Ulisse Aldrovandi

Ornithologiae tomus alter - 1600

Liber Decimusquartus
qui est 
de Pulveratricibus Domesticis

Libro XIV
che tratta delle domestiche amanti della polvere

trascrizione di Fernando Civardi - traduzione di Elio Corti

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Senam etiam quandoque se miscuisse ait, atque ita atram bilem eduxisse: alias denique turbit pro pituita detrahenda, alias mirabolanos citrinos pro bile [278] flava: quod penultimum authoritate Mesues[1] fecisse videri potest, qui non turbit tantum pro educenda pituita, sed {enicum} <cnicum>[2] Gallinaceo iuri miscet, ac ob id arthriticis doloribus ex hac natis conferre scribit: melanc<h>oliam vero {eum} <cum> epithymo, et polypodio, et cum iisdem, atque thymo<,> hyssopo, anetho, et sale gemmae arthriticos iuvare. Serenus[3] febribus chronicis prodesse dixit hoc versu.

Febribus aut longis Galli nova iura vetusti

Subveniunt<,>[4] etiam tremulis medicantia membris.

Antonio Brasavola dice di aver talora mescolato - al brodo di gallo vecchio - anche della sena - o senna - e che in questo modo ha provocato la fuoriuscita della bile nera - o atrabile: infine, altre volte vi mescolò del turbitto - la gialappa indiana - per togliere il raffreddore, altre volte dei mirobalani - o mirabolani - color limone per eliminare la bile gialla: il penultimo intruglio sembra che possa averlo fatto basandosi su Mesuè il Giovane - o Pseudo Mesuè, il quale mescola al brodo di gallo non tanto il turbitto per eliminare il raffreddore, ma il cartamo, e scrive che per questo è utile per i dolori artritici che ne sono scaturiti: infatti con l’aggiunta di fiori di timo, e di polipodio, giova all’umor nero, e con l’aggiunta degli stessi oltre al timo, all’issopo, all’aneto e al salgemma giova agli artritici. Sereno Sammonico ha detto che è efficace nelle febbri croniche con questi versi:

I brodi appena preparati di gallo vecchio sono d’aiuto nelle febbri anche se protratte, e curano anche le membra tremule.

Sed Plinius[5], ex quo Serenus videtur mutuatus fuisse, prae caeteris iuris Gallinacei encomia ita egregie prosequitur statim ubi pennas, et cerebrum adversus serpentium venena valere dixisset: Ius quoque ex his potum, inquit, praeclare medetur et in multis aliis usibus mirabile. Pantherae, leonesque non attingunt perunctos eo, praecipue si allium fuerit incoctum: alvum solvit, validius e veteri Gallinaceo. Prodest et contra longinquas febres, et torpentibus membris (stupori, tremori, quoniam pituitam educit) tremulisque et articulariis morbis et capitis doloribus, epiphoris, inflationibus, fastidiis, incipienti tenesmo, {iocinori} <iocineri>, renibus, vesicae: contra cruditates, suspiria. Itaque etiam faciendi eius extant praecepta. {Efficatius} <Efficacius> enim coc{t}i cum olere marino, aut cybio, aut cappari, aut apio, aut herba mercuriali, aut polypodio, aut anetho. {Utilissima} <Utilissime> autem in congiis tribus aquae ad tres heminas[6] cum supradictis herbis, et refrigeratum sub dio dari tempestivi<u>s antecedente vomitione. Hactenus Plinius.

Ma Plinio, dal quale sembra che Sereno abbia dedotto le notizie, prima di ogni altra cosa così prosegue nel lodare in modo singolare il brodo di pollo subito dopo aver detto che le penne e il cervello sono efficaci contro i veleni dei serpenti. Anche l’aver bevuto il loro brodo, dice, è particolarmente efficace ed è straordinario anche in molti altri impieghi. Le pantere e i leoni non attaccano coloro che se lo sono spalmato addosso, soprattutto se vi sarà stato cotto insieme dell’aglio: libera l’intestino, più efficacemente se ottenuto da un gallo vecchio. Giova anche contro le febbri protratte e alle membra irrigidite e tremanti (contro l’intorpidimento, il tremore, poiché fa uscire l'infreddatura) e alle malattie delle articolazioni e ai dolori di testa, alle lacrimazioni, ai gonfiori di pancia, alle inappetenze, alle fitte intestinali incipienti, al fegato, ai reni, alla vescica: contro le indigestioni e le mancanze di respiro. E pertanto esistono anche le prescrizioni di come prepararlo. È più efficace infatti se viene cotto con cavolo marino, o con una fetta di tonno salato, o coi capperi, o con dell’apio, o con dell’erba mercuriale - o mercorella, o con del polipodio, o con dell’aneto. In verità lo si prepara molto proficuamente in tre congi di acqua [3,27 litri x 3] insieme alle erbe suddette fino a ridurlo a 3 emine [750 ml] e somministrandolo dopo averlo fatto raffreddare all’aria aperta, se un po’ prima si  è provocato il vomito. Fin qui Plinio.

