Ulisse Aldrovandi

Ornithologiae tomus alter - 1600

Liber Decimusquartus
qui est 
de Pulveratricibus Domesticis

Libro XIV
che tratta delle domestiche amanti della polvere

trascrizione di Fernando Civardi - traduzione di Elio Corti - revisione di Roberto Ricciardi

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Huius substantia cocta ovi albuminis gustu saporem exhibet.

La sua sostanza dopo che è stata cotta presenta dal punto di vista gustativo il sapore dell’albume dell’uovo.

SEXUS.

SESSO

Sexu tam manifeste hocce Gallinaceum genus natura distinxit, ut prorsus supervacaneum iudicaverim, suo loco eiusmodi differentiam ponere. Quare et Grammatici marem Gallum, faeminam Gallinam nominarunt, et nomen quod sciam nullum habent, quod utrumque genus complecti simul queat. Cur vero sagacissima, ac prudentissima in omnibus natura tam manifestis signis, erecta utpote crista, iubis a cervice per collum dependentibus, {canda} <cauda> maiori, insigni ad praeliandum calcari a Gallina separare voluerit, haud satis mihi constat. Crediderim tamen id ideo factum esse, quod unus multis faemellis sufficere debeat, easque a noxiis quandoque animantibus tueri. Nam eiuscemodi partes insignem, qualis strenuum patremfamilias decet, gravitatem prae se ferunt: quare etiam maiorem Gallinis creavit, et graviorem denique vocem dedit. Sed istaec alii altius perscrutari poterunt.

Attraverso il sesso la natura ha distinto in modo così evidente questo genere di gallinacei che quasi mi sembra del tutto superfluo collocare siffatta differenza in un paragrafo apposito. Per cui anche i grammatici hanno denominato gallo il maschio, gallina la femmina, e non hanno nessun termine di mia conoscenza che allo stesso tempo sia in grado di riunire ambedue i sessi. A me invero non è abbastanza chiaro perché la natura, tanto sagace ed esperta in tutte le cose, abbia voluto differenziare - il gallo - dalla gallina con caratteristiche tanto evidenti, una cresta oltremodo eretta, la mantellina che dalla testa scende lungo il collo, una coda più grande, uno sperone ragguardevole allo scopo di combattere. Tuttavia sarei dell’avviso che ciò si è verificato in quanto uno solo deve essere sufficiente per molte femmine, e talora proteggerle dagli animali nocivi. Siffatte strutture ostentano infatti un’autorità notevole, quale si addice a uno zelante padre di famiglia: per cui lo ha anche fatto più grande delle galline, e infine gli ha dato una voce più forte. Ma altri saranno in grado di esaminare più a fondo queste cose.

VISUS. GUSTUS.

VISTA - GUSTO

Tametsi rapacium genus, et in iis maxime Aquila caetera animantia, volucres vero potissimum visus acie praecellat, adeo ut nomen inde sibi accepisse plurimi velint[1], Gallum quidem nostrum non parum oculorum acumine vigere etiam vel inde habemus, quod rapaces aves, et Milvos maxime a longe a reliquis avibus interstinguere egregie cognoscat. Qua in parte fortassis etiam Aquilae praeferri debeat: quae sane in hoc parum Aquilinis oculis fuit, cum ad Aeschili celeberrimi poëtae: eius diei ruinam, ut ferunt[2], fatis praedictam secura Caeli fide caventis albicantem calvariam saxum {efferata[3]}, testudinem devorandam demittens, miserum illum occidit, ut vel ob hanc unam causam Aquilae visus hebetari aliquando videri possit: Gallum vero nostrum eo magis visu valere constat, quod unico tantum oculo sursum elevato semper rapaces aves infestissimos hostes suos observet, ne ex improviso, vel pullum aliquem, vel faemellam, aut ipsummet eripiant e corte, altero diligentissime minutissima quaeque in locis etiam parum lucidis disquirat.

