Vol. 3° - XII.

Pelle e strutture correlate








1. cute

1.1. Vesciche al petto

Vesciche al petto

Poligenico  
Gruppo di associazione sconosciuto

Quest’anomalia è comune nei broilers, sui quali incide in percentuale diversa a seconda del peso, del sesso e dell’impiumamento del petto; come in quest’ultima caratteristica, anche per le vesciche sono implicati fattori di tipo genetico, e verosimilmente siamo di fronte a un tratto poligenico.

1.2. Ittiosi con disidratazione

dehy - dehydrated ichthyosis

Autosomico recessivo  
Gruppo di associazione sconosciuto

Ittiosi deriva dal greco ichthýs, che significa pesce, e si tratta di una discheratosi della cute che appare secca e finemente desquamante. Alla schiusa i pulcini hanno un piumino che sembra fil di ferro e sulla schiena si trovano chiazze di cute bianca, ispessita e desquamante. L’epidermide è quattro volte più spessa della norma, e nel giro di una settimana la desquamazione si estende ai tarsi, al ventre, al becco e agli occhi. Con la perdita delle dita si instaura una zoppia. Quest’anomalia della cute persiste sino all’età adulta. I soggetti si presentano allora ricoperti di chiazze ispessite e desquamanti, con una sopravvivenza che non supera il 40%.

Studiando lo sviluppo embrionale, si è potuto mettere in evidenza che le prime modificazioni istologiche compaiono al 19° giorno e che a livello della cute la moltiplicazione cellulare è da 2 a 3 volte più intensa rispetto all’embrione normale. Essendo questo tratto derivato da un ceppo dotato di un difetto genetico denominato deidratato, completamente letale, è stata conservata questa denominazione per il simbolo del gene.

1.3. Sclerodermia

sd - scleroderma

Autosomico recessivo, forse associato a geni modificatori  
Gruppo di associazione sconosciuto

La sclerodermia, o sclerosi sistemica progressiva, è una malattia su base autoimmune, dovuta cioè al fatto che l’organismo aggredisce se stesso producendo anticorpi diretti contro i normali costituenti tissutali. Ne deriva un processo infiammatorio cui fa seguito un indurimento della pelle e degli organi per aumento del connettivo fibroso che va a colmare le lacune in cui si è svolta la flogosi. In altre parole, dove si è verificata l’infiammazione si instaura un processo riparativo cicatriziale. Questa mutazione del pollo è estremamente utile agli studiosi impegnati nel trovare una soluzione all’identico problema umano.

Quando si ebbero le prime descrizioni di questa malattia si parlava di un fenotipo autosdoppiante, in quanto la cresta dei pulcini, all’età di 2-3 settimane, va incontro a ipertrofia per poi cadere in necrosi parziale. Il risultato finale è una cresta per così dire doppia. Durante le prime 6 settimane, oltre a questa progressiva involuzione della cresta ipertrofica, si instaura una fibrosi del derma e una poliartrite distale. Circa il 40% dei soggetti muore entro i 2 mesi a causa di infezioni sovrapposte che si impiantano a livello della cresta e delle dita. I pulcini più longevi sviluppano una rigidità dell’esofago dovuta a fibrosi, nonché un’infiltrazione mononucleare del cuore e dei reni associata a chiusura dei piccoli e medi vasi sanguigni. Gli esami ematologici mettono in evidenza il fattore reumatoide, anticorpi antinucleo e anticollagene.

2. capo

2.1. Ciuffetto alle orecchie

Et - ear tufts

Autosomico dominante  
Gruppo di associazione sconosciuto

Abbiamo già accennato a questa caratteristica nella sezione storica di questo trattato, quando abbiamo discusso il problema dell’origine del pollo in Sudamerica (vol.I - VIII.12 - IX). L’Araucana è unica sotto molteplici aspetti, non solo per le uova blu, ma anche per il caratteristico ciuffetto alle orecchie, costituito da un’appendice cutanea coperta di piume che si proietta ai lati del capo e che è posto in vicinanza del meato uditivo. L’Araucana è stata ammessa solo di recente nello Standard Inglese, ed esistono delle differenze tra lo standard Inglese, Tedesco e Americano, per cui i diversi allevatori hanno preferenze personali circa la forma del ciuffetto.

La natura si sbizzarrisce non solo nel determinare un aspetto più o meno piacevole di questo fenotipo, ma anche nell’offrirci variazioni estreme. Infatti il ciuffetto può essere sia mono che bilaterale, può variare nelle dimensioni, nel modo di proiettarsi del peduncolo cutaneo, nonché riguardo al punto di origine del peduncolo.

L’espressione di questo gene è pleiotropica, in quanto determina un rimaneggiamento strutturale dell’orecchio. Il meato acustico esterno ha una forma molto irregolare e il condotto uditivo è di lunghezza ridotta oppure è completamente assente. Studi sull’embrione hanno messo in evidenza che le anomalie anatomiche derivano da una fusione incompleta dell’arco ioideo con l’arco mandibolare, e, per questa mancata fusione, il meato uditivo può variare da un largo buco a livello della gola fino a una stretta fessura, responsabili del diverso sviluppo del ciuffetto.

Ralph G.Somes Jr. in The Journal of Heredity (1978) scriveva così: “Attualmente l’Araucana è una razza morfologicamente molto eterogenea e il suo standard non è universalmente accettato. L’unico tratto comune a tutte le varietà, e che distingue questa razza dalle altre, è il colore blu delle uova. Le altre caratteristiche inabituali che le vengono associate sono la mancanza di coda e il ciuffetto alle orecchie. La presenza o l’assenza di una o di ambedue queste caratteristiche è apparentemente opzionale per il make-up della razza. Il ciuffetto alle orecchie è espressione dello stato eterozigote di un singolo gene dominante autosomico. Da notare che, se è allo stato omozigote, agisce in senso letale prenatale in quasi tutti i soggetti. Se eterozigote pare si comporti come letale nella fase prenatale in circa il 20-42%.”

Solo raramente un soggetto con genotipo Et/Et riesce a sfuggire agli effetti letali del gene. Gli embrioni di questo tipo muoiono per lo più tra il 17° e il 19° giorno, e solo pochissimi riescono a uscire dal guscio, per poi morire in capo a una settimana. Un corollario pratico per l’allevatore: evitare di accoppiare due soggetti col ciuffetto se si vuole avere una percentuale di schiusa accettabile.

3. CRESTA

Gallo con cresta semplice – 1882/1914
xilografia dell'artista inglese Allen William Seaby (1867-1953)

Testo ripreso e adattato dal Giornale degli Allevatori - 1914

La cresta, oggetto di particolare attenzione sia da parte dell’allevatore che del giudice, ha un indubbio valore estetico. Ma essa non si limita ad appagare un occhio alla ricerca del bello, in quanto è un’incontestabile spia dello stato di salute del soggetto. Per non parlare di coloro che vorrebbero indossarla come cimiero durante i sollazzi d’alcova, nella speranza di emulare le doti amatorie del gallo. Un gallo che ne sia ben dotato, avrebbe anche un’altra caratteristica, non troppo gradita all’Uomo dei nostri tempi: un’elevata capacità fecondante.

I soggetti malaticci mostrano una cresta pallida, in certi casi nerastra, talora coperta di chiazze bianche. Di pari passo vanno i bargigli, indicando talora un’anemia o una cattiva nutrizione, cui si può porre rimedio con una razione generosa e con un tonico ferruginoso, nonché con una buona ventilazione del pollaio e un supplemento d’aria ossigenata. Questi provvedimenti danno presto un miglioramento sensibile.

Le malattie del fegato, o la cattiva digestione, fanno cambiare il colore della cresta da rosso a porpora. Generalmente la causa risiede nella somministrazione di cibi troppo ricchi di amido e nella mancanza d’esercizio. Una dieta esclusiva in frumento è un buon rimedio, ed è bene tenere a mente che i volatili crescono meglio se si dà loro solo un pastone al giorno e con moderazione.

Un poco di sale inglese nell’acqua renderà buoni servigi, come pure la verdura (incluse le cime di cipolla) e un’abbondanza di grit (la sabbia tagliente). La mancanza di grit e le creste malate si danno la mano, e se il ventriglio, che è la macina del pollo, manca di grit, il fegato e gli organi digestivi peggiorano in breve tempo. In molte covate la tendenza all’insufficienza epatica comincia dal giorno della nascita, perché i pulcini sono stati nutriti troppo presto con cibi molli invece che con grit fine, il quale dovrebbe essere il primo pasto dei neonati.

Le creste che danno segni di scorbuto per mancanza di vitamina C, sono spiacevoli alla vista, mentre il favus, o cresta bianca [1] , è molto distruttivo nei pollai. Essendo molto contagioso, si sparge molto rapidamente. Trattamento ideale è un po’ di iodio, non sotto forma di tintura, che è irritante, ma uno iodio lavabile, tipo Betadine.

Le creste gelate si possono prevenire sfregandole di quando in quando con vaselina, cui è stata aggiunta un po’ di glicerina e di trementina. È senza dubbio che il gelo attacca indirettamente l’ovaio attraverso le creste: per questa ragione le galline con piccola cresta sono le migliori fetatrici invernali.

Durante la muta, spesso la cresta si ritira a metà della sua precedente grandezza. Quando il nuovo piumaggio è completo, e il vigore ritorna, la cresta riprende le dimensioni primitive per il normale flusso di sangue.

La cresta con larga base d’impianto è una buona prova di fecondità e vigore nel gallo, visto che si ottengono raramente pulcini forti e vigorosi da un gruppo ove il gallo ha la cresta piccola.

I galletti seguono il padre e le pollastre la madre nella forma della cresta, secondo quanto affermano gli scrittori. Ma l’esperienza degli allevatori dice che la gallina ha più influenza del gallo.

3.1. Cresta semplice, presenza di cresta

Bd+ - allele of bd

Autosomico dominante? Poligenico?
Gruppo di associazione sconosciuto

Qualunque razza dotata di cresta, che non sia quindi la Breda, possiede questo allele. Il gene della cresta semplice è indispensabile affinché possa svolgersi l’azione degli altri geni attivi sulla cresta. Per comodità ho adottato il simbolo Bd+ suggerito da Ab-der-Halden.

La cresta semplice è quella di tipo selvatico, dentellata, come dimostrano numerosi studi di genetica, ed è posseduta da tre specie di Galli della giungla: gallus, sonnerati, lafayettei. È costituita da una lamina singola che decorre per tutta la lunghezza della testa, dotata di un numero variabile di dentelli. Anatomicamente è composta da limbo, denti e lobo.

Le dimensioni della cresta semplice variano da una razza all’altra, ma è abbastanza stabile nel contesto di ogni singola razza, per cui si può pensare a uno stretto controllo genetico. Molte razze a cresta semplice, specialmente le giganti, hanno una cresta relativamente piccola; le razze mediterranee, come altre razze, sono dotate di una cresta proporzionalmente più grande, talora tanto voluminosa da essere pendula.

Axelsson (1933) ha quantificato queste differenze, riportando per la Rhode Island una superficie di soli 389 mm², mentre nella Livorno raggiunge 1.321 mm². Esistono altri fattori, oltre a quelli genetici, in grado di influenzare le dimensioni della cresta semplice. Innanzitutto, credo che qualsiasi allevatore sia conscio del fatto che un allevamento intensivo è in grado di aumentarne il volume, e ciò dovrebbe rientrare tra le espressioni indicative di buona salute e di congrua alimentazione.

Domm, nel 1930, ha fatto notare come le dimensioni sia della cresta che dei bargigli vengano influenzate in proporzione inversa alla quantità di luce che il soggetto riceve. Egli ha ipotizzato che il pollo utilizza la dose necessaria di raggi luminosi solo mediante cresta e bargigli, che si accrescono per compensare una luce solare scarsa. Non so come possa essere valida questa supposizione, visto che il Bankiva, che vive nel folto della foresta, ha una cresta proporzionalmente piccola, mentre le razze mediterranee, inondate di sole, presentano creste spesso spropositate, quasi antiestetiche, nonché bargigli tanto lunghi da ricordare lo scroto di un toro.

Nel 1943 Lamoreux condusse una serie d’esperimenti coi quali fu in grado di dimostrare che aumentando la temperatura da 14°C a 33°C viene triplicata la dimensione della cresta semplice. Pertanto, se un allevatore desidera una cresta dalle proporzioni ideali, dovrebbe accertarsi che le condizioni d’allevamento siano corrette. Se vogliamo abbozzare un’interpretazione finalistica, nell’aumento della superficie della cresta potremmo scorgere una più rapida termoregolazione.

Lo standard richiede una cresta semplice a 5 punte, ma sono frequenti variazioni in più o in meno. A tale proposito, si ritiene siano implicati fattori multipli. Inoltre, il locus He+, che modifica la cresta a rosa, è in grado di influenzare il numero di punte della cresta semplice.

3.2. Assenza di cresta

bd - Breda comb

Autosomico recessivo  
Gruppo di associazione sconosciuto

La Breda ha preso il nome dall’omonima città olandese ed è considerata senza cresta: le femmine ne sono completamente prive , i maschi presentano solo due piccole papille disposte ai lati della linea centrale . In base alle modalità di trasmissione, Bateson e Punnett (1908) hanno dedotto che l’allele dominante Bd+ è necessario alla formazione di una cresta. Contemporaneamente dimostrarono che la Breda è dotata di due alleli D, responsabili delle due escrescenze nel maschio e delle ampie narici cavernose caratteristiche di questa razza.

Incrociando un pollo Breda con un soggetto a cresta semplice potremmo rimanere sorpresi dalla nascita di soggetti con cresta a rosa: evidentemente il gene R non può esplicare la sua azione nel genitore Breda, poiché non è dotato del gene Bd+ responsabile della cresta.

Una delle migliori descrizioni della Cresta da Breda è dovuta a Charles-Émile Jacque (Parigi 1813-1894) che così scriveva nel 1858 in Le Poulailler:

La testa della Breda ha un aspetto del tutto particolare a causa della forma della cresta, che determina una cavità piuttosto che una prominenza, e dà al becco una depressione caratteristica. Quest’assenza di cresta è tanto più interessante in quanto forma, coi bargigli di una bella lunghezza, un contrasto che non si nota in alcun’altra razza. Deve avere la forma di una piccola tazza ovale a bordi arrotondati e un po’ sporgenti. Collocata alla base del becco, sovrasta le narici secondo l’asse della testa, ed è lunga non più di 1,5 cm per 1 cm di larghezza. Ha colore nerastro ed è leggermente corneificata. La cresta, che in alcuni soggetti è trasversale e presenta delle piccole depressioni sui bordi esterni, non indica sempre una degenerazione o una mescolanza di sangue, ma questi caratteri ne sono spesso la conseguenza. Perciò bisogna sempre preferire la cresta ben formata in modo regolare a foggia di piccola tazza ovale dai bordi uniti.

Non parlate di Breda a un Olandese se volete intendere il pollo e non la città. Infatti, in Olanda, la razza Breda è denominata Kraaikoppen, al plurale. Al singolare, cioè kraaikop, significa testa di cornacchia.

Le Poulailler - 1858

3.3. Cresta a rosa

R - rose comb

Autosomico dominante  
Gruppo di associazione I - cromosoma 2

Assommano a più di una quindicina le razze e le varietà che posseggono questo tipo di cresta, caratterizzata dal fatto di essere larga, quasi appiattita all’apice, ricoperta da papille piccole e regolari, con la parte terminale posteriore appuntita, detta anche sperone. Nei maschi le papille sono più evidenti che nelle femmine, e la cresta a rosa delle razze mediterranee è generalmente più robusta che nelle altre razze. Fondamentalmente è dovuta all’azione di R su un genotipo Bd+, per cui si ha la trasformazione di una cresta semplice, a limbo stretto, in una cresta che, anteriormente, presenta un limbo molto allargato.

Lunghezza e larghezza della cresta, nonché portamento dello sperone, dipendono da ciascuna razza. Per lo più lo sperone si proietta orizzontalmente, oppure si dirige lievemente verso l’alto. Nella Barbuta d’Anversa , nella Rhode Island, nella Wyandotte , l’intera cresta possiede una curvatura che contorna il cranio, seguendone la convessità.