Quae eius iuris parandi praecepta ex Dioscoride transcripsisse videtur, uti etiam Avicenna, et Mesues, sicuti doctissimus Io. Costaeus Laudensis[7] in hoc almo nostro archigymnasio Bononiensi medicinae theoricae professor primarius, mihique amicissimus luculenter quoque demonstrat, licet interim uterque Galenum citet, quando tamen in Galeni, quae extant monumentis, de hac re nihil legere liceat. Dioscorides[8] vero ius Gallinaceum hunc in modum praeparat. Abiectis, inquit, interaneis, salem conijci oportet, et consuto ventre decoqui in viginti sextariis aquae, donec ad tres heminas rediga<n>tur, totum id refrigeratum sub dio datur. Aliqui incoquunt olus marinum, mercurialem, cnicum, aut filiculam. At circa hanc praeparationem, illud in primis scitu dignum est, an integro Galli corpore, ut iam ex Dioscoride diximus, an, ut alii volunt, decerptas in frusta carnes praestet usurpare: tum etiam si integrum illud sumendum sit, qualenam sal inijciendum, crassumne, an tenue: an item statim ubi repletum est sale, igni committi debeat, an potius tantisper desistendum, ut in intimas carnes sal penetret. Et rursum an ea aquae mensura, quam praescribit Dioscorides oportuna sit, an vero potius {cotilae} <cotylae – cotulae> viginti satisfaciant, ut iubet secundo loco Avicenna, vel non tam certo servato pondere, ut ait Mesue: tandemque quis coctioni praescribendus sit modus, an ut ad tres {cotilas} <cotylas – cotulas> aqua absumatur, quod illi praecipiunt, an ut ad tertias, quod Mesue, an quid aliud. Itaque cum luculenter, et docte admodum praefatus Io. Costaeus super eiuscemodi quaestionibus disputet, benevolum lectorem ad doctissima eius in Mesuem commentaria remitto[9]. Illud interim obnixe precabor, ut omnino ea {legant} <legat>: quia egregie eiusmodi controversias conciliat: Illud etiam obiter admonens, Marcellum Virgilium[10] ad Dioscoridis verba de iure suspicari sextariorum, et heminarum numeros, pro rei necessitate maiores, vitiumque in eorum notis fortassis esse.

Sembra che abbia trascritto da Dioscoride queste istruzioni per preparare tale brodo, come anche Avicenna e Mesuè il Giovane, come dimostra in modo eccellente anche il dottissimo Giovanni Costeo primo professore di medicina teorica in questo nostro glorioso archiginnasio bolognese e mio intimo amico, dal momento che ambedue citano Galeno mentre tuttavia nelle opere di Galeno che abbiamo a disposizione non è possibile leggere nulla a questo proposito. In verità Dioscoride prepara il brodo di pollo in questo modo. Dice: Tolti gli intestini bisogna metterci dentro del sale e dopo aver ricucito il ventre si deve far cuocere in 20 sestari di acqua [10 litri] finché non si riducono a tre emine [750 ml], e tutta questa quantità dopo averla fatta raffreddare deve essere data stando all’aria aperta. Alcuni vi fanno cuocere insieme del cavolo marino, dell’erba mercuriale, del cartamo o del polipodio. Ma a proposito di questa ricetta, conviene innanzitutto sapere se è meglio usare il corpo tutto intero del gallo, come già abbiamo detto desumendolo da Dioscoride, oppure, come altri ritengono, le carni ridotte a pezzetti: inoltre se bisogna adoperarlo intatto, che tipo di sale metterci dentro, se grosso o fine: e parimenti se non appena è stato riempito di sale lo si debba mettere sul fuoco, o se invece bisogna aspettare un po’ di tempo affinché il sale possa penetrare all’interno della carne. E poi se quella quantità di acqua che prescrive Dioscoride sia adatta, oppure se sono invece sufficienti venti cotili [5 litri], come consiglia in seconda istanza Avicenna, o senza osservare una quantità così precisa, come dice Mesuè il Giovane: e infine quale entità bisogna stabilire per la cottura, o se l’acqua si debba consumare fino a diventare tre cotili [750 ml], cosa che essi prescrivono, oppure fino a un terzo, cosa che prescrive Mesuè il Giovane, oppure cos’altro. Pertanto siccome l’anzidetto Giovanni Costeo disquisisce in modo eccellente e dotto su tali argomenti, rimando il benevolo lettore ai suoi dottissimi commenti su Mesuè il Giovane. Nel frattempo pregherò con tutte le forze affinché assolutamente li legga in quanto compone in modo eccellente tali controversie. Ricordando anche nel frattempo che Marcellus Virgilius, per quanto riguarda le parole di Dioscoride relative al brodo, pensa che per forza il numero di sestari e di emine sono troppo grandi, e che forse esiste un errore nella loro trascrizione.

