Si dà per scontato che i Romani attinsero i polli dalle colonie greche dell’Italia meridionale.
Parrebbe tuttavia possibile un’introduzione anche da nord. Infatti, su monete del Sannio e del Lazio del III secolo aC è raffigurato un gallo che somiglia più a un soggetto della Gallia che della Grecia.
Se effettivamente i Romani hanno acquisito il pollo anche dalla Gallia, allora questi polli transalpini potrebbero essere stati allevati in Italia Centrale prima dell’arrivo a Roma dei soggetti greci (Peters, 1913).
L'archeozoologia è una branca scientifica che potrebbe far rizzare i capelli ai non addetti ai lavori, ma vi assicuro che vale senz'altro la pena leggere l'affascinante studio sull'introduzione del pollo in Italia (2005) che domenica 7 marzo 2010 ho avuto la sorpresa e la fortuna di ricevere dall'autore. Gliene sono estremamente grato, anche a nome di tutti coloro che del pollo vogliono conoscere vita, morte e miracoli. La lettura non è per nulla stressante, anzi, è affascinante, nonostante richieda la conoscenza di alcune notizie storiche facilmente reperibili. Vi troverete la risposta a numerosissimi quesiti che non ho mai avuto la possibilità di affrontare.
Introduzione
e diffusione del pollame in Italia
ed evoluzione delle sue forme di allevamento fino al medioevo
Jacopo
De Grossi Mazzorin
Docente di Archeozoologia - Università del Salento - Lecce
E i Galli da chi ricevettero il pollo?
Dalle colonie greche della Costa Azzurra - fondate a partire dal 600 aC - oppure da una via europea indipendente, più interna?
Non si può escludere che contemporaneamente a un viaggio dall’oriente con destinazione Grecia, il pollo ne stesse compiendo un altro a latitudini superiori. I due itinerari finirono per convergere, incontrandosi in Italia Centrale.
Dedichiamo un attimo d’attenzione ai Celti, le cui origini si perdono nella leggenda in quanto viene invocato l’intervento di Ercole e di Atlante. Stover & Kraig, sulla base di prove sicure provenienti dal Wessex e dall’Ungheria, suggeriscono per i Celti origini remote, risalenti all’incirca al 3° millennio aC, e che essi si stabilirono in Europa durante il primo millennio aC. Dillon & Chadwick fanno risalire alla tarda Età del Bronzo [1] i primi insediamenti celtici nelle Isole Britanniche, precisamente intorno al 1180 aC. La loro presenza in Europa abbracciava un’area che dall’attuale Ungheria giungeva fino alle coste europee occidentali. Eforo, scrittore greco del IV secolo aC, diceva che i Celti costituivano uno dei quattro popoli barbari del mondo conosciuto: i Libici in Africa, i Persiani in Oriente, i Celti e gli Sciti in Europa.
Come gli altri gruppi indoeuropei maggiori, i Celti devono essere considerati una famiglia linguistica più che un’entità razziale unitaria.
Galati era il nome attribuito ai Galli dai Greci, usato successivamente dai Romani per indicare solamente i Celti stanziati in Asia Minore all’inizio del III secolo aC. San Paolo scrisse una delle sue Epistole ai Galati della provincia romana della Galazia - regione interna dell’Asia Minore - costituita nel 25 aC; nel IV secolo dC i Galati, oltre al greco, parlavano ancora la lingua celtica e furono sempre fedelissimi a Roma.
La Galizia, nell’angolo
nordoccidentale del quadrilatero iberico - capoluogo è Santiago de Compostela
- fu colonizzata da popolazioni celtiche verso il VI secolo aC. La Galizia è
anche una regione storica polacca che fino al 1918 fece parte dell’Impero
Austriaco, limitata a sud dai Carpazi e dalla Vistola a nord, dove giace
Cracovia.
I Celti si installarono anche nel Galles,
per giungere in Francia con migrazioni successive fra il 700 e il 400 aC.
Furono i Romani a designare col nome di Galli
queste popolazioni, che si erano spinte anche in Italia settentrionale.
Il pollo era presente in Francia prima della dominazione romana: era diffuso lungo le coste settentrionali e occidentali, senza dubbio grazie alle soste dei Fenici.
Ai tempi di Cesare i Galli della Britannia erano strettamente imparentati con quelli della Gallia, come testimoniano i costumi e le credenze religiose, per cui non si può escludere che il pollo sia stato introdotto in Francia e in Britannia anche dall’Est europeo per opera di questi peregrinanti nostri futuri cugini d’Oltralpe, che possono aver popolato le loro foreste con un pollo dalle caratteristiche diverse da quello della costa atlantica e mediterranea.
