Ulisse Aldrovandi

Ornithologiae tomus alter - 1600

Liber Decimusquartus
qui est 
de Pulveratricibus Domesticis

Libro XIV
che tratta delle domestiche amanti della polvere

trascrizione di Fernando Civardi - traduzione di Elio Corti

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Nam cum alibi {sclaream} <scarleam>[1] dici dixisset, quod visus claritatem {removeat} <renovet>, cuius ratione Germanis Scharlach quoque dicitur, mox, Heraclea, inquit, est quae latine ferraria nigra vocatur, quam recentiores centrum Galli, et Gallitricum sylvestre vocant.

Infatti Matteo Silvatico avendo detto in un passo che viene chiamata scarlea in quanto ripristina la limpidezza dello sguardo, motivo per cui dai Tedeschi è anche detta scharlach - scarlatto, subito dopo dice: L’Eraclea è quella che in latino viene detta ferraria nigra - miniera di ferro nera, che gli erboristi più recenti chiamano sperone di gallo e gallitrico silvestre.

Videndum etiam num τζεντογάλη, quae vox apud Nic. Myrepsum[2] nominatur unguento 62, sit Gallitricum: item num et hoc a Galli crista nomen habeat. Videtur siquidem vocabulum Graecolatinum, qualia barbari multoties efformant. Capillum enim Graeci τρίχα appellant. Capilli capitis verticem occupant, uti etiam cristae. Cum vero Horminis herba similis sit, Gallinaceaeque cristae, Porta, ut dixi, Galli vires referre, venerique prodesse plurimum ait; ὁρμᾶν enim est impetu, instinctuque, ac ingenti libidine in venerem ferri.

Bisogna anche analizzare se lo tzentogálë, una parola che in Nicolaus Myrepsus viene citata come facente parte dell'unguento n° 62, sia il gallitrico: parimenti, se questo prende il nome dalla cresta del gallo. Dal momento che sembra un vocabolo greco-latino, come sono quelli che spesso coniano gli stranieri. Infatti i Greci chiamano trícha il capello. I capelli occupano la sommità della testa, come anche le creste. Ma dal momento che è un’erba simile agli ormini - Salvia pratensis o Salvia horminum - e alla cresta di un gallinaceo, Giambattista Della Porta, come ho detto, dice che rinvigorisce le energie del gallo e giova enormemente alla sua attività sessuale; infatti hormân - in greco - significa essere spinto all’attività sessuale con impeto e trasporto, e con una grandissima libidine.

Galli crus Apuleio herba dicitur, cuius cacumen instar pedis Galli dividitur. Herbarii graminis speciem faciunt. Plinius[3] {Ischaemum} <Ischaemonem> vocat a sistendo sanguine. Nascitur ubivis, praesertim in hortorum areis cum aliis inutilibus herbis. Radices habet multas, tenues, candicantes, folia milii, ut scripsit Plinius, aspera, et lanuginosa: caules multos, rotundos, florem in spicis, colore herbaceis plerunque quinis, aut septenis. Herba trita, et admota efficacissime fluentem sanguinem sistit. Pueri floris asperis spicis sanguinem a naribus eliciunt, adeo ut pro diverso utendi modo haec herba sanguinem cohibeat, et evocet. Exiguum est gramen apud nos, inquit Porta[4], surgens calamulis geniculatis, surrectis, singulis in quinas, ternasve exiles florum spicatas caudas, digitatim sparsis, sapore astringenti, et exiccante, unde non vana coniectura Plinianum {Ischoemonem} <Ischaemonem>[5] possumus existimare, vulgo Galli pes dicitur, quod in summo frutice trifariam Gallinacei pedis imitationem habeat{:}<.> {ius Gallinaceis dysentericis medetur, sed veteris vehementius, ex Plinio[6]:} <Alibi etiam ius e Gallinaceo dysentericis mederi asserit, sed veteris Gallinacei vehementius.>[7] Ad membranarum cerebri sanguinis profluvium prodesse dicunt sanguinem Galli ex Galeno: ad sanguinis reiectiones ore, et naribus valere ova assa suadent Medici. Haec ille.

