Lessico
Castrazione
del gallo
e della gallina
Il verbo latino castrare significa tagliare, potare. Solo successivamente passò a significare l'asportazione o l'atrofizzazione delle ghiandole genitali di un maschio o di una femmina. Infatti il sanscrito çastrám - da cui deriva castrare - significa coltello. Anche il latino castrum (trincea, luogo fortificato) ha la stessa etimologia, in quanto propriamente significa pezzo di terra tagliato via.
Capo
monstrificus
Acquarello
di Ulisse Aldrovandi
La castrazione rituale ieri e oggi
La castrazione è una pratica seguita fin da tempi remoti per motivi non sempre chiari ma di norma a sfondo magico-rituale. Il caso più noto di castrazione a fini religiosi è quello dei sacerdoti della dea frigia Cibele, detti Galli, che si castravano autoevirandosi nel corso di una cerimonia orgiastica. È una pratica che non trova riscontro fuori dell'area culturale dell'Asia Minore e della confinante Siria.
In quest'area è attestata: per Efeso (antica città dell'Asia Minore, presso la foce del fiume Caistro - oggi Küçük Menderes - nel Mar Egeo, vicino all'odierno centro turco di Selçuk), dove sacerdoti eunuchi detti Megábyzoi erano addetti al culto di Artemide; per Lagina (Caria) con eunuchi addetti al culto di una dea identificata dai Greci con la loro Ecate, dea delle tenebre; per le divinità siriane Astarte di Hierapolis e Atargatis che, ugualmente, avevano al servizio sacerdoti castrati.
Il senso della pratica sta in una trasposizione su un piano mistico del soggetto, che rinunciava alla normalità umana in favore di un'anormalità extraumana, capace di metterlo in contatto col divino. Questa forma mistica di rinuncia (cui si possono ridurre i pochissimi casi cristiani di autoevirazione, per esempio Origene) ha almeno tre radici fenomenologiche: il sacrificio di sé, mediante identificazione della personalità con la virilità; l'acquisizione di una condizione femminile che, insignificante nel contesto sociale normale, diventa significativa e potente sul piano dell'extranormale, come dimostrano gli sciamani e numerosi altri operatori sacrali che agiscono indossando indumenti femminili (anche i sacerdoti-eunuchi sopra menzionati portavano vesti femminili); le mutilazioni rituali, generalmente con intervento sui genitali (anche con la castrazione parziale, limitata a un testicolo), che, presso molti popoli primitivi, segnano l'iniziazione a una nuova vita.
La castrazione veniva praticata anche come punizione degli adùlteri e dei sacrileghi sia in Egitto che in India e, sembra, anche presso le genti preincaiche della costa peruviano-ecuadoriana. Inoltre era largamente diffusa fra varie genti africane del bacino del Nilo, del Kordofan (regione del Sudan centrale), del Sudan occidentale, dell'Etiopia meridionale e fra i Boscimani.
In Cina e nel Medio Oriente alcuni bambini maschi selezionati venivano castrati per essere impiegati, nel primo caso, come ciambellani oppure, nel secondo caso, come guardie delle stanze riservate alle donne: gli eunuchi.
Lampante è il significato di eunuco se ne conosciamo l'etimologia greca: eunoûchos = guardiano del letto, composto di eunë = letto (forse derivato dalla radice eu che esprime l'idea di entrare, come il latino induo = indossare e il greco hénnymi = vestire) ed échein = avere, tenere. Quindi gli eunuchi erano i guardiani, i tenutari dell'harem = luogo inviolabile. Originariamente erano camerieri segreti dei principi orientali e furono presenti anche in Grecia e a Roma con funzioni analoghe. Nell'Impero bizantino ricoprirono non di rado cariche elevate nella gerarchia civile, ecclesiastica e militare.
Nell'Impero cinese erano adibiti alla cura dell'imperatore e della sua famiglia, ma ottennero spesso anche cariche importanti nella burocrazia imperiale. Se non bastasse, talora gli eunuchi ebbero la funzione di killer, come accadde ad Artaserse III Ochos (? - 338 aC) re di Persia (358-338 aC) che nel 338 aC morì avvelenato da un potente eunuco egiziano.
Una castrazione del tutto sacrosanta fu quella praticata in Europa fra il XVI e il XVIII secolo e oltre: i ragazzi dotati di una bella voce venivano talvolta castrati perché potessero cantare in chiesa a causa del divieto della Chiesa cattolica romana di utilizzare cantanti donne, e le prime opere liriche spesso contenevano dei ruoli scritti appositamente per castrati adulti.
Altrettanto sacrosanta fu la castrazione accompagnata dell'asportazione del pene che alcuni secoli prima dovette subire Pietro Abelardo (1079-1142). Affascinante e famoso maestro alla scuola di teologia di Notre-Dame a Parigi, intrecciò con Eloisa (1099/1101-1164, fanciulla di eccezionali qualità) una memorabile relazione amorosa che ebbe tragica conclusione per opera di Fulberto, zio di Eloisa e canonico della cattedrale di Notre-Dame. Costui infatti lo fece evirare nottetempo inviando dei sicari che entrarono nella camera da letto di Abelardo grazie alla connivenza di un servo. La sica era un pugnale con lama ricurva usato nell'antica Roma, specie dai gladiatori traci. Quest'altrettanto affascinante e sacrosanta evirazione l'ho scoperta grazie a Laura Mancinelli che nel parla nel suo avvincente romanzo I fantasmi di Challant (Einaudi, 2004).
La castrazione ai tempi di Aristotele
Historia animalium III 1
Quando i testicoli sono tagliati o asportati, i condotti [510b] si contraggono in alto. La castrazione si può operare schiacciando i testicoli quando l’animale è ancor giovane, oppure tagliandoli quando è in età più avanzata (è capitato però che un toro, coperta una vacca subito dopo esser stato castrato, abbia potuto accoppiarsi con quella e fecondarla). (traduzione di Mario Vegetti)
Historia animalium IX 50
Some animals change their form and character, not only at certain ages and at certain seasons, but in consequence of being castrated; and all animals possessed of testicles may be submitted to this operation. Birds have their testicles inside, and oviparous quadrupeds close to the loins; and of viviparous animals that walk some have them inside, and most have them outside, but all have them at the lower end of the belly. Birds [Roosters] are castrated at the rump at the part where the two sexes unite in copulation. If you burn this twice or thrice with hot irons, then, if the bird be full-grown, his crest [comb] grows sallow, he ceases to crow, and foregoes sexual passion; but if you cauterize the bird when young, none of these male attributes propensities will come to him as he grows up. The case is the same with men: if you mutilate them in boyhood, the later-growing hair never comes, and the voice never changes but remains high-pitched; if they be mutilated in early manhood, the late growths of hair quit them except the growth on the groin, and that diminishes but does not entirely depart. The congenital growths of hair never fall out, for a eunuch never grows bald. In the case of all castrated or mutilated male quadrupeds the voice changes to the feminine voice. All other quadrupeds when castrated, unless the operation be performed when they are young, invariably die; but in the case of boars, and in their case only, the age at which the operation is performed produces no difference. All animals, if operated on when they are young, become bigger and better looking than their unmutilated fellows; if they be mutilated when full-grown, they do not take on any increase of size. If stags be mutilated, when, by reason of their age, they have as yet no horns, they never grow horns at all; if they be mutilated when they have horns, the horns remain unchanged in size, and the animal does not lose them. Calves are mutilated when a year old; otherwise, they turn out uglier and smaller. Steers are mutilated in the following way: they turn the animal over on its back, cut a little off the scrotum at the lower end, and squeeze out the testicles, then push back the roots of them as far as they can, and stop up the incision with hair to give an outlet to suppurating matter; if inflammation ensues, they cauterize the scrotum and put on a plaster. If a full-grown bull be mutilated, he can still to all appearance unite sexually with the cow. The ovaries of sows are excised with the view of quenching in them sexual appetites and of stimulating growth in size and fatness. The sow has first to be kept two days without food, and, after being hung up by the hind legs, it is operated on; they cut the lower belly, about the place where the boars have their testicles, for it is there that the ovary grows, adhering to the two divisions (or horns) of the womb; they cut off a little piece and stitch up the incision. Female camels are mutilated when they are wanted for war purposes, and are mutilated to prevent their being got with young. Some of the inhabitants of Upper Asia have as many as three thousand camels: when they run, they run, in consequence of the length of their stride, much quicker than the horses of Nisaea. As a general rule, mutilated animals grow to a greater length than the unmutilated. (traduzione di D'Arcy Wentworth Thompson 1910, 1860-1948)
Historia
animalium libro IX capitolo 50 (79)
testo greco tradotto e commentato da Giulio Cesare Scaligero
Castrazione
del gallo al tempo dei Greci e dei Romani
da Ornithologia Latina di Filippo Capponi - 1979
Si pratica la castrazione degli animali domestici sia per ragioni terapeutiche sia per ragioni economiche, cioè per favorire l'ingrasso, e rendere così più pregiate le carni (ovini, caprini, suini, volatili), oppure per rendere più docili gli animali da lavoro (bue, cavallo, asino). La castrazione, che impedisce le funzioni endocrine ed esocrine, può essere incruenta (schiacciamento del funicolo spermatico con apposite pinze, metodo applicabile solo ai maschi che non siano uccelli) o cruenta (asportazione di testicoli o di ovaie).
Nelle femmine la castrazione viene eseguita quasi esclusivamente nei suini. Attualmente si sta facendo strada il concetto della castrazione chimico-biologica mediante l'uso di estrogeni influenti sugli organi genitali (maschile o femminile) fino a sopprimerne l'attività. Anche per gli uccelli si pratica la castrazione (capponatura), con lo scopo esclusivamente economico di migliorare le carni di galli e galline, faraone (sia il maschio che la femmina castrati sono detti pintadou in francese), anitre e oche e per avere piume di maggior valore commerciale dagli struzzi e dai fagiani.
Effetti
della castrazione fisica
e farmacologica
Gli effetti della castrazione fisica sul comportamento sessuale sono piuttosto variabili, a seconda che gli animali vengano castrati prima o dopo l'età riproduttiva. Se prima, qualsiasi vertebrato, salvo eccezioni nei Primati, non sviluppa le caratteristiche sessuali secondarie e non mostra comportamento sessuale. Se dopo, in animali come il ratto la castrazione produce un rapido declino, fino alla totale scomparsa, del comportamento sessuale, ma nei Primati, incluso l'uomo, questo effetto è in genere minimo.
Nel cane e nel gatto la regressione del comportamento sessuale è lentissima, dell'ordine di mesi o anni, e talvolta non è osservata. In tutti i Mammiferi, comunque, gli effetti della castrazione sono più marcati nelle femmine che nei maschi. Nei Mammiferi, la maggiore e minore dipendenza del comportamento sessuale dagli ormoni sessuali, la cui produzione viene in ogni caso soppressa con la castrazione, è correlata al grado di sviluppo degli emisferi cerebrali e quindi alla capacità di apprendimento.
In alcuni casi, quindi, nel maschio dei Mammiferi, affinché si manifesti un comportamento sessuale normale, gli ormoni sono importanti solo per permettere la formazione dell'esperienza, ma questa, una volta immagazzinata nel sistema nervoso, può controllare il comportamento sessuale anche in assenza di ormoni.
La castrazione psicologica è la soppressione del comportamento sessuale in individui subordinati di gruppi fortemente gerarchizzati. La castrazione farmacologica vorrebbe ottenere gli stessi risultati, ma in questo caso gli individui da castrare non si lasciano facilmente subordinare.
Per poter adeguatamente affrontare la castrazione farmacologica dell'essere umano sarebbe necessario un corso accelerato sulle ultime acquisizioni scientifiche, ma non credo sia il caso di spendere tempo per una problematica che la scienza sovvertirà nel giro di pochi lustri. Oltretutto, molti psichiatri non sono d'accordo sulla castrazione farmacologica, la quale agirebbe solo a livello del corpo ma non di una psiche che si è ormai strutturata in modo per lo più irreversibile.
