Ulisse Aldrovandi

Ornithologiae tomus alter - 1600

Liber Decimusquartus
qui est 
de Pulveratricibus Domesticis

Libro XIV
che tratta delle domestiche amanti della polvere

trascrizione di Fernando Civardi - traduzione di Elio Corti

244

 


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[244] DE AFFECTIBUS CORPORIS GALLINACEORUM.

LE MALATTIE
DEL CORPO DEI GALLINACEI

Inter affectus corporis quibus Gallinaceum genus infestatur, pituita, sive coryza[1], quae ipsis peculiaris, ac inimicissima est, et {ptiriasis} <phthiriasis[2]> seu pedicularis morbus, peculiares sunt. De quibus itaque prius dicendum videtur.

Tra le malattie del corpo dalle quali viene colpito il genere dei gallinacei sono caratteristiche la pipita - nella sua forma catarrale, o catarro nasale, che è loro peculiare e molto dannosa, e la ftiriasi o malattia dovuta ai pidocchi. Pertanto sembra opportuno parlarne in primo luogo.

Pituita est humor e cerebro in nares, nec non in fauces destillans, edendi, bibendique cupidinem eis auferens, linguaeque officiens. Palladius[3] albam pelliculam vocat extremam linguam vestientem: adeo ut saepe periculo non careat id malum, sed interimat etiam. Signa evidentia admodum sunt, nam lingua indurescit, ut pipire, glocire, {glacillare} <gracillare>, cucu<r>rireque in summa vocem emittere nequeant: marcescunt etiam et cibum capere nolunt. Est autem affectus iste, quem nos vulgo la pivida[4] dicimus, superiores Germani das {pfippe} <pfipfe[5]>, inferiores de pippe. Quae nomina, ut videtur, per onomatopoeiam ficta sunt, quoniam hoc avium genus ita affectum consimilem vocem edat. Oritur a sordido potu {plerunque} <plerumque>. In assignando tempore, quo maxime hoc malo torquetur, a Plinio Columella dissentit. Plinius[6] enim inimicissimam esse illi testatur, maxime inter messis et vindemiae tempus. Contra Columella[7], cum frigore, et cibi penuria laborant. Quis autem inter messis, et vindemiae tempus frigore torqueri dicat? ut interim de cibo nihil dicam? Nam et cibum in agris, ubi messis fuit, copios<i>orem habent. Quare forte dicendum est, tam ob exuberantem calorem, qualis inter messem, et vindemiam esse solet, quam ex immodico frigore in id malum incurrere.

La pipita è un liquido che gocciola dal cervello nelle narici e così pure in gola, togliendo loro la voglia di mangiare e di bere, danneggiando anche la lingua. Palladio chiama pellicina bianca quella che ricopre l’estremità della lingua: tant’è che spesso questa malattia non è scevra da pericolo, ma è anche in grado di uccidere. I sintomi sono oltremodo evidenti, infatti la lingua si indurisce, tant’è che non riescono a pigolare, a fare la voce da chioccia (glocire, gracillare) e a far chicchirichì, insomma, non riescono a emettere la voce: si indeboliscono anche, e non vogliono assumere cibo. Questa malattia è quella che volgarmente chiamiamo la pivida, i Tedeschi del nord das pfipfe, quelli del sud de pippe. A quanto pare, questi vocaboli sono stati creati per onomatopea, in quanto questo genere di uccelli, ammalato in tal guisa, emette una voce del tutto simile. Essa origina per lo più da una bevanda sporca. Columella dissente da Plinio nell’attribuire il periodo in cui i polli vengono soprattutto afflitti da questa malattia. Infatti Plinio dice che essa è molto pericolosa soprattutto tra il periodo della mietitura e quello della vendemmia. Invece Columella dice quando soffrono per il freddo e per la scarsità di cibo. Ma chi potrebbe dire che vengono afflitti dal freddo nell’intervallo di tempo fra la mietitura e la vendemmia? Cosicché nel frattempo non dovrei dire nulla riguardo al cibo? Infatti, quando la mietitura è stata ultimata, hanno anche una maggior quantità di cibo nei campi. Per cui forse bisogna dire che incorrono in tale malattia sia per il calore eccessivo come quello che solitamente c’è tra la mietitura e la vendemmia, quanto per il freddo esagerato.

