Ulisse Aldrovandi
Ornithologiae tomus alter - 1600
Liber
Decimusquartus
qui
est
de Pulveratricibus Domesticis
Libro
XIV
che tratta
delle domestiche amanti della polvere
trascrizione di Fernando Civardi - traduzione di Elio Corti
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alimentum tamen exhibent, nec
[294] multum, nec duraturum multum quippe ex tenui
sanguine constat, ac fluxili, labilique ut et cito inde abire possit,
damneturque praeterea podagricis, ut alia, quae fluxilis sanguinis
generatione facile affectis, ideoque imbecillioribus partibus incurrunt,
vel mixta, vel attracta. |
tuttavia non
offrono cibo né in abbondanza né molto duraturo in quanto è
costituito da sangue poco denso, e fluido, e scorrevole al punto che può
fuoriuscirne in fretta, e che inoltre viene disapprovato per sofferenti
di podagra, come le altre cose che a causa della generazione di un
sangue fluido facilmente penetrano, o miscelate, o attratte, nelle aree
ammalate e pertanto più deboli. |
Sunt qui ad mensae usum, et pro
febricitantibus Gallinas castratas[1] pullastris cum maribus tum faeminis
praeferant. Apud nos[2] Gallinas castrare insolens est. Gallo vesci,
maxime provectae aetatis dedecus, etsi rusticis usurpatum, utpote
ingrato nobilium palatis; nam, ut ait Baptista Fiera[3] medicus, ac Poëta. Prandia
si dederit, Veneris documenta protervus Nesciat: hinc sicca est, et male grata caro. Sit puer, aut {Cybelis} <Cybeles> poenas pro
nomine falso Pendat,
et execto sit tibi teste Capus. Sic
praepinguis erit, sic iam dormire licebit, Et
pariet raucae fercula larga gulae. Sic
humens Gallina vices huic cedet honoras Vel
nigra, vel partus sit licet indocilis. Sic
cerebrum, Veneremque fovet: minus ignea pullo Vis est: sub sicco hic sit mihi {coena} <caena> cane. Maxima, testiculis positis tibi gloria, Galle, Somno, alvo, Veneri gratus es, et {Cybeli} <Cybelae>. |
Vi sono
alcuni che per la tavola e per coloro che hanno la febbre preferirebbero
le galline castrate ai pollastri sia maschi che femmine. Presso di noi
- a Bologna - non è abitudine castrare le galline. Mangiare un gallo,
soprattutto se ha un’età avanzata, è disdicevole, anche se lo fanno
i contadini, e mangiarlo risulta estremamente sgradito ai palati dei
nobili; infatti, come dice Giovanni Battista Fiera medico e poeta: Se darà
dei pranzi, l’impetuoso non deve conoscere gli insegnamenti di Venere: dai galli si ottiene una carne secca e non gradita. Sia un
giovincello, oppure sconti le pene di Cibele sotto falso nome, e
prendi un cappone con il testicolo asportato. Così sarà molto grasso,
così adesso gli sarà possibile dormire, e genererà delle abbondanti
portate dalla gola roca. Così l’umida gallina si sostituirà a costui
in modo maestoso, e deve essere o nera, o possibilmente incapace di
deporre uova. Così riscalda il cervello e l’appetito sessuale: nel
pollo vi è una minor forza focosa: costui sia per me una portata
durante una secca estate. A te o gallo la gloria più grande per aver
perso i testicoli, sei gradito al sonno, all’intestino, a Venere e a
Cibele. |
Apud veteres inter caeteras, quas saginabant,
saginatas Gallinas magni faciebant, ut C. Fannius legem ferre coactus
fuerit, qua volucres mensis apponere prohiberet, praeter unam Gallinam,
eamque quae non esset altilis.
Si autem
altiles apponebantur, ars culinarum erat, ut ab uno pede {laceratae}
<dilatatae>[4]
tota repositoria occuparent: inde illud Satyricum[5]: Quo gestu Lepores, {vel} <et> quo Gallina secetur
<.> |
Presso gli
antichi, tra gli altri volatili che ingrassavano, tenevano in grande
considerazione le galline ingrassate, tant’è che Gaio Fannio fu
costretto a emanare una legge con la quale proibiva di mettere sulle
tavole i volatili, eccetto una sola gallina, e che non fosse ingrassata.