Fu questo gene a dimostrare per primo una piena rispondenza alle leggi mendeliane. Alle affermazioni di Bateson risalenti al 1902 e che davano per certa un’ereditarietà autosomica dominante, seguirono molteplici verifiche che non apportarono nulla di nuovo. L’unica indagine a dare un ulteriore contributo allo studio del gene R fu quella di Mérat del 1963, con la quale fu possibile chiarire che i maschi omozigoti R/R, anche se appartenenti a razze differenti, sono dotati di scarsa fertilità. I maschi con genotipi R/r+ e r+/r+ hanno una fertilità normale, e tutti e tre i genotipi non compromettono minimamente le femmine. Innanzitutto, i galli omozigoti hanno una minore frequenza d’accoppiamento, e la fertilità, dopo un’inseminazione singola, è di durata più breve, di circa la metà. La motilità degli spermatozoi, dopo immagazzinamento, è inferiore, e questi gameti differiscono per certe attività enzimatiche. Non è ancora del tutto chiarito l’intimo meccanismo per cui i maschi R/R sono subfertili. Si può solo affermare che la subfertilità non è dovuta al genotipo degli spermatozoi, quanto invece a un effetto deleterio sui gameti da parte dell’organismo dotato di tale genotipo. Il locus He+, che modifica il fenotipo della cresta a rosa, può associarsi a una riduzione della fertilità maschile.

Gli spermatozoi dei maschi R/R sono dotati di fertilità, ma non sono in grado di competere con quelli dei galli R/r+. Questo postulato è dimostrato dalla persistenza della cresta semplice in quelle popolazioni in cui si effettua un accoppiamento in massa.

Come abbiamo accennato, esistono alcune variazioni a carico della conformazione della cresta a rosa, probabilmente tutte su base genetica. Così, Punnett propose la probabile dominanza della punta rivolta verso il basso della Wyandotte rispetto al fenotipo dell’Amburgo ; la stessa dominanza fu dimostrata da Somes tra la cresta della Wyandotte e quella della Nana di Giava .

Spesso, nella Wyandotte, lo standard della cresta a rosa viene disatteso, nonostante reciti così:

"La cresta a rosa deve essere uniformemente e fermamente adesa alla testa, deve possedere una larghezza e un’altezza media, nella parte anteriore deve essere bassa e squadrata, per affusolarsi gradualmente man mano che si dirige posteriormente, deve terminare con una punta ben definita che deve seguire la curvatura del collo senza nessuna tendenza a dirigersi verso l’alto."

I difetti ricadono in due categorie principali:

1 - corpo centrale della cresta di dimensioni eccessive e troppo circolare, nel qual caso è infrequente la presenza di una corretta superficie dotata di punti piccoli e arrotondati

2 - assenza assoluta di punteggiatura, per cui la struttura risulta liscia, anche se si avvicina maggiormente alla forma ideale.

Cavalie e Mérat (1965) hanno scoperto un gene dominante che spiega le differenze osservabili, il gene della cresta rugosa, hérissée in francese, contrapposto alla cresta liscia selvatica, senz’altro responsabile anche nella rugosissima cresta della Redcap .

Altro problema è quello inerente la deviazione laterale dello sperone: l’incrocio stretto fra soggetti con tale fenotipo ha dimostrato che la sua trasmissione non avviene in modo regolare. Circa ¼ della progenie ha uno sperone deviato, ¼ ha una punta che si esprime imperfettamente, il 50% è normale. Quando i soggetti con punta abortiva vengono incrociati tra loro, circa il 62% dei discendenti è dotato dello stesso tipo di sperone, e il 38% ha uno sperone normale.

3.4. Cresta rugosa · Cresta liscia

He+ · hel - hérissée

Alleli di un locus autosomico  
Gruppo di associazione sconosciuto

Come abbiamo già accennato, furono Cavalie e Mérat a proporre questi due alleli, il cui acronimo deriva dal francese hérissée, rugosa. Nella cresta a rosa l’allele dominante He+ causa una superficie rugosa già riconoscibile nei pulcini di un giorno, caratterizzati da una cresta la cui superficie ha un aspetto granuloso, mentre il soggetto adulto possiede una cresta voluminosa dotata di spuntoni più alti e più numerosi di quelli causati dall’altro allele. Quindi questo allele, combinato con R, dà le creste larghe e spinose di Nana di Giava , Sebright , Redcap , Charollaise [2] .

Sempre nella cresta a rosa, l’allele recessivo hel causa una superficie più liscia sia nel pulcino che nell’adulto. La sua penetranza è completa nelle femmine, ma non accade così nei maschi, nei quali pare abbiano influenza alcuni geni modificatori. Combinato con R, dà le creste poco rugose della Wyandotte.

I due fenotipi possono essere meglio differenziati nel pulcino di quanto non accada nell’adulto. Nella cresta semplice ambedue questi alleli sono in grado di influenzare il numero delle punte, e i soggetti omozigoti hel/hel hanno un minor numero di punte rispetto ai soggetti portatori dell’altro allele dominante. Quindi, nel primo caso, si ha una riduzione del numero dei denti, che sono anche ben spaziati, come in una bella Nagasaki. Nel secondo caso, i denti sono più numerosi e relativamente poco distanziati, elevati, imprimendo una morfologia a rastrello.

È interessante il fatto che, in galli a cresta semplice rinchiusi al buio, la cresta aumenta di dimensioni e rapidamente cade da un lato, ma soprattutto si notano delle spaziature tra le granulazioni, spaziature la cui superficie è liscia. Quindi, quando una cresta già formata va incontro a uno sviluppo supplementare, il numero delle granulazioni non aumenta.

Anche se non sono state effettuate indagini approfondite, pare verosimile che ambedue gli alleli siano in grado d’influenzare il fenotipo della cresta a noce. A tale proposito, hel potrebbe essere responsabile della superficie liscia del cuscinetto che caratterizza tale tipo di cresta.

Osservazioni di Ab-Der-Halden inducono pensare che He+ e hel agiscono solo su Bd+, responsabile della cresta semplice, senza dipendere in alcun modo da R, da P oppure da D.

3.5. Cresta a rosa trifida

Cresta a rosa trifida o a spina tripla

Ereditarietà sconosciuta

La Barbuta di Watermaal, dotata di fiocco - , è caratterizzata da una cresta a rosa che termina posteriormente con 3 punte, la centrale più lunga delle altre due - . È frequente che la cresta mostri la presenza di due soli speroni o di spine malformate. Finora non si hanno notizie che questo particolare tipo di cresta sia stato oggetto di studio, ma senza dubbio sono necessari approfondimenti circa l’ereditarietà di questa variante della cresta a rosa. La cresta della Barbuta di Watermaal, genotipicamente Bd+/Bd+_R/R, può subire l’azione degli alleli He+ e hel, ed essere pertanto più o meno rugosa.

La cresta a rosa della Silky differisce dalle altre in quanto associata al ciuffo e piuttosto corta, dotata di 2 o 3 punte che si staccano dalla porzione posteriore. Punnett ha ipotizzato che la brevità di questa cresta è legata alla presenza del ciuffo, mentre la spina tripla potrebbe essere dovuta a un altro gene. Studi successivi hanno invece dimostrato che ambedue le caratteristiche, brevità e punta tripla, possono essere dovuti alla presenza del ciuffo.

La cresta della Watermaal è simile a quella della Silky e potrebbe anche risultare dall’interazione tra il gene del fiocco e della cresta a rosa. Tuttavia Somes ha studiato il fenotipo cresta a rosa trifida in un ceppo senza ciuffo. Incrociando tra loro soggetti con cresta trifida, ne scaturirono 72 con una punta sola e 155 con punte multiple. Incrociando soggetti a tre punte con soggetti normali, nacquero 109 pulcini a punta singola e 91 a punte multiple. Questi dati starebbero a indicare l’azione di un gene dominante, responsabile della cresta a rosa a punte multiple.

Che ne pensano i giudici, i quali non sopportano le tre punte posteriori della Silky? Si tratta proprio di una cresta abominevole? O è abominevole il voler forzare a ogni costo la genetica, tollerando o enfatizzando la Watermaal, detronizzando invece la Silky Triforcuta? Un allevatore olandese, interrogato sulla presenza delle tre punte nel suo ceppo di Silky, mi ha risposto che in capo a tre anni ciò non sarebbe più stato ammesso in Olanda, quindi a partire dal 1997. Pare di essere ai tempi di Hitler! E spesso, troppo spesso, lo standard ci induce a compiere delle epurazioni che non hanno nulla da invidiare a quelle perpetrate dal nobile Maestro austriaco! Credo non sia un’utopia se propongo che un cantuccio dei nostri congressi mondiali fosse dedicato a questo aspetto dell’allevamento. In altre parole, gli allevatori debbono conoscere bene la genetica se non vogliono vedersi costretti a sacrificare al Dio Standard soggetti meritevoli di vita.

3.6. Cresta a pisello o cresta tripla

P - pea comb

Autosomico incompletamente dominante
Gruppo di associazione III - cromosoma 1

Tratto caratteristico di Brahma, Cornish , Araucana, Cubalaya, Sumatra e altre razze ancora. Talora è denominata cresta tripla, con 3 linee longitudinali di punti decorrenti dalla fronte verso la nuca. Si può riassumere l’azione del gene dicendo che triplica le linee dei dentelli senza triplicare il limbo. L’allineamento centrale è il più elevato ed è quello dotato di dimensioni maggiori.

La dominanza incompleta non è ben documentabile quando soggetti con cresta a pisello vengono incrociati con soggetti a cresta semplice dai bargigli piccoli. Quando vengono accoppiati con razze mediterranee o con razze dai bargigli imponenti, gli eterozigoti presentano una lamina centrale ben sviluppata, affiancata da due sporgenze laterali che rappresentano l’allineamento dei punti esterni.

Munro e Kosin (1940) hanno dimostrato che a livello del petto i soggetti con cresta a pisello presentano una striscia di pelle ispessita che decorre per tutta quanta la lunghezza dello sterno, associata solo al gene P e forse sua diretta conseguenza. Quest’area appartiene agli apterili, cioè alle zone prive delle piume di copertura, e prende il nome di apterilio sternale . Questa cute ispessita non causa problemi in una Brahma, dal piumaggio soffice, mentre può procurarne alla Cornish, dotata di piumaggio rigido. Il Malese, secondo le richieste dello standard, trae invece vantaggio da questa situazione, in quanto si insiste sul fatto che deve essere privo di piume in sede sternale. Crawford ha voluto verificare questa caratteristica anatomica anche nei polli con cresta a noce, come il Malese, nel quale si usa parlare di cresta a fragola. Anche il Malese presenta la striscia di pelle dura. Il fatto si spiega agevolmente, in quanto è presente il gene P nel suo patrimonio genetico. La striscia di cute ispessita può dimostrarsi utile quando si vogliono separare i soggetti giovani con cresta a pisello e a noce da quelli con cresta semplice, in quanto i dati desumibili dalla cresta risultano spesso insufficienti.

Numerose ricerche relative a soggetti con genotipo P/p+ e p+/p+, sottoposte a revisione da Mérat e Bordas nel 1979, hanno dimostrato un lieve effetto deprimente sulla velocità di crescita dovuta al gene P. I lievi effetti negativi sul peso adulto sono significativi e superano tutti gli altri parametri presi in esame, mentre i dati sulle uova riguardanti peso, numero, robustezza del guscio, non vengono intaccati dalla cresta a pisello.

Il drastico rimpicciolimento della cresta e dei bargigli, responsabili, in condizioni opposte, della dispersione del 15% del calore, rende ragione della riduzione del 2% del mangime utilizzato dai soggetti con cresta piccola, in quanto con tali appendici si riduce anche la quantità di calore dissipato.

Hartmann (1972) ha messo in evidenza la maggior frequenza di vesciche al petto nei soggetti con cresta a pisello rispetto a quelli dotati di cresta semplice. Responsabile pare essere la striscia di pelle ispessita in tale sede, associata a sua volta a un ridotto impiumamento, come si può caratteristicamente notare in diversi Combattenti Malesioidi, dotati di piumaggio rigido.

3.7. Cresta a noce

R + P - cresta a noce

Interazione di tipo complementare

La cresta a noce ha la caratteristica di essere bassa, solida e moderatamente piccola, dotata di una superficie abbastanza variabile . Essa risulta dall’azione complementare dei geni della cresta a rosa e della cresta a pisello. La cresta a noce ha dimensioni minori rispetto alle creste progenitrici - a rosa e a pisello - e generalmente un’incisura trasversale separa il terzo posteriore dal rimanente. I pulcini di un giorno, in corrispondenza del solco, presentano delle piume sottili come un capello. Questa caratteristica è utile per la loro identificazione, e nell’adulto questi peluzzi si trasformano in piccole piume.

Questo tipo di cresta è posseduto da Chantecler, Kraienköppe [3] , Malese, Orlov, Yokohama, Moroseta. Nella Chantecler prende il nome di cresta a cuscino, nel Malese viene detta cresta a fragola, e questa nomenclatura non sta a significare altro che le lievi differenze esistenti tra le varie morfologie. Nella Silky è richiesta una cresta di mole ridotta, in quanto deve lasciare spazio al ciuffo.

A causa delle dimensioni ridotte, la cresta a noce è stata introdotta in diverse razze che vivono in climi rigidi, in quanto è meno suscettibile al congelamento.

3.8. Cresta doppia

DV · DC - duplex comb

Autosomico incompletamente dominante  
Gruppo di associazione IV - cromosoma 2

Secondo Aldrovandi la notizia della presenza di barba associata a una cresta foggiata - forse - ad anemone sarebbe dovuta a Pausania il Periegeta del II secolo dC. Aldrovandi riporta i dati nel brano seguente, che si trova a pagina 192 del II volume della sua Ornithologia. Ricordiamo che Tànagra era un’antica città della Grecia, in Beozia, nei pressi dell'attuale centro omonimo situato a 20 km a est di Tebe, situata a sua volta 60 km a nordovest di Atene.

Ex Tanagraeis Gallos potius, quam Gallinas probabant, eorumque bina erant genera. Alii enim máchimoi, id est, pugnaces vel proeliares erant, ut Hermolaus vertit: alii Cossiphi, qui Lydas magnitudine aequabant, quorum Pausanias meminit, et Corvis colore similes esse tradit (hinc nimirum Cossiphi dicti, quod Merularum instar atri coloris sint) et barbam, et cristam habuisse instar anemones [...]

Dei polli di Tanagra apprezzavano i galli anziché le galline, e di essi ne esistevano due razze. Gli uni erano i máchimoi, cioè come ha tradotto Ermolao Barbaro erano pugnaci o combattenti; gli altri erano i Cossiphi di cui ha fatto menzione Pausania, che eguagliavano in grandezza le galline della Lidia e che dice essere di colore simili ai corvi (per cui detti appunto Cossiphi [merli] poiché sono di un colore scuro come quello dei merli) e che avevano sia la barba sia la cresta come un anemone [...]

Aldrovandi ha preso un bel granchio e lo farebbe prendere anche a noi. Attraverso l’errata interpretazione - in verità non sua - del testo greco di Pausania, induce a pensare che nel II secolo dC in Beozia era presente il gene responsabile di barba e favoriti, e forse anche quello della cresta doppia, con delle chiare implicazioni fuorvianti per coloro che si dedicano alla ricostruzione geografica e storica di una mutazione genetica.

Il responsabile dell’errata traduzione di Pausania è Abraham Löscher, come si può desumere dal testo di Conrad Gessner, Historia Animalium III (1555), pag. 380:

Apud Tanagraeos duo genera gallorum sunt, hi machimi, (id est pugnaces, vel praeliares, ut Hermolaus) vocantur, alii cossyphi. Cossyphi magnitudine Lydas gallinas aequant, colore similes corvis (coracino, hinc cossyphi nimirum dicti quod merularum instar atri coloris sint:) barbam et cristam habent instar anemones, (calcaria et apex anemonae [anemones] floris macula<e> modo rubent, Hermol.) Candida item signa exigua in rostro supremo et caudae extremitate, Pausanias in Boeoticis interprete Loeschero.

