Ulisse Aldrovandi

Ornithologiae tomus alter - 1600

Liber Decimusquartus
qui est 
de Pulveratricibus Domesticis

Libro XIV
che tratta delle domestiche amanti della polvere

trascrizione di Fernando Civardi - traduzione di Elio Corti - revisione di Roberto Ricciardi
revisione dell'ebraico di Padre Emiliano Vallauri OFM Cap

196

 


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[196] hoc est, Persica avis, Gallinaceus dicitur a crista, in dictionario Syrochaldaico כרבהא carvelada legitur pro crista Galli, et metaphorice in Arve pro veste rubea instar cristae Galli. Hinc כרבלנ Curbalin Cuculli, capitis involucra instar galearum, vel iuxta alios pallia. Ab hac nota Galli {Theocriro} <Theocrito>[1] alibi Ὄρνιθες φοινικολόφοι, hoc est, aves rubricristatae, Latinis cristatae volucres appellari meruerunt, et Martialis[2] Gallos cristatos dixit eo versu.

Nondum cristati rupere silentia Galli.

cioè, il gallo viene detto l’uccello persiano a causa della cresta; nel dizionario sirocaldeo si legge carvelada per la cresta del gallo, e in Arve in senso metaforico per un abito rosso come la cresta di un gallo. Da questa fonte curbalin sono i cappucci, copricapi a foggia di elmi, o mantelli presso altri. Da questa caratteristica in un passo i galli ottennero da Teocrito l’appellativo di Órnithes phoinikolóphoi, cioè uccelli dalla cresta rossa e dai Latini di uccelli con la cresta, e Marziale con il seguente verso li chiamò galli forniti di cresta:

I Galli forniti di cresta non hanno ancora rotto il silenzio.

Ut vero Galli cristam erectam, ita Gallinae {plicabilem}[3] <plicatilem>[4] obtinuere, et per medium caput deorsum dependentem: quare nescio, quid in mentem venerit Giberto Longolio illas fere disertissimis verbis carere profitenti. Hac abscissa animal non moritur; nam parum sanguinis ex inflicto vulnere effluit. Super qua re mira apud Sigismundum liberum[5] baronem historia legitur in descriptione itineris sui per Moscoviam; quae talis est: Gallum, inquit, Moscoviticum more Germanorum super currum sedentem, frigoreque iam iam morientem, famulus crista, quae gelu concreta erat, subito abscissa non solum hoc modo servavit, verum etiam ut erecto statim collo cantaret, nobis admirantibus effecit[6].

Ma, come i galli hanno ricevuto una cresta eretta, così le galline l’hanno ricevuta flessibile e che dal centro della testa pende verso il basso: per cui non so che cosa sia venuto in mente a Gisbert Longolius di dichiarare con parole assai eloquenti che esse ne sono quasi sprovviste. Una volta che questa sia stata tagliata via, l’animale non muore; infatti dalla ferita che è stata inflitta defluisce poco sangue. A questo riguardo in Sigismondo, barone di Herberstein, nella descrizione del suo viaggio attraverso Mosca, si legge una narrazione sorprendente che suona così: un gallo moscovita, dice, appollaiato sopra un carro secondo il costume tedesco, e che stava per morire da un momento all’altro a causa del freddo, un servo, dopo avergli tagliato via rapidamente la cresta che era congelata, non solo in questo modo lo salvò, ma ottenne anche che, rizzato improvvisamente il collo, si mettesse a cantare, mentre noi eravamo pieni di stupore.