In Apuleio Barbaro - o Pseudo Apuleio - viene detta zampa di gallo - Digitaria sanguinalis - un’erba la cui sommità è suddivisa come il piede di un gallo. Gli erboristi la classificano come una specie di gramigna. Plinio la chiama ischaemon dal fatto che arresta il sangue. Nasce ovunque, soprattutto nei terreni coltivati a ortaggi insieme ad altre erbe inutili. Possiede parecchie radici, esili, biancastre, le foglie somigliano a quelle del miglio, e come ha scritto Plinio ruvide e lanuginose: gli steli sono numerosi, a sezione circolare, l’infiorescenza raccolta in spighe, del colore delle erbacee, per lo più in numero di cinque o sette insieme. L’erba, tritata e applicata, arresta molto efficacemente il sangue che scorre. I bambini con le ruvide spighe dell’infiorescenza provocano la fuoriuscita di sangue dalle narici, tant’è che a seconda del modo diverso di servirsene quest’erba arresta e fa fuoriuscire il sangue. Giambattista Della Porta dice che nei nostri terreni si trova una piccola gramigna che si erge con dei piccoli steli nodosi, dritti, ciascuno suddiviso in cinque o tre esili estremità di infiorescenze fatte a spiga e con l’aspetto di dita, di sapore astringente e disidratante, per cui con una congettura non infondata possiamo pensare trattarsi dell’ischaemon di Plinio, che viene comunemente detto piede di gallo, in quanto sulla sommità dello stelo possiede un’imitazione del piede di un gallinaceo costituita da tre parti. In un altro punto asserisce che anche il brodo di gallinaceo fa guarire i dissenterici, ma con efficacia maggiore se è di un gallo vecchio. In base a quanto afferma Galeno dicono che il sangue del gallo è utile contro l’emorragia delle membrane cerebrali: i medici consigliano le uova fritte per le emorragie dalla bocca e dalle narici. Queste le sue parole.

Sed sciendum est hanc herbam Sylvatico perperam Gallitricum vocari, vel per errorem tri Syllabam {antepenultimam} <ante ultimam> a typographo additam, et ex duabus vocibus unam factam. Ait autem[8]: Gallitricus (lego Galli crus) id est sanguinaria, eo quod naribus imposita sanguinem suaviter fluere facit. Nascitur circa vias, et saxosis locis. Habet in summitate velut pedes Galli. Pes Gallinaceus Plinio[9] prima Capni species est, ut hisce verbis apertissime docet: Capnos prima, quam pedes Gallinaceos vocant nascens in parietinis et sepibus, ramis tenuissimis sparsisque<,> flore purpureo<,> viridis <suco caliginem discutit>. Dodonaeus hanc herbam putat eam esse, quae multis ramulis fruticat teneris in quibus folia numerosa incisa, colore, sapore, et quadamtenus forma alteri fumariae similia, praetenera viticulis, et capreolis: herba ipsa in sepibus provenit: flosculi eius candidi, caeruleo colore[10] nonnihil distincti, in siliquis parvis semen: radix singularis, longitudine digitali, vere primo, ut et nostra vulgaris prodit. Maio, et Iunio utraque floret, et carpitur. Haec Capnos, inquit, Plinii imitatione pied de Geline dici potest. Verum cum Plinius Capni primam speciem purpureo flore esse dicat, Dodonaeus suae candidos tribuat, forsan eadem non fuerit; suum tamen interim cuique liberum esto iudicium.

Ma bisogna sapere che quest’erba è erroneamente detta gallitricum da Matteo Silvatico, forse per l’erronea aggiunta da parte del tipografo della sillaba tri prima dell’ultima, e da due parole ne è scaturita una sola. Infatti dice: Il gallitricus (io leggo galli crus – zampa di gallo) cioè la sanguinella - Digitaria sanguinalis, in quanto messa nelle narici fa fuoriuscire il sangue con delicatezza. Nasce ai bordi delle strade e nei luoghi pietrosi. Alla sommità presenta come dei piedi di gallo. In Plinio la prima specie di fumaria è il piede di gallo, come dice in modo molto chiaro con queste parole: La prima fumaria, che chiamano piedi di gallo, che nasce sulle macerie e nelle recinzioni, dai fusti molto sottili e sparpagliati, dal fiore color porpora, con il liquido della parte verde dissipa l’offuscamento della vista. Rembert Dodoens ritiene che quest’erba – Fumaria officinalis - sia quella che si ricopre di molti rametti teneri sui quali si trovano numerose foglie frastagliate che per colore, sapore e in parte per l’aspetto sono simili all’altra fumaria – Fumaria capreolata o fumaria bianca - dai ramoscelli e dai sarmenti molto teneri: anche quest’erba cresce nelle siepi: i suoi piccoli fiori sono bianchi come la neve, un po’ soffusi di colore azzurro - purpureo, e il seme si trova dentro a piccoli baccelli: la radice è singola, della lunghezza di un dito, e spunta all’inizio della primavera come fa anche la nostra, quella comune – Fumaria officinalis. Ambedue fioriscono e vengono raccolte in maggio e in giugno. Questa fumaria, egli dice, per la rassomiglianza con quella di Plinio può essere detta pied de geline - piede di gallina. Ma dal momento che Plinio dice che la prima specie di fumaria ha un fiore porpora e Dodoens attribuisce alla sua fumaria dei fiori candidi, forse non sono uguali; tuttavia per il momento ciascuno si tenga libero di giudicare.