Personalmente concordo con questo punto di vista. E credo che la soluzione sarebbe un adeguato isolamento sociale dei maniaci sessuali, così come isoliamo coloro che sospettiamo essere portatori dell'influenza aviaria. E se l'isolamento dovesse durare per tutta la vita – sia per pedofili che per influenzati – non credo che dovremmo farci subissare dai sensi di colpa.
Ritornando alla psiche, lo stesso Viagra trionferebbe assai meno sul mercato farmaceutico qualora i maschi non fossero afflitti da mille problemi sociali che li privano di quella serenità necessaria per lo svolgersi di un qualcosa che è del tutto naturale, anche in età avanzata, seppure con frequenza minore. Risolti i problemi sociali - il che è una pura utopia - il Viagra verrebbe usato solo da coloro che non possono raggiungere un'erezione soddisfacente a causa di malattie organiche, una quota assai minima di utenti se raffrontata alla moltitudine di coloro la cui turba sessuale è su base psicogena.
Orbene, per la castrazione farmacologica del maschio si usarono dapprima gli estrogeni, come fu il caso di Alan Turing. Quindi venne la volta del Depo-Provera (un progestinico inibitore dell'ormone luteinizzante o LH deputato a stimolare i testicoli alla produzione di testosterone - vedi L'istinto di cova ). Adesso (2007) è la volta degli agonisti LHRH (Goserelin, Buserelin). Questi farmaci agiscono a livello dell’asse ipotalamo-ipofisario e richiedono una somministrazione mensile o trimestrale. Gli agonisti LHRH stimolano inizialmente la produzione di FSH (ormone follicostimolante) e di LH (ormone luteinizzante), ma il trattamento prolungato produce desensibilizzazione dei recettori ipofisari e inibizione della produzione di entrambi gli ormoni gonadotropi. In questo modo gli agonisti LHRH abbassano i livelli di testosterone, riducendo - ma solo riducendo - la libido che nell'uomo ha una forte componente psicogena. Ma purtroppo gli agonisti LHRH trovano indicazione principale nel trattamento del carcinoma della prostata e del carcinoma mammario metastatizzato.
La castrazione farmacologica pone tuttavia dei problemi etici. Infatti essendo questa terapia non priva di effetti indesiderati, il suo uso non può essere indiscriminato. Dovrebbe essere riservata a persone con atteggiamenti pedofili ripetuti, con sua accettazione da parte del pedofilo. Ammesso che si tratti di una terapia effettivamente efficace per lo scopo prefisso. Ma forse il gioco non vale la candela.
Alan
Mathison Turing
padre delle scienze informatiche
Matematico e logico inglese (Londra 23 giugno 1912 – Manchester 7 giugno 1954).Considerato uno dei padri dell'informatica, introdusse la macchina teorica e il test che portano il suo nome.
Compiuta la giusta età, cominciò a frequentare la scuola ma i risultati si rivelarono presto molto scarsi e così rimasero dal primo anno fino al diploma ottenuto a stento. Gli insegnanti lamentavano il suo disinteresse per il latino e le Sacre Scritture, non concependo come alla rigida educazione tradizionale egli potesse preferire le letture riguardanti la teoria della Relatività di Einstein, i calcoli astronomici, gli esperimenti di chimica che inventava ed eseguiva, o il gioco degli scacchi.
Nel 1931 venne ammesso al King's College dell'Università di Cambridge dove studiò meccanica quantistica, logica e la teoria della probabilità (dimostrò separatamente il teorema del limite centrale, già dimostrato nel 1922 dal matematico Lindeberg).
Le riflessioni di Turing iniziavano a ruotare attorno al problema della mente umana e del modo in cui questa poteva incorporarsi nella materia e venirne separata al momento della morte. Nella fisica del Novecento e nella meccanica quantistica cercava una risposta al tradizionale problema filosofico del rapporto tra mente e corpo.
Nel 1934 si laureò con il massimo dei voti. Nel 1936 si trasferì negli Stati Uniti alla Princeton University e pubblicò l'articolo "On computable Number, with an application to the Entscheidungsproblem" dove descriveva, per la prima volta, quella che verrà poi definita come la macchina di Turing e che lo consegnerà alla storia.
Durante la seconda guerra mondiale (1939-1945) Turing mise le sue capacità matematiche al servizio del Department of Communications inglese per decifrare i codici usati nelle comunicazioni tedesche, un compito particolarmente difficile in quanto i tedeschi avevano sviluppato un tipo di macchina criptatrice chiamata Enigma (progettata da Arthur Scherbius) che era capace di generare un codice che mutava costantemente, così da rendere ogni volta insufficiente il tempo di decodifica a disposizione degli scienziati nemici.
Con l'entrata in guerra dell'Inghilterra Turing e i suoi compagni lavorarono stabilmente alla decrittazione, sviluppando le ricerche già svolte dall'Ufficio Cifra polacco con la macchina Bomba, progettata da Marian Rejewski nel 1932 e ultimata nel 1938. Basandosi su tali esperienze Turing realizzò nel 1942 una macchina chiamata Colossus (un ammasso di servomotori e metallo, ma comunque un primo passo verso un computer digitale) che decifrava in modo veloce ed efficiente i codici tedeschi creati con Enigma, sezionando ogni messaggio in porzioni di dimensioni tali che il loro significato poteva venire correttamente svelato.
Al termine della guerra Turing fu invitato al National Physical Laboratory (NPL, Laboratorio Nazionale di Fisica) a Londra per disegnare il modello di un computer. Il rapporto che proponeva l'Automatic Computer Engine (ACE, Motore per il Calcolo Automatico) fu presentato nel marzo 1946. Il modello di Turing era originale e particolareggiato come un prospetto per computer nel senso moderno, ma il prezzo preventivato era spropositato e vi furono dilazioni nell'approvazione del progetto. Per l'anno accademico 1947/48 tornò a Cambridge e spostò i suoi interessi verso la neurologia e la fisiologia. Fu in questo periodo che iniziò a esplorare la relazione tra i computer e la natura.
Ebbe anche interessi al di fuori dell'ambito accademico: divenne membro del Walton Athletic Club e vinse alcune gare sulle 3 e 10 miglia.
Turing era dell'idea che si potessero creare macchine capaci di mimare tutti i processi del cervello umano. Nel 1950 scrisse un articolo dal titolo "Computing machinery and intelligence" in cui descriveva quello che oggi è noto come test di Turing. Su questo articolo si basa tutto lo studio moderno sull'intelligenza artificiale.
L'anno seguente fu eletto Membro della Royal Society di Londra, principalmente per il suo lavoro sulla macchina. Si trasferì all'Università di Manchester, dove lavorò alla realizzazione del Manchester Automatic Digital Machine (MADAM). Convinto che entro il 2000 sarebbero state create delle macchine in grado di replicare la mente umana (quanto a funzionamento), lavorò alacremente creando algoritmi e programmi per il MADAM, partecipò alla stesura del manuale operativo e ne divenne uno dei principali fruitori.
Nello 1952 sviluppò un approccio matematico all'embriologia. Il 31 marzo dello stesso anno fu arrestato per omosessualità e condotto in giudizio, dove a sua difesa disse semplicemente che non scorgeva niente di male nelle sue azioni. I servizi segreti temevano che il suo "vizio" lo potesse esporre a un tradimento e per questo fu sottoposto alla castrazione chimica con estrogeni, che lo rese impotente e che gli fece sviluppare il seno, alcuni dei motivi per i quali probabilmente decise di suicidarsi.
"Alan Turing was arrested and came to trial on 31 March 1952, after the police learned of his sexual relationship with a young Manchester man. He made no serious denial or defence, instead telling everyone that he saw no wrong with his actions. He was particularly concerned to be open about his sexuality even in the hard and unsympathetic atmosphere of Manchester engineering. Rather than go to prison he accepted, for the period of a year, injections of oestrogen intended to neutralise his libido." (stralcio tratto dalla biografia presente nel sito a lui dedicato)
Nel 1954, infatti, morì mangiando una mela avvelenata con cianuro di potassio. La madre sostenne che il figlio, con le dita sporche per qualche esperimento chimico, avesse ingerito per errore la dose fatale di veleno; ma il verdetto ufficiale parlò senza incertezze di suicidio. Nel referto medico venne infatti scritto "Causa del decesso: cianuro di potassio autosomministrato in un momento di squilibrio mentale". Certamente Turing non era uno squilibrato mentale e anzi la sua azione fu un gesto di ribellione al sistema e di rivendicazione umana, e fu eseguita in un momento di piena coscienza. Infatti già molti anni prima pare che Turing avesse mostrato interesse per la storia di Biancaneve e i sette nani (nella favola, Biancaneve viene avvelenata da una mela) e quindi, come in una favola, decise di concludere platealmente la sua giovane vita alla soglia dei 42 anni, solo che, a differenza di Biancaneve, egli purtroppo non si risveglio più.
Per molti aspetti la vita di Turing risulta estremamente complessa e la sua stravaganza ha creato attorno alla figura del matematico una sorta di alone mitico. Turing ebbe una passione per esperimenti e invenzioni fin dall'infanzia (che prefiguravano un interesse per aspetti applicativi della scienza), e per la bicicletta e la corsa dall'adolescenza fino alla morte (che mostrano un interesse per l'attività fisica oltre che intellettuale, contrario alla cesura fra "atleti" ed "esteti" allora d'obbligo nella vita universitaria e che sarà all'origine di incomprensioni e problemi più avanti nella sua vita).
Il suo aspetto era trasandato, con la barba sempre lunga e le unghie sporche. Aveva aspetti infantili (ad esempio, si fece regalare un orsacchiotto di pezza per Natale sebbene avesse ventidue anni) e antiaccademici (ciò fu una delle cause alle ripetute difficoltà nell'ottenere un lavoro universitario: era ancora assistente a trentasei anni). Canticchiava per giorni l'incantesimo della strega malvagia di Biancaneve (sulla mela velenosa), quindici anni prima di scegliere di suicidarsi.
Seppellì lingotti d'argento durante la guerra in modo così sicuro da non riuscire a ritrovarli anni dopo. Non sopportava gli sciocchi e abbandonava le conversazioni vuote e le compagnie idiote repentinamente, senza una parola di commiato. Imparò a fare la maglia da una ragazza che aveva deciso di sposare, nonostante la propria omosessualità. Andava in bicicletta con la maschera antigas durante il periodo dell'impollinazione, per evitare la febbre da fieno, o avvolto in tela cerata gialla durante la stagione delle piogge. Legava la tazza da tè al termosifone con un lucchetto, per evitare che gli fosse rubata. Portava la giacca del pigiama al posto della camicia e pretendeva di poter lavorare quando ne aveva voglia (in particolare, di notte e fuori dell'orario d'ufficio) anche sotto regime militare. Faceva calcoli, anche durante le conferenze pubbliche, con numeri in base 32 scritti all'indietro (come si dovevano inserire nel computer). Gettava nel cestino le lettere della madre senza leggerle, dicendo che ella stava certamente benissimo. Giocava a tennis nudo sotto un impermeabile, e non disdegnò di discutere con un bambino se Dio avrebbe preso il raffreddore se si fosse seduto sulla nuda terra.
Alan Turing raggiunse ottimi livelli nella maratona, correndo con un personale di 2 ore 46 minuti e 11 secondi (il vincitore della XIV Olimpiade nel 1948 vinse con un tempo inferiore di soli 11 minuti).