Ma se vi venivano messi dei volatili ingrassati, l’arte culinaria
consisteva nel fatto che tirati a partire da una zampa occupassero tutto
il portavivande: da cui quell’espressione satirica di Giovenale: Con quale gesto
le lepri e con quale una gallina viene squartata. |
Lex vero de altili Gallina ante tertium
bellum Punicum undecim annis lata fuit, teste Plinio[6]: Hoc primum, inquit, antiquis
coenarum interdictis exceptum invenio iam lege C. Fannii
<consulis> undecim annis ante tertium Punicum bellum, ne quid
volucrum poneretur, praeter unam Gallinam, quae non esset altilis: quod
deinde caput translatum per omnes leges ambulavit. Inventumque
diverticulum est in fraudem earum, Gallinaceos quoque pascendi lacte
madidis cibis, multo ita gratiores approbantur. Haec ille. |
In verità
undici anni prima della terza guerra punica - nel 161 aC - fu stilata
una legge a proposito della gallina ingrassata, come testimonia Plinio
che dice: Fra gli antichi divieti riguardanti le portate, per la
prima volta già nella legge del console Gaio Fannio, stilata undici
anni prima della terza guerra punica, trovo la proibizione di non porre
in tavola alcun volatile eccetto una sola gallina non ingrassata: questo
articolo fu in seguito ripreso e passò da una legge all’altra. Si
trovò una scappatoia per ingannare queste leggi allevando anche i galli
con cibi inzuppati nel latte, vengono così considerati di sapore molto
più raffinato. Queste le sue parole. |
Erant autem communia praecepta, et adhuc
quotidie traduntur, qua ratione tenerescant, ut proprio a nobis allato
capite[7] de saginatione monstratum est. Absque
vero longa saginatione tenerescet, si Horatio[8]
credimus. Ne Gallina malum responset dura palato, Doctus
eris vivam musto mersare {falerno} <Falerno:> Hoc
teneram
{facies} <faciet>. |
D’altra
parte esistevano anche dei comuni precetti, e vengono ancora
tramandati quotidianamente, su come renderle tenere, come ho spiegato
nell’apposito paragrafo riguardante l’ingrassamento da me inserito.
Ma diventerà tenera anche senza un protratto ingrassamento, se crediamo
a Orazio: Se
improvvisamente un ospite serale ti coglierà di sorpresa, affinché la
gallina non risulti spiacevolmente dura al palato, sarai scaltro se la
immergi viva in vino nuovo di Falerno: questo la renderà tenera. |
Idem praestabis imposita in anum ficu, unde
Gallum immolatum Herculi recentem tenerum et pene friabilem cum quam
inter obsonia obtulisset[9], tam {citis} <cutis> teneritudinem
ficui acceptam retulisse legitur. Etsi tamen ita tenerae factae sint
Gallinae, nonnulli eo libidinis devenerunt, ut vel unam tantummodo
partem avis ad esum admitterent: unde quoque apud Plinium legimus, mox
cum de saginatione harum avium locutus esset[10], nec tamen in hoc mangonio quicquam
totum placet, {hic} clune, alibi pectore tantum laudatis. Haud iuste
itaque Pertinacem Imp. Capitolinus[11] nimium illiberalem forte vocaverit, quod
amicis aliquando lumbos Gallinaceos miserit: crediderim enim id gulae
causa factum. |
Otterrai la
stessa cosa collocando un fico nell’ano, per cui si legge che avendo
proprio presentato tra le vivande un gallo tenero e quasi friabile
appena immolato a Ercole, attribuì tanta tenerezza della pelle come
dovuta al fico. Tuttavia anche se le galline sono rese tenere in tale
modo, alcuni giunsero a un punto tale di brama da accettare che venisse
mangiata solo una parte del volatile: per cui anche in Plinio leggiamo,
subito dopo aver parlato dell’ingrasso di questi volatili, tuttavia,
in questo modo di abbellire le portate, non tutto è gradito allo stesso
modo, in quanto viene decantata la coscia, in altri posti solamente il
petto. Pertanto Giulio Capitolino forse non ha correttamente
definito come un po’ troppo avaro l’imperatore Pertinace in quanto