L’errore in cui grazie a Löscher sia Gessner che Aldrovandi vengono invischiati è molto facile da comprendere. Dobbiamo però avere la pazienza di imparare il significato di due parole greche: lóphos e kállaion.

Lóphos significa cervice, collo, ma anche ciuffo, pennacchio, criniera. Questo sostantivo viene tuttavia impiegato per designare anche quella formazione anatomica carnea che il gallo e la gallina portano sul capo: la cresta. Infatti Aristotele in Historia animalium 504b così si esprime: “Inoltre certi uccelli presentano una cresta [lóphos] che normalmente consiste di piume erette; unica eccezione il gallo che ne ha una particolare, formata non proprio da carne ma di qualcosa non molto dissimile dalla carne.” Il termine lóphos è di frequente riscontro nella terminologia scientifica: per esempio Lophophorus, Lophonetta e altri nomi scientifici di volatili indicano che essi sono dotati di un ciuffo di piume al capo.

Kállaion, singolare e neutro (al plurale kállaia), viene ugualmente usato da Aristotele per designare la cresta del gallo. Per lo più si impiega il plurale kállaia, che assume significato diverso a seconda del contesto. Kállaia da solo può significare cresta, ma può significare anche bargigli. Il significato di bargigli diventa inequivocabile se nella frase kállaia è contrapposto oppure associato a lóphos, dove pertanto lóphos assume il significato di cresta. C’è di più. Kállaia, cioè i bargigli, sono stati equiparati poeticamente alla barba del gallo: kállaia dè hoi pøgønes tôn alektryónøn - i bargigli cioè le barbe dei galli, come riferisce Ammonio di Alessandria (VI sec. dC) in De similibus & differentibus dictionibus. Questa trasfigurazione è del tutto logica, se si considera l’esagerata lunghezza che i bargigli possono talora raggiungere in razze mediterranee come la Livorno.

In questa disamina linguistica possiamo aggiungere che poche pagine più avanti - a pagina 196 - Aldrovandi dimostra chiaramente di essere consapevole che sotto il mento di un pollo non c’è una barba, bensì della pelle membranosa, e cita a suo favore una frase di Columella tratta dal De re rustica VIII,2,9: “Membranosa illa cutis, quae sub mento, et collo utrinque dependet, palea dicitur: sic apud Columellam legimus: Paleae ex rutilo albicantes, quae velut incanae barbae dependent.” E secondo Columella questi bargigli rossi soffusi di bianco che pendono come le barbe di persone attempate sono un tratto distintivo di un gallo che è un buon riproduttore. Subito dopo Aldrovandi perde la pazienza e arriva a tacciare Teodoro Gaza di avere delle allucinazioni – il che non è del tutto esatto – quando traduce kállaion di Aristotele addirittura con cresta: “Hanc membranam, si ita appellare placet, Aristoteles, vocat kállaion: in cuius voce [vocis] traductione Gaza maximopere hallucinatus est, cristam vertens. Haec enim in vertice erecta est: kállaia sive paleae utrinque a malis dependent. Videntur autem kállaia dicta ob purpureum, floridumque colorem.”

Insomma, circa i galli di Tanagra Aldrovandi fu indotto in errore da Löscher, ma senza ribellarsi, come invece ha fatto con Gaza.

Pertanto la sequenza etimologica adottata da Löscher circa il significato di kállaia nel testo di Pausania è stata la seguente: kállaia - kállaia dè hoi pøgønes tôn alektryónøn - paleae quae velut incanae barbae dependent - barba. Da cui scaturisce la presenza di barba in una delle due razze di Tanagra, ma solo secondo Löscher.

A pagina 12 di Poultry breeding and genetics di Crawford (1990) possiamo trovare un’interpretazione del testo di Pausania diversa da quella di Löscher, ma che non è meno erronea: “Two breeds were recognized from Tanagra near modern Athens; one was for fighting, and the other was black with crest and wattles ‘like anemones’, which could refer to the rose comb mutant.” Crawford non cita chi ha tradotto il testo greco - peraltro tradotto in modo corretto - e deduce che quella cresta simile a un anemone poteva essere una cresta a rosa, anziché una cresta a coppa, come a mio avviso sarebbe più logico asserire vista la somiglianza a una coppa del fiore dell’anemone. Dal contesto della frase di Crawford si potrebbe anche evincere che pure i bargigli avessero l’aspetto di una cresta a rosa, ma Crawford non cade in questo tranello.

Abbiamo a disposizione tre interpreti di Pausania che danno torto sia a Löscher che a Crawford: si tratta di D’Arcy Thompson, di W.H.S. Jones e di Ludwig Dindorf.

D’Arcy Thompson in A glossary of Greek birds (1895) alla voce Alektryøn (Gallo) così scrive a pag. 39: “At Tanagra, where was a temple <t>o Apollo, there were two breeds, hoí te máchimoi kaì hoi kóssyphoi kaloúmenoi Paus. IX.22.4 - the latter being as black as a crow, with bright red (katà anemønën) comb and wattles and a little white about the beak and tail, leukà dè semeîa ou megála epí te ákrøi tøi rhámphei kaì epì ákras échousi tês ourâs; this is still a common type of Mediterranean fowls.” Quindi D’Arcy Thompson mette chiaramente in evidenza che quella razza di pollo nera come un corvo aveva cresta e bargigli di un rosso brillante come un anemone.

Pausania il Periegeta - Periegesi della Grecia IX, Beozia, 22.4

W.H.S. Jones così ha tradotto il testo di Pausania contenuto nella Periegesi della Grecia IX.22.4: “Here [at Tanagra] there are two breeds of cocks, the fighters and the blackbirds, as they are called. The size of these blackbirds is the same as that of the Lydian birds, but in colour they are like crows [like a crow - kóraki = to a crow], while wattles and comb are very like the anemone. They have small, white markings on the end of the beak and at the end of the tail.”

La traduzione di Jones è estremamente corretta. Giustamente Jones si astiene da ogni preciso paragone cromatico fra anemone e cresta & bargigli, in quanto nel testo di Pausania non compare assolutamente l’aggettivo rosso. La traduzione di Jones suona così in italiano: “Qui [a Tanagra] ci sono due razze di galli, i combattenti e i merli, come sono chiamati. Le dimensioni di questi merli sono le stesse di quelle degli uccelli [dei polli, delle galline] della Lidia, ma nel colore essi sono simili a un corvo, mentre i bargigli e la cresta sono molto simili all’anemone; essi posseggono dei piccoli segni bianchi sulla punta del becco e all’estremità della coda.” Attraverso while - mentre - Jones ha messo in risalto la contrapposizione fra il nero del piumaggio e il colore di cresta e bargigli, e ciò corrisponde esattamente al testo greco.

Se non bastasse, ecco la traduzione altrettanto corretta di Ludwig Dindorf dello stesso passo di Pausania: “Sunt Tanagrae gallinaceorum genera duo, pugnaces et qui cossyphi (merulae) dicuntur. Hi eadem sunt qua Lydorum aves magnitudine, colore corvo similes, palearia et crista ad anemones similitudinem; notas habent candidas in rostri et caudae extrema parte non utique magnas.”

Insomma, cosa voleva dire Pausania? Egli voleva semplicemente mettere in risalto come - per una questione di puro contrasto cromatico - cresta e bargigli spiccassero su un piumaggio nero. Inoltre, forse Pausania dava per scontato che il colore più frequente dell’anemone fosse il rosso brillante. Vediamo se ciò può corrispondere al vero. Insieme all’anemone analizziamo anche il ranuncolo asiatico, qualora a qualcuno ronzasse per la testa che Pausania abbia voluto parlare magari della cresta a ranuncolo - buttercup - della Siciliana, detta comunemente in italiano cresta a coppa.

L’Anemone coronaria è l’anemone dei giardini per eccellenza; secondo alcuni è originario dell’Oriente ed è presente in Dalmazia, Grecia (quindi senz’altro anche a Tanagra), Turchia (forse Pausania era nato in Lidia), Asia occidentale e si è naturalizzato nella regione mediterranea occidentale.

Il Ranunculus asiaticus, capostipite delle moderne varietà coltivate di ranuncoli, è spontaneo a Creta, Cipro, Arcipelago dell’Asia Minore, Siria, Persia, Egitto e Libia. Tutti i ranuncoli contengono succhi spesso dannosi per la presenza di anemonina, posseduta anche dall’anemone, sostanza irritante in grado di causare gravi dermatiti.

Fig. XII. 1 – Somiglianza morfologica fra le infiorescenze
di Anemone coronaria e di Ranunculus asiaticus
 

Non solo la morfologia, ma anche il colore dei fiori di queste due Ranunculaceae è molto simile. Infatti l’Anemone coronaria varietà cyanea presenta fiori azzurri o porporini; nella varietà phoenicea o coccinea i fiori sono di un bel rosso cocciniglia. La forma tipica di Ranunculus asiaticus può avere fiori bianchi, gialli, rossi, porporini o variegati; nella varietà sanguineus i fiori possono presentarsi porporini, gialli, aranciati o variegati. Per cui potrebbe essere indifferente da un punto di vista cromatico parlare di cresta ad anemone oppure di cresta a ranuncolo: ambedue i fiori possono essere rossi come abitualmente è rossa una cresta.

Ma Pausania tra i due fiori ha scelto come termine di paragone l’anemone, forse perché a lui familiare, o in quanto ai suoi tempi c’era qualcuno che sbrigativamente chiamava anemone il ranuncolo nonostante il ranuncolo avesse in greco un nome ben preciso – batráchion – perché vive volentieri nei luoghi umidi prediletti dalle rane. Sia Dioscoride che Plinio conoscevano quattro specie di ranuncoli, di batráchia, e nel XVI secolo Pierandrea Mattioli arrivò a descriverne sei. Ed è proprio Mattioli a riferire che Pausania conosceva quel particolare batráchion “acutissimo al gusto” che “mangiandosi questa herba fa ritirare i nervi, di modo che fa slongar la bocca, di sorte, che nel morire par propriamente che ridano coloro che se la mangiano.”

Ma Pausania, quando parlando della Sardegna cita questa pianta, non usa la parola batráchion. Egli si limita a descriverne gli effetti letali e risori, dice che vive nei pressi delle sorgenti, che è molto simile al sélinonapium in latino, in italiano detto in passato appioriso – e che ne aveva parlato Omero. Ma non dice di che colore avesse i fiori, né immagina che si trattava di un ranuncolo, di un batráchion.

Invece si trattava proprio di quel ranuncolo che dalla Sardegna – dove è abbondante - aveva preso il nome volgare di sardonia o erba sardonica, quell’erba che messa in bocca fa digrignare i denti provocando il riso sardonico - come accade anche nel tetano, a causa però dello spasmo muscolare indotto dalla tossina tetanica - erba alla quale calza perfettamente il nome di Ranunculus sceleratus appioppatogli da Linneo nel 1753, guarnito però di fiori piccoli e gialli.

Quando finalmente Pausania usa il termine batráchia non specifica il colore dei fiori di queste piante. Si limita a paragonare il colore della capigliatura dei Tritoni a quello dei batráchia, dei ranuncoli. Ovviamente – come nel caso dei galli di Tanagra - paragona la chioma dei Tritoni al colore dei fiori dei ranuncoli che crescono negli acquitrini – tà batráchia tà en taîs límnais – e non precisa se i Tritoni avessero le chiome bianche, gialle, rosse, porporine o variegate.

In questa identificazione cromatica non ci viene in soccorso neppure Giglio Gregorio Giraldi che nel suo Historiae Deorum Gentilium (1548) travisa il testo greco di Pausania presumibilmente identico a quello nelle mani di Ludwig Dindorf: infatti Giraldi dà a batráchia il significato di ranocchie, cosicché i ranuncoli diventano i colori del dorso delle rane, e i Tritoni anziché avere dei capelli - che ne so - biondi, si ritrovano ad averli del colore della schiena delle rane palustri. Per amore della precisione – o della pedanteria – non possiamo non sottolineare che i Latini per indicare una piccola rana, un ranocchio, potevano servirsi sia del vocabolo ranula - utilizzato per esempio da Apuleio – sia di ranunculus, ma solamente ranunculus indicava anche la pianta di cui stiamo parlando. Invece se i Greci volevano indicare una piccola rana disponevano del vocabolo femminile batrachís che troviamo per esempio nella Theriaca di Nicandro di Colofone, mentre con batráchion esprimevano il ranunculus, la pianta amante dei luoghi umidi. Ce lo conferma anche Conrad Gessner nel suo Lexicon Graecolatinum (1537).

I batráchia di Pausania e di Ludwig August Dindorf
nel suo Pausaniae descriptio Graeciae IX,21,1
edito a Parigi nel 1845

Né possiamo trovare un conforto cromatico per i capelli dei Tritoni nel sito www.perseus.tufts.edu, in quanto la sequenza verbale conduce alla stessa conclusione di Giraldi, che forse fece da caposcuola. Questo sito afferma che i Tritoni di Pausania avevano i capelli verdi come sono verdi le rane che vivono della paludi.

Nel sito www.perseus.tufts.edu è presente lo stesso testo greco edito da Ludwig Dindorf nel 1845. Questo sito riferisce da A Latin Dictionary di Lewis-Short che ranunculus è sì una piccola rana, è anche un girino, ma è pure a medicinal plant, called also batrachion, e che ranunculus ha come sinonimo greco sardanios (che ovviamente non è altro che quel batráchion oggi chiamato Ranunculus sceleratus o erba sardonica). - Il sito riporta da A Greek-English Lexicon di Liddell-Scott che batrachion in prima istanza corrisponde al Ranunculus asiaticus e che sinonimi di questo batrachion - citato da Ippocrate, nonché da Dioscoride in II,175 (171 di Mattioli) - sono sia il chrysanthemon (dai fiori gialli) che il sardanios. Liddell & Scott aggiungono che in Pausania IX,21,1 il sostantivo batrachion equivale esattamente a bathrachos, cioè rana. Questo salto mortale – al quale si è sottratto Ludwig Dindorf che forse era scevro da simili genialità - è stato compiuto da Liddell & Scott al solo scopo di poter tingere di verde anziché di giallo i capelli dei Tritoni. Ecco spiegato perché in www.perseus.tufts.edu - sulla scia di Giraldi – si plagia Pausania e gli si fa dire che i capelli dei Tritoni hanno il colore delle rane e non dei ranuncoli (che, come le rane, vivono volentieri nei luoghi paludosi): “I saw another Triton among the curiosities at Rome, less in size than the one at Tanagra. The Tritons have the following appearance. On their heads they grow hair like that of marsh frogs not only in color, but also in the impossibility of separating one hair from another,” – Ed ecco il testo greco di www.perseus.tufts.edu identico a quello di Ludwig Dindorf: “Eidon de kai allon Tritôna en tois Rhômaiôn thaumasi, megethei tou para Tanagraiois apodeonta. Parechontai de idean hoi Tritônes: echousin epi têi kephalêi komên hoia ta batrachia en tais limnais chroan te kai hoti tôn trichôn ouk an apokrinais mian apo tôn allôn,” – E così, probabilmente sulla scia di Giglio Gregorio Giraldi – non certo su quella di Ludwig Dindorf - anche William Smith in A dictionary of Greek and Roman biography and mythology (London. John Murray. 1873)  afferma che i Tritoni hanno i capelli verdi: “Pausanias (ix. 21. § 1) says: the Tritons have green hair on their head, very fine and hard scales, breathing organs below their ears, a human nose, a broad mouth, with the teeth of animals, sea-green eyes, hands rough like the surface of a shell, and instead of feet, a tail like that of dolphins.” – È così che anche in tempi moderni nascono i miti, anche i miti relativi ai capelli verdi dei Tritoni, il cui padre, Poseidone, forse li aveva azzurri, o meglio, il mare gli aveva fatto le mèches per cui aveva la chioma nerazzurra, come specifica Giraldi nel Syntagma V del suo Historiae Deorum Gentilium: “Pingebatur Neptunus et ipse variis modis, nunc pacatus et tranquillus, nunc commotus, ut in primis in Homero et Vergilio poetis videmus: nunc nudus etiam cum tridente et concha, quo modo ipse conspexi: nunc in veste caerulea, id est cyanea, ut Phurnutus ait. Lucianus in Sacrificiis, cyaneis capillis et nigris effingit. Sic tamen a Philostrato in Imaginibus, cum equis scilicet et cetis in mari tranquillo incedere. [...] Hoc quidem loco Phurnutus ait, propter maris colorem. Unde etiam, ait, et illum Kyanochaítën appellabant, quod cyaneas et caeruleas iubas haberet.”– Dopo questa lungaggine non bisogna tralasciare di dire che Tritone per Ovidio era tutto quanto azzurro, laonde le mie chiome bionde se ne andrebbero a ramengo: “exstantem atque umeros innato murice tectum|caeruleum Tritona vocat conchaeque sonanti|inspirare iubet fluctusque et flumina signo” (Metamorfosi I,332-334) Ovviamente da Ovidio non possiamo arguire se anche tutti gli altri Tritoni successivamente clonati, o non clonati, fossero completamente azzurri oppure policromi come li aveva dipinti Pausania. La possibilità dei capelli biondi rimane pertanto aperta! Quella dei capelli verdi rimane esclusa a priori. E per sempre!