Finsterbusch è dell’avviso che Roma non conobbe i Malesioidi, in quanto gran parte se non la totalità dei galli d’arena era decisamente di estrazione Bankiva. I Romani erano a conoscenza delle tecniche d’allevamento, del vigore ibrido e del capponaggio. Possedevano inoltre molte razze e varietà. Quasi subito adottarono il pollo come alimento, lo impiegarono per divertimento ingaggiandolo in combattimenti d’arena, e soprattutto lo usarono a scopi religiosi, superstiziosi e divinatori.
A questo proposito vale la pena di ricordare che la religione romana, non appena introdotto, elevò il pollo a dignità d’oracolo, ma col passare del tempo, visto che era meglio un pollo allo spiedo anziché un pollo_oracolo, si allevarono i polli per l’economia domestica. Con l’abolizione dei polli_oracolo, i Sacerdoti romani subirono una perdita non da poco: venendo meno siffatto obolo che la buona fede dei credenti offriva in sacrificio ai compiacenti Dei, vennero defraudati di ciò che essi più volentieri sacrificavano alle laute mense sacerdotali.
Il pollo_oracolo aveva un’importanza capitale durante le battaglie e i Sacerdoti insegnavano ai Condottieri il modo di consultare i polli prima della tenzone. Fra le tante modalità, una consisteva nel badare al momento in cui i polli inghiottivano il pastone: se per avidità lasciavano cadere qualche briciola dal becco, l’esito della battaglia sarebbe stato favorevole. In caso contrario tutto era perduto. In realtà i Sacerdoti lasciavano i polli a stecchetto oppure li facevano abbuffare. Un pollo affamato si getta con avidità sul pastone ed è gioco forza che, dando avide beccate, lasci cadere alcune briciole. Era questo un modo semplice per offrire vaticini programmati e personalizzati.
Catone il Censore, nato a Tuscolo [2] nel 234 aC, scrisse De Agricultura, la più antica opera latina in prosa, che parla delle incombenze del padrone di casa, dei lavori campestri stagionali, dell’allevamento del bestiame e delle sue malattie - comprese quelle delle piante - della produzione di olio e di vino.
Coevi di Catone ma più diligenti furono i due Saserna padre e figlio, che si occuparono di agricoltura. Il Senato decretò la traduzione in latino dei 28 libri sull’agricoltura di un tal Magone Cartaginese, uno dei pochi stranieri ad essere insignito di tanto onore.
Di Varrone, nato a Rieti nel 116 aC, possediamo per intero Rerum Rusticarum libri III, scritti quando aveva ottant’anni. Il I libro tratta de agri cultura, il II de re pecuaria - allevamento del bestiame - il III de villaticis pastionibus, gli animali da cortile. È un’opera dottrinale attinta da trattatisti greci, cartaginesi e romani, vivificata da esperienze dirette della vita campestre. Cito dal terzo libro alcune notizie interessanti, quando egli parla dei polli dell’Isola Gallinara [3] ; le Galline Africane cui fa cenno sono le Faraone.
Gallinae
rusticae sunt in urbe rarae, nec fere mansuetae sine cavea videntur
Romae, similes facie non his villaticis gallinis nostris, sed
Africanis aspectu, ac facie incontaminata. |
Le
galline selvatiche sono rare in città, e a Roma non le si vede quasi addomesticate senza essere in gabbia, e nell’aspetto non sono
simili a queste nostre galline domestiche, bensì a quelle Africane
per la corporatura, e hanno un aspetto puro. |
In ornatibus publicis solent poni cum psittacis, ac
merulis albis, item aliis id genus rebus inusitatis. |
Durante
i pavesamenti pubblici si è soliti porle in compagnia dei pappagalli
e dei merli albini, nonché di altre simili rarità. |
Neque fere in villis ova, ac pullos faciunt, sed in silvis. Ab his gallinis dicitur insula Gallinaria appellata, quae est in mari Thusco [Tusco] secundum Italiam contra montes Ligusticos, Intemelium Albium Ingaunum: alii ab his villaticis invectis a nautis, ibi feris factis procreatis. |
In
fattoria quasi non depongono uova né allevano pulcini, bensì in
luoghi selvatici. Si dice che l’isola Gallinara ha preso il nome da
queste galline, isola che si trova nel Tirreno presso le coste
italiane, dirimpetto ai monti liguri, a Ventimiglia
[4]
e
Albenga: altri sono dell’avviso che esse derivano da queste galline
domestiche portate dai naviganti, che qui sono diventate selvatiche e
si sono riprodotte. |
Virgilio, nato a Andes [5] da proprietari terrieri il 15 ottobre del 70 aC, elevò l’agricoltura a dignità poetica con Georgica - il lavoro della terra - che scrisse fra il 37 e il 30 mentre la politica agraria di Ottaviano coincideva coi sentimenti del poeta. L’opera è in 4 libri: il I tratta dell’agricoltura in generale e dei pronostici, il II della coltivazione delle piante, in particolare della vite e dell’ulivo, il III degli animali con descrizione della peste nel Norico, il IV delle api. Molteplici le fonti: le più importanti furono Catone, Varrone, nonché Magone Cartaginese.