Capo
semimas - Gallus spado
Acquarello
di Ulisse Aldrovandi
Prima di tutto dobbiamo smentire un'enorme bufala presente anche nel web e reperibile in Gallina, gallo e cappone: la pollicoltura da Aristotele alle soglie del 2000 di Aurelio Marusi & Veniero Furlattini, i quali si esprimono così: "Sembra che fossero gli abitanti di Delo, un isola nel mar Egeo, a praticare per primi fin dal VII° a.C. la trasformazione del gallo in cappone. Da quì il nome di deliaco (deliacus gallinarius), come veniva chiamato chi praticava la castrazione del gallo, dagli scritti di Cicerone, Plinio e Columella. Ancora nel secolo scorso, in Francia, il pollivendolo (poulailler), veniva chiamato dagli anziani contadini, déliaque." Ho voluto lasciare intonsi gli errori più per rispetto verso gli autori della monografia che per altri motivi facilmente ipotizzabili.
La fonte da cui è stata tratta questa bufala di Aurelio Marusi & Veniero Furlattini sarebbe del tutto autorevole: L'Encyclopédie ou Dictionnaire raisonné des sciences, etc. (1751-1772). L'analizzeremo tra poco. Orbene: nessuno degli autori latini appena citati parla di un qualsivoglia capponaggio perpetrato dagli allevatori di Delo. Costoro i polli li allevavano con estrema cura, cercavano di ingrassarli, magari ingozzandoli così come poi si sarebbe fatto anche ai tempi di Varrone (Rerum rusticarum III,9,20: Ex iis evulsis ex alis pinnis et e cauda farciunt turundis hordeaceis partim admixtis farina lolleacia aut semine lini ex aqua dulci.) e anche più tardi durante il Rinascimento, quando nell'area tedesca (vedi Gessner a pag. 412), oltre ai bocconi confezionati preferibilmente con miglio, davano da bere alle galline - e stavolta anche ai capponi – della buona birra al posto dell'acqua per poter raggiungere più rapidamente lo scopo. Se i contadini francesi chiamavano déliaque il pollivendolo, non volevano certo intendere che per forza un allevatore – di Delo o non di Delo – fosse anche un castratore di polli.
Ma queste mie parole necessitano di adeguata documentazione: così risolveremo una volta per tutte questa diatriba storica relativa al fatto che gli allevatori di Delo castrassero i galli oppure no. Vedrete che non li castravano.
Varrone Rerum rusticarum, III,9,2: Gallinae villaticae sunt, quas deinceps rure habent in villis. De his qui ornithoboscion instituere vult, id est adhibita scientia ac cura ut capiant magnos fructus, ut factitaverunt Deliaci, haec quinque maxime animadvertant oportet;[...]
Plinio Naturalis historia X,139: Gallinas saginare Deliaci coepere, unde pestis exorta opimas aves et suopte corpore unctas devorandi. - La saggina - un vocabolo derivato dal latino sagina = alimento per ingrassare (saginare), pasto, nutrimento, e che è privo di qualsivoglia correlazione con la castrazione – altro non è che il Sorghum vulgare della famiglia Graminacee, detta anche sorgo o meliga, originaria dell'Africa e diffusamente coltivata nelle regioni a clima temperato-caldo. La saggina dà luogo a una densa pannocchia che può raggiungere 30-40 cm di lunghezza. I frutti (cariossidi) servono come becchime; presso alcune popolazioni asiatiche e africane vengono mangiati previa bollitura e dopo essere stati pelati. Specie congenere è il Sorghum saccharatum (saggina da granate), molto affine alla precedente, coltivata per le lunghe infiorescenze a pannocchia utilizzate per fabbricare scope, mentre le parti verdi servono come foraggio.
Columella De Re Rustica, VIII,2,4: Huius igitur villatici generis non spernendus est reditus, si adhibeatur educandi scientia, quam plerique Graecorum et praecipue celebravere Deliaci.
Cicerone Academica II,57: Videsne ut in proverbio sit ovorum inter se similitudo? Tamen hoc accepimus, Deli fuisse complures salvis rebus illis, qui gallinas alere permultas quaestus causa solerent: ei cum ovum inspexerant, quae id gallina peperisset dicere solebant. – II,86: Quid? si in eiusdem modi cera centum sigilla hoc anulo impressero, ecquae poterit in agnoscendo esse distinctio? An tibi erit quaerendus anularius aliqui, quoniam gallinarium invenisti Deliacum illum, qui ova cognosceret?
Ed ecco il testo completo della bufala – in cui chissà perché manca Varrone - secondo la quale gli allevatori di Delo castravano i galli: déliaque, (Hist. anc.) Les déliaques chaponnoient les coqs, engraissoient la volaille; & on les appelloit ainsi, parce que c'étoit les habitans de l'île de Délos, qui les premiers avoient inventé cette sorte de pratique. Ils vendoient aussi les oeufs, comme il paroît par Cicéron dans ses questions académiques, lib. IV. Pline, lib. X. cap. xxx. & Columelle, lib. VIII. cap. viij. parlent aussi des déliaques. - Problème déliaque, problema deliacum, fameux problème chez les anciens, sur la duplication du cube. - L'Encyclopédie ou Dictionnaire raisonné des sciences, des arts et des métiers, par une Société de Gens de lettres (1751-1772)
Oltre ad aver tralasciato Varrone, la nostra fantasiosa Encyclopédie desume da Cicerone che gli allevatori di Delo vendevano le uova. Altra grossa bufala. Nessuno sa se le vendessero o le mangiassero, facendo magari indigestione durante l'acme del periodo depositivo. Cicerone afferma solamente che gli allevatori di Delo - che allevavano miriadi di galline per puro scopo di lucro, qui gallinas alere permultas quaestus causa solerent - avevano l'occhio così esperto da riuscire ad arguire dalla forma dell'uovo quale gallina l'avesse deposto. Ciò induce a pensare che ciascuna ovaiola - come accade oggi negli allevamenti industriali - abitasse in una sua gabbia o in un suo recinto. Invece nel mio pollaio le galline depongono dove vogliono, cambiano posto a seconda dell'ispirazione e tutte quante vanno a deporre nel nuovo punto prescelto da una collega. Se volessi emulare gli allevatori di Delo nell'identificare la gallina che ha deposto un certo uovo dovrei trasferire il computer in pollaio. Mentre nell'arco di 8-9 ore sto digitando sulla tastiera queste e altre elucubrazioni, a ogni coccodè dovrei fare una pausa, controllare la foggia dell'uovo appena deposto per confrontarla con la silhouette di quello deposto il giorno innanzi dalla stessa gallina! Un lavoraccio che neppure gli allevatori di Delo avrebbero accettato.
Dobbiamo invece riconoscere che il sito http://fr.ghettodriveby.com non si abbandona affatto a fantasiose ingerenze sui testi antichi, e non è che si astenga da siffatte ingerenze in quanto non si è documentato in proposito. Ecco infatti come si presenta la scarna e ricca definizione di déliaque: adj. Terme d'antiquité. Qui appartient à l'île de Délos, une des Cyclades. L'airain déliaque était très recherché. Terme de géométrie. Problème déliaque, problème de la duplication du cube, proposé par un oracle aux habitants de Délos.
Una conferma del fatto che la nostra fantasiosa Encyclopédie è inaffidabile ci viene da un suo conterraneo, Jean Bruyérin-Champier, medico di Francesco I (1494-1547) ed Enrico II (1519-1559). Nel 1560 pubblicava a Lione il De re cibaria in cui passa in rivista tutti i cibi noti ai suoi tempi, dedicando a ciascuno un capitolo. Orbene, il capitolo XXII del libro XV è dedicato alle galline da ingrassare - De Gallinis altilibus - e si apre con queste parole: Reddenda quoque sua laus iis, qui docuerunt saginare gallinas: fuere autem Deliaci: sed haec doctrina facillime ab aliis excepta est populis. Ecco che anche Jean Bruyérin-Champier non parla di allevatori di Delo dediti alla castrazione: essi si dedicavano a ingrassare i polli, esprimendolo chiaramente con l'aggettivo altilis e col verbo saginare. E chiudiamo con la sua testimonianza questa prolissa diatriba.
Per i dettagli relativi al cappone e al suo equivalente femminile – la poularde o gallina spadonia - di veda il capitolo Sviluppo e condizionamento dei caratteri sessuali secondari in Summa Gallicana. Questi dettagli possono venir completati dalle notizie storiche contenute nei relativi testi di Conrad Gessner (Historia animalium III – 1555 - pagina 411 e seguenti) e Ulisse Aldrovandi (Ornithologiae tomus alter – 1600 - pagina 343 e seguenti).
Gessner nel 1555 fu alquanto preciso nel descrivere la tecnica della castrazione del gallo, una metodica che credo fosse adottata in tutta Europa, visto che anche Aldrovandi ne fa identica menzione.
Ecco il chiaro e sintetico testo di Gessner contenuto a pagina 412: Presso di noi dai galli si ottengono dei capponi dopo averne asportati i testicoli attraverso la zona posteriore con una piccola ferita, Francesco Mario Grapaldi [ca. 1465-1515]. In realtà si pratica una ferita che deve essere grande quanto basta per introdurvi un dito ed estrarre i testicoli uno per volta, con il quale si va alla ricerca dei testicoli che aderiscono superiormente alla regione lombare e che sono posti al di sotto degli intestini del gallo che sta supino, e dopo che sono stati individuati vengono strappati via con l'estremità del dito. Dopo averli estratti, la ferita viene suturata con del filo e vi si strofina della cenere, quindi si taglia via anche la cresta affinché non ci sia alcun segno di virilità. Alcuni inseriscono uno sperone reciso dalla gamba là dove la cresta è stata recisa, in quanto solitamente una volta che la ferita si è rimarginata si allungherebbe pure.
Il cappone di Conrad Gessner in Historia animalium III (1555)
La notizia che segue – tratta anch'essa da Gallina, gallo e cappone: la pollicoltura da Aristotele alle soglie del 2000 di Marusi & Furlattini - necessiterebbe di una verifica, ma vale la pena citarla. In alcune località della Francia, come le Fiandre, si aveva l'abitudine, ancora oltre la metà del XIX secolo, di impiantare sulla testa del gallo castrato, al posto della cresta, uno o entrambi gli speroni che gli venivano asportati con una parte di tessuto. Questi speroni venivano mantenuti in sito con una sutura che ravvicinava i lembi della ferita dopo la recisione della cresta. Per evitare che il povero pollo si staccasse queste strane protesi della testa, si legavano le sue zampe alle ali per alcune ore dopo l’intervento. Dopo 2-3 settimane lo sperone impiantato si inseriva perfettamente al posto della cresta e iniziava a crescere talvolta in modo considerevole. Duhamel, che è il primo a parlare nel 1746 di questa intervento a proposito della castrazione del gallo – non è vero! come abbiamo appena visto ne ha già parlato Gessner nel 1555 -, dice di aver visto crescere lo sperone impiantato sulla testa fino a un mezzo pollice - circa 14 mm - dopo 4-5 mesi dall’impianto; addirittura 4 pollici - più di 11 cm - dopo 3-4 anni. Questo intervento aveva lo scopo di migliorare l’aspetto del cappone, che veniva chiamato coq cornu, gallo cornuto.
La mia discutibile e talora inaffidabile fonte non dà alcuna indicazione biografica né bibliografica di Duhamel. Si può supporre trattarsi di Henri Louis Duhamel-Dumonceau, chimico e botanico francese (Parigi 1700-1782). Per primo distinse la soda dalla potassa (1737); si occupò di fisiologia e patologia vegetale e pubblicò molti lavori su problemi di agricoltura nonché sulla conservazione del legno.