Capnos, sive Capnion, inquit Hermolaus[11], hoc est, fumus, duplex. Alia Dioscoridi descripta nascens in hortis, et segetibus hordeaceis: alia et nomine, et effectu similis, quam pedes Gallinaceos vocant, teste Plinio, in parietibus et sepibus genitam, ramis tenuissimis, sparsisque flore purpureo, ut inquit Plinius{,}<:> quam nonnulli modo {Cymbellarem} <Cymbalarem>[12] vulgo dictam, nescio quam recte interpretantur, folio hederae praetenui, ut in Cotyledone etiam commonuimus: et mox crassissimum illorum errorem reprehendit, qui ex eo quod Plinius Capnon latine pedes Gallinaceos vocari scribit, Capnon <etiam> a Dioscoride monstratum, non aliud genus esse putant, quam quae vulgo sanguinaria, et Galli crus, ut ante diximus, appellatur, quae gramini, inquit, tam similis est, ut ab eo forte non admodum seiungi possit: nisi quod folio minore cernitur, et fibris potius quam radici {i}nititur. Id autem quod in <utroque> summo frutice trifariam Gallinacei pedis imitationem habet, candidius in hac quam in gramine conspicitur. Et alibi: Cotyledon non est, ut quidam rentur, quae vulgo Cymbalaris appellatur, etiamsi Cymbalion a Dioscoride vocetur. Est autem Cymbalaris herba folio tenus anguloso, hederaceo, flore parvo, purpureo, in muris terrae nascens, quam quidem nonnulli genus alterum capni dictae faciunt. Haec ille.

Ermolao Barbaro dice che la fumaria, capnos, o capnion, cioè fumo, è di due tipi. Una, descritta in Dioscoride, che nasce negli orti e nei campi di orzo: l’altra, sia per il nome che per l’effetto, è simile a quella che chiamano piedi di gallo, come testimonia Plinio, nata sui muri e sulle recinzioni, con steli molto esili e sparpagliati, dal fiore color porpora, come dice Plinio: e quella che talora è detta volgarmente cimbalaria - Linaria cymbalaria - non so quanto correttamente alcuni la identificano, dalla foglia molto sottile come l’edera, come abbiamo ricordato anche parlando della scodellina - Cotyledon umbilicus-Veneris: e subito dopo egli biasima l’errore molto grossolano di coloro che, per il fatto che Plinio scrive che in latino la fumaria è chiamata piedi di gallo, designato come fumaria - capnos - anche da Dioscoride, ritengono che non è un genere diverso da quello che comunemente viene chiamato, come prima abbiamo detto, sanguinella e zampa di gallo, che, egli dice, è tanto simile alla gramigna, che forse non si riesce assolutamente a distinguerla da quest’ultima: eccetto il fatto che si distingue per la foglia più piccola e si sostiene su delle fibre anziché su una radice. Per il fatto che alla sommità di ambedue gli steli presenta un’imitazione di un piede di gallo composto di tre parti, nella sanguinella ha un aspetto più biancheggiante rispetto alla gramigna. E in un altro punto: la scodellina - Cotyledon umbilicus-Veneris - non è, come alcuni ritengono, quella che viene comunemente chiamata cimbalaria, nonostante venga chiamata cymbalion da Dioscoride. Infatti la cimbalaria è un’erba dalla foglia un po’ spigolosa, simile all’edera, dal fiore piccolo, purpureo, che nasce sui muri fatti di terra, che in realtà alcuni ritengono essere un genere diverso della cosiddetta capnos - fumaria. Queste le sue parole.

Vulgaris quidem apud nos haec herba est, et lactis etiam nonnihil habet, flosculo calathiformi ex purpureo ad caeruleum inclinante, radice alba, dulci, ut rapulo sylvestri congener videatur. Oculis a quibusdam utilis creditur, nimirum ut Capnos quoque, ut ab eodem effectu nomen idem contigerit. Foliorum species per aetatem mutatur, ex rotundiori in longam. Quae vero eius pars pedes Gallinaceos referat, non facile dixerim, nisi forte mucrones illi, in quos dividitur calyx, qui florem sustinet, eos repraesentare dicantur, praesertim cum flos deciderit, aut aruerit. Tunc enim in diversa tensi rigentesque <magis>[13] apparent.

