Ulisse Aldrovandi
Ornithologiae tomus alter - 1600
Liber
Decimusquartus
qui
est
de Pulveratricibus Domesticis
Libro
XIV
che tratta
delle domestiche amanti della polvere
trascrizione di Fernando Civardi - traduzione di Elio Corti
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Iuris
Caponum in primis plurimus apud medicos usus est, maxime quod consumptum
dicunt, vulgo consumato, alii [351] destillatum, alii aquam carnis. Id
enim ad restaurandas {ocyus} <ocius> aegrorum vires satis laudari
non potest. Obscurus quidam ex Capi iure mire vires recreari pollicetur,
si vel cochlearium parvum inde aegrotus sorbeat. Capum veterem, inquit,
para, exentera, totum cum ossibus comminue. Tum in vase bene obturato
vitreo, aut stanneo per sex horas bulliat, adiecto etiam auro, ut annulo,
vel numismatibus aureis. |
Presso
i medici è assai frequente l’impiego innanzitutto del brodo di
cappone, soprattutto quello che chiamano consunto, detto volgarmente
consumato, altri lo chiamano distillato, altri acqua di carne. Infatti
non si può elogiare a sufficienza questo tipo di brodo nel ristabilire
rapidamente le forze dei malati. Un autore sconosciuto garantisce che
con il brodo di cappone le forze vengono recuperate in modo meraviglioso
anche se il malato ne beve solo un cucchiaino. Appronta un cappone
vecchio, svuotalo delle interiora,
fallo tutto quanto a pezzettini con le ossa. Quindi deve bollire per 6
ore in un recipiente di vetro o di stagno ben tappato, aggiungendovi
anche dell’oro, come un anello, o monete d’oro. |
Fieri,
inquit
Platina[1],
ius consumptum, aut ex Phasiano,
aut ex Perdice, aut ex capreolo, aut ex Pipionibus, aut ex Columbis
sylvaticis potest. Si ex Capo voles, cacabum sumes, qui aquae metretas[2]
quatuor contineat. Huic Capum fractis et comminutis ossibus indes cum
uncia succidiae macrae, piperis granis triginta, cinnamo pauco, nec
nimium tunso, tribus, vel quatuor {caryophillis} <caryophyllis>,
salviae lacerae trifariam foliis quinque, lauri duobus. {Sinite} <Sinito>[3]
haec efferveant horis septem, vel donec ad duas scutulas, vel minus
redigantur. Cave salem indas, aut salita, si aegrotantium causa fiat.
Parum aromatum nil vetabit, quo minus aegroto etiam apponatur. Senibus
hoc, et valetudinariis, detur. Haec ille. |
Il
Platina
dice: Un consommé può essere fatto con fagiano,
pernice,
capriolo, piccioni oppure coi colombi selvatici. Se lo vorrai di cappone
prenderai una caldaia che possa contenere quattro metrete
di acqua [circa 36 l]. Vi metterai dentro un cappone con le ossa frantumate
e sminuzzate insieme a un’oncia [27,28 g] di lardo magro, trenta granelli di pepe,
poca cannella e non troppo pestata, tre o quattro chiodi di garofano, cinque foglie di salvia lacerate in tre pezzetti, due di alloro. Lascia che questi ingredienti bollano per sette ore, oppure finché
non si riducono a due piccoli vassoi o anche meno. Evita di metterci il
sale o cose salate se viene preparato per persone ammalate. La presenza
di un po’ di aromi non vieterà che venga dato anche a un malato. Deve
essere dato ai soggetti anziani e ai malati cronici.
Queste le sue parole. |
Nostrae
mulierculae Capum, vel pullastrum simul cum ossibus contundunt, ac tam
diu in suo iure decoquunt, donec ad exiguam quantitatem ius redigatur,
et cremoris albi veluti substantiam acquirat, idque aegris debilioribus
potandum exhibent cum felicissimo successu. |
Le
nostre donne pestano un cappone o un pollo insieme alle ossa e lo fanno
cuocere nel suo brodo tanto a lungo finché il brodo si è ridotto a una
minima quantità e ha acquisito la consistenza quasi di una pappetta
bianca, e quindi lo danno da bere ai malati più debilitati con un
ottimo risultato. |
Sed
hunc coquendi modum improbat doctissimus, et admodum Reverendus F.