Inoltre Aldrovandi a pagina 294 ci racconta quanto segue: Da alcuni vengono in particolar modo mangiate anche le creste e i bargigli in brodo, oppure arrostiti sulla brace e quindi con l’aggiunta di pepe e di succo d'arancia: noi vi aggiungiamo anche i testicoli, soprattutto nella festività di San Pellegrino, cioè il primo di agosto, quando i galli vengono castrati dai Bolognesi. Alcuni affermano che [creste e bargigli] si digeriscono con difficoltà, e che sono di scarso valore nutritivo, in quanto sono di natura secca: tuttavia Galeno pone le creste e i bargigli dei galli in una via di mezzo, e cioè che non sono da lodare né da condannare. Troviamo tramandato dalla storia che anche presso i Romani le creste facevano parte delle più grandi delizie in seguito alla trovata di un uomo peraltro importante. Messalino Cotta, figlio dell’oratore Messalla, inventò la ricetta di arrostirle e di condirle in padella con zampe d’oca.
La notizia testé riferita è tratta da Plinio Naturalis historia X,52: Sed, quod constat, Messalinus Cotta, Messalae oratoris filius, palmas pedum ex iis torrere atque patinis cum gallinaceorum cristis condire repperit; tribuetur enim a me culinis cuiusque palma cum fide.
Ma come al solito Aldrovandi non è corretto. Infatti Messalino prima faceva arrostire le zampe d’oca – in padella o sulla brace, questo non si sa - e poi le condiva in padella con le creste dei gallinacei.
Corretta è invece la parafrasi del brano di Plinio riportata da Conrad Gessner Historia Animalium III (1555), pag. 387: Constat Messalinum Cottam Messalae oratoris filium palmas pedum ex anseribus torrere, atque patinis cum gallinaceorum cristis condire reperisse, Plinius.
Capponaggio chirurgico
Riportiamo i dati veterinari – stavolta spero affidabili – di Marusi & Furlattini. A partire dagli anni '50 del XX secolo nei moderni allevamenti avicoli è stato adottato un nuovo metodo di castrazione che senza i grossi traumi del vecchio metodo raggiunge ugualmente lo scopo.
Dalla castrazione contadina si è passati alla castrazione strumentale compiuta da professionisti su galletti di 40-50 giorni di vita. Sopra un tavolo si mantiene fermo il galletto adagiato su un fianco: si tolgono le penne in corrispondenza della attaccatura della coscia e, con un piccolo bisturi, si esegue un taglio di circa 3 cm. nello spazio fra le ultime due costole. I labbri della ferita vengono dilatati da un estensore a molla in modo che si evidenzi la membrana del peritoneo. Con un ferro uncinato si strappa la membrana e, spostando un po' in basso gli intestini, si può vedere il testicolo attaccato alla parete della cavità addominale, vicino al rene. A questo punto si fa entrare un tubo porta laccio per la strozzatura del testicolo. Una volta che il testicolo allacciato si è staccato lo si estrae con una pinza.
Eseguita su un lato, l’operazione va ripetuta dall’altro. Molti operatori esperti riescono con una sola incisione a estrarre ambedue i testicoli. Non c’è bisogno di sutura, in quanto la ferita si chiude da sola in pochi giorni. Per la disinfezione degli strumenti è sufficiente utilizzare alcool denaturato al 70% o disinfettanti non alcolici.
È ancora consuetudine asportare cresta e bargigli, ma solo per ragioni commerciali, in modo da differenziare il cappone dal gallo al momento della vendita. Non vengono tolti gli speroni.
Gli errori di capponatura nella castrazione industriale del pollo assommano a circa l'8-10%. Molto spesso si tratta di una castrazione parziale che, con la permanenza in sito di un testicolo, determina nel tempo manifestazioni e comportamenti da gallo ben evidenti e facilmente riscontrabili sull'animale al momento della macellazione. La mortalità durante l’intervento è di circa l'1,5-2%.
Il cappone tradizionale oggi in vendita sul mercato italiano è rappresentato da un pollo castrato di circa 3 Kg di peso vivo e di circa 180-200 giorni di vita; la tipologia specifica di cappone è stata regolamentata dalla CEE che lo identifica come gallo castrato di almeno 140 giorni di vita e castrato da almeno 70 giorni prima della vendita.
Le razze utilizzate per fare il cappone sono quelle a crescita lenta, di piumaggio colorato o bianco con sfumature dorate; vengono utilizzati i maschi fratelli delle femmine ad alta produzione di uova, ma anche maschi a crescita intermedia normalmente allevati come galletti e destinati alla cucina di piatti tipici per lo più nel centro-sud dell’Italia.
Per arrivare a un buon ingrassamento e a una buona pigmentazione dorata della pelle, occorre somministrare mangimi a base di granoturco, meglio ancora pastoni con farine di granoturco. L’allevamento viene fatto al semiaperto e per migliorare la qualità della carne la carcassa è bene venga frollata prima di essere cucinata.
Capponi
di Roberto Ricciardi
- 2007
Creste e bargigli sono stati asportati secondo le regole di mercato
ma secondo le regole biologiche gli speroni stanno crescendo.
Capponaggio chimico
Oltre al nuovo metodo di capponaggio cruento, sempre negli anni '50 era iniziato un nuovo metodo di castrazione denominato capponaggio chimico, che si eseguiva iniettando sotto la pelle del collo dei galletti una piccola dose di un ormone di sintesi: il dietilstilbestrolo.
Dopo un primo periodo sperimentale, il dietilstilbestrolo, che era
iniettato in soluzione a mezzo di una comune siringa, venne poi impiantato
sotto cute, con apposito ago-cannula, in forma di piccole compresse. Le prime
pastiglie vendute sul mercato avevano un contenuto di dietilstilbestrolo di 50
mg e assicuravano un'assimilazione molto lenta, esercitando un'efficacia per
almeno 4 mesi.
L’innesto di una compressa di 50 mg di dietilstilbestrolo sopprimeva nel
gallo le manifestazioni estrali per almeno 4 mesi, analogamente a quanto
avveniva con la castrazione cruenta.
Nel II volume di Summa Gallicana riporto quanto segue: una compressa da 15 mg di dietilstilbestrolo provoca riduzione della cresta e la comparsa di caratteristiche metaboliche femminili. I galli bellicosi vengono ammansiti e, se il trattamento coincide con la muta, assumono un piumaggio di tipo femminile. Gli stessi effetti si ottengono somministrando ai galletti il diacetato di dienestrolo, un altro estrogeno sintetico.
Proseguiamo sotto la guida di di Marusi & Furlattini. Sia l’incremento in peso che le caratteristiche organolettiche delle carni dei galli castrati chimicamente non si differenziavano dai capponi ottenuti in modo cruento. Interessante era notare come dopo 4 mesi dall'innesto i testicoli si presentassero estremamente ridotti sia in volume che in peso: 8 volte più piccoli rispetto a quelli dei galli della stessa età.
Per quanto interessante fosse questa nuova tecnica di castrazione chimica, tuttavia dopo qualche anno fu sempre meno applicata fino ad arrivare al suo abbandono. L’azione del dietilstilbestrolo sebbene in proporzioni diverse, è uguale per tutti gli animali, compreso l’uomo. Pertanto un certo danno poteva derivare anche all’uomo ingerendo qualche collo di pollo castrato chimicamente.
Un fatto certo è che negli Stati Uniti, oltre il Canada e la Francia dove il capponaggio chimico ebbe maggior diffusione, si verificò un fatto assai significativo. In uno stabilimento dove si procedeva alla lavorazione e all'inscatolamento delle carni di pollo, i colli e le teste venivano venduti agli allevamenti degli animali da pelliccia. Un giorno un allevatore di volpi argentate dichiarò che la fecondità dei suoi animali era notevolmente diminuita: egli attribuiva ciò ai colli che provenivano dai polli capponati chimicamente e pertanto chiese alla ditta fornitrice la rifusione dei danni.
Da allora il capponaggio chimico cominciò a essere non più eseguito fino ad arrivare al suo definitivo abbandono in base al D.L. n. 118 del 27 gennaio 1992 che anche in Italia, sulla base di direttive CEE, vietava l’uso di sostanze ormonali ad azione anabolizzante.
Salvo smentite - che saranno oltremodo accette - la castrazione della gallina è una pratica relativamente recente, sconosciuta ai tempi di Aristotele, del mondo romano e di Isidoro di Siviglia (ca. 560-636).
Per i tempi di Aristotele citeremo il brano tratto dal suo - o non suo - libro IX della Historia animalium. Per il mondo romano è più che affidabile lo studio di Filippo Capponi sull'impiego in cucina della gallina. Per i tempi di Isidoro, alquanto distanti da quelli di Teodosio - l'ultimo vero imperatore che governò su tutto l'Impero romano (379-395) - non avremo alcun dubbio sul fatto che l'unico uccello a venir castrato era il gallo, come appunto afferma Isidoro.
La gallina è dotata di cresta quanto il gallo, anche se di foggia e di grandezza diverse, ma solo il gallo canta, nel senso di fare chicchirichì. La gallina canta, ma solo dopo aver fatto l'uovo e non certo per scandire le ore del giorno e della notte come è prerogativa del gallo, tanto da assurgere alle funzioni di orologio quando questo strumento con le caratteristiche odierne era bel lungi dall'essere inventato.
Gli orologi solari (le meridiane) e gli orologi ad acqua (le clessidre) divennero d'uso corrente in tutta l'area del Mediterraneo tra i secoli IV e I aC, ma dal tramonto in poi era molto più pratico - se non indispensabile – servirsi del canto del gallo. Il primo vero orologio a peso risale al secolo XIV.
Orbene, Aristotele - o chi per esso - parla di ὄρνιθες – che potrebbero essere sia galli che galline – i quali órnithes, quando venivano castrati, andavano incontro a impallidimento della cresta - κάλλαιον - e smettevano di cantare - οὐχέτι κοκκύζει. Si trattava ovviamente di galli e non di galline.
Aristotele Historia
animalium IX,50 – 631 b 25-30: Ἐκτέμνονται
δ’οἱ μὲν
ὄρνιθες κατὰ
τὸ ὀρροπύγιον,
καθ’ὅ συμπίπτουσιν
ὀχεύοντες,
ἐνταῦθα γὰρ ἂν
ἐπικαύσῃ τις
δυσὶν ἢ τρισὶ
σιδηρίοις, ἐὰν
μὲν ἤδη
τέλειον ὄντα,
τὸ τε κάλλαιον
ἔξωχρον
γίνεται καὶ
οὐχέτι
κοκκύζει οὐδ'ἐπιχειρεῖ
ὀχεύειν, ἐὰν δ’ἔτι
·νεοττὸν ὄντα,
οὐδὲ γίνεται
τούτων οὐδὲν
αὐξανομένου.
I
galli vengono castrati nella parte estrema del loro addome, quella che si
abbassa quando si accoppiano - vicino alla cloaca, al di sotto dell'uropigio -
quindi, se l’avrai cauterizzata con due o tre ferri, se l'intervento è
andato a buon fine, la cresta impallidisce e smette di cantare, né cerca
ancora di accoppiarsi, ma se è ancora un pollastro, nulla di tutto ciò può
avere inizio mentre cresce.
Commento di Giulio Cesare Scaligero al brano di Aristotele
Culinarum
artes relative alla gallina nell'antichità
La gallina non veniva castrata
da Ornithologia Latina di Filippo Capponi - 1979
Isidoro Etymologiae XII,7: Gallus a castratione vocatus; inter ceteras enim aves huic solo testiculi adimuntur. - Il gallo prende il nome dalla castrazione; infatti tra tutti gli altri uccelli solo a lui vengono asportati i testicoli.
A un certo punto qualcuno ebbe l'idea di castrare le galline! L'ho scoperto attraverso la citazione di Gessner a pagina 433 del III volume della sua Historia animalium (1555), in quanto il nostro esimio medico zurighese aveva il vizio di riportare sistematicamente le fonti cui attingeva. Forse – magari senza tanti forse – questo eviratore di galline era il medico padovano Michele Savonarola (1384-1468), nonno del famosissimo Girolamo.