Sed iam ad alia transeamus. Oculi harum avium splendidi sunt, et limpidi. Aiunt quibus tales natura largita est, vulgo salaces, et libidinosos haberi. Membranosa illa cutis, quae sub mento, et collo utrinque dependet, palea dicitur: sic apud Columellam[7] legimus: Paleae ex rutilo albicantes, quae velut incanae barbae dependent. Similiter et in bobus palearia dicimus, quae a pectore, et collo dependent. Hanc membranam, si ita appellare placet, Aristoteles[8], κάλλαιον vocat: in cuius {voce} <vocis> traductione Gaza maximopere hallucinatus est, cristam vertens. Haec enim in vertice erecta est: κάλλαια sive paleae utrinque a malis dependent. Videntur autem κάλλαια dicta ob purpureum, floridumque colorem. Nam κάλλη Graeci floridos colores dicunt, τὰ ἄνθη τῶν βαμμάτων, ut Ammonius[9] de differentiis vocum interpretatur, et ibidem κάλλαια, τοὺς τῶν ἀλεκτρυόνων πώγωνας. Ornithologus Latinam vocem paleae a Graecis deductam esse conijcit, κ nempe in π mutato, et λ uno exempto. Pro κάλλαια apud Varinum κάλλαιοι legitur pro Gallinacei barba, et omni colore purpureo, vel secundum alios vario: et alibi κάλεα habet pro eadem barba, et secundum Aelium Dionysium[10] ea vox eodem authore pennas in cauda {earum} <eorum>[11] significat.

Ma adesso vediamo di passare ad altro. Gli occhi di questi uccelli sono brillanti e limpidi. Dicono che coloro ai quali la natura ha concesso occhi siffatti vengono abitualmente ritenuti lussuriosi e libidinosi. Quella cute membranacea che pende da ambo le parti sotto il mento e il collo è detta palea - bargiglio: così leggiamo in Columella: Bargigli rossi soffusi di bianco che pendono come le barbe di persone attempate. Allo stesso modo anche nei buoi chiamiamo palearia – giogaie - le membrane che pendono dal petto e dal collo. Questa membrana, se così vogliamo chiamarla, Aristotele la chiama kállaion: nel tradurre questa parola Teodoro Gaza ha preso un abbaglio enorme, dal momento che la traduce con cresta. Questa infatti se ne sta eretta sulla sommità della testa: i kállaia o bargigli penzolano dalle guance da ambo i lati. D’altra parte si pensa che i kállaia – bargigli - vengono così chiamati a causa del loro colore purpureo e brillante. Infatti i Greci chiamano kállë - le bellezze - i colori brillanti, tà ánthë tøn bammátøn - gli splendori delle tinte, come Ammonio di Alessandria interpreta nella sua opera sulle differenze delle parole, e nello stesso trattato kállaia, toùs tøn alektryónøn pøgønas - i bargigli, le barbe dei galli. L’Ornitologo presume che il vocabolo latino palea è stato tratto dai Greci, e precisamente col cambiamento della κ in π e togliendo un λ. In Guarino al posto di kállaia si legge kállaioi con il significato di barba del gallo e di ogni colore purpureo, o secondo altri variegato: e in un altro punto riporta kálea per la stessa barba e sempre lui afferma che secondo Elio Dionisio quella parola significa le penne che hanno sulla coda.

Rostrum omnium avium vulgus Italicum becco vocat vocabulo Tolosano antiquo, quanquam privatim Gallinacei rostrum, Suetonio[12] teste, significaret: est autem utrique sexui robustum, et in superiori parte aduncum, coloris plerunque cornei. Hesychio, et Varino κόραξ modo Corvum, et omnibus Graecis, significat, modo summa Gallinaceorum rostra, nimirum a nigro colore quem Graeci κορὸν[13] vocant: at nostris Gallis utraque rostri pars eiusdem fere semper coloris est: quare forte extremitates intellexerint, quae quandoque ad nigredinem vergunt. Carnem illam, quae rostrum undique cingit, nonnulli mentum vocant, Columella[14] vero etiam genam. Longiores caeteris plumae aliae collum in Gallo, et cervicem undique ambiunt. Has Columella[15] apposito quidem vocabulo iubas appellabat. Sunt enim iubae crines animalium a collo dependentes, in quibus videntur aliquod robur corporis sui agnoscere: unde Plinius[16] tunc praecipuam Leonis generositatem spectari, tradit, quum colla, armosque vestiunt iubae. Atque ita eodem modo pugnaturi, et irati etiam explicant Gallinacei, quasi et in suis aliquid sit, quod iracundiam, et animositatem eorum demonstret.