talora mandava in tavola agli amici i fondoschiena dei polli: infatti io
sarei dell’avviso che ciò è accaduto per motivi di gola. |
Etsi autem in dorso carnis parum sit admodum,
pellicula tamen ipsa, maxime in altili Gallina, pinguis est, et apprime
delicata: ita et Matron apud Athenaeum[12]. Sic factus est, rident alii, moxque afferunt Gallinas altiles in argenteis patinis Deplumes, aetate pares, dorso laganis similes, hoc est, ut ego expono, dorso gratas, non autem
ruf{f}escente dorso, ut alii exponunt: siquidem lagana non ruf{f}escunt,
sed albescunt. |
Ma anche se a
livello del dorso c’è molta poca carne, tuttavia la pelle
stessa, soprattutto nella gallina ingrassata, è pingue e assai
deliziosa: così si esprime anche Matrone di Pitane in
Ateneo: Così è
accaduto, altri sorridono, e subito portano delle galline ingrassate e
spiumate in piatti d’argento, di pari età, simili per la schiena a
delle frittelle fatte di miele farina e olio, cioè, come
io interpreto, gradite a causa del dorso, ma non dal dorso rossiccio,
come altri interpretano: infatti quelle frittelle non sono rossicce, ma
biancastre. |
Cristae etiam, et palearia privatim a
quibusdam eduntur ex iure, vel assae super prunas, et dein addito pipere,
et succo aurantii: nos testes etiam adiungimus, maxime die sancto
Pellegrino sacro, idest, calendis Augusti, quo tempore Bononiensibus
Galli castrantur. Sunt qui difficulter coqui asserant, parumque nutrire,
utpote siccae naturae: attamen Galenus[13] cristas Gallinaceorum, et paleas medio loco
habet, non probandas nimirum, nec improbandas. In maximis etiam apud
Romanos delitiis cristas fuisse historia traditum invenimus, viri
alioqui gravis invento. Eas Messalinus Cotta Messalae oratoris filius
cum palmis pedum {et} <ex> Anseribus torrere, atque patinis
condire reperit.[14] |
Da alcuni
vengono in particolar modo mangiate anche le creste e i bargigli in
brodo, oppure arrostiti sulla brace e quindi con l’aggiunta di pepe e
di succo di arancia: noi vi aggiungiamo anche i testicoli, soprattutto
nella festività di San Pellegrino, cioè il primo di agosto, quando i
galli vengono castrati dai Bolognesi. Alcuni affermano che si
digeriscono con difficoltà, e che sono di scarso valore nutritivo, in
quanto sono di natura secca: tuttavia Galeno pone le creste e i
bargigli dei galli in una via di mezzo, e cioè che non sono da lodare né
da condannare. Troviamo tramandato dalla storia che anche presso i
Romani le creste facevano parte delle più grandi delizie in seguito
alla trovata di un uomo peraltro importante. Messalino Cotta, figlio
dell’oratore Messalla, inventò la ricetta di arrostirle e di
condirle in padella con zampe d’oca. |
[1] Vedi a pagina 277.
[2] Tuttavia Michele Savonarola (Padova 1384 – Ferrara 1468), l’eviratore di galline, aveva adottato questa pratica non molto lontano da Bologna. Infatti visse e operò come medico prima a Padova e poi a Ferrara, ma non sappiamo se questa sua castrazione delle galline si fosse diffusa e mantenuta in altre aree della pianura padana.
[3]
Il brano è tratto quasi
per intero dal capitolo Gallus:
Capus: Gallina: Pullus della Coena. Il testo ottenuto
attraverso http://gallica.bnf.fr , e che qui non viene trascritto, risale a
una stampa forse al 1489 ed è
un po’ diverso da
quello riportato da Aldrovandi.
[4]
Plinio Naturalis historia X,140: Postea culinarum artes, ut clunes
spectentur, ut dividantur in tergora, ut a pede uno dilatatae repositoria
occupent. § Vedi anche Conrad
Gessner Historia Animalium III (1555) pag. 433: Postea
culinarum artes, ut clunes spectentur, ut dividantur in tergora, ut a pede
uno dilatatae repositoria occupent. Dedere
et Parthi cocis suos mores, Plinius.
[5]
Giovenale, Satira V,123-124: [...] nec minimo sane discrimine refert
| quo gestu lepores et quo gallina secetur.