Oddio! Liddell&Scott non affermano affatto: batrachion = batrachos e quindi = verde. Ma lo afferma in modo esplicito William Smith in A dictionary of Greek and Roman biography and mythology, ovviamente condizionato dallo stesso condizionamento cromatico che condiziona anche noi italici quando parliamo di rane (evviva la capacità persuasiva dell’allitterazione!).

Comunemente, quando pensiamo alle caratteristiche cromatiche di una rana, il nostro pensiero corre al verde. Solo in un secondo tempo siamo disposti ad ammettere tutte le eccezioni cromatiche. Si tratta quindi di un riflesso condizionato, forse condizionato da molteplici fattori, tra i quali non bisogna trascurare il fatto che magari la rana che abbiamo più spesso osservato era indubbiamente verde, come lo è la rana più conosciuta in Italia: la Rana verde comune o Rana esculenta – Rana esculenta – cioè commestibile, come indica l’aggettivo latino esculentus, derivato dal verbo edo, io mangio, una rana che è strettamente legata alle acque stagnanti.

Rana verde comuneRana esculenta
da Guida dei Rettili e degli Anfibi d'Europa
di E. N. Arnold and J. A. Burton
edizioni Franco Muzzio & C - in www.ittiofauna.org

Attualmente in tutto il mondo si conoscono circa 2600 specie viventi di anuri – rane e rospi - delle quali soltanto 24 si trovano in Europa, e si tratta di specie abbastanza simili l’una all’altra. Elencheremo le specie presenti senz’altro in Grecia o nelle immediate vicinanze. Inoltre, sempre per motivi inerenti alla nostra ricerca, analizzeremo solo il colore del dorso in quanto è quello che ci permette di pensare istantaneamente al colore caratteristico di una determinata rana o rospo, e specificheremo il loro habitat, se cioè vivono di preferenza en taîs límnais o se invece utilizzino l’acqua solo durante il periodo riproduttivo. I dati che seguono sono tratti da Anfibi e Rettili di Hans Hvass (1973).

Molto più difficile è invece stabilire a quale colore volasse la mente degli antichi quando pensavano alla rana. Per coloro che abitavano l’Italia è verosimile il verde della Rana esculenta. Per i Greci era possibilissimo il verde, ma non si può escludere il biondo scuro grazie alla Rana graeca.

 

Rana grecaRana graeca
da Guida dei Rettili e degli Anfibi d'Europa
di E. N. Arnold and J. A. Burton
edizioni Franco Muzzio & C - in www.ittiofauna.org

Sta di fatto che né Aristotele né Eliano fanno il benché minimo accenno al colore di una qualsivoglia rana, e ne parlano piuttosto frequentemente. Rari i riscontri cromatici nella Naturalis historia di Plinio, che comunque sono riferiti al verde. In XXXII,75 egli parla di una piccola rana verde dei canneti “Est parva rana in harundinetis et herbis maxime vivens, muta ac sine voce, viridis, si forte hauriatur, ventres boum distendens.” – in XXXII,92 parla verosimilmente delle raganella che è verde brillante, ma non ne specifica il colore “Est rana parva arborem scandens atque ex ea vociferans; in huius os si quis expuat ipsamque dimittat, tussi liberari narratur.”  - in XXXI,122 parla di una rana verdissima che vive tra le canne da cui trae il nome greco “Quidam ex ea rana, quam Graeci calamiten vocant, quoniam inter harundines frutices vivat, minima omnium et viridissima, sanguinem cineremve fieri iubent,”

Elenchiamo prima le rane verosimilmente più note a Pausania e che vivevano nei pressi di acque stagnanti o di corsi d’acqua. Quindi, per completezza, elencheremo anche le altre rane nonché i rospi, rimpicciolendo però i caratteri tipografici.

Rana grecaRana graeca - La colorazione del dorso è grigia o bruna, di solito con segni sparsi scuri. Può essere però anche rossiccia, gialla od olivastra. Presente nei Balcani sino alla parte più meridionale della Grecia, ma anche in Italia. Vive nei pressi di sorgenti e corsi d’acqua.

Rana esculentaRana esculenta - La colorazione del dorso è per lo più verde, soprattutto nei maschi, ma può essere anche bruna o bluastra. Lungo la linea dorsale mediana c’è una striscia verde chiara, che talvolta è invece decisamente gialla. Diffusa ampiamente in Europa sino all’Africa settentrionale e ad est sino all’Afghanistan, ma assente in Sardegna. È una rana essenzialmente acquatica, strettamente legata alle acque stagnanti, alle famose límnais di Pausania. È quella cacciata dall’uomo per le sue carni e venne utilizzata da Luigi Galvani (Bologna 1737-1798) per i suoi esperimenti che segnarono l'inizio degli studi di elettrofisiologia.

Ululone dal ventre gialloBombina variegata - Dorso grigio-bruno o verde oliva, o giallo, con riflessi bronzini. Presente in tutta l’Europa centrale e meridionale, manca in Gran Bretagna e nella penisola Iberica. Si trova bene sia in acqua limpida che fangosa.

Ululone dal ventre di fuocoBombina bombina - Dorso solitamente grigio-olivastro con chiazze di colore bruno scuro o verde bottiglia che nel loro insieme formano un disegno abbastanza simmetrico, che comprende quasi sempre anche due segni verde chiaro tra le spalle. Presente soprattutto nell’Europa orientale, con limiti occidentali della zona di distribuzione che corrono lungo il Weser e il Danubio fino al Mar Nero. Predilige laghi e stagni.

Rana arvaleRana arvalis - Il colore del dorso varia considerevolmente dal giallo chiaro al bruno, al grigio, al rossiccio chiaro, sovente con macchie scure o strisce. Dall’Europa settentrionale e centrale si estende fino ai Balcani settentrionali. Vive soprattutto nelle paludi.

Pelobaste foscoPelobastes fuscus - La colorazione dorsale varia considerevolmente, ma più sovente è bruno chiara nel maschio e grigio chiara nella femmina, con segni verde oliva o bruno-castano misti a piccole chiazze rosse. Specie ampiamente diffusa nell’Europa centrale ed Orientale, e in Asia, ad eccezione delle zone montuose. Predilige regioni sabbiose ed entra in acqua solo durante l’epoca dell’accoppiamento.

Rospo smeraldinoBufo viridis - La colorazione varia considerevolmente: il dorso è grigio chiaro o verde oliva, con segni irregolari di colore verde erba con margini neri e sovente con verruche rosse, in particolare sui fianchi. È specie essenzialmente dell’Europa orientale e vive in zone costiere sabbiose, quindi non in zone palustri.

Rospo comuneBufo bufo - La colorazione dorsale – che varia a seconda del sesso, dell’età, dell’epoca e della località – va dal nero bruno, al grigio bruno, al rosso bruno, al rosso olivastro. Gli individui giovani sono per lo più giallo bruni o rosso rame, all’incirca come la femmina adulta, mentre i maschi più anziani tendono a una tinteggiatura più uniforme grigiastra od olivastra. È l’anuro più ampiamente distribuito in Europa. Trascorre il giorno nei giardini, nei campi, nei boschi, anche tra le vegetazione fitta. Può essere rintracciato anche nelle cantine. Quindi non vive negli acquitrini. Solo in aprile le coppie restano insieme notte e giorno e trascorrono in acqua la maggior parte del tempo.

Rana dalmatinaRana dalmatina - Il colore bruno del dorso può sfumare nel grigio pallido o nel giallo torbido. Vive in boschi decidui aperti, litorali assolati e prati. È presente dalla Francia ai Balcani, compresa l’Italia, e a est in Asia Minore e nel Caucaso.

RaganellaHyla arborea - La colorazione è di solito verde brillante sul dorso, ma a seconda di svariati fattori può essere verde cupo, gialla, grigia, azzurra, bruna o anche nera. Presente nell’Europa meridionale e centrale, vive in acqua solo in coincidenza del periodo della deposizione delle uova. Nelle altre stagioni si trova per lo più sugli alberi, fra i cespugli e nei canneti.

Ma i Tritoni vivevano nell’acqua di mare e non di palude, per cui potrebbe essere nel giusto Ovidio quando dice che Tritone era tutto quanto azzurro, con le chiome che ricalcavano quelle del padre Nettuno. Siccome i Tritoni non vivevano negli stagni e nei fiumi, non si vede perché dovessero avere i capelli verdastri anziché azzurri oppure biondi. Anche se Pausania non ce lo dice, possiamo dedurre da Dioscoride - nonché da Galeno - che a quei tempi il colore prevalente del ranuncolo era senz’altro il giallo. Infatti per Dioscoride un tipo di ranuncolo aveva fiori gialli, talora rossi (intendendo verosimilmente il Ranunculus asiaticus), due avevano sempre i fiori gialli (incluso il Ranunculus sceleratus), uno sfoderava fiori candidi come il latte. Quindi ai tempi di Dioscoride e di Pausania a carico dei ranuncoli prevaleva il giallo, ed è verosimile molto assai che per Pausania i Tritoni fossero biondi, così come ha inteso che fossero rossi cresta e bargigli quando ha scritto “ma nel colore essi sono come i corvi, mentre i bargigli e la cresta sono molto simili all’anemone”, riferendosi con ogni probabilità al colore rosso cocciniglia dell’Anemone coronaria nella varietà phoenicea o coccinea, tralasciando un qualsivoglia batráchion dal fiore rosso, altrimenti avrebbe scritto che cresta e bargigli erano come un batráchion (specificando rosso) anziché come un anemone.

Se vogliamo essere pignoli e pedanti - o precisi per dirla eufemisticamente - non possiamo escludere che Pausania pensasse magari al fiore di quella Ranunculacea, a quell’anemone che nel 99,9% dei casi è rosso, battezzato poi Adonis annuus da Linneo nel 1753 e che nel XVI secolo - per esempio da Mattioli - era ancora chiamato anemone.

Per gli antichi Greci l’anemønë – in dorico anemøna, talora anemønion in Dioscoride - era quel fiore che si apre al minimo vento, o che talora cresce nei luoghi ventosi, come indica la sua etimologia da ánemos che significa vento, soffio, come il latino anima. Plinio propendeva per il primo dei due significati: “Flos numquam se aperit nisi vento spirante, unde et nomen accipere.” (XXI,165)

In greco antico non esiste nulla che si chiami adone - ádønis - se non un pesce citato da Ateneo (332c) e da Eliano nonché da Plinio.

Ádønis era invece Adone , quel bellissimo ragazzo del quale si innamorò Venere e che morì assalito da un enorme cinghiale. In base a un calcolo percentuale – infatti non ero presente in Libano quando Adone morì - dal suo sangue sarebbe nato un anemone, che in realtà era quel fiore che oggi grazie a lui chiamiamo Adonis annuus , e ambedue le varietà annue, sia la aestivalis o phoeniceus che la autumnalis o atrorubens, hanno fiori color del sangue. L’Adonis annuus cresce dal livello del mare fino ad altitudini di 1300 m, è presente in Europa, Caucaso, Africa boreale e, ciò che più conta, in Asia centrale e occidentale, quindi anche in Libano dove Adone morì.

Adone: divinità di origine semitica, tipizzata sul prototipo del dio Tammuz (il dio assiro-babilonese della vegetazione, già appartenente al pantheon sumerico come Dumuz) che rappresentava la perenne trasformazione della vegetazione e che annualmente risorgeva sotto lo stimolo di un culto. Adon in cananeo significava signore, presente nell’ebraico biblico Adonai, mio signore, appellativo di Dio nell’Antico Testamento. Introdotto nel mondo greco-romano (la prima testimonianza di Adone la troviamo in Saffo), il dio ha come paredra Afrodite (paredra era la dea che si accompagnava a un dio, che gli sedeva accanto, spesso come moglie, assolvendo gli stessi compiti) e nella nuova versione del mito perde il suo alone divino, trasformandosi in eroe. Secondo la mitologia greca Adone nacque grazie al rapporto incestuoso tra Cinira, re di Cipro e sacerdote di Afrodite, e la figlia Smirna o Mirra che, innamoratasi del padre, si fece passare per una delle mogli mediante un sotterfugio. Quando il padre scoprì l’incesto in cui era caduto, Mirra fu costretta a fuggire, e gli dei per salvarla la tramutarono in una pianta resinosa dall’amaro profumo, che da lei prese il nome. A primavera la corteccia della pianta miracolosamente si aprì e ne uscì il piccolo Adone. Afrodite raccolse il neonato, lo chiuse in un cofano e lo affidò, perché lo allevasse, a Persefone regina dell’Erebo, sposa di Ade il re degli Inferi, che era il regno delle tenebre e la dimora delle anime dei morti. Il bimbo crebbe rapidamente e divenne un bellissimo adolescente. Allora Afrodite si recò nell’Erebo per riprenderlo, ma Persefone non volle restituirlo. Zeus, per conciliare il contrasto tra le due dee, innamorate entrambe del giovane, decise che Adone avrebbe trascorso un terzo dell’anno con Afrodite, un altro terzo con Persefone, lasciandolo libero di disporre per sé del restante tempo. Ma Adone preferiva trascorrere anche questo terzo con Afrodite, suscitando la gelosia di Ares – o Marte –  e alla fine di un’estate, mentre era a caccia sui monti del Libano, uno smisurato cinghiale mandato dal geloso Ares assalì e uccise Adone procurandogli una ferita all’inguine. Afrodite accorse per salvarlo, ma non giunse in tempo. - E qui viene il bello. Ripeto che non c’ero sui monti del Libano quando il cinghiale di Ares uccise Adone. Dobbiamo quindi affidarci alle percentuali di probabilità derivanti dalle 19 fonti consultate: così risulta vincente la leggenda secondo cui dal sangue di Adone scaturì un anemone (9 fonti), l’anemone nacque dal corpo di Adone - i cui muscoli erano senz’altro rossi come lo era il sangue - (4 fonti), una fonte dice che il fiore scaturì dalle lacrime di Afrodite, un’altra afferma che le rose che si trovavano vicino ad Adone da bianche divennero rosse, una fonte dichiara che Afrodite creò l’anemone dal nulla allo scopo di avere un simbolo dell’amato presso di sé, e infine 3 fonti non citano assolutamente Adone come responsabile della nascita dell’anemone, né di qualsivoglia altro fiore. Alle fonti che depongono per un’emogenesi dell’anemone appartiene anche Ovidio, che così scrive in Metamorfosi X, 728: at cruor in florem mutabitur e al verso 735: cum flos de sanguine concolor ortus. Ma una fonte per la somatogenesi del fiore color sangue è rappresentata da Conrad Gessner che alla voce Adonis così scrive nel suo Onomasticon propriorum nominum (1564): “Nomen proprium filii Cynarae Cypriorum regis et Myrrhae eius filiae, quem Venus in delitiis habuit formositate praecellentem. [...] Venus miserata post multas lachrymas in florem Adonium, qui est sanguineo colore, eum transformavit.” Quindi, grazie al mito vincente, quando Pausania pensava a un anemone, pensava al colore rosso, in quanto il fiore era sbocciato dal sangue di Adone.