Gli Italiani, ricorrendo a un antico vocabolo di Tolosa, chiama becco il rostro di tutti gli uccelli, nonostante, come testimonia Svetonio, avesse specificamente il significato di becco di un pollo: infatti è robusto in ambedue i sessi e adunco nella porzione superiore, per lo più di colore corneo. Per Esichio e Guarino nonché per tutti i Greci kórax ora significa corvo, ora la porzione superiore del becco dei polli, certamente per il colore nero che i Greci dicono koròn: ma nei nostri galli ambedue le componenti del becco sono quasi sempre dello stesso colore: per cui forse avranno inteso gli apici, che talora tendono al nero. Quella carne che cinge il becco tutt’intorno alcuni la chiamano mento, Columella in verità la chiama anche guancia. Nel gallo altre piume più lunghe delle altre cingono tutt’intorno il collo e la nuca. Columella le chiamava con vocabolo appropriato iubae - criniere. Infatti le criniere sono le chiome degli animali che pendono dal collo, nelle quali sembra di ravvisare una certa loro prestanza fisica: laonde Plinio riferisce che si può osservare il massimo del coraggio del leone allorquando la criniera riveste il collo e le spalle. E così allo stesso modo anche i galli la rizzano quando stanno per combattere e sono adirati, come se anche fra le loro qualità ce ne fosse qualcuna che dimostra la loro collera e la loro combattività.

Apicius[17] in pullo quandam corporis partem navim vocat, pullum a navi aperiri iubens: putaverim autem omnino pectus ita appellare, sed nullo interim firmo argumento nixus, nisi quia mox pullum farsilem a pectore aperire iubeat. Scio tamen Humelbergium partem ventris posteriorem interpretari, quod ut navis cavus, et figura<e>[18] eius non dissimilis sit.

Apicio chiama nave una certa parte del corpo del pollo, prescrivendo che il pollo va aperto a cominciare dalla nave: in verità penso che senza dubbio chiami così il petto, senza tuttavia l’appoggio di alcuna valida argomentazione eccetto il fatto che dopo prescrive che un pollo da farcire va aperto a partire dal petto. So tuttavia che Gabriel Hummelberg la interpreta come la parte posteriore del ventre, in quanto esso è concavo come una nave, e non è dissimile dalla sua forma.

Cauda in hoc avium genere maribus maior est quam faeminis: praeterea binae illis sunt pennae longissimae propter teneritudinem incurvi arcus imaginem prae se ferentes, quae in faeminis non sunt: atque illud est, quod Albertus dicere voluit hisce verbis: Gallus pennas in cauda instar semicirculi curvat, et similiter in collo, et dorso, videlicet cum irascitur, aut ad pugnam sese parat. Plinius[19] etiam caudam falcatam in sublime erigere Gallum dixit. Ὄτραν[20] Hesychius, et Varinus peculialiter Gallinacei caudam vocant. Pennas illas, quas Gallinis, et Capis saginandis sub cauda evellimus, quidam Germani, teste Ornithologo[21], a tali actione Mastfaederen, hoc est pennas pinguefactorias privatim nominarunt.

In questo genere di uccelli la coda è maggiore nei maschi che nelle femmine: inoltre essi hanno due penne lunghissime - una per lato, le falciformi maggiori -, che non sono presenti nelle femmine, che a causa della morbidezza mostrano la forma di un arco ricurvo: ed è quello che Alberto ha voluto dire con queste parole: Il gallo piega le penne della coda a semicerchio, e in modo simile sul collo e sul dorso, senza dubbio quando va in collera oppure si prepara per un combattimento. Plinio ha detto che il gallo solleva verso l’alto anche la coda ricurva come una falce. Esichio e Guarino chiamano specificamente ótran la coda del gallo. Quelle penne che strappiamo via da sotto la coda alle galline e ai capponi che debbono essere ingrassati, alcuni Tedeschi, testimone l’Ornitologo, in base a tale finalità le hanno chiamate in modo specifico Mastfaederen, cioè penne dell’ingrasso.