Benché il genere dei rapaci, e tra essi soprattutto l’aquila, sia superiore per acutezza visiva a tutti gli altri esseri viventi, ma specialmente agli uccelli, tant’è che sono moltissimi ad affermare che da ciò essa ha preso il nome, in realtà possiamo renderci conto che anche il nostro gallo si distingue non poco per acutezza visiva anche dal fatto che impara a distinguere molto bene da lontano gli uccelli rapaci, e soprattutto i nibbi, dai rimanenti uccelli. Per questa caratteristica forse dovrebbe anche essere preferito all’aquila: poiché questa caratteristica fu perlomeno carente negli occhi di un’aquila, quando <il rapace>, gettando giù per divorarla una tartaruga contro il cranio biancheggiante del famosissimo poeta Eschilo <scambiato per> un sasso, il quale, a quanto si narra, cercava di evitare un tracrollo rovinoso predettogli dagli oracoli per sicura fiducia nell’aria aperta, uccise quell’infelice, sicché anche solo per quest’unico motivo potrebbe sembrare che talora la vista di un’aquila si offusca: invece risulta che il nostro gallo è tanto più valido dal punto di vista visivo in quanto con un occhio solo rivolto verso l’alto è sempre in grado di scorgere gli uccelli rapaci suoi acerrimi nemici, affinché non portino improvvisamente via dal recinto un qualche pulcino, oppure una femmina, oppure lui stesso, mentre con l’altro esamina con molta attenzione tutte le cose più piccole che si trovano in posti anche poco illuminati.

Gustum item exquisitissimum Gallinaceus habet, qua in re simiae, cui alioqui omnes uno ore palmam attribuunt, nihil mihi cedere videtur. Illi enim, ut de rebus iudicet, necessarium est, ut dentibus suis eas prius confringat: noster vero Gallinaceus Gallus aridissimum quodque, modo id ore recipere queat ilico diiudicat, ut Iulius Caesar Scaliger[4] docet.

Il gallo possiede parimenti un senso del gusto eccellente, cosa in cui a me pare non sia per nulla da meno della scimmia, alla quale d’altronde tutti quanti in coro attribuiscono la palma. Infatti, per poter dare un giudizio sulle cose, essa ha bisogno di romperle prima coi suoi denti: invece il nostro gallo dà immediatamente un giudizio su tutte le cose più asciutte, purché sia in grado di prenderle con la bocca, come insegna Giulio Cesare Scaligero.

VOX. CANTUS.

VOCE - CANTO

Gallinaceus Gallus eandem fere semper nobis vocem occinit: sed qui animosiores sunt, graviorem edunt, teste Aristotele[5], incipiunt autem cantum, quum {insilere} <insilire> Gallinas incipiunt. Gallina vero pro variis actionibus vocem immutat. Aliam enim iens, aliam parturiens, aliam pullos enutriens edit: alioqui et illa gracillare dicitur{;}<,> Gallus cucu<r>rire, unde Philomelae author[6].

Cucu<r>rire solet Gallus, Gallina gracillat.

Il gallo ci fa quasi sempre udire la stessa voce: ma quelli che sono più coraggiosi la emettono più profonda, testimone Aristotele, e iniziano a cantare quando si accingono a montare le galline. Ma la gallina cambia voce a seconda delle diverse attività. Ne emette una quando gironzola, un’altra quando depone l’uovo, un’altra ancora quando alleva i pulcini: del resto si dice anche che fa la voce da chioccia, e che il gallo fa chicchirichì, per cui l’autore di Filomela scrive:

Il gallo è solito far chicchirichì, la gallina fa la voce da chioccia.

Gaza, quoque apud Aristotelem[7] pro κοκκύζειν, qua voce Demosth<enes> pro Galli voce etiam usus est, cucu<r>rire vertit. Pollux[8], et Scholiastes Aristophanis[9] Cuculo propriam eam vocem esse asserunt. Unde coccyssare, inquit Caelius, id est κοκκύζειν verbum habent Graeci {fictitium} <ficticium> ex Gallinacei voce, et Coccygis. Alibi tamen Scholiastes, cum Aristophanes[10] de Gallo dixisset ὁπόταν μόνον ὄρθριον ᾄσῃ, addit, κοκκύζειν enim tum proprie dicitur Gallus, cum parta victoria canit, et Varinus κοκκύζω vertit, instar Gallinacei clamo. In qua item significatione Theocritus[11] usus est dum canit: ὁ δ’ὄρθριος ἄλλον ἀλέκτωρ κοκκύσδων νάρκαισιν etc. Item Cratinus[12] apud Eustathium[13] κοκκύζειν, inquit τὸν ἀλεκτρυόνα οὐκ ἀνέχονται: qui et hoc Platonis Comici[14] citat Σὲ δὲ κοκκύζειν ἀλέκτωρ προκαλεῖται.