Invece l’Adonis vernalis , che è perenne anziché annuale, ha fiori gialli, cresce in climi più freddi e non è presente in Asia se non in Siberia. Mattioli aveva individuato 5 diversi anemoni, e quello che aveva catalogato come Anemone quarta, dai fiori porporini, potrebbe corrispondere all’Adonis annuus di Linneo.

Insomma, grazie al mito, quando Pausania pensava a un anemone, pensava al colore rosso, e magari pensava a quell’anemone il cui fiore era sbocciato dal sangue di Adone: Adonis annuus.

Fig. XII. 2 – sopra: Anemone quarta di Pierandrea Mattioli. Si tratta verosimilmente dell’Adonis annuus di Linneo, detto Adonide o Fiore di Adone, tratto dal Compendium de plantibus omnibus (1571) di Mattioli. – sotto: Adonis annua, da N.L Britton e A. Brown, Illustrated flora of the northern states and Canada. (1913).

 

Fig. XII. 3 – Gallo con cresta doppia. Particolare di un mosaico del II secolo dC rinvenuto nel 1801 a Poggio Mirteto (Rieti) al cui centro si trova una Diana di Efeso con corona turrita da cui scende un velo, tre linee di mammelle sul petto, corpo trasformato in fusto e piedi nudi. Il mosaico è conservato presso il Museo Chiaramonti dei Musei Vaticani (da Poultry Farming as described by the writers of ancient Rome, 1939). - Per ulteriori notizie sul mosaico vedi Bartolomeo Nogara, I mosaici antichi conservati nei palazzi pontifici, 1910, p. 27, tav. LV.

Plinio conosceva la cresta doppia, raffigurata anche nel mosaico rinvenuto a Poggio Mirteto e conservato presso il Museo Chiaramonti dei Musei Vaticani. Vediamo cosa dice Plinio, riportando il brano che abbiamo già avuto modo di analizzare nel primo volume.

Gallinarum generositas spectatur crista erecta, interim et gemina, pinnis nigris, ore rubicundo, digitis imparibus, aliquando et super IIII digitos traverso uno. (X,156)

La buona razza delle galline si riconosce dalla cresta eretta, talvolta anche doppia, dalle piume nere, dalla faccia rossa, dalle dita di differente lunghezza, e talvolta anche dalla presenza di un dito disposto obliquamente oltre agli altri quattro.

Ai tempi di Aldrovandi la cresta doppia variamente foggiata era molto diffusa, come ci attestano sia l’abbondante iconografia in bianco e nero contenuta nella sua Ornithologia, sia le immagini a colori di cui aveva curato l’esecuzione .

Fig. XII. 4 – Ulisse Aldrovandi - 1600 - Gallina pumilio capite cirrato

Fig. XII. 5 – Ulisse Aldrovandi - 1600 - Gallus et Gallina Patavini

Fig. XII. 6 – Ulisse Aldrovandi - 1600 - Gallus et gallina pedibus pennatis

Fig. XII. 7 – Ulisse Aldrovandi - 1600 - Gallus et Gallina Turcici

Fig. XII. 8 – Ulisse Aldrovandi - 1600 - Gallus et Gallina Persici

Fig. XII. 9 – Ulisse Aldrovandi - 1600 - Gallus crispus

Fig. XII. 10 – Ulisse Aldrovandi - 1600 - Gallina lanigera

Gli alleli del locus D causano uno sdoppiamento di tutta la cresta o solo di una sua porzione. Nel secondo caso la parte posteriore della cresta si sdoppia più frequentemente dell’anteriore - . Non si è mai osservato lo sdoppiamento della sola parte anteriore. Quest’azione fondamentale, associata a quella di geni attivi sulla forma della cresta, determina fenotipi particolari. Per esempio, partendo da una cresta semplice si ottiene la cresta a corona o a coppa della Caumont [4]   e la cresta a foglia di quercia della Houdan [5]   che somiglia a una farfalla con ali semiaperte disposta davanti al ciuffo - - .

Gli alleli del locus D intervengono anche nel determinare il doppio corno di La Flèche [6] , Crèvecoeur [8]   - , Ciuffata di Appenzell [7]   , Polish [9]   e Sultano. In questi casi all’azione del gene della cresta doppia si associa l’effetto di qualche gene modificatore, per cui il fenotipo può variare parecchio sia per interazione con geni responsabili della forma della cresta, sia per interazione con geni modificatori non specifici. Infatti esistono geni modificatori i cui alleli impongono una forma particolare alla cresta sdoppiata da D. Questa soluzione, anche se incompletamente soddisfacente, sembra essere plausibile.

La Siciliana - chiamata Sicilian buttercup e talora solo Buttercup in inglese - ha una cresta a coppa o a ranuncolo, che in inglese è detto buttercup: si tratta di una coppa foggiata a corona circolare - con punti - o dentelli - di media grandezza e regolari, la quale si appoggia al centro del cranio.

Le femmine di Breda sono completamente senza cresta , mentre, come abbiamo già detto, i rispettivi maschi presentano solo due piccole papille disposte ai lati della linea centrale . In base alle modalità di trasmissione, Bateson e Punnett (1908) hanno dedotto che l’allele dominante Bd+ è necessario alla formazione di una cresta e contemporaneamente dimostrarono che la Breda è dotata di due alleli D, responsabili delle due escrescenze nel maschio e delle ampie narici cavernose caratteristiche di questa razza.

Infatti una caratteristica comune a tutte le razze con cresta doppia, eccetto la Siciliana, consiste nelle narici ampie e cavernose. L’ereditarietà di questo tratto ha comportamento recessivo.

Tutti i fenotipi descritti sono dovuti a un unico locus D, e pare possibile l’associazione con un’ernia cerebrale.

Gallus cornutus - Gallus Indicus
Avium Vivae Icones - 1600
di Adriaen Collaert (Anversa c. 1560 - 1618)

Somes (1986) ha dimostrato che il fenotipo a cornetti, o a lettera V, e il fenotipo a coppa come nella Siciliana, sono comandati da due diversi alleli, aggiungendo così la lettera v al primo, e la lettera c al secondo per significare coppa.

L’allele Dv è dominante sul suo gemello, è potente nel duplicare una cresta e ha una penetranza completa.

L’allele Dc è dotato di un’azione sdoppiante piuttosto fiacca e nelle femmine la sua penetranza si riduce del 25%.

Si può pertanto desumere che le narici ampie e cavernose si esprimono appieno nel genotipo Dv/Dv, ma non in quello eterozigote Dv/d+. L’altro allele si esprime con narici ampie solo se associato a quello della cresta a V: Dv/Dc.

La cresta a forma di foglia di quercia non è stata studiata a fondo, ma pare probabile si debba invocare un terzo allele per il locus D.

L’arrivo del Sultano in Inghilterra - citazione di Lewis Wright (1890)

Il Sultano fu introdotto in Inghilterra da Miss E. Watts, e in base alla citazione  del testo di Miss Watts da parte di Wright nel suo The illustrated book of Poultry i fatti si svolsero così:

“Questo pollo mi fu inviato, nel gennaio 1854, da un amico che vive a Costantinopoli. L’anno prima gli avevo mandato alcuni esemplari di Cocincina, che gli piacquero moltissimo, e successivamente suo figlio venne in Inghilterra. Disse che poteva mandarmi dalla Turchia dei polli che mi sarebbero senz’altro piaciuti. Tutte le interessanti caratteristiche di questa razza giunsero prima del pollo, rendendomi oltremodo curiosa di poterle apprezzare dal vero. Approdarono finalmente in gennaio, a bordo di un piroscafo il cui equipaggio era prevalentemente costituito da Turchi. Il viaggio era stato lungo e tempestoso, per cui i poveri polli si erano rotolati nel sudiciume e si erano impiastricciati in un modo mai visto prima. Ripuliti a dovere, me ne innamorai subito, ma, non volendo correre rischi per la riproduzione, scrissi subito di inviarmi altri soggetti, soprattutto un gallo, chiedendo anche qual era il loro nome. L’amico rispose che gli era difficile trovare dei begli esemplari, che avrebbe cercato di mandarmene altri due o tre, ma che le sue ricerche sia a Costantinopoli che in altre parti della Turchia risultavano infruttuose. Non appena avesse trovato un soggetto a dovere, me lo avrebbe inviato.

“Circa il nome, mi fece sapere che in Turchia questi polli sono chiamati Serai-Täook [10] . Serai è il Serraglio, cioè il palazzo del Sultano, e nei Paesi di civiltà turca indica la sede di un governo o la residenza di un principe. Täook in turco significa pollo[fowl]. Per cui, la traduzione più semplice è Polli del Sultano [Sultan’s fowls], nome che presenta il doppio vantaggio di essere il più vicino a quello usato nella patria d’origine e di indicarne il luogo di provenienza.”  

“[...] Hanno le dimensioni dei nostri Polish inglesi. Il loro piumaggio è bianco e fluente, hanno sulla testa il ciuffo pieno e compatto della Polish, hanno i favoriti, una bella coda fluente, delle zampe corte ben impiumate e cinque dita ad ogni zampa.”

Lewis Wright - 1838-1905

Quindi i soggetti inviati a Miss Watts erano pentadattili. Terminata la citazione di Miss Watts, Lewis Wright ci tiene a precisare che nel 1890 la pentadattilia del Sultano non era la regola e ci si poteva imbattere in soggetti sforniti del quinto dito e con basette mignon: “Even the prize birds shown in the plate, it will be seen, have little muffling, and are destitute of the fifth toe.”  Sul perché dell’incostanza della pentadattilia si veda Pentadattilia europea: celtica o romana? (X,8).

Anche Darwin afferma che il Sultano è originario della Turchia. Alcuni invece pensano che si sia formato in Russia, per essere poi allevato a Costantinopoli (Teodoro Pascal, 1905). Come vedremo fra poco, è verosimile che Pascal abbia tratto la notizia dell’origine russa del Sultano dagli scritti di Dürigen, autore da lui citato in alcune occasioni. Pascal, a differenza di Miss Watts, dà un’altra grafia del nome turco di questa razza. Infatti egli scrive: “Questa razza, chiamata a Costantinopoli Serai-Taook da serai che vuol dire serraglio e Taook gallina, proviene dalla Turchia, ma taluni la dicono formata in Russia e quindi allevata a Costantinopoli.” Sia Pascal che Miss Watts scrissero del Sultano prima del 1928, data in cui, per impulso di Kemal Atatürk, fu introdotto l'alfabeto latino con particolari segni diacritici che sostituì l'alfabeto arabo - e alcuni caratteri aggiunti dai Persiani - usato appunto fino al 1928. Oggi in turco la gallina si scrive Tavuk, per cui Täook, Ta-ook e Taook potrebbero essere delle traslitterazioni dall’alfabeto arabo e dovrebbero equivalere all’attuale Tavuk. Se tavuk è la gallina, horoz è il gallo, piliç è il pollo e civciv è il pulcino.

Gallo e gallina di razza Sultano di Teodoro Pascal – 1905. Contrariamente alle caratteristiche indicate dall’American standard of perfection (1993), ai tempi di Teodoro Pascal “il numero delle dita, nella razza tipica, deve ascendere a cinque, ma si ammettono anche individui a quattro dita.” (da Le razze della gallina domestica) Inoltre Pascal, pur affermando che la barba è piuttosto corta, ma spessa e decorata di basette corte e folte, nella sua raffigurazione sia il gallo che la gallina sono imberbi e senza basette, con il maschio che ha dei bargigli da Livornese, e che quindi non sono “piuttosto corti (3 cm)” come descritto nelle note caratteristiche, ma assai esuberanti. Insomma, nel 1905 si accettavano anche le 4 dita, una barba fantasma e dei bargigli rigogliosi.

     

Sultano imberbe e barbuto di Lewis Wright (1838-1905) Ambedue le immagini sono dovute al talento artistico di J. W. Ludlow. I soggetti senza barba risalgono al 1872 in quanto erano presenti nella prima edizione del The Illustrated Book of Poultry di Wright e appartenevano a Mr Robert Loft. Invece i soggetti con barba e favoriti non sono databili con certezza, ma sono comunque posteriori al 1872. Anche Wright afferma che questa razza è dotato di 5 dita – come i soggetti giunti a Miss Watts da Costantinopoli – ma che talora aveva solo 4 dita.

Molto precise sono le parole di Bruno Dürigen, dal quale Pascal ha verosimilmente tratto la notizia della possibile origine russa del Sultano. Infatti Dürigen così scriveva a pagina 211 del suo Die Geflügelzucht (1921):

54. Türken. Dieses Haubenhuhn mit Federfüßen und Bart - Gallus dom. barbato·cristatus, plumipes - erinnert von allen Türken Haubenhühnern am meisten an die mutmaßliche Stammform, nämlich das in Rußland seit Jahrhunderten heimische federfüßige Bart-Haubenhuhn (S. 212) [55. Pawlowa (Russen)].

54. Turchi. Questo pollo ciuffato dotato di piume alle zampe e di barba - Gallus domesticus barbato-cristatus, plumipes [Gallo domestico barbuto-ciuffato, con le piume ai piedi] - ricorda maggiormente, tra tutti i polli ciuffati, quello che con ogni probabilità ne è l'antenato, vale a dire il pollo dotato di zampe piumate, di barba e di ciuffo, da secoli di casa in Russia (pagina 212) [cioè, 55. Pavlov (Russi)]. (traduzione di Stefano Bergamo, 2003)

 

È tuttavia possibile che un pollo, oriundo comunque della Cina, abbia raggiunto Costantinopoli e la Turchia attraverso una via diversa da quella russa: infatti nell’XI secolo i Turchi Selgiuchidi penetrarono in Anatolia dopo aver sconfitto l’esercito dell’imperatore bizantino Romano IV Diogene a Malazgirt (1071). John Peters (The cock, J. Ameri. Oriental Soc. 33:363-396, 1913) scrisse: “Tuttavia probabilmente è stato dalla Cina che il pollo passò ai Turchi e più tardi venne portato a occidente con loro, in un momento in cui già da lungo tempo era stato addomesticato in Occidente.”

3.9. Lobo a punta

sb - spike blade

Autosomico recessivo  
Gruppo di associazione sconosciuto

Fu Warren (1939) a descrivere una mutazione della cresta semplice caratterizzata dal fatto di terminare posteriormente in una punta singola invece dell’abituale lamina larga e allungata. I soggetti non possono essere catalogati in questa categoria fin quando non hanno raggiunto la maturità sessuale. Pur essendo una mutazione recessiva e non legata al sesso, le irregolarità di segregazione pare siano indicative del fatto che una piccola percentuale di eterozigoti possa mostrare questo fenotipo, che talora viene soppresso in una piccola percentuale di omozigoti. Le femmine esprimono questo tratto meglio dei maschi.

3.10. Escrescenze laterali

Escrescenze laterali

Poligenico  
Gruppo di associazione sconosciuto

Le escrescenze laterali rappresentano una frequente anomalia della cresta semplice . Considerate un difetto, molti allevatori risolvono il problema tagliando il sovrappiù, ma in tal modo viene nascosto il fenotipo e verranno sempre alla luce soggetti difettosi. Le escrescenze laterali consistono in punte o dentelli extra, in numero da uno a tre, che nascono e si sviluppano lateralmente nella parte posteriore della cresta semplice. Abitualmente sono riconoscibili nei maschi all’età di 3-4 settimane, mentre le femmine debbono possedere parecchi mesi prima di essere accuratamente classificate.

Gli studi finora eseguiti hanno dimostrato che non ci troviamo di fronte a un gene singolo. L’ipotesi migliore è che si tratti di 2 geni autosomici dominanti complementari. Punnett e Jull hanno ipotizzato una relazione tra questa anomalia e il gene del ciuffo Cr.