Armantur calcari mares potissimum, ut scripsit Aristoteles[22], et faeminae magna ex parte ea non habent. In maribus in magnam molem quandoque excrescunt, quales illi sunt, quos post depingeremus.

Soprattutto i maschi sono armati di sperone, come scrisse Aristotele, e le femmine per lo più non li posseggono. Talora nei maschi crescono fino a raggiungere grandi dimensioni, come sono quei maschi che poi rappresenteremo.


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[1] Idyllia XXII 72.

[2] Martial Epigrams 9. 68. 3. (Lind, 1963)

[3] La notizia è tratta da Nicolò Perotto che, sulla scia di Plinio, potrebbe aver usato plicabilis anziché plicatilis. Conrad Gessner Historia Animalium III (1555), pag. 381:Gallinae {plicabilis} <plicatilis> crista per medium caput, gallinaceo erecta, Perottus.

[4] Plinio Naturalis historia XI,122: Diximus et cui plicatilem cristam dedisset natura. Per medium caput a rostro residentem et fulicarum generi dedit, cirros pico quoque Martio et grui Balearicae, sed spectatissimum insigne gallinaceis, corporeum, serratum; nec carnem ita esse nec cartilaginem nec callum iure dixerimus, verum peculiare datum. draconum enim cristas qui viderit, non reperitur.

[5] Forse liberum rispecchia il titolo tedesco Freiherr, che già da solo significa Barone.

[6] Rerum Moscoviticarum Commentarii - Editionis 1556, paginae 144–156: [151] Equidem nasum, nisi tempestivius a Pristavo admonitus fuissem, fere amisissem. Ingressus enim hospitium, vix tandem, nive, monitu Pristavi, nasum macerando ac fricando, non citra dolorem sentire coeperam, scabieque quodammodo oborta, ac dein paulatim arescente, convalueram. [152] gallumque Moscoviticum, more Germanorum super currum sedentem, frigoreque iamiam morientem, servitor crista, quae gelu concreta erat, subito abscissa, non solum hoc modo servavit, verum etiam ut erecto statim collo cantaret, nobis admirantibus, effecit. (www.fh-augsburg.de)

[7] De re rustica VIII,2,9.

[8] Historia animalium IX 631b 10,28.

[9] On the Similarities and Differences of Words (ed. by L. C. Valckenaer, sec. ed., Leipzig, 1822). (Lind, 1963)

[10] Aelius Dionysius, Aelii Dionysii et Pausaniae Atticistarum Fragmenta (ed. by E. Schwabe, Leipzig, 1890). (Lind, 1963)

[11] Conrad Gessner, Historia Animalium III (1555), pag. 405: Κάλεα (malim κάλλαια) barbae gallinaceorum, et pennae in caudis eorum secundum Aelium Dionysium, Varinus in Θρόνα.

[12] Vitellius, 18: Periit cum fratre et filio anno vitae septimo quinquagesimo; nec fefellit coniectura eorum qui augurio, quod factum ei Viennae ostendimus, non aliud portendi praedixerant, quam venturum in alicuius Gallicani hominis potestatem; siquidem ab Antonio Primo adversarum partium duce oppressus est, cum Tolosae nato cognomen in pueritia Becco fuerat; id valet gallinacei rostrum. - Così riporta l'Etimologico di Cortelazzo-Zolli (Zanichelli, 1984) alla voce becco: Lat. beccu(m), vc. di orig. gall. (*bukko: di provenienza germ.?), come attesta Svetonio (cui Tolosae nato cognomen in pueritia Becco fuerat; id valet gallinacei rostrum, Vit. 18); essa ha soppiantato in gran parte del mondo romanzo rostru(m).

