati più robusti. Bisogna anche fare attenzione che non siano raggiunti dall'alito dei serpenti, il cui olezzo è tanto pestilenziale da ucciderli tutti quanti. Ciò lo si evita bruciando piuttosto spesso del corno di cervo, o del galbano, o dei capelli di donna; per lo più la suddetta calamità viene tenuta lontana dalle acri esalazioni di questi materiali.

Sed et curandum erit, ut tepide habeantur. nam nec calorem, nec frigus sustinent: Optimumque est {infra} <intra> officinam clausos haberi cum matre, et post quadragesimum diem potestatem vagandi fieri. Sed primis quasi infantiae diebus pertractandi sunt, plumulaeque sub cauda clunibus detrahendae, ne stercore coinquinatae durescant, et naturalia praecludant. Quod quamvis caveatur, saepe tamen evenit, ut alvus exitum non habeat: itaque pinna pertunditur, et iter digestis cibis praebetur, Columella[3]. Obijciendum pullis diebus quindecim primis mane subiecto pulvere (ne rostris noceat terra dura) polentam mistam cum nasturtii semine, et aqua aliquanto ante facta<m> intrita<m>, et ne tum deinde in eorum corpore turgescat, aqua prohibendum, Varro[4].

Ma bisognerà pure porre attenzione che rimangano al tiepido: infatti non sopportano né il caldo né il freddo. Ed è un'ottima cosa tenerli chiusi nel pollaio insieme alla madre e che abbiano la possibilità di andarsene in giro dopo quaranta giorni – dalla nascita. Ma praticamente sin dai primi giorni della loro infanzia sono da prendere in mano e rimuovere il piumino dalle natiche sotto la coda affinché, sporco di sterco, non diventi duro occludendo così la cloaca. Anche se si presta questa attenzione, tuttavia spesso accade che l'intestino non ha sfogo: e allora viene perforato con una penna, consentendo così la fuoriuscita ai cibi digeriti, Columella. Nei primi quindici giorni dà da mangiare al mattino della polenta d’orzo miscelata con semi di nasturzio e inzuppata con acqua nonché preparata alquanto prima, mettendoci sotto della polvere (affinché la dura terra non nuoccia ai becchi), e quindi, affinché non si gonfi all'interno del loro corpo, bisogna tenerli lontano dall'acqua, Varrone.

Nutrimentum quo utuntur primis quindecim diebus, est farina mista cardami semini, ac vino perfusa cum aquae fervefactae portione[5]. porri[6] etiam folia tenerrima cum caseo musteo contusa, illis porrigimus. Hordeum autem exactis duobus (sex, in Graeco codice. sed interpres mendum suspicatur[7]) mensibus offeratur, Didymus[8]. Ut nutriantur pulli, accipiens hordeaceum fermentum, id, atque etiam furfur, aqua irrorato, Democritus. Recentes pulli ubi primum in corbem coniecti sunt, statim suspenduntur in tali loco, ubi levem fumum excipiant. Alimentum autem duobus primis diebus non sumunt. Vas porro in quo illis apponitur nutrimentum, fimum bubulum in se contineat, (βολβίτῳ κλεῖε, bubulo stercore claudatur, ut Cornarius vertit,) Didymus. Asininum sive equinum stercus, in vasa capacia iniicito, ex quo decem diebus exactis nascentur vermes pullorum nutricationi percommodi, Democritus.

Il nutrimento di cui si servono nei primi quindici giorni consiste in farina mischiata a semi di crescione e inzuppata di vino insieme a una dose equivalente di acqua bollente. Offriamo loro anche delle foglie molto tenere di porro pestate insieme a formaggio fresco. Ma passati due mesi (sei, nel codice greco, ma il traduttore sospetta si tratti di un errore) si dia dell’orzo. Didimo - un geoponico. Per nutrire i pulcini, prendi dell'orzo fermentato e irroralo con acqua insieme a della crusca,  Bolos di Mendes. I pulcini appena nati, non appena sono stati messi in una cesta, vengono subito sospesi in un luogo in cui possano ricevere un fumo tenue. Ma nei primi due giorni non assumono cibo. Inoltre il recipiente nel quale viene loro dato il nutrimento deve contenere dello sterco bovino (bolbítøi kleîe, deve essere tappato con sterco bovino, come traduce  Janus Cornarius), Didimo. Metti dentro a dei grossi recipienti dello sterco d’asino oppure di cavallo, dal quale, trascorsi dieci giorni, nasceranno dei vermi molto adatti per nutrire i pulcini, Bolos di Mendes.