Dello spagnolo Columella, nato a Cadice nel I secolo dC, si sa con certezza che nell’anno 41 si trovava a Roma. Columella appartiene al periodo neroniano e per noi hanno importanza i 12 libri integrali del De Re Rustica, in cui viene trattato l’allevamento degli animali grandi, piccoli e da cortile. Anch’egli parla di polli selvatici somiglianti al pollo domestico e osservabili in gran quantità sulla Gallinara; polli selvatici esistevano anche sul continente, specie nelle foreste celtiche. Due libri, l’VIII e il IX, sono dedicati all’allevamento delle specie da reddito. Il liber octavus è intitolato de villaticis pastionibus aviarius et piscator, allevamento degli animali da fattoria: uccelli e prodotti ittici.
A sentire Columella esistono 3 animali che certamente vale la pena allevare: la gallina da cortile, quella che si vede in quasi tutte le fattorie; la gallina selvatica, molto simile alla gallina da cortile e oggetto di caccia da parte degli uccellatori; l’Africana, cui tutti danno il nome di Numidica. La tecnica d’allevamento cui Columella fa riferimento è quella messa a punto sull’isola di Delo, i cui abitanti furono i primi nel Mediterraneo a dedicarsi a quest’attività, preferendo razze dal buon accrescimento corporeo e dallo spirito battagliero, come quelle di Tànagra e di Rodi.
Come fa giustamente notare Wood-Gush (1958), se leggiamo Columella possiamo subito renderci conto di quali fossero i concetti che guidavano l’allevamento del pollo nel primo secolo dopo Cristo.
I Greci puntavano la loro selezione sulle doti da combattente e sulla mole corporea, i Romani erano prima di tutto interessati a volatili in grado di offrire all’allevatore un buon tornaconto economico. Infatti Columella mette in risalto la complessità dell’industria avicola, con lo sviluppo di razze specializzate, puntando il dito sui dettagli più minuti relativi all’allevamento, senza trascurare né l’esistenza di branche specialistiche in seno agli allevatori, né i problemi del marketing, né tanto meno i costi di produzione.
Columella, seguendo il criterio del rendiconto economico, mette in evidenza come le razze preferite dagli allevatori di Delo fossero quelle di Tànagra e di Rodi, senza che sottovalutassero quelle di Calcide e della Media - praecipue Tanagricum genus et Rhodium probabant, nec minus Chalcidicum et Medicum - che erano pesanti - procera corpora - e ottime combattenti, ma le cui femmine erano scarsamente prolifiche e cattive covatrici.
Invece Columella preferiva nettamente i polli autoctoni - nobis nostrum vernaculum maxime placet - che avevano tutte le caratteristiche della Livorno (eccetto che per il numero delle dita dei piedi): galline buone fetatrici, corpo robusto e quadrato, petto ampio, testa grande, cresta eretta e rossa, orecchioni bianchi, con 5 dita - quae quinos habent digitos - in quanto sono le più prolifiche; galli lussuriosissimi anch'essi con 5 dita e dalle creste alte e sanguigne, giammai pendule, orecchioni molto grandi e ultracandidi, bargigli rossi soffusi di bianco nonché pendenti come la barba di una persona attempata: sublimes, sanguineaeque, nec obliquae cristae[…]maximae candidissimaeque aures, paleae ex rutilo albicantes, quae velut incanae barbae dependent.
I polli di Tànagra - continua Columella - hanno per lo più dimensioni pari a quelli di Rodi e della Media, ma nel comportamento non sono molto dissimili dai nostri polli vernaculi; la stessa cosa si può dire per quelli di Calcide.
Pertanto, grazie a Columella, sappiamo che la razza dei Romani, la vernacula, almeno per mole era differente da quelle greche e che per temperamento era diversa da quelle di Rodi e della Media. Da ciò si potrebbe dedurre che forse il pollo raggiunse la romanità provenendo da due differenti aree geografiche.