Conrad
Gessner Historia
animalium III (1555) pag. 433: Febrientibus magis conveniunt gallinae
castratae, quanquam veteres castrationis earum non meminerunt. ego castratas
domi alo, quarum caro albior, melior et friabilior est. Facile et cito
coquuntur, et tenerae fiunt et gratae palato, Mich. Savonarola.
Per coloro che hanno la febbre sono più adatte le galline castrate, anche se
gli antichi non hanno fatto menzione della loro castrazione. Io a casa mia
allevo delle galline castrate e la loro carne è più bianca, migliore e più
friabile. Cuociono facilmente e rapidamente, e diventano tenere e gradite al
palato, Michele Savonarola.
E a pagina 434 Gessner replica: Febrientibus magis conveniunt gallinae castratae, Savonarola.
Il brano che segue – e che non viene tradotto – è quello originale di Savonarola, decifrato grazie alla perizia e alla pazienza di Roberto Ricciardi.
Michele Savonarola Practica medicinae sive de aegritudinibus (1497) tractatus ii, cap. i, rubrica i: Castratina masculina inter eas media existit, nam ex parte castraturae feminae magis [????]cina, sed propter calorem et complexionem suam naturalem magis masculinae appropinquat, quare redditur temperatior, et dicitur masculina, quia etiam animalia minima castrantur, ut sues, canes, gallinae. Et debet haec intelligi facta comparatione semper in his quae sunt eiusdem speciei. Ex quibus infertur quod caro ovis castrati melior est non castrati. ¶ Infertur secundo quod caro caponum iuvenum est melior quam gallinarum iuvenum, aut gallorum iuvenum. Semper ceteris paribus. Infertur tertio quod febrientibus competunt magis gallinae iuvenes castratae. Nec miretur quisque de castratura gallinarum: nam satis habeo in domo. Et sine dubio caro earum est albior, et mollior, et frangibilior: et statim cum sunt decoctae sunt tenerae et esui delectabilissimae: remque istam ut expertam scribo.
In un altro trattato Savonarola accenna di sfuggita all'impiego delle galline castrate – caponissae – prescrivendone l'impiego in caso di febbre, consigliando anche i capponi nonché quei galletti che ancora non hanno cominciato ad accoppiarsi. I soggetti debbono essere non troppo grassi.
Michele Savonarola Practica canonica (1560) de febribus, cap. iv, de diaeta febrium in universali, rubrica ii de cibis temperatis: Pullus moderate pinguis, qui non coire coeperit. Capones & caponissae moderate pingues.
Le galline castrate furono decantate anche dal medico e poeta Giovanni Battista Fiera (1450-1540), citato da Aldrovandi a pagina 294 del II volume della sua Ornithologia (1600) dove riporta uno stralcio tratto dal poema Coena (ca. 1489): la gallina da mettere in tavola deve essere nera oppure possibilmente incapace di deporre uova, cioè castrata: Vel nigra, vel partus sit licet indocilis.
Questo stralcio di Giovanni Battista Fiera è tratto quasi per intero dal capitolo gallus: capus: gallina: pullus della Coena.
Il testo originale ottenuto attraverso http://gallica.bnf.fr , e che qui non viene trascritto, risale a una stampa forse al 1489 ed è un po’ diverso da quello riportato da Aldrovandi.
Essendo la castrazione della gallina una prassi – a quanto pare – assai frequente nel Rinascimento, non poteva esimersi di parlarne un contemporaneo di Gessner ma soprattutto di Aldrovandi. Si tratta del francese Olivier de Serres (1539-1619) che nel 1600 pubblicava Le théâtre d’agriculture et mesnage des champs. Tanto esauriente era questo trattato – e in effetti lo è – che re Enrico IV (1553-1610) tutti i giorni se ne faceva leggere un capitolo.
Ma neppure Olivier de Serres, così come Savonarola, Gessner e Aldrovandi, specifica quale fosse la tecnica per castrare le galline, che invece per il gallo è stata succintamente descritta sia da Gessner che da Aldrovandi.
Olivier de Serres affida la castrazione, sia del gallo che della gallina, all'esperienza delle massaie: Les poules aussi sont chaponnees, pour en faire la chair plus delicate: et leur sert en outre ce moien, de les rendre fecondes en oeufs: non toutesfois germés, à faute de masle, qui ne s’accoste de la femelle ainsi accoustree; dont ils demeurent impropres à esclorre. Cela se fait par incision, en leur ostant cartaine pellicule, à quoi les moindres mesnageres sont entendues. Comme tous autres chastremens, ceux qui se font en la Lune vieille, et jour clair et serein.- Anche le galline vengono capponate, per renderne la carne più delicata: inoltre questo procedimento serve loro per renderle prolifiche in uova: comunque senza germe per mancanza del maschio che non si accosta alla femmina così trattata, per cui rimangono inadatte a schiudere. Ciò lo si fa per incisione, asportando loro una certa pellicina, cosa in cui anche le meno brave casalinghe sono abili. Come tutte le altre castrazioni, queste vengono praticate in luna calante e in una giornata chiara e serena. (pag. 361 di Le théâtre d’agriculture et mesnage des champs, 1600 - trascrizione e traduzione di Fernando Civardi)
In questo caso Olivier de Serres non si salva dalla critica. Verosimilmente le galline venivano castrate con uno sfregio simbolico così come - in base a ciò che mi è stato detto - si fa oggi per circoncidere un ebreo. Non so se lo stesso accade per i musulmani. Sta di fatto che una gallina debitamente castrata, una poularde, non può più deporre uova. De Serres non aveva mai capponato una gallina e senz'altro non ne conosceva l'anatomia. Da buon maschilista si asteneva da siffatta pratica chirurgica, affidandola – essendo tanto banale – alle moindres mesnageres, alle casalinghe di infimo rango. Sarebbe invece stato opportuno affidarla a medici provetti, come la salernitana Trotula De Ruggiero: le galline non avrebbero mai più deposto uova!
Identici rapporti topografici delle gonadi nella gallina e nel gallo
Ma siccome sia i testicoli che l'ovaio sinistro hanno gli stessi rapporti topografici col rene, è logico pensare che affondare il dito in addome per estrarne un ovaio o un testicolo richiedesse le stesso impegno e la stessa esperienza.
Se la gallina non aveva ancora iniziato la carriera riproduttiva era dotata di un ovaio non molto dissimile da un testicolo, salvo essere difficilmente individuabile date le piccole dimensioni. Ovviamente se si capponava una gallina che già deponeva uova, allora col dito bisognava estrarre un grappolo di uova in vari stadi di sviluppo.
Che la causa di difficoltà pratiche quando si castra una gallina sessualmente immatura possa semplicemente risiedere nelle ridotte dimensioni dell'ovaio ce lo conferma www.msstate.edu nella monografia Poultry diseases diagnosis: In immature females the ovary and oviduct may not be easily seen.
I sopranisti erano quei cantori che erano stati evirati da bambini, prima che la voce mutasse. Tale pratica ebbe inizio verso la fine del sec. XVI e fu diffusa fino a tutto il XVIII. Probabilmente alla sua origine sta - fra l'altro - il divieto di far cantare in chiesa le donne, e l'esito - non del tutto soddisfacente - che si otteneva sostituendole con bambini o con falsettisti.
Il divieto vigente negli Stati Pontifici di far cantare le donne in scena favorì anche l'impiego dei castrati in teatro, e fu proprio in campo operistico che essi ebbero grande diffusione e fortuna, sebbene tale pratica restasse limitata all'Italia.
Per un certo periodo i castrati costituirono la maggiore attrazione di uno spettacolo operistico per il timbro artificiale, astratto, che pur serbando la penetrante chiarezza di quello infantile aveva però una diversa potenza ed estensione. La tessitura e l'uso dei registri di testa e di petto erano diversi da quelli femminili. Inoltre il castrato spesso si dedicava con tutte le energie a perfezionare la tecnica vocale, fino a conseguire risultati sbalorditivi, che identificarono in questo tipo di cantante la massima incarnazione del bel canto.
Tra il 1650 e il 1750 i sopranisti dominarono l'opera seria italiana. Molti, come Farinelli e Nicolini, divennero famosi anche in Germania e in Inghilterra, e in misura minore in Francia. Oltre a Händel, anche Mozart compose per questa voce (in Idomeneo e in La Clemenza di Tito). Successivamente qualche ruolo di castrato compare ancora nell'Ottocento, in opere di Rossini e di Meyerbeer.
L'importanza e la diffusione dell'opera nella vita sociale settecentesca resero vani per molti anni i divieti e le polemiche contro la castrazione. L'impiego dei castrati sopravvisse ancora a lungo nel sec. XIX nella sola Cappella Pontificia. Il decreto di abolizione porta la data del 1903 e la firma di Pio X.
Paolo Giovio nel 1542 definiva il falsetto un ‘tono di voce artificiosamente più alto del normale o del naturale’. L'etimologia riconosce l'aggettivo falso (dal latino fallere, ingannare) trattandosi di un timbro vocale non vero. Il falsetto è un modo di emissione della voce prodotto da vibrazioni parziali del muscolo vocale nelle cavità di risonanza superiori, il che dà un suono acuto e di scarso volume e colore, tuttavia dotato di un proprio fascino grazie a una soave e trasparente artificiosità. La pratica, che consente alle voci maschili di emettere note acute al di fuori del loro registro naturale, si diffuse nei sec. XV-XVI, in seguito al divieto che proibiva alle donne di cantare nelle chiese cattoliche, e falsettisti erano i cantori specializzati, posti in ombra dalla voga dei castrati. Emissioni in falsetto erano molto comuni per i tenori nel melodramma fino ai primi decenni dell'Ottocento, per consentire purezza e dolcezza negli acuti.
Tra i rari casi di uso odierno del falsetto si ricorda lo Jodler o Jodel o Yodel tirolese, canto vocalizzato, tipico del Tirolo ma comune anche alle Alpi Bavaresi e alla Svizzera tedesca. Di origine antica, è caratterizzato da una tecnica di emissione basata su rapidi e frequenti passaggi dalla voce di petto alla voce di testa e solitamente viene improvvisato su melodie popolari usando senza riferimento logico sillabe o vocali (a e o per le note basse, i ed e nei suoni acuti), con suggestivi sviluppi polifonici e, talvolta, veri e propri virtuosismi. Nella forma più semplice e primitiva lo Jodler è usato dai montanari delle aree citate come mezzo di richiamo e di comunicazione a distanza.
Nel registro di falsetto il sollevamento della laringe e la prevalenza d’azione della muscolatura cricotiroidea (con allungamento passivo delle corde vocali, senza contrasto da parte del muscolo tensore tiroaritenoideo) determinano la vibrazione del solo bordo libero delle corde vocali, con un tempo di contatto inferiore al 40% del singolo ciclo vibratorio. Il timbro vocale risulta perciò povero di armoniche (per la vibrazione del solo bordo), debole d’intensità (per la vibrazione del solo bordo e la riduzione della cavità di risonanza da sollevamento laringeo) e spesso correlato a sensazione percettiva di fissità (per rigidità di posizione della laringe su intervento della muscolatura estrinseca).
Falsetto is a singing technique that produces sounds that are pitched higher than the singer's normal range, in the treble range. It is a slightly artificially-raised sounding pitch that often occurs momentarily, if repeatedly, in boys during puberty as their voice changes.
Falsetto is produced when the vocal folds vibrate in a length shorter than usual, where part of them do not make contact with each other. Part of the vocal folds or cords remain stationary. It was discovered via stroboscope that during ordinary phonation, or speaking in a man the vocal folds contact with each other completely during each vibration closing the gap between them fully, if just for a small length of time. This closure cuts off the escaping air. When the air pressure in the trachea rises as a result of this closure, the folds are blown apart, while the vocal processes of the arytenoid cartilages remain in apposition. This creates an oval shaped gap between the folds and some air escapes, lowering the pressure inside the trachea. Rhythmic repetition of this movement a certain number of times a second creates a pitched note. This is how the chest voice is created.