3.11. Creste multiple

Creste multiple

Poligenico  
Gruppo di associazione sconosciuto

I tipi riscontrati da Taylor nel 1946 comprendono creste triple, quadruple e quintuple, sempre a carico della cresta semplice. Dagli incroci effettuati si è dedotto che sarebbe possibile creare una razza pura per questa caratteristica, anche se il ceppo di Taylor non aveva ancora raggiunto uno stato omozigote. Il 75% dei soggetti presenta una cresta quadrupla.

Dal momento che il ceppo di partenza era dotato di escrescenze laterali, presenti anche in F1 e nei backcross, Taylor è dell’avviso che sono coinvolti fattori multipli, alcuni dei quali con azione complementare, alcuni dei quali senz’altro identici a quelli descritti da Assmundson a proposito delle escrescenze laterali.

4. UROPIGIO

Uropigio di gallo Livorno - Dopo averne asportato la cute che lo ricopre
si mettono in evidenza i due lobi che lo costituiscono.
Avian Anatomy Integument (1972) di Alfred Lucas & Peter Stettenheim

L’uropigio, o ghiandola dell’uropigio, o ghiandola uropigetica, prende nome dal greco ourá, coda, e pygaîon, deretano. È una voluminosa ghiandola tubulare composta a secrezione esterna costituita da due lobi, accolta nello spessore del derma e posta dorsalmente alle ultime vertebre nella regione del codrione. Essa elabora un secreto sebaceo che, dopo la confluenza del condotto ghiandolare di destra e di sinistra, sfocia all’esterno attraverso un unico dotto escretore terminale, il quale si apre in un rilievo della cute che prende il nome di papilla.

Sezione frontale di uropigio di gallo Livorno
Avian Anatomy Integument (1972) di Alfred Lucas & Peter Stettenheim

Il secreto dell’uropigio viene distribuito col becco a tutte le penne, proteggendole così dall’essiccamento e soprattutto dall’umidità. Le molecole che lo costituiscono sono strutturate in modo tale da incastrarsi l’una nell’altra mediante le loro catene laterali, per cui le penne vengono ricoperte da una pellicola continua. L’uropigio manca in uccelli che vivono in zone molto aride, è particolarmente sviluppato negli uccelli acquatici, mentre in altri volatili ha dimensioni molto ridotte e in tal caso la funzione protettiva viene assolta dal pulviscolo che si forma quando le parti terminali delle penne si scompongono in finissime particelle di cheratina.

L'uropigio al microscopio ottico

A causa dei grassi che secerne, dal punto di vista gastronomico l’uropigio rappresenta un boccone molto saporito anche nel pollo arrosto. Vista la considerazione particolare in cui erano tenuti i Ministri di Dio, gli venne attribuito il nome di Boccone del Prete. A mio avviso suona invece un po’ irriverente il termine inglese riservato all’uropigio: Parson’s nose, cioè naso del Parroco.

Quali sono le sostanze capaci di rendere così prelibato questo boccone, detto anche cicerone? Il termine cicerone non avrebbe nulla a che fare con l’oratore più famoso di tutti i tempi, mentre potrebbe derivare dall’accrescitivo del latino cicer, che significa cece, in quanto l’uropigio ha una certa somiglianza con un grosso cece. Ma anche Cicerone aveva a che fare col cece: infatti in origine molti nomi gentilizi romani erano dei soprannomi presi dalle piante, tant’è che Fabio forse deriva da faba, la fava, Lentulo da lens, la lenticchia, e Cicerone da cicer (Giuseppe Pittàno, 1990).

Ma torniamo ai componenti del secreto dell’uropigio. Considerando i vari strati di cellule epiteliali dalle quali questa ghiandola è tappezzata, essa è istologicamente simile all’epidermide. Le gocce di lipidi cominciano a formarsi nelle cellule dello strato basale e vanno progressivamente raggruppandosi tra loro, formando così delle strutture globulari di dimensioni sempre maggiori. Tuttavia, siccome queste cellule non vanno incontro a cheratinizzazione, esse vengono completamente dissolte da parte dei lisosomi, verificandosi così una secrezione di tipo olocrino. I principali costituenti idrofobici sono rappresentati da sostanze ceruminose costituite da lunghe catene alifatiche e da omologhi complessi di acidi grassi ramificati nonché da alcoli. Vengono prodotti lipidi sia saponificabili che non saponificabili. Le specie acquatiche hanno ovviamente bisogno di una quantità maggiore di sebo, e la loro secrezione può contenere maggiori quantità di triacilgliceroli.

I componenti chimici, oltre a proteggere la cheratina dai fenomeni di sfaldamento, sono anche dotati di azione antimicrobica e antifungina. Come accade per le ghiandole sebacee dei mammiferi, è possibile che anche l’uropigio sia sotto controllo ormonale.

Le alterazioni gravi a carico di questa ghiandola sono di scarsa importanza nei soggetti allevati in batteria, mentre comportano l’eliminazione del ceppo se l’allevamento si svolge al suolo e soprattutto all’aperto.

4.1. Sdoppiamento della papilla dell’uropigio

U - uropygial

Autosomico incompletamente dominante  
Gruppo di associazione I - cromosoma 2

Questa mutazione causa uno sdoppiamento della papilla che è la porzione anatomica dell’uropigio in cui confluiscono il condotto di destra e di sinistra. È stato Hutt (1949) a fornire la descrizione degli effetti determinati dal genotipo. Gli eterozigoti mostrano un fenotipo che può andare da una biforcazione completa della papilla sino a una perfetta normalità dello sbocco ghiandolare. Parecchi omozigoti, alla nascita, presentano due abbozzi della papilla, per poi andare incontro alla completa perdita della ghiandola, mentre pochi possiedono una ghiandola sdoppiata con una papilla anch'essa doppia come può accadere agli eterozigoti. È ovvio che l’espressione di questo gene è condizionata da geni modificatori. Il locus U è strettamente legato a quello della cresta a rosa.

4.2. Fissurazione e sdoppiamento della papilla dell'uropigio

U-2 - cleft and double uropygial papillae

Autosomico incompletamente dominante  
Gruppo di associazione I - cromosoma 2

Questo allele del locus U è stato studiato da Kessel (1945) che mise in evidenza come tutti i portatori di questa mutazione posseggano una ghiandola funzionante, alcuni con una papilla sdoppiata, altri con una fissurazione per tutta la lunghezza dello sbocco ghiandolare. Essendo spiccata la differenza rispetto ai genotipi U, Kessel ha proposto questa mutazione, ma potrebbe anche trattarsi del fatto che la popolazione da lui studiata non segregasse per i geni modificatori come accadeva per Hutt. Potrebbe pertanto trattarsi dello stesso gene.

4.3. Sdoppiamento della papilla dell’uropigio

dgp - double oil gland papillae

Autosomico recessivo  
Gruppo di associazione sconosciuto

Mutazione studiata da Somes nel 1971, che può causare da uno sdoppiamento completo della papilla a un solco appena accennato alla sua sommità. I test di linkage per il gene R hanno dimostrato una segregazione indipendente (51,5% di crossover) per cui questa mutazione non risiede nel locus U.

5. TARSI E SPERONI

Lo sviluppo di speroni è una caratteristica del maschio. Tuttavia, dopo un giorno dalla schiusa, in ambedue i sessi se ne possono scorgere gli abbozzi, formati da cheratina consistente. A circa 6 mesi d’età lo sperone comincia a ossificarsi, intorno ai 10 mesi d'età si fonde con l’osso del tarsometatarso attaccandosi così definitivamente allo scheletro, e continua a crescere per tutta la vita.

5.1. Assenza di speroni

sl - spurlessness

Autosomico recessivo, parzialmente limitato al sesso  
Gruppo di associazione sconosciuto

La mancanza dell’abbozzo epidermico dello sperone è già documentabile al primo giorno di vita, quando al suo posto si nota una larga squama cutanea. Quest’anomalia genetica si accompagna spesso all’assenza di squame epidermiche lungo la superficie interna dei tarsi. Abitualmente, raggiunta la maturità, si può notare un dimorfismo sessuale, in quanto i maschi manifestano lievi protuberanze nella sede degli speroni le quali successivamente si trasformano in escrescenze ossificate simili a speroni deformati, mentre nelle femmine non si verifica nulla di tutto ciò.

Essendo un gene recessivo e parzialmente limitato a un sesso, può essere un’impresa alquanto ardua allontanare questo gene da un ceppo in cui sia riuscito a penetrare, specie se si tratta di Combattenti, e coloro che allevano il Combattente Inglese Antico debbono stare all’erta, per non commettere l’errore di usare un riproduttore senza speroni. Se malauguratamente sono incappati in questo disguido, faranno bene a utilizzare come riproduttori solo i maschi dotati di speroni, tralasciando le loro sorelle, delle quali è difficile conoscere il genotipo.

Non è descritto a quale gruppo di linkage appartenga questo gene. L’unica osservazione personale consiste nel fatto che il mio Barbuto di Grubbe, quindi senza coda, presenta anche un’assenza di speroni. Proviene dall’allevamento del signor Rijs, in Olanda.

Chiesi a Mr Rijs se tutti i sui maschi di Grubbe fossero privi di speroni. Se così fosse stato, si sarebbe potuto pensare a un linkage tra l’assenza di posteriore e l’assenza di speroni. Pochi giorni prima di ricevere la risposta da Rijs ne conoscevo già il contenuto, in quanto nel frattempo mi ero accorto che anche i miei maschi di Watermaal e d’Anversa erano senza speroni. La lettera di Rijs è molto interessante, in quanto, oltre a quesiti di genetica, suscita problemi estetici e filosofici.

Ingen, 03.04.1996

Dear Mr Corti,

Referring to your question about the possible linkage of the gene for spurlessness and rumplessness, I can give you the following information:

Caro Signor Corti,

Circa la sua domanda sulla possibile associazione del gene per l’assenza di speroni e la mancanza di posteriore, posso fornirle le seguenti informazioni:

Spurlessness:

A hot item these days in breeding Belgium bearded bantam’s. Most of the cockerels and cock’s of the Antwerp, Watermaal, Grubbe, Everberg & Uccle do not have spurs! According to an article published in Germany in 1993, cocks without spurs are less or no fertile. This based on research with commercial poultry.

Assenza di speroni:

Argomento scottante di questi giorni tra gli allevatori delle Barbute Belghe Nane. La maggior parte dei galletti e dei galli di Anversa, Watermaal, Grubbe, Everberg e Uccle non ha speroni! Secondo un articolo pubblicato in Germania nel 1993, i galli privi di speroni sono meno fertili o non lo sono affatto. Questo dato è basato su ricerche fatte in linee commerciali.

If this was the truth, we should not have such good results in breeding Belgium bearded bantams because lack of spurs is very common in these breeds. Anyway spurlessness is certainly not reserved for the Grubbe Bantams.

Se questo fosse vero, non dovremmo avere così buoni risultati nell’allevamento delle Barbute Belghe Nane, perché la mancanza di speroni è molto comune in queste razze. Ad ogni modo, l’assenza di speroni non è certamente riservata alla sola Nana di Grubbe.

The general opinion in our country is that the spurlessness is caused by the fact that we select our Belgium beardeds very strongly on female related qualities. What I mean by that is that we want absolutely no wattles, a very small comb, wide feathers and no too much male-feathering. By breeding towards this direction we simply forgot about spurs.

Qui da noi l'opinione generale è che la mancanza di speroni sia causata dal fatto che selezioniamo le nostre Barbute Belghe puntando molto su caratteristiche che hanno relazione con la femmina. Quello che voglio esprimere è che non vogliamo assolutamente alcun bargiglio, una cresta molto piccola, penne ampie e un piumaggio non troppo maschile. Quando incrociamo puntando in questa direzione semplicemente ci dimentichiamo degli speroni.

Since 1995 cocks without spurs are not allowed on Dutch show’s anymore (cockerels are!). This rule was announced to the breeders in 1990. Since that time breeders selected their breeding stock on the gene for spurs. Result is on this moment that some of the male birds do have their spurs back.

In Olanda, dal 1995, i galli senza speroni non sono più ammessi alle mostre (sono galletti!). Gli allevatori sono stati preavvisati di questa regola sin dal 1990. Da allora gli allevatori hanno selezionato i loro ceppi in base al gene per gli speroni. Il risultato è che in questo momento alcuni maschi hanno di nuovo i loro speroni.

In my case my black Grubbe do not have spurs but my quail Grubbe do have spurs. We are aiming for spurs in our Watermaal and Grubbe now. I noticed by experience that the surest way for getting back spurs is breeding with females who came form a father who had spurs. Some of their sons do have spurs even when the used father did not have spurs. Breeding from a cock with spurs and females who came from a line without spurs produced only males without spurs. Some other breeders had the same experience to. But does this mean that the gene for spurs is sex linked?

Nel mio caso i miei Grubbe neri non hanno speroni ma i Grubbe quaglia ne sono dotati. Attualmente sto mirando a ottenere gli speroni nei miei Watermaal e Grubbe. Con l’esperienza ho potuto notare che il modo più sicuro per recuperare gli speroni sta nell’incrociare con femmine che siano figlie di un padre con speroni. Alcuni discendenti hanno speroni anche quando il padre impiegato in riproduzione ne è privo. Allevando da un gallo con speroni e da femmine provenienti da una linea che non li possiede, si ottengono maschi tutti quanti senza speroni. Alcuni altri allevatori hanno avuto la stessa esperienza in merito. Forse che il gene per gli speroni sia legato al sesso?

I hope that these informations do help you with your research.

Spero che queste informazioni le siano di aiuto per le sue ricerche.

Furthermore I like to share an experience with you with is absolutely not clear to me:

Each year we breed from our strain of cuckoo Watermaal some chickens which are absolutely white (not yellow) in there fluff. The rest of their brothers and sisters have the expected black fluff with a white spot on their head. When these white chicks feather they show a very light cuckoo colour with a lot of brown (rust) in it. What can be causing this very strange colour?

Vorrei inoltre farla partecipe di un'esperienza che non mi è assolutamente chiara:

Tutti gli anni dal mio ceppo di Watermaal cucù escono alcuni pulcini dal piumino completamente bianco (non giallo). I rimanenti fratelli e sorelle hanno l’atteso piumino nero con la macchia bianca occipitale. Quando questi pulcini bianchi mettono le penne, mostrano una colorazione cucù molto lieve con parecchio marrone (ruggine). Cos’è che può causare questa colorazione molto strana?

Per abbozzare una risposta a Rijs sui soggetti cucù inabituali mi limito a darvi un’indicazione: rivedere il barrato legato al sesso. Non aggiungo altro, in quanto vi priverei del piacere di arrivare da soli a risolvere il problema. Ovviamente mancano elementi di giudizio, in quanto Rijs non specifica il sesso dei pulcini, e l’ho invitato a raccogliere dati precisi in tal senso, in quanto non è escluso che abbia tra le mani la soluzione al dilemma se trattasi di un allele o di un’altra mutazione che ha strette relazioni di linkage con il barrato legato al sesso.

Torniamo al problema degli speroni. Giustamente Rijs fa notare che la fertilità dei Barbuti non ha dato problemi. Anche Veronica Mayew, in Inghilterra, non ha problemi di fertilità coi suoi Barbuti di Uccle, e non si era neppure accorta dell’assenza di speroni nei suoi galli, in quanto le piume dei tarsi provvedono a nascondere questa vergogna. Lo studio tedesco si riferisce a polli commerciali, e spero di avere maggiori notizie sia da Rijs che da Hoffmann, al quale mi sono rivolto per sapere cosa ne pensa. Rijs afferma che i Barbuti sono fertili, perlomeno, lo sarebbero come le altre razze, salvo differenze che possono sfuggire in un allevamento amatoriale, ma comunque non tali da indurre a troncare l’allevamento di una razza. Un’eventuale ridotta fertilità nelle Barbute Belghe dovrebbe essere causata da un’omozigosi per la cresta a rosa, ma la Barbuta di Uccle è dotata di cresta semplice, per cui Rijs dovrebbe valutare, insieme agli altri Soci del Club che si dedicano a questa razza, se la Barbuta di Uccle ha una fertilità maggiore rispetto alle altre Barbute, tenendo conto dei problemi d’accoppiamento tipici della Grubbe e della Everberg.