Evangelista Quatramius[4]
serenissimi piae memoriae Herculis Ferrariensium Ducis horti praefectus,
et in arte distillatoria versatissimus amicus noster veteranus. Vult
autem Capum integrum decoqui per aliquod tempus, iusque quod ab eo
defluit, dum eximitur, colligi (id enim reliquo alio praestantius
iudicat) Capum vero fortiter comprimi, ut humiditatem omnem {a}edat: si
vero, ut fit, pulverem cordialem[5]
admiscere placeat, eum cum reliquo iure magis aqueo dissolvere iubet. |
Ma
questo metodo di cottura lo disapprova il dottissimo e reverendissimo
Fra’ Evangelista Quattrami
direttore dell’orto botanico del serenissimo Duca di Ferrara Ercole II
di pia memoria, e nostro vecchio amico assai esperto nell’arte della
distillazione. Infatti è dell’avviso che il cappone tutto intero deve
cuocere per un certo tempo e che il brodo che ne fuoriesce quando viene
tolto dalla pentola deve essere raccolto (infatti ritiene che questo
brodo è migliore di quello che rimane in pentola), ma che il cappone
deve essere compresso con forza in modo che butti fuori tutto il
liquido: ma se, come accade, si è dell’avviso di mescolarvi della
polvere cordiale, prescrive di scioglierla con il restante brodo più
annacquato. |
At
licet hunc coctionis modum minime improbarim, probare tamen non possum.
Siquidem Caponis integri coctio multum aquae requirit, quae ad parvam
quantitatem, quae aegro ex<h>iberi debet, redigi quam cito, ac
facile nequit: neque verum etiam esse existimo id ius, quod in
exemptione defluit, caetero praestare. Alii vero Capum accipiunt, vel
Gallinaceum tenerum, vel Gallinam, decoquunt, contundunt, totum id vase
recondunt, igne subiecto per alembicum, vel duplici vase destillant, qui
modus quam maxime paratu facillimus. Quod si aeger pestilentia laboret,
periti medici simul herbas adijciunt Caponis coctioni instituto suo
congruentes, quales sunt melissa, scordium, buglossa, borrago, carduus
benedictus, cicoria, endivia, acetosa, scabiosa, tormentilla, flores
nynph<a>eae, violarum, buglossae, borraginis. |
Ma
anche se non mi permetterei assolutamente di disapprovare questo metodo
di cottura, non posso tuttavia approvarlo. Dal momento che la cottura di
un cappone tutt’intero richiede parecchia acqua che non può essere
ridotta piuttosto in fretta e con facilità a quella piccola quantità
che deve essere somministrata a un malato: e ritengo pure che non sia
vero che quel brodo che defluisce durante la rimozione dalla pentola sia
migliore di quello che vi rimane. Ma altri prendono un cappone o un
gallo tenero, oppure una gallina, li fanno cuocere, li pestano, mettono
il tutto in un recipiente, e distillano servendosi di un alambicco
oppure di un recipiente a due scomparti con sotto del fuoco, una modalità
che è facilissima da
approntare. Ma se un malato è affetto da peste
i medici esperti vi mettono insieme delle erbe conformi al modo abituale
di cuocere il cappone, come melissa,
scordio,
buglossa,
borragine,
cardo benedetto,
cicoria,
endivia,
acetosa,
scabiosa,
tormentilla,
fiori di ninfea,
di viole, di buglossa e di borragine. |
Andreas
a Lacuna[6]
circa finem libri de peste, Capo generosus, inquit, in aqua pura
discoquitur cum foliis borraginis, et buglossi ana m. 1. conservarum de
violis, rosis, bor<r>agine, et buglosso ana unc. ii adijciatur
etiam nonnihil de illis, quae cordialia vocant, contritum. Destillatum
inde liquorem in diplomate (balneo Mariae) cum pulvere diasantalon[7]
mixto propter odoris gratiam, propinabis creberrime. |
Andrés
de Laguna
verso la fine del libro sulla peste dice: Si fa cuocere in acqua pura un
cappone ben pasciuto con una manciata ciascuna di foglie di borragine e
di buglossa, due once ciascuna [circa
50 g] di conserva di viole, rose, borragine e buglossa,
si aggiunga anche un po’ di pesto di quelle sostanze che chiamano
cordiali. Quindi darai da bere molto spesso il liquido che è stato
distillato in un vaso a doppio recipiente (a bagnomaria)
mischiandovi della polvere ottenuta con tre tipi di sandalo
per la piacevolezza del profumo. |
Sunt
qui aurum signatum, torques, laminas, sive bracteas auri eiusmodi
decoctis adijciant, nec desunt, qui absoluta sublimatione candens {ferruta}[8]