Quando de clunibus coeperint habere pinnas, e capite, et e collo eorum crebro eligendi pedes. Saepe enim propter eos consenescunt. Circum caveas eorum incendendum cornu cervinum, ne qua serpens accedat: quarum bestiarum ex odore solent interire. Prodigendi in solem et sterquilinium, ut se volutare possint, quod ita alibiliores fiunt. Neque pullos tantum, sed omne ὀρνιθοβοσκεῖον cum aestate, tum utique cum tempestas est, molle, atque apricum eligi debet intento supra rete, quod prohibeat eas extra septa volare, et in eas involare extrinsecus accipitrem, aut quid aliud. Evitare item caldorem, et frigus oportet, quod utrunque his adversum. Cum iam pinnas habebunt, consuefaciendum, ut unam aut duas gallinas sectentur. Caeterae ut potius ad pariendum sint expeditae quam in nutricatu occupatae, Varro[9]. Ut pulli multum et cito crescant: Testas e quibus emerserunt pulli, tunica interiore dempta, contritas, cum sale et ovo cocto duro miscebis, et pullis primi alimenti loco appones, Innominatus.

Quando dalle natiche cominceranno a spuntare le piume, frequentemente i pidocchi vanno loro tolti dalla testa e dal collo. Spesso infatti a causa di essi si indeboliscono. Intorno ai loro recinti bisogna dar fuoco a del corno di cervo affinché in qualche modo non ci entri un serpente: a causa dell'odore di questi animali sono soliti morire. Si deve mandarli al sole e nel letamaio affinché possano rotolarsi, in quanto in questo modo vengono allevati meglio. E non solo i pulcini, ma tutto quanto il pollaio, sia d'estate, sia  specialmente quando fa brutto tempo, si deve scegliere un luogo lievemente ondulato ed esposto al sole stendendovi sopra una rete che impedisca a questi uccelli di volare fuori dai recinti, e che da fuori voli loro addosso uno sparviero o qualcos'altro. Parimenti è necessario evitare il calore e il freddo, in quanto ambedue sono loro nocivi. Quando avranno già le penne, bisognerà abituarli a seguire una o due galline. Affinché le altre siano libere a deporre uova anziché occupate nell'allevarli, Varrone. Affinché i pulcini crescano parecchio e in fretta: Dopo aver rimosso la membrana interna, mescolerai i gusci triturati dai quali i pulcini sono usciti con sale e uovo duro cotto, e li darai da mangiare ai pulcini come primo alimento, un autore anonimo.

¶ Servatio ovorum. Ova in lomento servari utilissimum, Plinius[10]. aut hyeme in paleis, aestate in furfuribus, Idem et Leontinus. Ut primum emissa sunt ova, statim reponenda sunt in vasis cum furfure, Florentinus. Qui ova diutius servare volunt, perfricant sale minuto, aut muria: atque ita sinunt tres aut quatuor horas, eaque abluta condunt in furfures aut acus, Varro[11]. Aliqui aqua abluentes ova, ea sale minutissimo inducunt, (καταπλάττουσι, malim καταπάττουσι, id est conspergunt,) et sic conservant. Nec desunt qui tres horas aut quatuor, ova ipsa in tepidam salsuginem infundentes, eaque postea eximentes in furfure aut paleis reponunt, Leontinus. Ovorum quoque longioris temporis custodia non aliena est huic curae: quae commode servantur per hyemem, si paleis obruas, aestate si furfuribus. Quidam prius trito sale sex horis adoperiunt: deinde eluunt, atque ita paleis, aut furfuribus obruunt: nonnulli solida, multi etiam fresa faba coaggerant; alii salibus integris adoperiunt. Alii muria tepefacta durant. Sed omnis sal quemadmodum non patitur putrescere, ita minuit ova, nec sinit plena permanere, quae res ementem deterret. Itaque ne in muriam quidem qui dimittunt, integritatem ovorum conservant, Columella[12] et Leontinus. Sale exinaniri creduntur, Plinius[13]. Ova recentiora quidam servari aiunt frumenti genere quod secale vocant, nostri roggen: vel cinere, ita ut acutior pars ovi inferior sit, tum rursus secale aut cinerem superinfundunt.