Addidit porro, et aliam causam Columella, cum scilicet ficus, aut uva immatura ad satietatem permissa est. Ita enim textus legi debet, ut Ornithologus[8] etiam existimat, non autem cum ficus, et uva immatura nec ad satietatem usque permissa est, ut vulgati codices habent. Nam eo modo sensus verborum non cohaeret. Caeterum ut et alteram causam examinemus, quod scilicet ex cibi penuria pituita oriatur, ut ille tradit, iterum Plinio dissentit, qui alibi disertissimis verbis eius remedium in fame ponit. Quid igitur dicendum? Putarim ego Columellam de penuria cibi praestantioris loqui, ut nempe quid praeter naturam devorare coactae eo malo afficiantur. Plinium vero ex cibi melioris copia, {pleoricum} <plethoricum>[9] habitum nactas ita affici credere, itaque inediam praescribere.

Inoltre Columella ha aggiunto un’altra causa, cioè quando i fichi o l’uva immatura sono concessi a sazietà. Infatti il testo deve essere letto in questo modo, come ritiene anche l’Ornitologo, e non quando il fico e l’uva immatura non vengono concessi fino a sazietà, come riportano i codici abituali. Infatti in questo modo il senso delle parole è incoerente. Inoltre, per esaminare anche l’altra causa, e cioè che la pipita si origina da una carenza di cibo, come egli riferisce, di nuovo è in disaccordo con Plinio, che in un altro punto con parole molto chiare ne pone il rimedio nella fame. Pertanto, cosa bisogna dire? Io sarei pertanto dell’avviso che Columella parla di una carenza di cibo di qualità migliore, in quanto se sono obbligati a mangiare qualcosa al di fuori di ciò che è naturale vengono colpiti da quella malattia. Ma Plinio crede che si ammalano di quella malattia in quanto hanno raggiunto una corporatura pletorica grazie a un’abbondanza di cibo migliore, e pertanto prescrive il digiuno.

Ut praeserventur ab eiusmodi malo, Columella[10] praecipit, ut purissimam illis aquam potandam demus. Id autem praestare non poterimus, nisi cum aquae, tum vasorum etiam curam habeamus, hoc est, nisi aquam puram, limpidamque semper demus, saepiusque ne marcescat, immutemus, vasaque aliquoties intus, et extra abluamus, et immunditiis detergamus. Leontinus origanum in aqua macerat, eamque ita bibendam offert, praeservareque a pituita Gallinas arbitratur. Eodem modo alias herbas ita aquae imponere poterimus, ac similiter a tali affectu Gallinas praeservare. Vult item Columella Gallinaria fumigari, et ab excrementis aliquoties repurgari.

Per essere salvaguardati da siffatta malattia, Columella suggerisce che dobbiamo dare loro da bere dell’acqua molto pulita. Ma non potremo attuare ciò se non abbiamo cura sia dell’acqua come pure dei recipienti, cioè, se non diamo sempre dell’acqua limpida e pura, e se non la cambiamo piuttosto spesso affinché non imputridisca, e se qualche volta non laviamo dentro e fuori i recipienti e li ripuliamo dalla sporcizia. Leontinus - un geoponico - fa macerare dell’origano nell’acqua e così la dà da bere, e ritiene che preserva le galline dalla pipita. Allo stesso modo potremo porre in acqua altre erbe e parimenti preservare le galline da tale affezione. Columella prescrive anche che i pollai vengano sottoposti a suffumigio e che qualche volta vengano ripuliti dagli escrementi.

Si vero iam in morbum inciderint, ad alia remedia confugiendum est, idque non solummodo, ut vulgus facit, penna per transversas nares inserta, ac quotidie mota; quandoquidem quae ita curantur, multas saepius interiisse compertum est{:}<.> Verum alia etiam tentanda medicamina: quorum magna copia cum apud authores, recentiores maxime extet, itaque et nos aliquot abducemus, ut doctissimus lector ex iis seligat, quod sibi accom<m>odatius videbitur.