<ferrumen> aliquoties extinguant. E quibus quid coctura decerpi
possit praeter sordes, aut hydrargyr{i}um[9],
non video: sciteque dixit Trincavella olim praeceptor meus, aurum
exhilarare spiritus omnes, cum quis in crumena eo abundaverit. |
Alcuni
aggiungono a tali decotti dell’oro coniato in monete, collane, piastre
o laminette d’oro, né mancano coloro che a volte, ultimata la
distillazione, vi spengono della saldatura ancora incandescente. Non
vedo che cosa possa trarne di buono la cottura se non del sudiciume o
del mercurio – o meglio, dell'argento: e Vettore Trincavella,
un tempo mio insegnate, disse: sappiate che l’oro rallegra tutti gli
animi purché se ne abbia in abbondanza nel borsellino. |
Paradigma
hoc Florentinis medicis fuit usitatum in eodem casu. Accipe duos pingues
Capos, et bene saginatos. Unum coquito ad dissolutionem propemodum,
contunde, et exprime vehementer, expressum ius conserva: post accipe
secundum Capum, hic unica tantum ebullitione bulliat, ut paulum
mollescat, in partes disseca, et contundito. Fundo vasis inijce
borraginis manipulos duos, quibus insterne panis similacei albissimi, et
levissimi medullam quae totum Capi primi ius absorpserit ante asservatum.
Pani superpone secundum Caponem in frustula dissectum, et sic
destillationi committe. Attamen satius fuerit cucurbitam vase vitreo
figulino conflari, ne aduratur ob liquoris penuriam, gustuique minus
voluptatis creet. Cavendum quoque, ne extrema destillationis cum
prioribus confundantur, cum ingratissimi saporis sic permixta sint
evasura: sed seorsim colligantur. |
Questo
metodo venne impiegato dai medici fiorentini in un caso identico. Prendi
due capponi grassi e ben nutriti. Fanne cuocere uno fino a quando si è
praticamente dissolto, pestalo e spremilo con forza, conserva il sugo
che ne è stato spremuto: quindi prendi il secondo cappone, che deve
bollire una sola volta affinché si ammorbidisca un pochino, taglialo a
pezzi e pestalo. Metti sul fondo di un recipiente due manciate di
borragine sulle quali devi stendere mollica di pane di semola
bianchissimo e leggerissimo la quale deve aver assorbito tutto il brodo
del primo cappone messo precedentemente da parte. Disponi sopra al pane
il secondo cappone tagliato a pezzetti e mettilo così a distillare.
Tuttavia sarà preferibile far sciogliere insieme una zucca in un
recipiente di vetro rivestito di terracotta affinché non bruci a causa
della scarsità di liquido e riduca il piacere al palato. Bisogna pure
evitare che le code della distillazione si mescolino con le teste, in
quanto così miscelate risulterebbero di un sapore estremamente
sgradevole: invece debbono essere raccolte separatamente. |
Paradigmata
huiusmodi aquarum passim varia apud practicos extant: {collecti}
<collecta> simul reperies parte secunda Euonymi Philiatri[10]
a Vvolfio publicata, quo
lectorem ablegamus. Hac ratione evocatus succus ignea vi
concoctionem subit haud ita multo magnoque negotio ob partium tenuitatem,
qua facile ita carnibus detractae per se concoquantur{:}<.> Simul
ipse ventriculi calore evictus brevi iecoris quoque sanguificam
facultatem prompte suscipit succus, ac per quam cito alens sustentat
labentes saepe iam vires, idcirco insigniter debilibus datur in morbis
magno plerunque usu. |
Svariate
metodiche relative a siffatti distillati si trovano qua e là presso i
praticoni: le troverai radunate nella seconda parte del Thesaurus
Euonymi Philiatri pubblicata
da Caspar Wolf,
cui rimando il lettore. Il liquido, estratto in questo modo grazie
all’energia del fuoco, subisce una digestione senza troppa né grande
difficoltà a causa della delicatezza dei componenti, in quanto dopo
essere stati così separati dalle carni si digeriscono facilmente da
soli. Allo stesso tempo il liquido, sopraffatto dall’esiguo calore
dello stomaco come pure del fegato, assume rapidamente un potere
emopoietico, e grazie a tale potere, nutrendo rapidamente, corrobora le
forze che spesso stanno ormai svanendo, e per tale motivo viene dato con
ottimi risultati in malattie debilitanti per lo più con grande
profitto. |
[1] VI,42 Ius consumptum.