In realtà quest’erba è comune presso di noi, e possiede anche un po’ di latte, con un piccolo fiore a forma di calice con un colore che dal porpora tende all’azzurro, con la radice bianca, dolce, tanto da sembrare appartenente allo stesso genere del ravanello selvatico. Da alcuni viene ritenuto utile agli occhi, proprio come lo è anche la fumaria, tant’è che gli è toccato lo stesso nome per lo stesso effetto. L’aspetto delle foglie cambia col passare del tempo da rotondeggiante ad allungato. Ma quale sua parte ricordi i piedi dei polli non saprei dirlo con facilità, salvo dire che forse li rappresentano quelle punte in cui si suddivide il calice che sostiene il fiore, soprattutto quando il fiore è caduto o è seccato. Infatti in quel momento le punte appaiono dirigersi ed ergersi maggiormente in direzioni opposte.


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[1] Conrad Gessner Historia Animalium III (1555), pag. 403: Eandem alibi scarleam vocat, (ut nostri scharlach) quod visus claritatem renovet.

[2] Sì, l'enigmatico tzentogálë corrisponde al gallitrico. Il Nicolai Myrepsi Alexandrini Medicamentorum opus in sectiones quadragintaocto, tradotto, emendato e annotato da Leonhart Fuchs e pubblicato a Lione nel 1549, offre la soluzione del dilemma. Tra i vari unguenti, a pagina 219 viene descritto l'unguento n° 62, Unguentum Prasium ad plagas putrefactas – Unguento Prasio contro le piaghe in putrefazione, dove il prasio dovrebbe significare verde porro, come è il colore del prasio, varietà di quarzo microcristallino usato come pietra di modesto valore per piccoli oggetti ornamentali. Infatti né il prasio né il marrubio (prasium) entrano nella composizione dell'Unguentum Prasium. Così come per l'Unguentum Alabastrum – n° 61, ad uterina mala - l'alabastro non viene affatto impiegato. Invece uno dei componenti dell'Unguentum Prasium è il centrum gallinae, e Fuchs annota che "Nicolaus depravate dixit τζεντογάλη, pro κέντρον γαλλὶνε. Est autem Centrum gallinae officinis ea herba, quam nomine Gallitricum sylvestre vocant. Vulgus salviam sylvestrem, horminum sylvestre nomina{n}t." – In sintesi: nel codice di Myrepsus c'era erroneamente scritto τζεντογάλη al posto di κέντρον γαλλὶνε corrispondente a quell'erba che nei laboratori farmaceutici veniva chiamata gallitrico, l'attuale Salvia sclarea o sclaraggine.

[3] Naturalis historia XXV,83: Ischaemonem Thracia invenit, qua ferunt sanguinem sisti non aperta modo vena, sed etiam praecisa. Serpit in terra, milio similis, foliis asperis et lanuginosis. Farcitur in nares, quae in Italia nascitur, et ciet sanguinem, eadem adalligata sistit.

[4] Phytognomonica liber IV, cap. 23. (Aldrovandi)

[5] Naturalis historia XXV,83: Ischaemonem Thracia invenit, qua ferunt sanguinem sisti non aperta modo vena, sed etiam praecisa. Serpit in terra, milio similis, foliis asperis et lanuginosis. Farcitur in nares, quae in Italia nascitur, et ciet sanguinem, eadem adalligata sistit.

[6] La citazione di Aldrovandi è desunta in modo osceno – fermandosi oltretutto a un fatidico punto, e senza minimamente analizzare il testo di Plinio - da Conrad Gessner Historia Animalium III (1555), pag. 393: Ius e gallinaceo dysentericis medetur, sed veteris gallinacei vehementius{.} salsum ius alvum cit, Plinius. – Ben diversa è la frase di Plinio, sia da quella riportata da Gessner, ma soprattutto da quella di Aldrovandi: Naturalis historia XXX,57: Ius ex gallinaceis isdem medetur, sed veteris gallinacei vehementius salsum ius alvum ciet. – Aldrovandi dopo i due punti sembra dire che il brodo di ischaemon fa guarire i polli con la diarrea, meglio ancora se l’ischaemon è vecchio. Ma una simile ricetta è irreperibile in Plinio. Il nostro Ulisse è sempre più inaffidabile! Plinio afferma semplicemente che se il brodo di pollo fa da astringente, un brodo salato di gallo vecchio è più lassativo del solito. – Il bello è che a pagina 283 Aldrovandi riporta la stessa citazione – un po’ meno amputata e rimaneggiata - del passo di Plinio e finge poi di dedicarsi a elucubrazioni mediche che sono invece frutto della professionalità di Conrad Gessner. Per ulteriori mie disquisizioni non proprio inutili si veda a pagina 283.