Ma se si sono già ammalate bisogna ricorrere ad altri rimedi, e non solo a quello, come fa il popolo, inserendo una penna attraverso le narici e muovendola quotidianamente: dal momento che si è visto che parecchie di quelle che vengono curate in questo modo abbastanza spesso sono morte. In verità bisogna tentare anche altre terapie: dal momento che ne esiste una grande abbondanza tra gli autori, soprattutto più recenti, anche noi ne potremo adottare qualcuna, e il lettore molto avveduto deve scegliere tra esse quella che gli sembrerà più confacente.

Plinius[11] alibi mistum far in cibo prodesse tradidit et alibi acinos ligustri, alibi denique fumum herbae sabinae eiusmodi morbum sanare. Galenus[12] idem pollicetur ex alliis, et caepis. Allia etiam multi alii commendant, sed diversimode exhibent. Etenim quidam, teste Columella, spicas eorum tepido madefactas oleo <faucibus> inserunt: quod pariter Palladius[13] repetiit, sed pro spica mica habet, corrupto, ut videtur, textu. Paxamus eisdem minutim conscis<s>is, et in calidum oleum iniectis, ubi refrixerint, ora Gallinarum colluere iubet, ac, si illa<s> voraverint, efficacius restitui ait. Nonnulli, eodem referente allia in humano lotio elixant, rostrumque Gallinae illis fovent, cavendo quam maxime, ne portio aliqua in oculos influat. Leontinus pariter allio rostri foramina inungit, aut in aquam conijcit, et potandam exhibet. Scilla munda in aqua macerata, et exhibita cum farina idem praestat. Sunt qui ad idem malum origani, hyssopi, et thymi suffitu caput Gallinae fumigent, et mox allio rostrum eius perfricent. Quidam etiam urina tepida rigant ora, et tam diu teste Columella comprimunt, donec eas amaritudo per nares emoliri pituitae nauseam cogat. Uva quoque quam Graeci staphisagriam[14] vocant, cum cibo mista prodest, vel eadem cum aqua trita potui data.

In un punto Plinio ha detto che dà giovamento il farro mischiato al cibo e in un altro punto le bacche del ligustro, infine in un altro punto che il fumo dell’erba sabina - Juniperus sabina - guarisce siffatta malattia. Galeno promette la stessa cosa dall’impiego dei vari tipi di aglio e di cipolla. Anche molte altre persone raccomandano i vari tipi di aglio, ma li danno in modi diversi. E infatti alcuni, come dice Columella, ne introducono in gola degli spicchi bagnati di olio tiepido: la stessa cosa l’ha ripetuta Palladio allo stesso modo, ma invece di spica – spicchio - ha mica - briciola, a quanto pare a causa di una corruzione del testo. Paxamus - un geoponico - consiglia di bagnare con essi la bocca delle galline dopo averli tagliati a pezzettini e messi in olio caldo, quando si sono raffreddati, e se li avranno ingoiati dice che si ristabiliscono più prontamente. Sempre secondo lui, alcuni cuociono l’aglio nell’urina umana e ne fanno degli impacchi al becco della gallina, facendo moltissima attenzione a che nessuna piccola quantità penetri negli occhi. Parimenti Leontinus con l’aglio fa delle applicazioni ai fori del becco, oppure lo mette nell’acqua e la dà da bere. La scilla - forse la Scilla maritima - ripulita macerata in acqua e data da mangiare con farina, ottiene lo stesso risultato. Vi sono alcuni che contro la stessa malattia fanno delle fumigazioni alla testa della gallina con un suffumigio di origano, issopo e timo, e subito dopo le strofinano il becco con l’aglio. Alcuni irrigano anche con urina tiepida la bocca, e stando a Columella la tengono chiusa tanto a lungo fintanto che il sapore amaro non le costringe a espellere attraverso le narici il disgusto per la pipita. Giova anche l’uva che i Greci chiamano stafisagria - Delphinium staphisagria, invece in Columella agrian staphylen è la Bryonia alba. o brionia bianca - miscelata con il cibo, oppure la stessa pianta triturata e data da bere con acqua.