Mesue ad eiusmodi ius purgatorium praeparandum Gallos eligit ruf{f}os potissimum, qui ad motum sint alacres, ad coitum ardentes, ad dimicandum fortes, inter obesos, et {macilentes} <macilentos> medios, et quo vetustiores, eo magis esse medicamentosos asserit. Quantum autem ad solvendum alvum ex hoc iure exhibendum sit, ex proprio periculo ita docet Antonius Musa Brasavolus: Veteris Galli iure usi sunt frequenter prisci pro medicamento alvum molliente, et ad ichores[11] educendos. Alvum mire proritat, si satis copiose sumatur, hoc est ad tres, vel quatuor communes pateras (nam una patera nihil efficit, alibi etiam a libra[12] una ad duas bibi iubet) in qua copia potum etiam Capi ius ventrem emollit. Gallinacei vero pulli ius, etiamsi multo copiosius hauriatur, nihil omnino educet.

Mesuè il Giovane per preparare questo brodo lassativo sceglie soprattutto dei galli rossicci che siano attivi nei movimenti, molto vogliosi di accoppiarsi, forti nel combattere, e che sono una via di mezzo tra grassi e magri, e afferma che quanto più sono vecchi tanto più sono curativi. Ma la quantità di questo brodo da somministrarsi per liberare l’intestino la prescrive a suo rischio Antonio Musa Brasavola così: Gli antichi si sono spesso serviti del brodo di un gallo vecchio come farmaco in grado di ammorbidire l’intestino e per far fuoriuscire i liquidi contenuti nel sangue. Stimola in modo meraviglioso l’intestino se viene assunto in quantità abbastanza abbondante, cioè fino a tre o quattro tazze ordinarie (infatti una sola tazza non ottiene nulla, in un altro punto prescrive anche di berne da una a due libbre) e anche il brodo di cappone bevuto in tale quantità ammorbidisce le feci. In verità il brodo di un pollo giovane, anche se se ne assumesse in quantità molto più abbondante, non farà evacuare assolutamente nulla.

Sed tempestivum est, ut reliqua, quae medico praestat hoc Gallinaceum genus, remedia prosequamur. Rasis cerebrum Gallinarum adversus cerebri tremorem commendavit. Idem ingenium, memoriamque iuvat adeo, ut nonnullos, qui iam delirare coeperant, resipiscere fecerit. Epilepsiam ex venenati animalis morsu contingere praeclarissimi quique medicorum unanimiter tradunt. In quo casu quamcunque avem, sed Gallinam maxime, pullum, aut Pipionem, Columbamve per dorsum scindes, et loco morsus calidam impones. Nam sua caliditate venenum ad se trahit, vel sic Gallus Gallinave deplumetur circa anum, et imponatur anus loco morsus, et attrahet ad se, aegerque sanabitur.

Ma è il momento di esporre i rimanenti rimedi che questo genere di gallinacei offre al medico. Razi ha raccomandato il cervello di gallina contro il tremore della testa. Sempre il cervello giova a tal punto alla mente e alla memoria che ha fatto rinsavire alcuni che ormai avevano cominciato a delirare. In modo unanime tutti quanti i più illustri medici riferiscono che l’epilessia consegue al morso di un animale velenoso. In tal caso dovrai dividere in due a livello del dorso un uccello qualsiasi, ma soprattutto una gallina, un pollo, o un piccione oppure una colomba, e dovrai applicarli ancora caldi sul punto della morsicatura. Infatti col suo calore attira a sé il veleno, oppure allo stesso scopo si spiumi intorno all’ano un gallo o una gallina e si applichi l’ano nella sede della morsicatura, e lo attirerà a sé, e il paziente guarirà.

Sextus[13] Philosophus Platonicus epilepticis eiusmodi quoque remedium praescribit: Galli, inquit, testiculos contritos cum aqua ieiuno dabis potandos: abstineant autem a vino diebus decem: debebunt autem testiculi sicci servari, et cum fuerint necessarii, continuo sumantur.