In falsetto, the vocal folds, or cords when viewed with a stroboscope are seen to be blown apart and a permanent oval orifice is left in the middle between the edges of the two folds through which a certain volume of air escapes continuously as long as the register is engaged (the singer is singing using the voice). The arytenoid cartilages are held in firm apposition in this voice register also. The length or size of the oval orifice or separation between the folds can vary, but it is known to get bigger in size as the pressure of air pushed out is increased.
The folds are made up of elastic and fatty tissue. The folds are covered on the surface by laryngeal mucous membrane which is supported deeper down underneath it by the innermost fibres of the thyro-arytenoid muscle. In falsetto the extreme membranous edges, ie the edges furthest away from the middle of gap between the folds appear to be the only parts vibrating. The mass corresponding to the innermost part of the thyro-arytenoid muscle remains still and motionless. Some singers feel a sense of muscular relief when they change from chest voice to falsetto.
Use of falsetto voice in western music is very old. Its origins are difficult to trace because of ambiguities in terminology. In a book by G. B. Mancini, called Penseri e riflessioni written in 1774, falsetto is equated with 'voce di testa' (translated as 'head voice'). Possibly when 13th century writers distinguished between chest, throat and head registers (pectoris, gutturis, capitis) they meant capitis to refer to what would be later called falsetto.
By the 16th century the term falsetto was common in Italy. The physician Giovan Camillo Maffei in his book Discorso della voce e del modo d'apparare di cantar di garganta in 1562 explained that when a bass singer sang in the soprano range, the voice was called falsetto.
The falsetto register is used by male countertenors to sing in the alto and occasionally the soprano range, and was before women sang in choirs. Falsetto is occasionally used by early music specialists today.
In Opera it is believed that the chest voice, middle voice and head voice occur in women. The head voice of a man is, according to David A. Clippinger, most likely equivalent to the middle voice of a woman. This may mean the head voice of a woman is a woman's falsetto equivalent. Although, in contemporary teaching, some teachers no longer talk of the middle voice, choosing to call it the head voice as with men. Falsetto is not generally counted by classical purists as a part of the vocal range of anyone except countertenors. Though there are exceptions, such as the Bariton-Martin which uses falsetto.
Nicolò
Grimaldi
alias Nicolino o Nicolini
Nicolino o Nicolini fu sopranista e contraltista italiano (Napoli 1673-1732). Debuttò giovanissimo a Napoli, nel 1694 cantò a Roma in opere di Bononcini e negli anni successivi si produsse con memorabili successi nei maggiori teatri italiani e in particolare veneziani. Nel 1708 passò a Londra, acclamato interprete di Scarlatti e di Haendel (Rinaldo, 1711, fu un trionfo). Nel 1717 si stabilì definitivamente in Italia, cantando fino alla morte in opere scritte per lui dai maggiori operisti del tempo.
Nicola Francesco Leonardo Grimaldi (b Naples, bap. 5 April 1673 - d Naples, 1 Jan 1732) was an Italian mezzo-soprano castrato who is best remembered today for his association with the composer George Frideric Handel, in two of whose early operas he sang. Grimaldi was usually known by his stage name of Nicolini.
Nicolini made his operatic début in 1685 at Naples, where he also sang sacred music as a soprano in the Cathedral and Royal Chapel (to which extant libretti from the 1690s identify him as virtuoso). Between 1697 and 1731 he sang many operatic roles at various Italian cities in works by composers such as Alessandro Scarlatti, Nicola Porpora, Leonardo Vinci, and Johann Adolf Hasse. Other composers who wrote major roles for him included Provenzale (who was his teacher), Pollarolo, Ariosti, Lotti, Giovanni and Antonio Maria Bononcini, Caldara, Albinoni, Leo, and Riccardo Broschi. Of more than a hundred productions in which he took part, thirty-six were in Naples, thirty-four in Venice, and fifteen in London.
Nicolini first visited London in 1708, where his fine singing and critically renowned acting were crucial to the success of Italian opera, and, more specifically, opera seria in London. In 1711 he created the title role in Händel's Rinaldo, a work whose immediate popularity was instrumental in the establishing of Händel's lengthy career in England. He also sang the title role in Händel's Amadigi in 1715 and continued to sing in London, usually in various pasticcios, until 1717.
The eighteenth-century musicologist Charles Burney described Nicolini as "this great singer, and still greater actor", while Joseph Addison labelled him "the greatest performer in dramatic Music that is now living or that perhaps ever appeared on a stage". His Händel roles reveal that he possessed exceptional vocal agility and virtuosity. Between 1727-1730 he performed with Farinelli in Italy. In 1731 he planned to sing at Naples in Giovanni Battista Pergolesi's first opera, Salustia, but became ill and died during rehearsals.
Carlo
Broschi
alias Farinello o Farinelli
Carlo Broschi (Andria, Bari, 24 gennaio 1705 - Bologna, 16 settembre 1782) detto Farinelli dal nome della famiglia napoletana, i Farina, di cui ebbe la protezione, fu un celebre soprano. È considerato il più famoso cantante lirico castrato del Settecento e della storia.
Nacque in Puglia (allora sotto il Regno delle Due Sicilie) in una famiglia agiata della noblesse de robe locale; il padre Salvatore, che ricopriva cariche amministrative feudali, fu un grande appassionato di musica e volle indirizzare entrambi i figli a professioni del settore, facendo studiare Riccardo, il maggiore, da compositore e Carlo da cantante. Fu dunque il padre a volere per Carlo la castrazione, eseguita intorno ai 10 anni d'età, operazione che consentiva ai maschi di poter conservare la propria voce di soprano o contralto prima che lo sviluppo potesse modificarla. Si deve notare che, a seconda della modalità dell'operazione chirurgica cui erano sottoposti, i castrati potevano avere uno sviluppo sessuale parziale, e quindi anche sviluppare una parziale mutazione della voce.
Il giovane fu mandato a Napoli, per studiare canto con Niccolò Porpora che curò l'affinamento del suo naturale talento di soprano. Il suo debutto fu proprio in quella città, nel 1720, nella serenata "Angelica e Medoro" (del Porpora), in una soirée in onore dell'imperatore d'Austria. Il libretto era la prima prova teatrale di Pietro Metastasio, che strinse col Broschi un'amicizia che durò tutta la vita ed è testimoniata da un interessante carteggio. Riscosse un ottimo successo e le successive esibizioni gli valsero una crescente rapida notorietà. Cantò, negli anni successivi, a Roma, Vienna, Venezia, Milano, Bologna.
Da sinistra: Metastasio, la cantante Teresa Castellini e Farinelli.
Il pubblico del tempo adorava il virtuosismo, che nei cantanti consisteva soprattutto nell'esecuzione di variazioni arbitrarie ai brani cantati, in cui l'aspetto della difficoltà tecnica estrema predominava sulla pura espressione dei sentimenti della musica. Erano anche frequenti "duelli" tra musicisti. Se a Roma Broschi aveva vinto (1722) una sfida contro un trombettista tedesco, sulla tenuta lunga di una nota altissima, a Bologna (1727) sorse la competizione con Antonio Maria Bernacchi, allora uno dei più importanti castrati della scena musicale. In realtà, oltre alla forzatura spettacolare, non vi fu antagonismo personale fra i due, tant'è vero che lo stesso Bernacchi, di una quindicina d'anni più anziano, fu ben prodigo di consigli e suggerimenti verso il giovane pugliese.
Già a Milano nel 1726 era stato notato da Johann Joachim Quantz, che ne aveva magnificato con entusiasmo la purezza di timbro ed estensione di scala, la nitidezza di trillo e inventiva. La vittoria su Bernacchi, però, incrementò notevolmente la fama di Broschi, la cui attività divenne (per la misura dei tempi) alquanto frenetica.
Nel 1730 Farinelli fu ammesso all'Accademia Filarmonica di Bologna. Nel 1734 si trasferì a Londra e cantò al teatro di Lincoln's Inn Fields, che Porpora dirigeva e che vedeva Francesco Bernardi detto il Senesino come cantante principale. La sua fama era immensa, e i proventi che ottenne durante i tre anni in cui soggiornò in Inghilterra superarono le 5.000 sterline. Questi anni, che segnano l'apice della sua gloria come artista di scena, furono anche gli anni della cocente rivalità tra i due gruppi teatrali residenti a Londra, da una parte quello di Georg Friedrich Händel, sostenuto dal re Giorgio II, e dall'altra parte quello di Porpora, sostenuto dal Principe del Galles e dalla nobiltà.
La sua prima apparizione al teatro Lincoln's Inn Fields fu in Artaserse, di cui la maggior parte delle musiche erano state scritte da suo fratello, Riccardo Broschi. Il successo fu istantaneo. Federico, principe di Galles e la corte lo accolsero con tanto di lodi e onori. Ma nemmeno il contributo di Farinelli bastò a portare l'impresa al successo.
Nel 1737, senza dubbio stanco dalle incessanti acredini che opponevano i due gruppi teatrali, Farinelli accettò l'invito che aveva appena ricevuto da Isabella Farnese, moglie di Filippo V di Spagna. Durante il viaggio dovette passare per la Francia, e lì cantò per Luigi XV. Il re spagnolo, che soffriva di nevrastenia e melanconia, aveva di fatto abbandonato la vita pubblica, disinteressandosi degli affari di Stato e manifestava segni di incipiente follia. La regina Isabella invitò quindi Farinelli a esibirsi davanti a suo marito, nella speranza che la sua voce prodigiosa potesse risvegliarlo dalla sua apatia. L'episodio è rimasto celebre, e ha contribuito ad accrescere di più la leggenda che circonda il cantante. La voce di Farinelli fece un tale effetto sul malinconico Filippo V, che quest'ultimo non volle più separarsi dal cantante. Gli fece promettere di restare alla corte di Spagna, corrispondendogli uno stipendio di 2.000 ducati, con l'unica richiesta di non cantare più in pubblico.
Divenuto criado familiar dei re di Spagna, il cantante vide la sua importanza crescere con l'ascesa al trono di Ferdinando VI di Spagna, che lo nominò cavaliere di Calatrava, la più alta carica, fino ad allora riservata ai gentiluomini che potevano provare la nobiltà e l'antichità delle loro famiglie. Broschi-Farinelli, favorito dal monarca, esercitava sulla corte - e anche sulla politica - una grande influenza. Gli si devono i primi lavori di bonifica delle rive del Tago, e assicurò la direzione dell'Opera di Madrid e degli spettacoli reali. Utilizzò il suo potere alla corte persuadendo Ferdinando a instaurare un teatro d'opera italiano. Collaborò anche con Domenico Scarlatti, suo compatriota napoletano, anch'egli residente in Spagna. Il musicologo Ralph Kirkpatrick afferma che la corrispondenza di Farinelli è la fonte della "maggior parte delle informazioni di prima mano su Scarlatti che sia giunta fino a noi".
Rispettato da chiunque, sommerso di doni, adulato sia dai diplomatici avversi alla Francia, sia da quelli francesi che avrebbero voluto vedere la Spagna firmare il Patto di Famiglia, conservò questa posizione di rilievo fino all'avvento di Carlo III, il quale, probabilmente a causa dell'eccessiva influenza del cantante, lo allontanò nel 1759.
Il Farinelli si ritirò allora a Bologna, dove terminò la sua esistenza nella sontuosa villa che aveva fatto costruire in vista del suo ritiro (fuori Porta Lame, oggi purtroppo distrutta). Malgrado le numerose visite che vi ricevette (tra cui quelle di Wolfgang Amadeus Mozart allora adolescente, di Cristoph Willibald von Gluck e di Giuseppe II d'Austria), Farinelli soffrì fino alla sua morte di solitudine e di malinconia.