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[1] Il sostantivo greco femminile kóryza di discussa e incerta etimologia significa scolo nasale, raffreddore, moccio (muccus latino, il muco di origine nasale). Può quindi significare catarro nasale, dal momento che catarro – in greco katárrhoos oppure katárrhous – deriva da katarrhéø, scorrere in basso.

[2] Dal greco phtheír, pidocchio, dal verbo phtheírø = distruggo.

[3] Opus agriculturae I, XXVII De gallinis, 2: Pituita his nasci solet, quae alba pellicula linguam vestit extremam. Haec leviter unguibus vellitur et locus cinere tangitur et allio trito plaga mundata conspergitur. Item allii mica trita cum oleo faucibus inseritur: staphis agria etiam prodest, si cibis misceatur assidue.

[4] Secondo un'indagine linguistica di Paolo Roseano (sochna unt oarbatn - Ricerca sulla terminologia agricola di una comunità trilingue, 1994-1995) in friulano la pipita è detta pivide, da pivida in Tischlbongarisch.

[5] Conrad Gessner Historia Animalium III (1555), pag. 431: Pullis iam validioribus factis, atque ipsis matribus etiam vitanda pituitae pernicies erit. quae ne fiat, mundissimis vasis, et quam purissimam praebebimus aquam. nam in cohorte per aestatem consistens, immunda, stercorosa, pituitam (coryzam, nostri vocant das pfipfe) eis concitat, Columella et Paxamus.

[6] Naturalis historia X,157: Inimicissima autem omni generi pituita maximeque inter messis ac vindemiae tempus. Medicina in fame et cubitus in fumo, utique si e lauru aut herba sabina fiat, pinna per traversas inserta nares et per omnes dies mota; cibus alium cum farre aut aqua perfusus, in qua maduerit noctua, aut cum semine vitis albae coctus ac quaedam alia.

[7] De re rustica VIII,5,23: Id porro vitium maxime nascitur cum frigore et penuria cibi laborant aves, item cum per aestatem consistens in cohortibus fuit aqua, item cum ficus aut uva inmatura nec ad satietatem permissa est, quibus scilicet cibis abstinendae sunt aves.

[8] Conrad Gessner Historia Animalium III (1555), pag. 431: Inimicissima gallinaceo generi pituita, maximeque inter messis et vindemiae tempus, Plin. Id vitium maxime nascitur cum frigore et penuria cibi laborant aves. Item cum ficus aut uva immatura nec (videtur menda) ad satietatem permissa est, quibus scilicet cibis abstinendae sunt aves: eosque ut fastidiant efficit uva labrusca de vepribus immatura lecta, quae cum farre triticeo minuto cocta (Plinius simpliciter cibo incoctam dari iubet, alibi cum farre miscendam) obijcitur esurientibus: eiusque sapore offensae aves, omnem aspernantur uvam, Columella.

[9] Dal greco plëthørikós, a sua volta dal verbo plëthø = sono pieno.

[10] De re rustica VIII,5,20-21: Saepe etiam validioribus factis atque ipsis matribus etiam vitanda pituitae pernicies erit. Quae ne fiat, mundissimis vasis et quam purissimam praebebimus aquam. Nec minus gallinaria semper fumigabimus et emundata stercore liberabimus. Nec minus gallinaria semper fumigabimus et emundata stercore liberabimus. [21] Quod si tamen pestis permanserit, sunt qui micas alii tepido madefaciant oleo et faucibus inferant. Quidam hominis urina tepida rigant ora, et tamdiu conprimunt dum eas amaritudo cogat per nares emoliri pituitae nauseam. Uva quoque, quam Graeci agrian staphylen vocant, cum cibo mixta prodest, vel eadem pertrita et cum aqua potui data.