Plinio il Vecchio nacque a Como nel 23 o nel 24 dC. Nel 79 era comandante della flotta militare a Miseno quando avvenne la famosa eruzione del Vesuvio che seppellì Pompei, Stabia ed Ercolano: per curiosità scientifica e per soccorrere la popolazione prese il largo con la sua flotta e trovò così la morte a Stabia. A noi è rimasta la sua opera maggiore, Naturalis historia, composta da 37 libri e ricchissima di materiale che tratta, in sequenza, astronomia, geografia, etnografia, antropologia, fisiologia umana, zoologia, botanica, i regni animale e vegetale rapportati all’uomo e, per finire, il regno minerale. Per redarre quest’enciclopedia Plinio attinse a un’infinità di fonti: egli parla di circa 2.000 opere, 1.000 autori principali e, per i secondari, si possono calcolare circa 500 tra latini e stranieri, i primi in numero minore. Di Plinio parleremo ampiamente tra poco.
Tra gli scrittori tecnici del IV secolo dC troviamo Palladio, ultimo erudito degno di nota prima del silenzio dei secoli a venire. Il suo Opus Agriculturae si compone di 14 libri che rappresentano un lunario campagnolo in cui i lavori vengono sapientemente suddivisi secondo scadenze mensili. L’ultimo libro è in distici elegiaci e riguarda l’innesto - de insitione - con notizie e spunti tratti da Columella e da Virgilio. Palladio sente appieno la sua missione di tecnico esperto che deve esprimersi in un linguaggio non da retore, ma accessibile agli agricoltori.
Come i Greci veneravano il dio Ermete, così i Romani facevano con Mercurio, suo equivalente, dio dei mercanti dal quale essi hanno tratto il nome, salvo sia vero il contrario. L’arte romana, come quella etrusca, riprende e sviluppa il tipo dell’Ermete greco; nel periodo repubblicano Mercurio ha la testa imberbe con petaso [6] alato; generalmente in Roma prevale il tipo che regge nella mano destra il sacchetto dei denari in quanto dio del commercio, con petaso e caduceo [7] . Talvolta gli sono accanto gli animali a lui sacri: l’ariete, il maiale, nonché il gallo.
Fig. VIII.
22 - Mercurio
Il dio dei mercanti in questo
caso porta il sacchetto dei denari nella mano sinistra;
manca il maiale, ma è presente il gallo, anch’esso animale sacro a questa
divinità.
[1] L’età del bronzo è il periodo preistorico compreso tra quella del rame e quella del ferro. Per i Paesi del Mediterraneo orientale e il Vicino Oriente corrisponde al III millennio aC circa, mentre per l'Europa occidentale coincide col II millennio. I dati di Dillon & Chadwick sono riferiti da Caitlin Matthews in I Celti, 1993.
[2] Tùscolo, in latino Tusculum, era un’antica città del Lazio sul pendio settentrionale dei Colli Albani, le cui rovine sorgono 7 km a SE di Frascati. Secondo la tradizione fu fondata dagli abitanti di Alba Longa e questa, a sua volta, fu fondata da Ascanio figlio di Enea. Presa dai Romani intorno al 380 aC, fu prima municipio, poi con Silla divenne colonia.
[3] Gallinara o Gallinaria è un’isoletta del Mar Ligure appartenente al comune di Albenga (SV), posta poco a sud della foce del fiume Centa, tra Albenga e Alassio. Fu così chiamata dai Romani per le numerose galline selvatiche che la popolavano, la cui identificazione è oggetto di irrisolta controversia fra gli studiosi di ornitologia antica: infatti secondo Columella (VIII,2,2), a differenza di quanto afferma Varrone, la gallina rustica non è dissimile dalla cohortalis o villatica, quella da cortile.
[4] Forse Varrone non aveva altre città importanti cui fare riferimento, ma Ventimiglia è alquanto distante dalla Gallinara.
[5] Andes era il nome romano dell’attuale Pietole, frazione del comune di Virgilio (MN). Questo comune, fino al 1883, si chiamò Quattroville.
[6] Petaso deriva dal greco pétasos, a sua volta da petánnymi, stendere, aprire. Nell'antica Grecia era il copricapo in cuoio, feltro, o paglia, caratterizzato da una larga falda e dotato di sottogola. Proprio dei viaggiatori, è un tipico attributo di Ermete e di Perseo.
[7] Il caducéo era un ramo d’ulivo che identificava gli araldi nell'esercizio della loro funzione parlamentare, passato poi a simbolo del dio Ermete araldo degli dei: si tratta di una verga costituita dall'intreccio di rami d'ulivo e d’alloro con due serpenti avviticchiati. Al caduceo, in una simbologia magico-medica ancor oggi in auge, si attribuivano valenze apotropaiche, atte cioè a scacciare i mali di qualsiasi genere e a proteggere chi lo portava, così come venivano protetti gli araldi che si recavano in terra ostile.