Si spense il 16 settembre 1782, qualche mese dopo il suo amico Metastasio, lasciando una collezione d'arte e di strumenti musicali che fu sfortunatamente dispersa dai suoi eredi, tra cui un violino di Antonio Stradivari.
Farinelli
sulla scena
attribuito a Jacopo Amigoni
Di lui resta qualche bel ritratto dipinto da Jacopo Amigoni e Corrado Giaquinto, e le lettere che aveva inviato ai suoi amici. Malgrado la sua leggenda, resta un personaggio relativamente misterioso, in una maniera che poco gli si addice. Ai suoi amici che lo pregavano di redigere le sue memorie, aveva risposto: «A che pro? Mi basta che si sappia che non ho avuto pregiudizi su nessuno. Che si aggiunga anche il mio dispiacere di non aver potuto fare tutto il bene che mi sarei augurato.»
Eccelleva sia nel registro leggero che nel registro patetico, cosa che compensava la sua presenza scenica poco sviluppata. Scriveva Charles Burney (storico e musicista inglese, 1726-1814) nel suo Viaggio musicale in Italia: «Egli non eccelleva soltanto in velocità, poiché possedeva insieme le migliori qualità di un grande cantante. Nella sua voce si trovavano riunite la forza, la dolcezza e l'estensione, e nel suo stile la tenerezza, la grazia e l'agilità.» Il suo canto ebbe un'influenza certa sullo stile delle opere composte in quel periodo. Alle sue qualità artistiche, Farinelli aggiungeva delle qualità umane. Affabile e modesto malgrado la sua fama e il suo talento, di perfetta educazione, seppe guadagnarsi l'affetto del pubblico e la simpatia dei grandi.
Farinelli non solo cantava, ma suonava anche strumenti a tastiera e la viola d'amore. Occasionalmente componeva, scrivendo il testo e la musica di un Addio a Londra (aria), e un'aria per Ferdinando VI, così come sonate per tastiera.
Centro Studi Farinelli
Nel 1998 si è costituito a Bologna il Centro Studi Farinelli con il proposito di ricordare la figura del grande castrato. Tra le iniziative promosse dal Centro Studi si segnala il restauro della tomba alla Certosa di Bologna (2000), la mostra documentaria Il Farinelli a Bologna (2001 e 2005), l'inaugurazione del Parco cittadino intestato al Farinelli, nei pressi del luogo dove sorgeva la villa abitata dal celebre cantante (2002), l'organizzazione del Convegno internazionale di studi Il Farinelli e gli evirati cantori in occasione del 300° anniversario della nascita del Farinelli (2005), la pubblicazione ufficiale Il fantasma del Farinelli (2005), l'estumulazione del Farinelli alla Certosa di Bologna (2006).
Il progetto di estumulazione è stato promosso dall'antiquario fiorentino Alberto Bruschi. Responsabile e coordinatore generale del progetto è stato Luigi Verdi, come Segretario del Centro Studi Farinelli. L'antropologa Maria Giovanna Belcastro dell'Università di Bologna, Gino Fornaciari, paleoantropologo dell'Università di Pisa e l'ingegnere David Howard della York University sono gli scienziati responsabili dell'analisi dei resti. L'esumazione ha avuto luogo il 12 luglio 2006, la notizia ha avuto larghissima eco sulla stampa mondiale. Per scoprire i segreti della sua voce, nel 2006 sono stati iniziati degli esami sul DNA ricavato dalle sue ossa.
Cinema
Stefano Dionisi nel ruolo di Farinelli
Nel 1994 è stato realizzato da Gérard Corbiau un film (Farinelli - Voce regina) sulla sua vita, anche se, naturalmente, si concede alcune licenze sul reale andamento dei fatti: ad esempio, al fratello Riccardo è data molta importanza e Porpora non è per nulla enfatizzato, mentre Händel è descritto come un furfante. Inoltre, il film fornisce una diversa spiegazione del perché Carlo Broschi calcò le scene sotto lo pseudonimo di Farinelli.
Per ricostruire la voce del castrato, interpretato da Stefano Dionisi, si è fatto ricorso a delle tecniche sofisticate sviluppate all'IRCAM per associare la voce di un controtenore e di un soprano di coloratura. La registrazione della musica del film è stata realizzata dal direttore d'orchestra Christophe Rousset con la compagnia Les Talents Lyriques. Il film moderno non è, tuttavia, la prima opera drammatica che narra la vita di Farinelli. Il compositore Daniel Auber ne musicò una su libretto di Eugène Scribe.
Di Colle di Postignano (Sellano) in provincia di Perugia, ma nato nella vicina Sterpare, il 16/4/1829. Maestro di musica, precursore di Perosi nella direzione della Cappella Sistina. Per una mutilazione infertagli da una scrofa, perdette la sua virilità e conservò la voce bianca. Fu avviato alla vita ecclesiastica e fu indirizzato alla carriera della Polifonia vaticana. Egli rappresentò il vecchio indirizzo prima della riforma musicale di san Pio X. Dopo una lunga attività, si ritirò in località Cavolata di Montefalco, dove costruì una villa e acquistò dei terreni. Morì il 17 marzo 1912 e fu sepolto nel cimitero di quella città, con un bel monumentino. Montefalco gli ha dedicato una raccolta piazzetta lungo il corso, dove si danno concerti all'aperto.
Born in Sterpare (Perugia province) on April 16, 1829 - died in Montefalco on March 17, 1912. Was a singer and composer. Domenico Mustafà was a famous soprano castrato with the Cappella Sistina in the Vatican. He was particularly admired for his performances of Haendelian music. At his prime Mustafà possessed a voice of superior strength and beauty, and he mastered the thrills and coloraturas to the utmost perfection. According to Franz Haböck, he had a voice "as sweet and pleasant as that of a woman with a usable range of at least 2 octaves from C' to C'''.
Mustafà was also a composer - among his works were a famous Miserere and Tu es Petrus. Admitted to the Cappella Sistina in Rome as a chorister in 1848, he soon became famous for his singing, intelligence and gifts as a composer. In 1855 he made his debut as a composer in a Miserere for six voices, with high acclaim. Five years later, in 1860, he was appointed as choir director by the pope Leo XIII.
Being a man of great honour and responsibility, he was eventually nominated as a possible candidate, and finally elected, for the post of "Direttore Perpetuo" of the Sistine Chapel in 1878. However, even before 1878, he was already involved in directing the Chapel after the death of its former director Giuseppe Baini (Roma 1775-1844). Also, he was a honoured lifetime member and president of the musical organisation Società musicale Romana in Rome.
He was near of attending the operatic stage when Richard Wagner considered of casting him as Klingsor in Parsifal in 1882. However, the whole idea was abandoned shortly afterwards due to a role confusion - the emasculated Klingsor was not a castrato, but a eunuch castrated past puberty and thus singing baritone, not soprano.
Domenico Mustafà was also a teacher and he gave music lessons in 1892 to the famous French soprano Emma Calvé (Décazeville 1858 - Millau 1942). Here he taught Calvé to employ her famous "fourth voice", which was a very high and refined falsetto extending to an unearthly disembodied D'''. Calvé, after hearing Mustafà perform the thrill, described it as: "strange, sexless, superhuman, uncanny."
In person Mustafà was tall and broad, rather plump, very stylish and charismatic in countenance - in older age, he always wore glasses due to his failing sight. In private he was always mild, receptive and talkative — he often used to add a joke or two or an anecdote during a conversation. He was highly praised for his intelligence and deep insights into the musical aspects. Being a perpetual director of the Sistine Chapel, he nevertheless decided to withdraw in 1902 on the grounds of high age — appointing Lorenzo Perosi (Tortona, AL 1872 - Roma 1956) as his successor for the post of director. He then retired to a luxurious villa in Montefalco where he spent the rest of his life, where he was occasionally visited by his friends and relatives.
Bed and breakfast Villa Mustafà a Montefalco (PG)
He died in his home 17th March 1912, and was buried in the cemetery of Montefalco, where his large tomb stands to this day. Mustafà's role as a director in the Sistine Chapel is considered to be of great importance, and a book about his life was written by Alberto de Angelis and released in 1926. His home villa, "Villa Mustafà", was turned into a hotel, and is now open to visitors and tourists, serving also as a museum in his memory.
Alessandro Moreschi è universalmente conosciuto come l'ultimo castrato. Nacque l'11 novembre 1858 a Monte Compatri (Roma). Iniziò lo studio del canto nel 1871 presso la Scuola di Salvatore di San Lauro. Successivamente divenne allievo di Gaetano Capocci, organista e compositore di musica da chiesa. Nel 1883 riuscì a entrare nel Coro del Cappella Sistina come solista, e fu quindi uno degli ultimi a entrarvi, prima che avvenisse l'estromissione formale da parte della chiesa dei castrati (febbraio 1902).
Lo stesso direttore della Cappella Sistina, Lorenzo Perosi (Tortona, AL 1872 - Roma 1956), si adoperò per ottenere dall'allora pontefice Leone XIII la messa al bando ufficiale dei castrati dalle cantorie, a causa anche delle numerose richieste di giovani evirati che gli giungevano (siamo tra l'800 e il '900), tanto che era giunto a pensare che sotto potesse esserci qualche interesse poco lecito. Di fatto però in Sistina i castrati che erano già in organico continuarono a prestare servizio fino alla pensione. Moreschi rimase solista del coro del Vaticano sotto la direzione di Domenico Mustafà e, probabilmente, anche di Lorenzo Perosi, fino al suo ritiro nel 1913.
Moreschi ebbe un figlio adottivo di nome Giulio Moreschi (detto Giulietto), che fu cantore (tenore) in alcune cappelle romane, soprattutto in Santa Maria Maggiore, e che si cimentò anche in alcune interpretazioni cinematografiche (Lo sceicco bianco di Fellini, ad esempio).
L'Angelo di Roma, come fu soprannominato Alessandro, cantò ai funerali di Umberto I (1900) e interpretò la parte del soprano solista nella Messa da Requiem di Verdi a Ravenna (fine ottocento circa). A Roma abitava in una bella casa, in zona Trastevere (via della Lungara). Si spense a Roma, dimenticato e in solitudine, il 21 aprile 1922.
Di Alessandro Moreschi sopravvive una testimonianza della sua arte che assume grande valore essendo l'unica testimonianza riversata su supporto magnetico del canto di un castrato: sono 17 brani di vario genere, frutto di registrazioni realizzate fra il 1902 e il 1904.
Alessandro Moreschi (November 11, 1858 - April 21, 1922) was the most famous castrato singer of the late 19th century, and the only castrato of the classic bel canto tradition to make solo sound recordings.
Alessandro Moreschi was born into a large Roman Catholic family in the town of Monte Compatri, near Frascati. Baptised on the day of his birth, it is clear that his life was in danger. Perhaps he was born with an inguinal hernia, for which castration was still a "cure" in nineteenth-century Italy. Or he could have been castrated later, say around 1865, which would have been more in line with the centuries-old practice of castrating vocally talented boys well before puberty. In any case, much later in life, he referred to his enjoying singing as a boy in the chapel of the Madonna del Castagno, just outside his native town.
It seems likely that Moreschi's singing abilities came to the notice of Nazareno Rosati, formerly a member of the Sistine Chapel choir, who was acting as a scout for new talent, and took him to Rome in about 1870. Moreschi became a pupil at the Scuola di San Salvatore in Lauro, where he was taught by Gaetano Capocci, maestro di cappella of the Papal basilica of San Giovanni in Laterano.
In 1873, aged only fifteen, he was appointed First Soprano in the choir of that basilica, and also became a regular member of the groups of soloists hired by Capocci to sing in the salons of Roman high society. His singing at such soirées was vividly described by Anna Lillie de Hegermann-Lindencrone, the American wife of the Danish Ambassador to the Holy See: "Mrs Charles Bristed of New York, a recent convert to the Church of Rome, receives on Saturday evening... The Pope’s singers are the great attraction... for her salon is the only place outside of the churches where one can hear them. The famous Moresca [sic], who sings at the Laterano, is a full-faced soprano of some forty winters. He has a tear in each note and a sigh in each breath. He sang the jewel song [sic] in [Gounod’s] Faust, which seemed horribly out of place. Especially when he asks (in the hand-glass) if he is really Marguerita, one feels tempted to answer 'Macchè' [not in the least] for him."