[13] La fonte di questo vocabolo è senz'altro Conrad Gessner, Historia Animalium III (1555), pag. 405: Κόραξ, corvus, et summa gallinaceorum rostra, a colore nigro quem Graeci κορὸν dicunt, Hesychius et Varinus. – Esiste κόρος, che significa sazietà, stanchezza, insolenza, altezzosità, disdegno, figlio, rampollo, pollone, virgulto, ramo, coro, scopa. – Ma cerca che ti ricerca: finalmente si viene a capo che l'aggettivo κορός riportato dall'Etymologicum Magnum ha il significato di nero.

[14] De re rustica VIII,5,22: Nam si pituita circumvenit oculos et iam cibos avis respuit, ferro rescinduntur genae, et coacta sub oculis sanies omnis exprimitur.

[15] De re rustica VIII,2,9: [...] iubae deinde variae vel ex auro flavae, per colla cervicesque in umeros diffusae.

[16] Naturalis historia VIII,42: Leoni praecipua generositas tunc, cum colla armosque vestiunt iubae; [...]

[17] De re coquinaria VI,9,2: Pullum Parthicum: pullum aperies a navi et in quadrato ornas. Teres piper, ligusticum, carei modicum; suffunde liquamen; vino temperas. - VI,9,5: Pullum laseratum: pullum aperies a navi, lavabis, ornabis et Cumana ponis. - VI,9,14. Pullus farsilis: pullum sicuti liquaminatum a cervice expedies. teres piper, ligusticum, gingiber, pulpam caesam, alicam elixam, teres cerebellum ex iure coctum, ova confringis et commiscis, ut unum corpus efficias. liquamine temperas et oleum modice mittis, piper integrum, nucleos abundantes. fac impensam et imples pullum vel porcellum, ita ut laxamentum habeat. Similiter in capo facies. ossibus eiectis coques. – VI,9,15. ‹Pullus leucozomus›. accipies pullum et ornas ut supra. aperies illum a pectore. [pullus leucozomus] accipiat aquam et oleum Spanum abundans. agitatur ut ex se ambulet et humorem consumat. postea, cum coctus fuerit, quodcumque porri remanserit inde levas. piper aspargis et inferes.

[18] La citazione suona nello stesso modo ed è tratta da Conrad Gessner, Historia Animalium III (1555), pag. 405: Sed Humelbergius partem posteriorem ventris interpretatur: qui ut navis cavus, et figurae eius non dissimilis sit.

[19] Naturalis historia X,47: Et plebs tamen aeque superba graditur ardua cervice, cristis celsa, caelumque sola volucrum aspicit crebra, in sublime caudam quoque falcatam erigens. Itaque terrori sunt etiam leonibus ferarum generosissimis. - Tuttavia anche il popolo, ugualmente superbo, cammina a testa alta, con la cresta eretta, e [il gallo] è il solo fra gli uccelli a guardare spesso il cielo, alzando verso l’alto anche la coda ricurva come una falce. Pertanto incutono terrore anche ai leoni che sono i più coraggiosi tra le fiere.

[20] La fonte assai telegrafica è Conrad Gessner, Historia Animalium III (1555), pag. 405: Ótra, gallinacei cauda, Hesych. et Varinus. - Vocabolo assente nei lessici.

[21] Conrad Gessner, Historia Animalium III (1555), pag. 405: Plumas sub cauda quae gallinis aut capis saginandis evelli solent, aliqui privatim nominant mastfaederen.

[22] La citazione è errata, ma la fonte e il diretto colpevole è Conrad Gessner, Historia Animalium III (1555), pag. 382: Calcar cum habeant mares, foeminae magna ex parte non habent, Aristot. - Aristotele in Historia animalium II 504b 7 dice solo che alcuni uccelli hanno speroni: Certi generi di uccelli hanno poi degli speroni: nessuno però possiede contemporaneamente artigli e speroni. (traduzione di Mario Vegetti)