Il filosofo platonico Sesto Placito Papiriense. prescrive anche il seguente rimedio agli epilettici. Egli dice: Darai da bere a digiuno dei testicoli di gallo tritati in acqua: debbono astenersi dal vino per dieci giorni: e i testicoli dovranno essere conservati essiccati, e quando ce ne sarà bisogno debbono essere assunti immediatamente.


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[1] De simplicibus cap. 23. (Aldrovandi)

[2] Lo κνίκος  di Dioscoride, in latino cnicus, che in Ippocrate, Aristotele e Teofrasto è scritto κνῆκος, dovrebbe corrispondere al cartamo, Carthamus tinctorius. Per Pierandrea Mattioli “è notissima pianta, e chiamasi in Italia volgarmente zaffarano Saracinesco, quantunque gli spetiali, imitando gli Arabi lo chiamano Carthamo. Usano alcuni il suo fiore ne i cibi in vece di zaffarano. Il semo solo è quello, che s’adopera nell’uso della medicina. Enne di due spetie domestico cioè, e salvatico come recita Teofrasto al 4. cap. del 6 lib. dell’historia delle piante [...] Solve il Carthamo (diceva Mesue) la flemma per di sotto, e parimente per vomito, e similmente l’acquosità del corpo, e vale alle infermità, che si generano da quelle, come dolori colici, e simili. Al che giova parimente messo ne i clisteri. Mondifica, conformato in lettouario, il petto, e’l polmone, e rischiara la voce: aumenta il suo uso il seme humano. Il suo fiore tolto con acqua melata, giova al trabocco di fiele. Questo tutto del Carthamo scrisse Mesue.” (pag. 804, Discorsi, 1585 – commento al capitolo 189 del libro IV di Dioscoride, Del Cnico)

[3] Liber medicinalis.

[4] Conrad Gessner Historia Animalium III (1555), pag. 393: Febribus aut longis galli nova iura vetusti | Subveniunt, etiam tremulis medicantia membris, Serenus.

[5] Naturalis historia XXIX,78-80. (Aldrovandi) - [78] Carnibus gallinaceorum ita, ut tepebunt avulsae, adpositis venena serpentium domantur, item cerebro in vino poto. Parthi gallinae malunt cerebrum plagis inponere. Ius quoque ex iis potum praeclare medetur, et in multis aliis usibus mirabile. Pantherae, leones non attingunt perunctos eo, praecipue si et alium fuerit incoctum. [79] Alvum solvit validius e vetere gallinaceo, prodest et contra longinquas febres et torpentibus membris tremulisque et articulariis morbis et capitis doloribus, epiphoris, inflationibus, fastidiis, incipiente tenesmo, iocineri, renibus, vesicae, contra cruditates, suspiria. [80] Itaque etiam faciendi eius extant praecepta: efficacius coci cum olere marino aut cybio aut cappari aut apio aut herba Mercuriali, polypodio aut anetho, utilissime autem in congiis III aquae ad III heminas cum supra dictis herbis et refrigeratum sub diu dari, tempestivius antecedente vomitione.

[6] Vedi Pesi e misure.

[7] In comment. ad Mesuem. (Aldrovandi)

[8] De materia medica liber 2 cap. 43. (Aldrovandi) – La numerazione del capitolo corrisponde a quella di Pierandrea Mattioli e il testo latino è identico, per cui corrisponde alla traduzione di Jean Ruel.

[9] L'opera di Giovanni Costeo – il commento a Mesuè - che Aldrovandi invita a leggere è probabilmente la seguente, per cui si tratta di un commento a Mesuè il Giovane, o Pseudo Mesuè, morto nel 1015: Mesue <m. 1015> - Mesuae medici clarissimi Opera, a Ioanne Costa [Costaeo]  medico Laudensi nunc recognita, et aucta adnotationibus, quibus à recentiorum calumnijs divinus hic scriptor vendicatur. Accessere his varia diversorum - Venetiis: apud Iuntas, 1570 (Venetijs, in officina Iuntarum, 1568). [da opac iccu]

[10] Marcellus Virgilius nel suo commento al De materia medica (1523) conclude il questo modo la sua interpretazione al libro II, capitolo 42 (e non 43) – De Gallinaceis – di Dioscoride: Non omittemus et illud videri nobis sextariorum et heminarum numeros: quia hoc capite docent pro rei necessitate maiores: vitiumque in eorum notis forte esse.

[11] In greco ichør, gen. ichôros, plur. ichôres significa icore, la parte acquosa del sangue simile a siero.

[12] Vedi Pesi e misure.

[13] Liber medicinae ex animalibus cap. 8. (Aldrovandi)