In 1883 Capocci presented a special showcase for his protégé: the first performance in Italy of the oratorio Christus am Ölberge by Beethoven, in which Moreschi sang the demanding coloratura role of the Seraph. On the strength of this performance, he became known as l'Angelo di Roma, and shortly after, having been auditioned by all the members of the Sistine Chapel choir, he was appointed First Soprano there, a post he held for the next thirty years.
Moreschi's Director at the Sistine was Domenico Mustafà, himself once a fine castrato soprano (maybe finer even than Moreschi), who realised that Alessandro was, amongst other things, the only hope for the continuation of the Sistine tradition of performing the famous setting of the Miserere by Gregorio Allegri during Holy Week. When Moreschi joined the Sistine choir, there were still six other castrato members, but none of them was capable of sustaining this work's taxing soprano tessitura. Moreschi's star status sometimes seems to have turned his head: "Moreschi’s behaviour was often capricious enough to make him forget a proper professional bearing, as on the occasion after a concert when he paraded himself among the crowd like a peacock, with a long, white scarf, to be congratulated..."
The Sistine Chapel Choir was run on traditional lines centuries old, and had a strict system of hierarchies. In 1886, the senior castrato, Giovanni Cesari, retired, and it was probably then that Moreschi took over as Direttore dei concertisti (Director of soloists). In 1891 Moreschi took his turn as segretario puntatore, being responsible for the day-book of the choir's activities, and the following year was appointed maestro pro tempore, a largely administrative post concerned with calling choir meetings, fixing rehearsals, granting leave of absence and the like. During this year, Alessandro was also responsible for overseeing the choir’s correct performance of its duties in the Sistine Chapel.
Artistically speaking, the job involved him in choosing soloists and in developing repertoire. This entire period was one of great upheaval within the Sistine choir's organisation as well as Catholic church music at large: the reforming movement known as Cecilianism, which had originated in Germany, was beginning to have its influence felt in Rome. Its calls for the Church's music to return to the twin bases of Gregorian chant and the polyphony of Palestrina were a direct threat to both the repertoire and the practice of the Sistine Chapel.
These were resisted by Mustafà, but time was against him. In 1898, he celebrated fifty years as a member of the Sistine, but also appointed Lorenzo Perosi as joint Perpetual Director. This 26-year-old priest from Tortona in Piedmont turned out to be a real thorn in Mustafà's side. Moreschi was very much a silent witness to the struggles between the forces of tradition and reform, but was also caught up in secular matters: on 9 August 1900, at the express request of the Italian royal family, he sang at the funeral of the king Umberto I recently assassinated by the anarchic Gaetano Bresci (July 29th). This was all the more extraordinary because the Papacy still had no formal contact with the Italian secular state, which it regarded as a mere usurper.
In the spring of 1902, in the Vatican, Moreschi made the first of his phonograph recordings for the Gramophone & Typewriter Company of London. He made additional recordings in 1904: there are seventeen tracks in all.
Between these two sessions, several most fateful events occurred: in 1903 the aged Mustafà finally retired, and a few months later Pope Leo XIII, a strong supporter of Sistine tradition, died. His successor was Pius X, an equally powerful advocate of Cecilianism. One of the new pontiff's first official acts was the promulgation of the motu proprio, Tra le Sollecitudini (Amongst the Cares), which appeared, appropriately enough, on St Cecilia’s Day, 22 November, 1903.
This was the final nail in the coffin of all that Mustafà, Moreschi and their colleagues stood for, since one of its decrees stated: "Whenever... it is desirable to employ the high voices of sopranos and contraltos, these parts must be taken by boys, according to the most ancient usage of the Church."
Perosi, a fanatical opponent of the castrati, had triumphed and Moreschi and his few remaining colleagues were to be pensioned off and replaced by boys. A singing pupil of Moreschi's, Domenico Mancini, was such a good imitator of his master's voice that Perosi took him for a castrato (for all that castration had been banned in Italy in 1870), and would have nothing to do with him. Ironically, Mancini became a professional double-bass player.
Officially, Alessandro was a member of the Sistine choir until Easter 1913, and remained in the choir of the Cappella Giulia of St Peter's, Rome, until a year after that. Around Easter 1914 he met the Viennese musicologist Franz Haböck, author of the extremely important book Die Kastraten und ihre Gesangskunst, who had plans to cast Moreschi in concerts reviving the repertoire of the great eighteenth-century castrato Farinelli (nom de plume of the Italian sopranist Carlo Broschi, Andria (BA) 1705 - Bologna 1782). These never came to fruition: by this date Moreschi (now fifty-five years old) no longer had the required high soprano range, and in any case he had never had the necessary virtuoso operatic training.
In retirement, Moreschi lived in his apartment at 19 Via Plinio, a few minutes' walk from the Vatican, where he died at the age of sixty-three, possibly of pneumonia. His funeral mass was a large and public affair in the church of San Lorenzo in Damaso, and was conducted by, of all people, Perosi, who, in spite of his antipathy towards castrati, felt towards Moreschi, a "great friendship which bound them together". Moreschi was buried in the family vault in the Cimitero del Verano, the great "city of the dead" not far from Rome's Termini station. His colleague Domenico Salvatori lies in the same tomb.
According to Haböck: "Moreschi was of average height and rather short in stature; he had no facial hair and his chest was broad and overdeveloped. In his youth, when he sang the Seraph's oratorio at the age of twenty-five, his vocal range was from c' to c'. Now, however, at the end of his career, his range is only from a to g. Moreschi's speaking voice has a certain silvery quality to it, and resembles greatly that of a high tenor. However, both his appearance and voice give an impression of his still being a young person." [Moreschi was fifty-six years old at this time.]
Critical opinion is divided about Moreschi's recordings: some say they are of little interest other than the novelty of preserving the voice of a castrato, and that Moreschi was a mediocre singer, while others detect the remains of a talented singer unfortunately past his prime by the time he recorded. (Moreschi was only in his forties when he made his recordings; many classical singers would regard this as their vocal prime.) Still others feel that he was a very fine singer indeed, and that much of the "difficulty" in listening to Moreschi's recordings stems from changes in taste and singing style between his time and ours. His vocal technique can certainly seem to grate upon modern ears, but many of the seemingly imperfect vocal attacks, for example, are in fact grace notes, launched from as much as a tenth below the note - in Moreschi's case, this seems to have been a long-standing means of drawing on the particular acoustics of the Sistine Chapel itself. The dated aesthetic of Moreschi's singing, involving extreme passion and a perpetual type of sob, often sounds bizarre to the modern listener, and can be misinterpreted as technical weakness or symptomatic of an aging voice.
The standard of his recordings is certainly variable: of the two takes of Rossini's Crucifixus the later is by far the better (in the first he goes wrong and stays wrong for several bars), but Leibach's Pie Jesu is excellent, and Tosti's charming song Ideale is a joy to listen to, as witnessed by the enthusiastic cheers at the end from Moreschi's fellow choristers.
The best-known piece Moreschi recorded is, of course, the Bach/Gounod Ave Maria (though the Sistine Chapel choir recorded Mozart's Ave verum corpus, Moreschi's voice is not individually audible). Perhaps only here does Moreschi's singing approach the type of star quality that the great castrato performances of the Baroque era must have possessed; there is great fervour in the singing - the above-mentioned "tear in every note" - and Moreschi takes the high B natural without apparent effort.
References
de
Hegermann-Lindencrone, A. L.: The Sunny Side of Diplomatic Life (New
York, 1914)
Haböck, F.: Die Kastraten und ihre Gesangskunst (Berlin, 1927)
Clapton, N.: Moreschi, the Last Castrato (London, 2004)
Il cappone ci offre bufale a iosa! Stavolta il colpevole è il cappone di Olivier de Serres: infatti, noncurante della castrazione cui era stato sottoposto, si mette a importunare le galline, cosicché costoro producono meno uova e mettono a repentaglio il guadagno dell'azienda agricola che si basa anche su questo prodotto. Vediamo il brano di de Serres contenuto nel suo Le théâtre d'agriculture (1600) e cerchiamo di interpretarlo in modo corretto. Altrimenti dovremmo invocare l'intervento di San Valentino!
Neantmoins les chapons prejudicient [347] grandement aux poules, leur empeschant de faire des oeufs en abondance: tant en les chauchans, qu’affamans par leur continuelle frequentation.
Tuttavia i capponi sono di grande incomodo per le galline, impedendo loro di fare uova in abbondanza: sia montandole che affamandole stando continuamente in loro compagnia.
Chaucher, verbo, di cui ecco le numerose varianti: chauchier, calchier, calcier, chaucer, caucher, chaulcher, chaukier, calcher, cauquier, cacher, chaskier, chakier, kaukier, calquier, colchier - significato: fouler avec force, fouler aux pieds, pressurer, presser; couvrir la femelle, en parlant des oiseaux, des volatiles; signification gardée par la langue moderne sous la forme cócher. (Frédéric Godefroy, Dictionnaire de l'ancienne langue française et de tous ses dialectes, 1883)
Fouler = calcare, pigiare.
Chaucher deriva dal latino calcare. (http://fr.ghettodriveby.com)
Il latino calx, calcis significa calcagno, tallone, ed è il lemma base da cui deriva il verbo calcare che significa premere, pestare, percorrere una strada, disprezzare. Calx è pure il lemma base da cui deriva calcar che è anche lo sperone del gallo: anni fa dovetti suturare la schiena a una gallina che presentava due ferite lacerocontuse grazie agli speroni del marito.
È ovvio che in senso traslato il verbo calcare sia passato a designare la modalità del rapporto sessuale di quegli animali la cui femmina rimane sotto mentre il maschio le sale in groppa, come accade appunto tra gallo e gallina, una procedura insostituibile richiesta dall'anatomia e opportunamente espressa dal verbo montare. Tra uomo e donna ne accadono invece di tutti i colori: magari li troviamo attorcigliati come serpenti.
Che il francese fouler (calcare) abbia assunto anche il significato traslato sessuale lo dimostra il dialetto di Valenza (AL). In valenzano il fuladur è lo scopatore (in senso romanesco) e fulà significa appunto scopare. L'italiano scopare - in senso sessuale - esprime il movimento di andirivieni più o meno protratto durante un rapporto carnale, lo stesso movimento che si imprime a una scopa per pulire un pavimento. Scopare nel senso di possedere carnalmente una donna è una voce romanesca presente in un glossario fiorentino-romanesco della fine del sec. XVII. Questo verbo venne usato in questa accezione – oltre che in altri sonetti – anche in uno dei due che Giuseppe Gioachino Belli (Roma 1791-1863) dedicò a Teta:
Sonetto 10
A Tteta
versi 5-8
De tante donne che me so’ scopato,
si ho mmai trovo a 'sto monno una miggnotta
c’avessi in ner fracosscio un’antra grotta
come la tua, vorrebb’esse impiccato.
Conclusioni
In base a quanto affermato da Frédéric Godefroy circa il significato del verbo caucher riferito agli uccelli, dobbiamo concludere che i capponi di Olivier de Serres, visto che montavano le galline, non fossero perfettamente castrati (cosa non infrequente se il capponaggio dei galli nonché delle galline veniva affidato a dei ciarlatani).
Oppure potremmo supporre che il nostro de Serres stia cadendo in un madornale errore concettuale, ammettendo che dei castrati fossero vogliosi quanto i galli.
Credo sia più valida la prima ipotesi, vista l'aleatorietà della castrazione qualora non fosse praticata da personale esperto.