Conservazione delle uova. È molto utile che le uova vengano conservate in farina di fave, Plinio. Oppure nella paglia in inverno, d'estate nella crusca, ancora lui e Leontino – un geoponico. Le uova, non appena sono state deposte, sono subito da mettere in vasi con della crusca, Florentino. Coloro che vogliono conservare le uova più a lungo le sfregano con del sale fine oppure con della salamoia: e le lasciano così per tre o quattro ore e dopo averle lavate le dispongono nella crusca oppure nella pula, Varrone. Alcuni, lavando le uova con acqua, le ricoprono con sale finissimo (katapláttousi – le spalmano, preferirei katapáttousi, cioè, le cospargono) e le conservano così. Nè mancano quelli che tenendo a bagno le uova per tre o quattro ore in acqua salata tiepida, e quando poi le tolgono le ripongono nella crusca o nella paglia, Leontino. Anche la conservazione delle uova per un tempo piuttosto lungo non è estranea al seguente modo di prendersene cura: esse si conservano bene durante l'inverno se le ricopri con la paglia, in estate con la crusca. Alcuni dapprima le ricoprono per sei ore con sale fine: quindi le lavano e poi le ricoprono con paglia o crusca: alcuni le ammonticchiano con fave intere, molti anche con fave macinate, altri le ricoprono con sale grosso. Altri le fanno indurire con salamoia tiepida. Ma qualsiasi tipo di sale, così come non lascia imputridire le uova, allo stesso modo le riduce di peso e non permette che rimangano piene, e ciò allontana chi deve comprarle. Pertanto neppure coloro che le mettono in salamoia conservano l’integrità delle uova, Columella. Alcuni dicono che le uova più recenti vanno conservate con un tipo di frumento che chiamano segale, i nostri la chiamano Roggen: oppure con della cenere, in modo tale che la parte più appuntita dell'uovo si trovi in basso, quindi vi mettono sopra ancora della segale o della cenere.

 

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[1] Questa citazione è tratta dalla traduzione dei Geoponica di Andrés de Laguna (1541). La traduzione di Janus Cornarius (1543) è molto più decifrabile e suona così: Et tamen ei quae paucos pullos habet, non plures quam triginta summittantur.

[2] De re rustica VIII,5,7: Pulli autem duarum aut trium avium excusi, dum adhuc teneri sunt, ad unam quae est melior nutrix transferri debent, sed primo quoque die, dum mater suos et alienos propter similitudinem dinoscere non potest. Verumtamen servari oportet modum, neque enim debet maior esse quam triginta capitum. Negant enim hoc ampliorem gregem posse ab una nutriri.

[3] De re rustica VIII,5,15-20: Pullos autem non oportet singulos, ut quisque natus sit, tollere, sed uno die in cubili sinere cum matre et aqua ciboque abstinere, dum omnes excudantur. Postero die, cum grex fuerit effectus, hoc modo deponatur: [16] cribro viciario vel etiam loliario, qui iam fuerit in usu, pulli superponantur, deinde pulei surculis fumigentur. Ea res videatur prohibere pituitam, quae celerrime teneros interficit. [17] Post hoc cavea cum matre cludendi sunt, et farre hordeaceo cum aqua incocto vel adoreo farre vino resperso modice alendi. Nam maxime cruditas vitanda est. Et ob hoc iam tertia die cavea cum matre continendi sunt, priusque quam emittantur ad recentem cibum, singuli temptandi ne quid hesterni habeant in gutture. Nam nisi vacua est ingluvies, cruditatem significat, abstinerique debent dum concoquant. [18] Longius autem non est permittendum teneris evagari, sed circa caveam continendi sunt et farina hordeacea pascendi, dum corroborentur; cavendumque ne a serpentibus adflentur, quarum odor tam pestilens est ut interimat universos. Id vitatur saepius incenso cornu cervino vel galbano vel muliebri capillo, quorum omnium fere nidoribus praedicta pestis summovetur. [19] Sed et curandum erit ut tepide habeantur, nam nec calorem nec frigus sustinent. Optimumque est intra officinam clausos haberi cum matre, et post quadragesimum diem potestatem vagandi fieri. Sed primis quasi infantiae diebus pertractandi sunt, plumulaeque sub cauda clunibus detrahendae, ne stercore coinquinatae durescant et naturalia praecludant. [20] Quod quamvis caveatur, saepe tamen evenit ut alvus exitum non habeat. Itaque pinna pertunditur, et iter digestis cibis praebetur.

[4] Rerum rusticarum III,9,13: Obiciendum pullis diebus XV primis mane subiecto pulvere, ne rostris noceat terra dura, polentam mixtam cum nasturtii semine et aqua aliquanto ante factam intritam, ne tum denique in eorum corpore turgescat; aqua prohibendum.

[5] La traduzione di Janus Cornarius di questo passo dei Geoponica (1543) suona in modo alquanto diverso da quella di Andrés de Laguna (1541) circa le modalità di preparazione del cibo. Infatti Cornarius dice: Cibum quidem quindecim diebus capiunt, polentam cum nasturtii semine vino et aqua macerato, aut etiam cocto.