Passiamo al problema filosofico. Quali sono le caratteristiche che ci permettono di stabilire che un pollo è un gallo e non è invece un cappone o una gallina? Il gallo canta, è aggressivo, corteggia la femmina, si accoppia, ha la cresta e i bargigli, ha gli speroni, ha piumaggio rosso e nero e sessualmente dimorfico. Sono poche le razze che posseggono tutte queste caratteristiche. Pertanto, adottando il concetto che i Barbuti senza speroni non hanno diritto di esibirsi alle mostre, queste sarebbero più desolate di quanto già lo sono.

Sul canto del gallo non ho nulla da obiettare. Il Gallo Rosso della giungla ha solo una piccola défaillance durante la fisiologica fase d’eclissi, pronto a ridiventare gallo quando i suoi ormoni sessuali glielo permetteranno. Il piumaggio bianco è contro natura, in quanto non assicura la sopravvivenza, e lo sanno molto bene quegli allevatori che debbono lottare contro falchi e sparvieri per assicurare una boccata d’aria e d’erba ai loro polli. Gli Asiatici sono galli da poco, in quanto a tutti è nota la scarsa aggressività che li caratterizza. Il combattente Tailandese è praticamente senza cresta, per non parlare del gallo Breda. I bargigli sono praticamente assenti nei Malesioidi, e tra loro troviamo i galli combattenti più robusti. Gli speroni sono un attributo fisiologico anche di certe femmine che assicurano una buona progenie di galli d’arena, pur avendo tutti i loro ormoni in ordine. Ai Barbuti gli speroni non servono, e, come abbiamo selezionato il piumaggio bianco, nulla vieta di selezionare galli senza speroni, che potrebbero anche presentarsi esteticamente migliori. Il mio Barbuto di Grubbe, quello senza speroni, ha un’aggressività da fare invidia a molti combattenti. Cosa dobbiamo pensare dei nostri galli travestiti? Lord Sebright se la prenderebbe a morte se sapesse che i suoi gioielli non sono considerati maschi. I combattenti con piumaggio femminile non avrebbero diritto non solo alle mostre, soprattutto non potrebbero calcare l’arena.

E dove li mettiamo i galli con speroni multipli? In base alla filosofia olandese essi sono dei supergalli, per cui bisogna riservare loro un padiglione apposito. Insomma, potremmo andare all’infinito, e possiamo concludere che, se la teoria dell’out of Africa è giusta, l’Uomo Bianco non è Uomo, in quanto è Uomo solo il Negro.

5.2. Speroni multipli

M - multiple spurs

Autosomico incompletamente dominante  
Gruppo di associazione IV - cromosoma 2

Il Sumatra è l’unico a possedere questa caratteristica distintiva di razza. I maschi maturi possono portare da 3 a 5 speroni per zampa. Il secondo sperone, contato a partire dall’alto, è il più lungo; al di sopra si trova uno sperone più corto, e, nel caso che gli speroni siano 5, al di sotto del secondo si trovano altri 3 speroni brevi. Ogni sperone ha un suo nucleo ossificato, ma solo i due superiori si attaccano al tarsometatarso. Nei maschietti appena nati, come pure nelle femmine adulte, il normale abbozzo unico è sostituito da 3-5 scaglie epidermiche allargate e appiattite. Alla schiusa la diagnosi predittiva del numero di speroni presenti nell’adulto può essere fatta con un’accuratezza pari al 98%. A causa della dominanza incompleta, gli eterozigoti presentano 2 speroni e gli omozigoti 3-5. Alcuni soggetti, a causa di geni modificatori, qualora siano eterozigoti, non presentano speroni multipli.

5.3. Sperone supplementare

As - auxiliary spur

Autosomico dominante  
Gruppo di associazione sconosciuto

Mutazione a penetranza completa, caratterizzata dalla presenza bilaterale di sperone supplementare appena sopra a quello normale. Questi speroni sono piccoli, a 18 mesi d’età non superano i 2 cm di lunghezza, si attaccano come di norma al tarsometatarso, e si allungano col passare del tempo. Solo occasionalmente si riscontra un secondo sperone soprannumerario appena al di sotto di quello normale. Il momento migliore per diagnosticare quest’anomalia è a 20-40 settimane, non alla nascita. Nel caso di un terzo sperone, è stata suggerita la possibilità di un parziale effetto dose del gene As presente allo stato omozigote.

5.4. Sperone doppio

ds - double spur

Autosomico recessivo  
Gruppo di associazione sconosciuto

Domm (1931) ha riferito della presenza di un doppio sperone in 3 femmine Livorno dopo essere state castrate, e volle attribuirla a una mutazione genetica. Più tardi Warren ha studiato dei pulcini con sperone doppio, dimostrando che si trattava di uno sdoppiamento già a carico dell’abbozzo, presente abitualmente in ambedue i tarsi e talora in uno solo. Raggiunta la maturità, gli speroni si svilupparono distinti l’uno dall’altro, in quanto la fissurazione giungeva a interessare il nucleo basale. Talora le dimensioni degli speroni erano diverse da una zampa all’altra. Warren fu pure in grado di stabilire che l’ereditarietà di questo tratto è influenzata da fattori sconosciuti. Anche se autosomico e recessivo, ds manifesta la sua azione più spesso nelle femmine, con scarsa penetranza negli omozigoti.

5.5. Muta degli speroni

Muta degli speroni

  Ereditarietà sconosciuta

Nel 1983 Kimball ebbe la fortuna di descrivere un gallo che annualmente perdeva gli speroni in occasione dell’abituale muta. Un esame ai raggi X dimostrò che essi non si saldavano mai all’osso della zampa. Non è stato possibile proseguire in studi genetici, ma probabilmente il comportamento di questa caratteristica era di tipo recessivo, visto che nessun maschio di F1 e F2 mostrò quest’anomalia.

5.6. Galline con speroni

Galline con speroni

  Ereditarietà sconosciuta

È piuttosto raro trovare speroni in femmine di razze pesanti, mentre è frequente il loro riscontro nelle razze mediterranee e nell’Amburgo. Per l’analisi di questo argomento si rimanda al capitolo dedicato ai caratteri sessuali secondari. Si può aggiungere che, secondo l’esperienza di Somes, e secondo quanto riferito da un allevatore statunitense di Galli d’arena le cui femmine erano dotate di speroni, si può concludere che, quando galline con speroni vengono incrociate con razze leggere (Livorno, Polish, Sebright), parecchie figlie sviluppano speroni. È necessario procedere a uno studio genetico approfondito per dare una risposta esauriente.

Dal punto di vista storico rammento che gli speroni nella gallina sono stati citati e disapprovati sia da Plinio (X,156) che da Columella (VIII,2,8) e che ne abbiamo parlato in capitoli precedenti.

5.7. Sindattilia

Sindattilia

Effetto pleiotropico di psp? Implicati i geni dell’impiumamento dei tarsi?

In questa condizione anatomica si ha la fusione fra 3° e 4° dito, per lo più attraverso una membrana interdigitale ininterrotta la cui estensione varia da caso a caso e che nei gradi estremi comporta una stretta unione delle dita tra loro, con l’unghia del 4° dito deviata rispetto alla sua normale posizione, rendendo la deambulazione difficoltosa.

Questo tratto si esprime abitualmente in ambedue le zampe. Circa le modalità di trasmissione, esistono numerose ipotesi, tra cui troviamo quella secondo cui l’associazione con brachidattilia (By) e ptilopodia (Pti-1 - Pti-2 - pti-3) sarebbe dovuta a uno stesso gene, la cui azione viene modificata dai soliti ignoti, cioè da geni modificatori. C’è chi ha espresso per questo tratto un comportamento dominante, esiste anche l’ipotesi che la responsabilità ricada su due geni dell’impiumamento dei tarsi. Da ricordare infine che è stata proposta l’azione di un singolo gene pleiotropico psp, descritto nella parte generale a proposito della pleiotropia (vol.II - XIV.6). Da quanto detto, risulta lampante che la scienza ne ha fatta di strada, ma che la soluzione di certi interrogativi è rimandata di alcuni decenni. Molto verosimilmente esiste più di un tipo di sindattilia, e quello che pare più certo è che essa non è legata al sesso.

5.8. Dattilolisi

dac - dactylolysis

Autosomico recessivo  
Gruppo di associazione sconosciuto

È una sclerodermia - dal greco sklërós+dérma = dura pelle - che colpisce i piedi dei giovani pulcini, i quali sono normali all’atto della nascita, ma dopo una settimana cominciano a presentare in tale sede un irrigidimento della cute associato ad aspetto vitreo per un lieve edema. In pochi giorni si instaurano delle fissurazioni alla pianta dei piedi che possono estendersi anche dorsalmente. L’apice delle dita è atrofico e assottigliato. In alcuni soggetti questa situazione non è grave e si risolve nel giro di alcune settimane, mentre nei casi più severi furono necessarie anche 12 settimane per una restitutio ad integrum.

Ricorrendo agli incroci si è potuto dimostrare che quest’affezione è ereditabile e non è da attribuire a disordini alimentari. Può essere classificata tra le condizioni semiletali per le difficoltà che causa nell’affrontare i primi atti della vita. Sotto certi aspetti è simile alle lesioni provocate da deficienza di biotina oppure di acido pantotenico, talora assomiglia alle vesciche ai piedi che tra poco descriveremo.

La biotina, detta anche vitamina H o vitamina antiseborroica, viene sintetizzata dalla flora batterica  intestinale, per cui è difficile si instauri una sua carenza da scarso apporto, mentre nell’uomo può determinarsi una sua mancanza per un eccessivo consumo di albume crudo. Infatti il bianco dell’uovo contiene l’avidina, che si combina con la biotina a formare un composto non assimilabile. I sintomi principali dell’avitaminosi H consistono in cute secca, anemia e ipercolesterolemia.

L’acido pantotenico è anche detto fattore antipellagra del pulcino e la sua carenza non dà segni nell’uomo. È contenuto nel fegato, nel rene, nel lievito e nella verdura fresca. Se i pulcini non dispongono di questa vitamina in dosi adeguate, essi presentano una dermatite, o pelle agra, cioè una pelle ruvida.

5.9. Vesciche ai piedi letale

bf - blistered foot lethal

Autosomico recessivo  
Gruppo di associazione sconosciuto

Somes (1970) ha riportato un’anomalia del piumino che si presenta accorciato, cui si associano lesioni della faccia e dei piedi. Queste alterazioni sembrano tutte dovute all’azione di un solo gene, spesso letale. Su 58 pulcini vivaci e vitali all’atto della schiusa, il 25% morì al primo giorno, e di quelli rimasti il 96% morì in capo a 18 giorni. Solo due sopravvissero fino all’età adulta, senza però raggiungere la maturità sessuale. Le vesciche alla pianta dei piedi erano presenti all’atto della schiusa, e in coloro che sopravvissero più di 8 giorni si sviluppò una dermatite ingravescente cui fece seguito una necrosi cutanea con perdita delle dita e successive lesioni agli angoli della bocca e agli occhi. Nei due sopravvissuti le lesioni si estesero anche alle orecchie. Coda e ali erano iposviluppate.

 sommario 

  top  

 avanti 



[1] Favus o Cresta bianca o Tigna favosa: è una dermatomicosi che colpisce uccelli e mammiferi, uomo compreso. Nel nostro caso è dovuto al Tricophyton gallinae, un fungo del gruppo dei dermatofiti. Le lesioni, anche se prevalentemente localizzate alla cresta, possono diffondersi ai bargigli, e si possono così notare macchie biancastre pulverulente, irregolari, talora confluenti. In seguito si formano squame, e quindi croste. Le lesioni di solito emanano un caratteristico odore di muffa. La micosi può estendersi alle penne del collo e del dorso, che appaiono sfrangiate e talora spezzate, mimando così le lesioni causate da certi pidocchi.

[2] Razza francese della regione del Charollais. La città di Charolles (Saône-et-Loire) fu la sede del club che ne stabilì ufficialmente le caratteristiche nel 1964.

[3] Gli Olandesi lo chiamano Pollo del Twente.

Pausania il Periegeta: scrittore greco della metà del II secolo dC (circa 120-180), forse nativo della Lidia in Asia Minore. Visitò la Palestina, l'Arabia, l'Egitto, l'Italia e soprattutto la Grecia, della quale lasciò una descrizione sistematica nell'opera in 10 libri Periegesi della Grecia. La materia è ordinata per regioni e le notizie fornite riguardano la storia, la topografia, i monumenti, i culti di ognuna di esse. Oltre che di grande interesse, per la ricchezza e l'accuratezza della documentazione sui monumenti e le opere d'arte la Periegesi è fondamentale ai fini della nostra conoscenza della Grecia classica e di età imperiale. Nonostante l'autore registri a volte notizie leggendarie o errate, la sostanziale veridicità del suo racconto è stata accertata dalle ricerche archeologiche.

Löscher Abraham: sassone (Zwickau 1520 - Norimberga 1575) nel 1551 è professore di greco a Ingolstadt, in Baviera, dove nel 1554 è professore di retorica e nel 1558 si laurea in diritto; del 1559 è assessore a Speyer - Spira – nella Renania-Palatinato; dal 1565 rimarrà a Norimberga come consulente di diritto. Nel 1550 aveva pubblicato a Basilea la traduzione completa della Periegesi della Grecia di Pausania, con il titolo di Pausaniae de tota Graecia Libri decem, quibus non solum urbium situs, locorumque intervalla accurate est complexus, sed Regum etiam familias, bellorum causas & eventus, sacrorum ritus, Rerumpub. status copiose descripsit: hactenus a nemine in linguam latinam conversi, nuncque primum in lucem editi: Abrahamo Loeschero interprete... Basel: Johannes Oporinus August 1550.

Gaza Teodoro: umanista bizantino (Salonicco ca. 1400 - San Giovanni di Piro, Salerno, 1475). Sfuggito nel 1429 ai Turchi e venuto in Italia, insegnò greco a Siena, a Ferrara e a Mantova. Passò a Roma al servizio di papa Niccolò V, per il quale tradusse in latino scrittori greci (Teofrasto, varie opere di Aristotele, ecc.). Alla morte di Niccolò V (1455), si stabilì a Napoli alla corte di re Alfonso, che gli assicurò una florida situazione economica. Ottenne infine il beneficio dell'abbazia di San Giovanni. Oltre agli autori già citati, Gaza tradusse Ippocrate, Eliano, Dionigi d'Alicarnasso, Giovanni Crisostomo e dal latino in greco Cicerone; scrisse una Grammatica greca e collaborò all'editio princeps di testi inediti (Aulo Gellio). È autore inoltre di opere storiche, filologiche e antiquarie e di parafrasi di testi omerici.

Dindorf Ludwig August (Lipsia 1805-1871), latinizzato in Ludovicus Dindorfius, pubblicò il Pausaniae descriptio Graeciae a Parigi nel 1845 e insieme al fratello Karl Wilhelm curò una nuova edizione del Thesaurus graecae linguae di Robert Estienne. Karl Wilhelm (Lipsia 1802-1883), insigne filologo, compì importanti studi sul teatro e sui classici greci (Poeti drammatici greci, 1830; I metri di Eschilo, Sofocle, Euripide e Aristofane, 1842; saggi su Demostene, 1851, e su Omero, 1856). – Robert Estienne (Parigi 1503-Ginevra 1559), latinizzato in Stephanus, venne nominato da Francesco I stampatore regio e fu anche insigne filologo: tra le sue opere vi è anche il celebre Thesaurus linguae latinae (1532).

Dioscoride o Dioscuride Pedanio: medico e naturalista greco (Anazarba, Cilicia, vissuto fra il 40 e il 90 dC). Servì nell'esercito romano sotto Claudio e Nerone; è considerato il fondatore dell'erboristeria farmaceutica per aver descritto nell'opera De materia medica le proprietà medicinali di circa 600 specie vegetali allora note, oltre che di bevande, minerali e altre sostanze. L'opera, che costituì la principale fonte per gli studi botanico-farmacologici fino in epoca moderna, fu più volte riprodotta e commentata in lingua araba e latina, nonché in italiano, come per esempio da Pierandrea Mattioli nel XVI secolo.