[7] Si emenda il testo con quello di pagina 283.

[8] La stessa citazione viene riportata da Conrad Gessner Historia Animalium III (1555), pag. 403: Gallitricus (lego Galli crus) id est sanguinaria; eo quod naribus imposita, sanguinem suaviter fluere facit. Nascitur circa vias et saxosis locis. Habet in summitate velut pedes galli, Sylvaticus.

[9] Naturalis historia XXV,155-156: Capnos trunca, quam pedes gallinacios vocant, nascens in parietinis et saepibus, ramis tenuissimis sparsisque, flore purpureo, viridis suco caliginem discutit; itaque in medicamenta oculorum additur. [156] Similis et nomine et effectu, sed alia est capnos fruticosa, praetenera, foliis coriandri, cineracei coloris, flore purpureo. Nascitur in hortis et segetibus hordeaciis. Claritatem facit inunctis oculis delacrimationemque ceu fumus, unde nomen. Eadem evolsas palpebras renasci prohibet.

[10] Nell'Histoire des plantes di Dodoens (traduzione di Charles de L'Écluse – 1557) troviamo scritto quanto segue: Les fleurs petites & amassées en un, blanches, ayans quelque peu de pers entremesté, [...]. § In francese pers (di etimologia incerta e discussa) significa glauco, e glauco deriva dal greco glaukós, probabilmente ‘azzurro chiaro’, dal momento che nell'Iliade è un attribuito del mare, ma l'etimologia di glaukós è sconosciuta. § Quindi, basandosi su Dodoens, giustamente a proposito della Fumaria capreolata Aldrovandi trascrive "flosculi eius candidi, caeruleo colore nonnihil distincti", in quanto ceruleo - pers - ricorre in Dodoens e corrisponde al colore del cielo sereno, azzurro pallido, che dà il colore glauco al mare. Però, nell'acquarello di Aldrovandi della Fumaria capreolata non troviamo alcuna nota di azzurro, anzi, nella didascalia sta scritto Fumaria platyphyllos flore albo et amethystizonte in extremo, per cui l'estremità del fiore è color ametista, quindi color del vino. § Ancora oggi (2008), tanto come ai tempi di Aldrovandi (xvi secolo), se analizziamo le immagini e le descrizioni della Fumaria capreolata, scopriamo che i fiori hanno una corolla bianca, biancastra, al massimo crema, con un apice rosso nerastro, oserei dire purpureo, tanto come la Fumaria officinalis. Quindi, né all'apice né nel resto dei petali troviamo dell'azzurro. § Non possiamo escludere che Dodoens avesse sotto gli occhi una Fumaria capreolata con una corolla lievemente glauca. Tuttavia conviene attenerci al colore odierno, che non ha nulla di ceruleo.

[11] Corollariorum libri quinque, 724.

[12] Conrad Gessner Historia Animalium III (1555), pag. 403: Capnos sive capnion, hoc est fumus, duplex. Alia Dioscoridi descripta, nascens in hortis et segetibus hordeaceis: alia et nomine et effectu similis, quam pedes gallinaceos vocant (teste Plinio) in parietibus et sepibus genitam, ramis tenuissimis sparsisque, flore purpureo, ut inquit Plinius: quam nonnulli modo cymbalarem vulgo dictam, nescio quam recte interpretantur, folio hederae, praetenui, ut in cotyledone commonuimus, Hermolaus Corollario 724. Ubi etiam mox crassissimum illorum errorem reprehendit, qui ex eo quod capnon Plinius Latine pedes gallinaceos vocari scribit, capnon etiam a Dioscoride monstratum, non aliud genus esse putant, quam quae vulgo sanguinaria et galli crus dicitur. Quae gramini (inquit) tam similis est, ut ab eo forte non admodum seiungi possit: nisi quod folio minore cernitur, et fibris potius quam radice nititur. Id autem quod in utroque summo frutice trifarin ({trifarium} <trifariam>) gallinacei pedis imitationem habet, candidius in hac quam in gramine conspicitur. Et alibi, Cotyledon non est, ut quidam rentur, quae vulgo cymbalaris appellatur, etiamsi cymbalion a Dioscoride vocetur. Est autem cymbalaris herba folio tenus anguloso, hederaceo, flore parvo, purpureo, in muris terrae nascens, quam quidem nonnulli genus alterum capni dictae faciunt, Haec ille.

[13] Tutta questa disquisizione appartiene a Gessner, per cui si emenda in base al suo testo contenuto in Historia Animalium III (1555), pag. 403: tunc enim in diversa tensi rigentesque magis apparent.