Teodoro Gaza anche in Aristotele traduce kokkýzein con cucurrire - far chicchirichì, parola di cui si è servito anche Demostene per indicare la voce del gallo. Giulio Polluce e lo scoliaste di Aristofane affermano che quella voce è propria del cuculo. Da cui in coccyssare, dice Lodovico Ricchieri, cioè kokkýzein, i Greci hanno un verbo onomatopeico derivato dalla voce del gallo e del cuculo. Tuttavia altrove lo scoliaste, avendo Aristofane detto hopótan mónon órthrion áisëi allorché canta sul far del giorno, aggiunge quindi si dice correttamente che un gallo kokkýzein quando canta dopo aver conseguito una vittoria, e Guarino traduce kokkýzø con io schiamazzo come un gallo. Parimenti Teocrito se ne è servito con questo significato mentre cantava: o d’órthrios állon aléktør kokkýsdøn nárkaisind'altra parte il mattiniero gallo cantando a quelli che dormono etc. Ugualmente Cratino, stando a Eustazio, dice kokkýzein tòn alektryóna ouk anéchontai - non sopportano che il gallo canti: il quale cita anche questo passo di Platone il comico Sè dè kokkýzein aléktør prokaleîtai - Il gallo ti invita a cantare.

 

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[1] Aldrovandi accenna alla probabile origine del latino aquila da acies, che significa punta o filo di una lama, taglio affilato, e, per metonimia, spada e combattimento, ma che in seconda istanza significa acutezza visiva. Aldrovandi afferma che l’etimologia di aquila da acies sarebbe riconosciuta da moltissime persone, adeo ut nomen inde sibi accepisse plurimi velint, e possiamo aggiungere che tra costoro si trova anche Isidoro di Siviglia. Ma in Ornithologia Latina (1979) Filippo Capponi afferma senza tanti fronzoli che l’etimologia di aquila non è sicura, mentre l’equivalente vocabolo greco aetòs e le sue forme aietòs, aiëtòs, aëtòs hanno il valore di uccello. Quindi Capponi non accenna neppure a Isidoro, che così si esprime in Etymologiae XII,7: Avium nomina multa a sono vocis constat esse conposita: ut grus, corvus, cygnus, pavo, milvus, ulula, cuculus, graculus et cetera. Varietas enim vocis eorum docuit homines quid nominarentur. Aquila ab acumine oculorum vocata. Tanti enim contuitus esse dicitur, ut cum super maria inmobili pinna feratur nec humanis pateat obtutibus, de tanta sublimitate pisciculos natare videat, ac tormenti instar descendens raptam praedam pinnis ad litus pertrahat. Nam et contra radium solis fertur obtutum non flectere; unde et pullos suos ungue suspensos radiis solis obicit, et quos viderit inmobilem tenere aciem, ut dignos genere conservat; si quos vero inflectere obtutum, quasi degeneres abicit.- Da acies deriva senza dubbio l’italiano acciaio, che gli antichi Latini chiamavano invece chalybs, facendo così riferimento a una mitica popolazione della costa sudorientale del Mar Nero, i Calibi - Chalybes - famosi nella tradizione greca come i primi lavoratori del ferro, celebratissimi nella letteratura classica da Eschilo ad Apollonio Rodio e a Virgilio.