Plinio il Vecchio Naturalis historia XXV,172: Ranunculum vocamus quam Graeci batrachion. Genera eius IIII: unum pinguioribus quam coriandri foliis et ad latitudinem malvae accedentibus, colore livido, caule alto, gracili et radice alba. Nascitur in limitibus umidis et opacis. Alterum foliosius, pluribus foliorum incisuris, altius caulibus. Tertium minimum est, gravi odore, flore aureo. Quartum simile huic, flore lacteo.

Mattioli Pierandrea: naturalista e medico (Siena 1500 - Trento 1577). Altre fonti danno rispettivamente 1501 e 1578. Nasce a Siena nel 1500 da Francesco Mattioli, medico, e da Lucrezia Buoninsegna. Si trasferisce col padre a Venezia e nel 1523 si laurea a Padova in medicina. Rientrato a Siena alla morte del padre, se ne allontana poco dopo a causa degli scontri tra le diverse fazioni, per recarsi a Perugia che lascia, dopo la specializzazione in chirurgia, per raggiungere Roma dove si ferma fino al 1527, anno del sacco. Nel 1527 si sposta a Trento, divenendo medico personale del Principe Vescovo Bernardo di Clès. Al potente protettore dedica il trattato De morbo gallico e il poema in versi Il Magno Palazzo del Cardinale di Trento, pubblicato nel 1539. Quest’opera costituisce un documento di grande importanza, perché fornisce preziose informazioni sul nuovo aspetto assunto dal Castello del Buonconsiglio dopo gli interventi architettonici voluti da Bernardo di Clès. Mattioli si trattiene in Trentino per circa un trentennio, durante il quale soggiorna soprattutto in Val di Non, nei dintorni di Trento e sul monte Baldo. In queste zone di montagna ha modo di dedicarsi alla botanica, sua grande passione e di venire in contatto con conoscenze e tradizioni popolari che forniranno la base delle sue ricerche sulle proprietà terapeutiche delle piante. Nel 1539, forse a seguito della morte del Principe Vescovo Bernardo, parte alla volta di Gorizia e, in seguito, di Praga. Nel 1544 pubblica a Venezia il suo lavoro di botanica Discorsi  redatto in italiano e nel 1554 pubblica sempre a Venezia, ma in latino, l’equivalente opera a carattere naturalistico e terapeutico che lo rese celebre: Commentarii in libros sex Pedacii Dioscoridis Anazarbei De Materia Medica (Venetiis, apud Valgrisium, 1554) e che dominò il sapere botanico per due secoli, con 61 edizioni e con traduzione in 5 lingue. La prima traduzione in italiano dei Commentarii vide anch’essa la luce a Venezia  nel 1557 ad opera di Valgrisi. Pierandrea Mattioli raggiunge l’apice della sua carriera nel 1555, quando Ferdinando I d’Austria lo chiama a corte come medico personale del suo secondogenito e rimane a servizio degli Asburgo (anche di Massimiliano II, primogenito di Ferdinando I e suo successore nel 1564)  fino al 1571, anno in cui decide di far ritorno a Trento, dove rimane fino alla morte nel 1577 dovuta alla peste e viene sepolto nella cattedrale dove gli viene eretto un sepolcro marmoreo che lo raffigura al suo tavolo da lavoro. La sua pietra tombale è conservata all’ingresso del Duomo di Trento. Per i suoi meriti Charles Plumier, valoroso botanico di Marsiglia (1646-1706), gli dedicò il genere Matthiola.

Ludwig Dindorf, Pausaniae descriptio Graeciae X,17,13: Eadem insula venenorum letalium, si unam plantam exceperis, est expers. Herba ista perniciosa, apio persimilis est; qui eam comederint, ridentes emori dicuntur. Ex eo Homerus aliique post eum Sardanium eum dixerunt risum, qui in re minime commoda et mente parum sana ederetur. Gignitur circa fontes maxime, nec tamen cum ipsis aquis veneni naturam communicat.

Sélinon in greco indicava per esempio sia il sedano (Apium graveolens) che il prezzemolo (Petroselinum hortense Hoffmann = Apium petroselinum Linneo) appartenenti entrambi alle Ombrellifere. Il prezzemolo potrebbe essere originario della Sardegna. Anche il latino apium designava piante diverse. Dapprima le Ombrellifere vennero denominate Apiacee, successivamente si optò per Ombrellifere, e il motivo è semplice: si tratta di una famiglia di piante per lo più erbacee caratterizzate da fiori disposti in ombrella semplice o composta.

Tetano: dal greco tetanós, teso, rigido, a sua volta dal verbo teíno, tendere. Malattia infettiva acuta causata dalla tossina prodotta dal batterio anaerobio Clostridium tetani, che genera spore molto resistenti nell'ambiente. Serbatoio dell'infezione sono gli animali erbivori, specialmente il cavallo, nel cui intestino il batterio si trova come ospite abituale: le spore vengono eliminate con le feci, contaminando il terreno e tutti gli oggetti che vengono in contatto con esso. Ci si infetta in caso di lesioni cutanee, anche lievi ma penetranti e poco sanguinanti, provocate da oggetti contaminati. La spora passa alla forma vegetativa e rimane localizzata nella sede di ingresso dove produce una tossina molto potente che va a legarsi ai neuroni delle corna anteriori del midollo spinale e ai motoneuroni del tronco encefalico, inibendo le sinapsi che regolano il movimento. La malattia si manifesta quindi con la contrazione continua di tutti i muscoli (paralisi spastica) a partire dai piccoli muscoli e con diffusione sino ai muscoli respiratori, cui segue, nella maggior parte dei casi, la morte. Attualmente, il tetano è molto raro, sia per la vasta diffusione della vaccinazione (obbligatoria per tutti i bambini, per gli sportivi e per i lavoratori) sia per la disponibilità del siero antitetanico per la profilassi passiva.

Tritone: essere marino della mitologia greca, figlio del dio del mare Posidone – o Poseidone, il romano Nettuno, che forse aveva i capelli neri e azzurri - e di Anfitrite, una delle 50 o 100 Nereidi, le divinità marine figlie di Nereo. Si concepiva anche una pluralità di Tritoni, che erano solitamente rappresentati nel corteo di Posidone sotto forma di uomini-pesci in atto di suonare conchiglie come trombe. Tritone compare già nell'arte greca arcaica, in sculture e pitture vascolari, con la parte inferiore del corpo pisciforme, tronco umano e volto giovanile e barbato. Molto diffuso, fino al sec. V aC, è il tema della lotta con Eracle, mentre in seguito prevale il motivo del Tritone che accompagna sul mare mitici eroi. In età ellenistico-romana Tritone presenta anche zampe anteriori di cavallo ed è raffigurato, in sculture e rilievi, nel corteo marino di Posidone e Anfitrite, con ninfe o nereidi sul dorso. Frequente anche la rappresentazione di tritoni anguipedi nelle decorazioni architettoniche.

Giraldi Giglio Gregorio: nessuna notizia biografica in lingua italiana relativa a Lilius Gregorius Gyraldus. Comunque, nacque a Ferrara nel 1479 e morì nel 1552. a noi interessa per il suo Historiae Deorum Gentilium (1548) - Lilius Gregorius Gyraldus or Giraldus (1479-1552), is one of the only suitably-named writers alive close to the date of publication that Yeats mentions (1594), though he deliberately muddies the issue by alluding to older traits in the style of the presentation. As well as Historia Deorum Gentilium (A History of the Pagan Gods), Lilius Gregorius Gyraldus wrote De Annis et Mensibus (Concerning Years and Months; Basel, 1541) which contains a discussion of the Annus Magnus that might have been of particular interest to Yeats. Kathleen Raine also suggests another possibility in a further Ferraran, Giambattista Giraldus (1504-1575), who edited the older Giraldus’ works, and is better known as the Cinthio* whose Ecatommiti provided Shakespeare with the stories of Othello and Measure for Measure. This latter appears as ‘Giraldi’ in the entry preceding ‘Giraldus Cambrensis’ in Chambers Biographical Dictionary (YL 365). (da www.yeatsvision.com)

Ludwig Dindorf, Pausaniae descriptio Graeciae IX,21,1: Vidi ego et alium Tritonem Romanorum in thesauris rerum admirabilium, sed hoc qui apud Tanagraeos est magnitudine inferiorem. Hanc prae se ferunt Tritones figuram: capitis coma persimilis est ranunculis colore, et capillum omnino nullum ad aliis possis discernere; [...] - Lilius Gregorius Giraldus, Historiae Deorum Gentilium syntagma quintum: Idem scribit et Pausanias qui ait, a se visum apud Tanagraeos in Boeotia: et item alterum Romae inter miracula habitum, Tanagraeo minorem: eosque commixtam habuisse hominis speciem cum pisce. Caput enim capillis contectum fuisse, neque facile discerni potuisse: colore eo fuisse, quo esse videntur ranae palustres in dorso:[...]

Nicandro di Colofone: poeta greco. Sotto il nome di Nicandro ci sono giunti per intero due poemetti didascalici in esametri, Rimedi contro le morsicature degli animali velenosi (Theriaca) e Contravveleni (Alexipharmaca), scritti nello stile oscuro e ricercato dell'epoca, e frammenti di vari poemi (Metamorfosi, Georgiche, Api, Cimmerii, Thebaica). Le opere sono da attribuirsi con molta probabilità a due poeti diversi, entrambi di Colofone, uno databile al sec. III, l'altro al sec. II aC. L’autore di Theriaca e Alexipharmaca dovrebbe essere il Nicandro del II sec. aC.

Lucius Annaeus Cornutus, alias Phurnutus, filosofo e letterato latino (sec. I dC), nativo di Leptis Magna, fu a Roma come liberto, dove insegnò grammatica e filosofia (stoica) fra gli altri a Lucano e a Persio. Scrisse tragedie e, in greco, un'opera filosofica giunta fino a noi, il Compendio di teologia greca,  o un suo riassunto latinizzato in De natura deorum, dove fornisce un'interpretazione allegorico-naturalistica dell'antica mitologia.

Filostrato: nato intorno al 190 dC, era un sofista dell’isola di Lemno nel Mar Egeo, al quale sono attribuite le Immagini, descrizioni di quadri posti in una villa di Napoli. Un'altra raccolta di Immagini, meno interessante della precedente, è attribuita al nipote Filostrato (sec. III) anch’egli di Lemno.

Eliano La natura degli animali IX,36: C’è un pesce che appartiene alla famiglia dei muggini e che d’abitudine pascola tra le rocce. È giallo d’aspetto. Comunemente viene indicato con due nomi: alcuni lo chiamano adone, altri invece exoceto. [...] La gente ha voluto chiamarlo adone perché è amante della terra e del mare; i primi che gli hanno dato questo nome, mi sembra l’abbiano fatto volendo alludere al figlio di Cinira, la cui vita era divisa tra due dee: era infatti contemporaneamente amato da una dea abitante degli inferi [Persefone] e da un’altra che invece abitava sulla superficie terrestre [Afrodite]. (traduzione di Francesco Maspero) – Questo pesce non è stato identificato.

Plinio il Vecchio Naturalis historia IX,70: Circa Clitorium vocalis hic traditur et sine branchiis, idem aliquis Adonis dictus. - Nella zona di Clitorio – città dell’Arcadia settentrionale – si dice che questo pesce abbia la voce e sia senza branchie; da alcuni è chiamato adone. – Non vi sono pesci senza branchie, per cui deve trattarsi di un errore di Plinio o della sua fonte.

Fiori Adriano, Nuova flora analitica d’Italia, Edagricole, Bologna, 1974.

[4] Trae il nome dalla cittadina di Caumont l’Éventé, nel Calvados, in Normandia.

[5] Il suo nome deriva dalla regione di Houdan, nel dipartimento delle Yvelines, a una trentina di km da Mantes, che a sua volta si trova a 50 km a WNW di Parigi.

[6] Il circondario di La Flèche si trova nel dipartimento della Sarthe.

[7] Appenzell: cantone della Svizzera nord-orientale, interamente circondato dal territorio del cantone di San Gallo, e amministrativamente diviso nei due Stati (semicantoni) di Appenzell Ausser-Rhoden (capitale Herisau), di religione protestante, e di Appenzell Inner-Rhoden (capitale Appenzell), di religione cattolica, entrambi di lingua tedesca.

[8] Anche la regione del Crèvecoeur si trova nel Calvados, in Normandia.

[9] Neanche i Regnanti posseggono tanti nomi come certe razze di polli. La Polish, o Polacca, è nota come Olandese dal ciuffo, talora anche come Padovana. Si lascia agli Standard l’ingrato compito di dipanare la matassa storica e tipologica, che è terreno minato.

sultans.—These pretty fowls were introduced by Miss Watts, to whom poultry-fanciers, are in many other respects indebted, and who gives the following account of their importation :— "They were sent to us by a friend living at Constantinople, in January, 1854. A year before, we had sent him some Cochin China fowls, with which he was very much pleased ; and when his son soon after came to England, he said he could send from Turkey some fowls with which we should be pleased. Scraps of information about muffs, and divers beauties and decorations, arrived before the fowls, and led to expectations of something much prettier than the pretty Ptarmigan, in which we had always noticed a certain uncertainty in tuft and comb. In January they arrived in a steamer chiefly manned by Turks. The voyage had been long and rough ; and poor fowls so rolled over and glued into one mass with filth were never seen. We at once saw enough to make us very unwilling to be entirely dependent for the breed on the one sad-looking gentleman with his tuft heavy with dirt, dirt for a mantle, and his long clogged tail hanging round on one side; and we wrote directly for another importation, especially for a cock, and to ask the name they had at home. In answer to the first request, we found that good fowls of the kind are difficult to get there; our friend has ever since been trying to get us two or three more, but cannot succeed either in Constantinople or other parts of Turkey: the first he can meet with will be sent. With regard to the name, he told us they are called Serai-Täook. Serai, as is known by every reader of Eastern lore, is the name of the Sultan's palace ; Täook is Turkish for fowl; the simplest translation of this is, "Sultan's fowls," or "fowls of the Sultan ;" a name which has the double advantage of being the nearest to be found to that by which they have been known in their own country, and of designating the country from which they came. They rather resemble our White Polands, but with more abundant furnishing, and shorter legs, which are vulture-hocked and feathered to the toes. In general habits they are brisk and happy-tempered; but not kept in as easily as Cochin Chinas. They are very good layers; their eggs are large and white; they are non-sitters and small eaters. A grass-run with them will remain green long after the crop would have been cleared by either Brahmas or Cochins; and with scattered food they soon become satisfied and walk away. They are the size of our English Poland fowls. Their plumage is white and flowing; they have a full-sized, compact Poland tuft on the head, are muffed, have a good flowing tail, short well-feathered legs, and five toes upon each foot. The comb is merely two little points, and the wattles very small. We have never seen fowls more fully decorated — full tail, abundant furnishing, in hackle almost touching the ground, boots, vulture-hocks, beards, whiskers, and full round Poland crests. Their colour is pure white; and they are so very beautiful that it is to be hoped amateurs will procure fresh importations before they disappear from among existing kinds."

[10] Mrs Watts, nel suo Poultry Yard, scrive anche Serai Ta-ook. La vera grafia di Serai è Sarai oppure Saray, termine persiano che significa edificio, palazzo, poi usato dai Mongoli per indicare specificamente la residenza del Khan. L’italiano serraglio  è stato assunto attraverso una forma turca in quanto forse si tratta del derivato serayli = di palazzo. Infatti Saray è diventato anche un termine turco e nei Paesi di civiltà turca indica propriamente il palazzo, sede di un governo oppure residenza di un principe come per esempio il Sultano, titolo attribuito più volte nella storia a sovrani musulmani. Nella sua accezione più famosa il Sultano per antonomasia fu tuttavia il sovrano ottomano, forse già a partire da Orkhan (1288-1359) o da suo figlio Murad I (1326-1389), o da Bayazid I (1359-1403), certamente a partire da Maometto II (1430-1481).