[2] Per motivi di ragionevolezza adottiamo come metreta culinaria quella egiziana per il vino, pari a circa 8,73 litri.
[3] Conrad Gessner Historia Animalium III (1555), pag. 413: Sinito haec efferveant horis septem, vel donec ad duas scutulas vel minus redigantur. § Anche in Libellus platine de honesta voluptate ac valitudine (Bononiae, per Johannem Antonium Platonidem, 1499) si trova sinito e non sinite.
[4] De Theriaca. (Aldrovandi)
[5] Oggi si parlerebbe di un brodo reso corroborante dall'aggiunta di tuorli d’uovo sbattuti e succo di limone, ma è palese che questi ingredienti non costituiscono una polvere, né tanto meno una polvere rinascimentale.
[6] Non si eseguono correzioni sul testo di Andrés de Laguna in quanto non è facile sapere se le inesattezze sono dovute al latino usato dall’autore spagnolo oppure alla trascrizione di Conrad Gessner Historia Animalium III (1555), pag. 413: Capo generosus in aqua pura discoquitur cum foliis bor<r>aginis et buglossi, ana manip. j. conservarum de violis, rosis, bor<r>agine et buglosso, ana unc. ij. adijciatur etiam nonnihil de illis quae cordialia vocant contritum. destillatum inde liquorem in diplomate (balneo Mariae) cum pulvere diasantalon mixto propter odoris gratiam, propinabis creberrime, And. a Lacuna circa finem libri de peste.
[7] In base alla ricetta contenuta nel trattato di Joannes Actuarius De medicamentorum compositione tradotto da Jean Ruel (Parisiis, apud Iacobum Bogardum, 1546), pagina 12 bis, si tratta dell'unione di tre tipi di sandalo: rosso, bianco e citrino. - Pastillus Diasantalôn, id est, e santalis, stomachi robur firmat, calorem iocinoris mulcet. Santali rubri, candidi et citrini, rosarum,[...].
[8] O ferruta, è il plurale di un introvabile ferrutum – e allora candens dovrebbe suonare candentia – oppure è un termine italianizzato – e allora candens dovrebbe suonare candentem – oppure è un errore tipografico al posto di ferrumen che concorda con candens.
[9] Ai tempi di Aldrovandi si usava verosimilmente la brasatura – cioè usando la brace come fonte di calore, e la brasatura è il metodo di giunzione di metalli o leghe che si realizza impiegando una lega o un metallo avente le caratteristiche di fondere a temperatura notevolmente inferiore a quella delle parti metalliche da saldare e, allo stato liquido, di bagnare le superfici da collegare, accuratamente pulite e preparate. Orbene, oggi, e sottolineo oggi, la lega impiegata per la brasatura dolce è generalmente a base di stagno e piombo a varie concentrazioni con aggiunte di altri metalli quali zinco, cadmio, bismuto, argento per migliorare la resistenza della giunzione e la bagnabilità del metallo di apporto allo stato liquido, oppure per esigenze relative alla temperatura di fusione del materiale di apporto. Nella brasatura forte si impiegano metalli puri (argento, rame, nichel) o loro leghe. – Quindi, l'inquinamento paventato da Aldrovandi non sarebbe dovuto al mercurio – o argento liquido – bensì all'argento, dotati di tossicità differente.
[10] È il trattato sulla distillazione di Conrad Gessner Thesaurus Euonymi Philiatri de remediis secretis del 1552; il II volume venne pubblicato postumo nel 1569 dall’amico e collega Caspar Wolf.