[2] Filippo Capponi (Ornithologia Latina, 1979) dopo un’accurata disamina conclude che l’aquila di Eschilo con ogni probabilità era un esemplare di Aquila clanga o Aquila anatraia maggiore. Invece D’Arcy Thompson (A Glossary of Greek Birds, 1895), indotto dal testo di Suida, concluderebbe per il Gypaëtus barbatus o Avvoltoio degli agnelli, e infatti nell’antico raggruppamento degli Aquilidi il Gypaëtus barbatus era considerato un’Aquila vera e propria. Ma la tesi di Capponi sembrerebbe vincente. - L’episodio della morte di Eschilo è citata da Plinio, Naturalis historia X,7: Huius ingenium est et testudines raptas frangere e sublimi iaciendo, quae fors interemit poetam Aeschylum, praedictam fatis, ut ferunt, eius diei ruinam secura caeli fide caventem. - È comportamento istintivo di questo uccello frantumare le tartarughe rapite gettandole dall’alto, ed è questo incidente che uccise il poeta Eschilo, il quale, come narrano, standosene sicuro all’aria aperta, cercava di evitare un crollo rovinoso predettogli dagli oracoli per quel giorno.” Anche Valerio Massimo ha narrato il tragico episodio, col particolare dell’aquila che scambiò la testa calva di Eschilo per una pietra e vi lasciò cadere sopra la tartaruga. Ecco il brano di Valerio Massimo tratto da Factorum et dictorum memorabilium libri novem, IX 12 ext. 2: Aeschyli vero poetae excessus quem ad modum non voluntarius, sic propter novitatem casus referendus. In Sicilia moenibus urbis, in qua morabatur, egressus aprico in loco resedit. Super quem aquila testudinem ferens elusa splendore capitis - erat enim capillis vacuum - perinde atque lapidi eam inlisit, ut fractae carne vesceretur, eoque ictu origo et principium fortioris tragoediae extinctum est.

[3] Si tratta certamente di un errore di Aldrovandi. Né Plinio né Valerio Massimo hanno questo aggettivo che significa inferocito, inasprito (potrebbe essere predicativo di aquila, sottinteso "quando <il rapace>, inferocito, gettando giù...").

[4] Nella nota a bordo pagina Aldrovandi cita come fonte la Exercitatio 266 contenuta in Exotericarum exercitationum liber quintus decimus: de subtilitate, ad Hieronymum Cardanum (1557) di Giulio Cesare Scaligero. Questa exercitatio – nel testo originale di Scaligero del 1557 - reca il titolo Quae de nomine imponendo, & de suo nomine faceta, ma non vi ricorre assolutamente il gallo. La dritta per localizzare il brano di Scaligero in cui si decanta l'eccellenza del senso del gusto dei gallinacei viene dall'indice analitico della sua opera: gallinae gustus praesentaneus 286.2 – il gusto immediato della gallina. Infatti la exercitatio 286 (An pueri maxime vigeant sensibus) reca come titolo del paragrafo 2 De sensu exquisito subtilissima, e in questa sezione troviamo la gallina, che a differenza dell'essere umano non ha bisogno di masticare per percepire il gusto di un cibo. Ecco il testo di Scaligero. Gallina crassissimum, aridissimum quodque receptum ore illico diiudicat: Homo non nisi mansa. (Exercitatio 286,2) § Lind invece nella nota a piè pagina cita pedissequamente 266 come stampato dalla tipografia di cui purtroppo si servì il nostro Ulisse, aggiungendovi del suo: Julius Caesar Scaliger Exercitationum liber quintus decimus de Subtilitate, ad H. Cardanum (Paris. Lutetiae, 1557), 266. (Lind, 1963)

[5] Pseudo Aristotele Physiognomonica, 807a 20: tøn alektryónøn oi eýpsychoi barýphøna phthéggontai.

[6] Auctor Carminis Philomela 25; A. Baehrens, Poetae Latini Minores V (1883), 365. (Lind, 1963)

[7] Historia animalium 631b 9.

[8] Pollux Onomasticon 5. 89. (Lind, 1963)

[9] Cfr. Aristofane, Le rane 1380; Le donne a parlamento o Ecclesiazuse 31.

[10] Gli uccelli 489.

[11] Idilli VII 123-124

[12] Cratinus Fragment 311, in Comicorum Atticorum Fragmenta (ed. by T. Kock, 3 vols., Leipzig, 1880-88). (Lind, 1963)

[13] ad Odysseam IV 10, p. 1479, 42-48.

[14] Plato Comicus, Fragment 209, in Kock, op. cit., I, 601. (Lind, 1963)