[6] Vedi il lessico alla voce Aglio e Cipolla. - Dell’impiego del porro di Taranto ne parla Columella quando detta le regole alimentari dei pulcini di pavone. Il porro di Taranto è il Porrum sectivum di De re rustica XI 3.30 (cfr. anche X 371), di cui si mangiavano solo le foglie, e veniva indicato per le affezioni polmonari, per la gola e per la tosse: Nerone ne faceva una cura regolare, all’olio, per la sua voce (cfr. Plinio, XIX 108). Ecco il testo di Columella relativo ai pulcini di pavone, De re rustica VIII,11,14: Sed cum erunt editi pulli, similiter ut gallinacei primo die non moveantur, postero deinde cum educatrice transferantur in caveam. Primisque diebus alantur hordeaceo farre vino resperso, nec minus ex quolibet frumento cocta pulticula et refrigerata. Post paucos deinde dies huic cibo adiciendum erit concisum porrum Tarentinum et caseus mollis vehementer expressus. nam serum nocere pullis manifestum est.

[7] Il codice greco di Didimo potrebbe essere stato esatto, cioè indicare 6 mesi e non 2. Infatti Columella a proposito dei pulcini di pavone, che vanno nutriti come quelli di gallina, dice che l’orzo lo si dà loro al sesto mese quando si smette di nutrirli con cavallette (De re rustica VIII,11,15): Lucustae quoque pedibus ademptis utiles cibandis pullis habentur. Atque his pasci debent usque ad sextum mensem, postmodum satis est hordeum de manu praebere.

[8] Didimo di Alessandria, vissuto presumibilmente nel sec. VI dC, la cui opera - Περὶ γεωργίας ἐκλογαί - servì come fonte alla Geoponica che ci è stata tramandata, per esempio, dal codice marciano 524 (della Biblioteca Marciana o biblioteca nazionale di Venezia), sotto il nome di Cassiano Basso (in realtà una compilazione bizantina del sec. X, realizzata per iniziativa dell’imperatore Costantino VII Porfirogenito). La prima edizione moderna, con traduzione latina e commento, si deve a I.N.Niclas, 1781. § L'aggettivo greco dídymos significa duplice, doppio, nonché gemello. Il plurale sostantivato indica non solo due fratelli gemelli, ma anche i testicoli. Infatti l'epididimo è quella formazione allungata situata sulla parte postero-superiore del testicolo che costituisce la porzione iniziale delle vie spermatiche, per poi continuarsi nel condotto deferente.

[9] Rerum rusticarum III,9,14-15: Qua de clunibus coeperint habere pinnas, e capite, e collo eorum crebro eligendi pedes; saepe enim propter eos consenescunt. Circum caveas eorum incendendum cornum cervinum, ne quae serpens accedat, quarum bestiarum ex odore solent interire. Prodigendae in solem et in stercilinum, ut volutare possint, quod ita alibiliores fiunt; [15] neque pullos, sed omne ornithoboscion cum aestate, tum utique cum tempestas sit mollis atque apricum; intento supra rete, quod prohibeat eas extra saepta evolare et in eas involare extrinsecus accipitrem aut quid aliud; evitantem caldorem et frigus, quod utrumque iis adversum. Cum iam pinnas habebunt, consuefaciundum ut unam aut duas sectentur gallinas, ceterae ut potius ad pariendum sint expeditae, quam in nutricatu occupatae.

[10] Naturalis historia X,167: Ova aceto macerata in tantum emolliuntur, ut per anulos transeant. Servari ea in lomento aut hieme in paleis, aestate in furfuribus utilissimum. Sale exinaniri creduntur.

[11] Rerum rusticarum III,9,12: Qui haec volunt diutius servare, perfricant sale minuto aut muria tres aut quattuor horas eaque abluta condunt in furfures aut acus.

[12] De re rustica VIII,6,1-2: Ovorum quoque longioris temporis custodia non aliena est huic curae; quae commode servantur per hiemem, si paleis obruas, aestate, si furfuribus. Quidam prius trito sale sex horis adoperiunt, deinde eluunt, atque ita paleis ac furfuribus obruunt. Nonnulli solida, multi etiam fresa faba coaggerant, alii salibus integris adoperiunt, alii muria tepefacta durant. [2] Sed omnis sal, quemadmodum non patitur putrescere, ita minuit ova, nec sinit plena permanere, quae res ementem deterret. Itaque ne in muriam quidem qui demittunt, integritatem ovorum conservant.

[13] Naturalis historia X,167: Ova aceto macerata in tantum emolliuntur, ut per anulos transeant. Servari ea in lomento aut hieme in paleis, aestate in furfuribus utilissimum. Sale exinaniri creduntur.