[6]
Naturalis historia X,139-140: Gallinas saginare Deliaci coepere, unde
pestis exorta opimas aves et suopte corpore unctas devorandi. Hoc primum
antiquis cenarum interdictis exceptum invenio iam lege Gai Fanni consulis
undecim annis ante tertium Punicum bellum, ne quid volucre poneretur praeter
unam gallinam quae non esset altilis, quod deinde caput translatum per omnes
leges ambulavit. [140] Inventumque deverticulum est in fraudem earum
gallinaceos quoque pascendi lacte madidis cibis: multo ita gratiores
adprobantur. § Non si capisce in cosa consista la scappatoia stando alle
parole di Plinio. Per la legge Fannia non si poteva porre in tavola alcun
volatile eccetto una gallina che non doveva essere stata ingrassata. Ma i
galli, nutriti con cibi inzuppati nel latte per renderli di sapore più
raffinato, erano anch'essi dei volatili, salvo che li facessero passare per
galline asportando cresta e speroni, oppure che i cibi inzuppati nel latte
fossero capaci - ma non lo
erano - di castrarli e di farli somigliare a galline. Misteri
interpretativi! Oltretutto, grazie al latino di Plinio, quae non esset
altilis potrebbe magari tradursi con gallina che non fosse grassa =
che doveva essere grassa, come ci permettiamo noi italiani di usare
il non con il condizionale con finalità affermative anziché
negative. Ma se la gallina doveva essere grassa, addio parsimonia nelle
spese per le mense, perché ingrassare un volatile costa di più.
[7]
Aldrovandi comincia a parlarne a pagina 232.
[8]
Satirae II,4,17-20: Si vespertinus subito te oppresserit hospes, | ne
gallina malum responset dura palato, | doctus eris vivam musto mersare
Falerno: | hoc teneram faciet.
[9] Non si capisce chi è il personaggio che presenta il gallo appena immolato a Ercole. Negativa la ricerca in Conrad Gessner, il quale magari avrebbe citato la fonte e il personaggio.
[10]
Naturalis historia X,140: Feminae quidem ad saginam non omnes
eliguntur nec nisi in cervice pingui cute. Postea culinarum artes, ut clunes
spectentur, ut dividantur in tergora, ut a pede uno dilatatae repositoria
occupent. Dedere et Parthi
cocis suos mores. Nec
tamen in hoc mangonio quicquam totum placet, clune, alibi pectore tantum
laudatis.
[11]
Aldrovandi sta ciurlando nel manico: in base a quanto racconta pacatamente
Giulio Capitolino, Pertinace doveva essere un po’ avaruccio, e non
generoso nei confronti del palato degli amici come vorrebbe benignamente far
credere il nostro Ulisse. - La citazione completa ma sintetizzata del brano
di Giulio Capitolino relativo a Pertinace la troviamo in Conrad Gessner Historia
Animalium III (1555) pag. 387: Pertinax imperator nimium illiberalis,
amicis si quando de prandio suo mittere voluit, misit offulas binas, aut
omasi partem, aliquando lumbos gallinaceos, Iulius Capitolinus. §- Ecco il
brano completo di Giulio Capitolino, Helvius Pertinax, XII,1-6: 1
Fuit autem senex venerabilis, inmissa barba, reflexo capillo, habitudine
corporis pinguiore, ventre prominulo, statura imperatoria, eloque mediocri
et magis blandus quam benignus nec umquam creditus simplex.
2 Et cum verbis esset affabilis, re erat inliberalis ac prope sordidus, ut
dimidiatas lactucas et cardus in privata vita conviviis adponeret. 3 Et nisi
quid missum esset edulium, quotquot essent amici, novem libras carnis per
tres missus ponebat. 4 Si
autem plus aliquid missum esset, etiam in alium diem differebat, cum semper
ad convivium multos vocaret. 5 Imperator etiam, si sine convivis esset,
eadem consuetudine cenitabat. 6 Amicis si quando de prandio suo mittere
voluit, misit offulas binas aut omasi partem, aliquando lumbos gallinacios.
Fasianum numquam privato convivio comedit aut alicui misit.
[12]
Deipnosophistaí Lib.
14. (Aldrovandi) - XIV,74,656e-f.
[13]
L. 3 de aliment. (Aldrovandi)
[14]
Plinio Naturalis historia X,52: Sed, quod constat, Messalinus Cotta,
Messalae oratoris filius, palmas pedum ex iis torrere atque patinis cum
gallinaceorum cristis condire repperit; tribuetur enim a me culinis cuiusque
palma cum fide. §
Aldrovandi non è corretto. Messalino prima faceva arrostire le zampe
d’oca – in padella o sulla brace, questo non si sa - e poi le condiva in
padella con le creste dei gallinacei. § Corretta è invece
la parafrasi del brano di
Plinio riportata da Conrad Gessner Historia
Animalium III (1555) pag. 387: Constat Messalinum Cottam Messalae
oratoris filium palmas pedum ex anseribus torrere, atque patinis cum
gallinaceorum cristis condire reperisse, Plinius.