[11] Naturalis historia XX,57: Cetero contra pituitam et gallinaceis prodest mixtum farre in cibo. - XXIV,74: Ligustrum si eadem arbor est, quae in oriente cypros, suos in Europa usus habet. Sucus discutit nervos, articulos, algores; folia ubique veteri ulceri, cum salis mica et oris exulcerationi prosunt, acini contra phthiriasin, item contra intertrigines vel folia. Sanant et gallinaceorum pituitas acini. - XXIV,102: Herba Sabina, brathy appellata a Graecis, duorum generum est, altera tamarici folium similis, altera cupresso; quare quidam Creticam cupressum dixerunt. A multis in suffitus pro ture adsumitur, in medicamentis vero duplicato pondere eosdem effectus habere quos cinnamum traditur. Collectiones minuit et nomas conpescit, inlita ulcera purgat, partus emortuos adposita extrahit et suffita. Inlinitur igni sacro et carbunculis cum melle; ex vino pota regio morbo medetur. Gallinacii generis pituitas fumo eius herbae sanari tradunt.

[12] Methodus medendi liber 2. (Aldrovandi)

[13] Opus agriculturae I, XXVII De gallinis, 2: Item alii mica trita cum oleo faucibus inseritur: staphis agria etiam prodest, si cibis misceatur assidue.

[14] Palladio, Opus agriculturae I, XXVII De gallinis, 2: [...] staphis agria etiam prodest, si cibis misceatur assidue. - Conrad Gessner Historia Animalium III (1555), pag. 431: Gallinacei generis pituitae medicina in fame: et cubatus in fumo, si utique ex lauro et herba savina fiat, (savinae herbae fumi adversus hunc morbum vis alibi etiam ab eo celebrantur:) penna per transversas inserta nares, et per omnes dies mota. cibus allium cum farre: aut aqua perfusus, in qua laverit noctua: aut cum semine vitis albae coctus, et quaedam alia, Plin. Idem ligustri acinos alibi hoc malum sanare docet, nimirum in cibo. Pituita gallinis nasci solet, quae alba pellicula linguam vestit extremam. haec leviter unguibus vellitur, et locus cinere tangitur, et allio trito plaga mundata conspergitur, Palladius. Sunt qui spicas allii tepido madefactas oleo faucibus earum inferant, (inserant,) Columella. Alii mica (lego, spica) trita cum oleo faucibus inseritur, Palladius. Allia minutim scissa in calidum oleum inijciens, illis ubi refrixerint, ora gallinarum colluito. quod si illa etiam voraverint, efficacius restituentur, Paxamus. Allio rostri foramina inunge: aut in aquam ipsum allium conijciens, potandum dato, Leontinus. Aliqui in lotio humano elixantes allia, rostrum gallinae fovent: verum circumspecte, ne scilicet portio aliqua in oculos illabatur, Paxamus. Lotio ablue, (rostra nimirum et ora,) Leontinus. Quidam hominis urina tepida rigant ora, et tandiu comprimunt, dum eas amaritudo cogat per nares emoliri pituitae nauseam, Columella. Uva quoque quam Graeci agrían staphylën vocant, (staphisagria, Pallad.) cum cibo (assidue, Palladius. sola, aut mista orobo, Paxamus) mista prodest. vel eadem pertrita, et cum aqua potui data, Columella. Munda etiam scilla, macerataque ex aqua, atque exhibita cum farina, idem praestat, Paxamus. Sunt qui ex origano, hyssopo et thymo suffimentum molientes, caput gallinae exponant ut fumum excipiat, allioque perfricent eius rostrum, Paxamus. Atque haec remedia mediocriter laborantibus adhibentur. nam si pituita circumvenit oculos, et iam cibos avis respuit, ferro rescinduntur genae, (scalpello aperiuntur quae sub gena consistunt partes, Paxamus,) et coacta sub oculis sanies omnis exprimitur. atque ita paulum triti (subtilissime, Paxamus) salis vulneribus infriatur, Columella. Vide supra etiam in C.