Conrad Gessner

Historiae animalium liber III qui est de Avium natura - 1555

De Gallo Gallinaceo

trascrizione di Fernando Civardi - traduzione di Elio Corti

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Recentiores [385] quidam de gallo castrato scribunt, si pectore et ventre deplumatus urticis perfricetur, pullos fovendos admittere, quod eo fotu pruritum quem urticae excitarunt mitigari sentiat. atque ita delectatum, in posterum etiam pullos amare, ducere, pascere: quod se observasse et miratum esse Albertus tradit.

Alcuni autori più recenti scrivono del gallo castrato che, se spiumato a livello del petto e del ventre viene sfregato con ortiche, accetta di tenere al caldo i pulcini, in quanto con tale riscaldamento sentirebbe attenuarsi il prurito che le ortiche hanno suscitato. E che avendo provato piacere in questo modo successivamente ama pure i pulcini, li guida, li conduce al pascolo: Alberto Magno riferisce di averlo osservato lui stesso e di esserne rimasto meravigliato.

¶ E gallinaceis animosi (οἱ εὔψυχοι) vocem {a}edunt graviorem, Aristot. in Physiognom.[1] Proxime (post pavones) gloriam sentiunt etiam galli gallinacei, Plin.[2] Imperitant suo generi, et regnum in quacunque sunt domo exercent. Dimicatione paritur hoc quoque inter ipsos, velut ideo tela agnata cruribus suis intelligentes: nec finis saepe commorientibus. Quod si palma contingit, statim in victoria canunt seque ipsi principes testantur. Victus occultatur silens, aegreque servitium patitur. Et plebs tamen aeque superba graditur ardua cervice, cristis celsa: coelumque sola volucrum aspicit crebro, in sublime caudam quoque falcatam erigens, Plinius. Gallus victus victorem sequitur, Aristophanis interpres[3]. Gallinacei volunt vincere, ut aliae animantes innumerae pro sola victoria contendentes, Galenus 5. de decretis Hippocr. De certamine eorum cum ab hominibus committuntur, scribemus sequenti capite. Sunt sane natura pugnaces cum alias, tum propter foeminas coitus gratia, ut in C. dictum est. Illud item in eo mirificum, cum limen intrat, tametsi superum altissimum existit, is tamen sese inclinat, (ἐπικλίνει τὸν λόφον, id est cristam inclinat, Athenaeus et Eustathius:) quod quidem ipsum superbia inductus facere videtur, ne videlicet crista uspiam offendatur, Aelianus[4].

¶ Tra i galli, quelli che sono coraggiosi (hoi eúpsychoi) emettono una voce più profonda, Aristotele in Physiognomonica. Anche i galli quasi allo stesso modo (ne parla dopo i pavoni) sentono il desiderio di gloria, Plinio. Dominano sugli animali del loro genere ed esercitano, in qualsiasi casa si trovano, una sorta di signoria. Anche il potere viene ottenuto con una lotta tra di loro, come se fossero consapevoli delle armi che sono spuntate sulle loro zampe: né il combattimento ha una fine, in quanto spesso muoiono insieme. Ma se la vittoria tocca loro in sorte, subito cantano vittoriosi, e si proclamano sovrani. Quello che è stato sconfitto si nasconde in silenzio e sopporta malvolentieri la sottomissione. Tuttavia anche il popolo, ugualmente superbo, cammina a testa alta, con la cresta eretta: e il gallo è il solo fra gli uccelli a guardare spesso il cielo, alzando verso l’alto anche la coda ricurva come una falce, Plinio. Il gallo che è stato vinto va dietro al vincitore, il traduttore di Aristofane. I galli vogliono vincere, come innumerevoli altri animali che combattono solo per la vittoria, Galeno libro V In Hippocratis aphorismos commentarii. Sul loro combattimento quando viene organizzato dagli uomini scriverò nel prossimo capitolo. In realtà sono combattivi per natura, mentre altre volte lo sono a causa delle femmine per motivi di coito, come si è detto nel paragrafo C. Parimenti in lui è straordinario il fatto che quando varca una soglia, anche se la parte superiore si trova molto in alto, tuttavia lui si inchina (epiklínei tòn lóphon, cioè, china la cresta, Ateneo ed Eustazio): ma sembra che lo faccia in quanto indotto dalla superbia, cioè affinché la cresta non venga danneggiata in qualche punto, Eliano.

¶ Gallinaceum exoriente luna quasi divino quodam spiritu afflatum bacchari atque exultare ferunt. Oriens quidem Sol ipsum nunquam fallit, tum vehementissime vocem contendens, semet magis magisque cantando vincere conatur, Aelianus[5]. ¶ Philon dicit eum qui Nicomedi Bithyniae regi pocula administraret, a gallinaceo adamatum fuisse, Aelianus[6] et Eustathius. Auctor Nicander[7] est, Secundum, qui pincerna regius fuit in Bithynia, a gallo amatum eximie cui nomen foret Centaurus, Caelius. ¶ Porphyrionem avem et gallum in eodem versantes domicilio mirifice inter se coniunctos et invicem amantes animadverti. tandem gallo propter epulas occiso, porphyrio convictore privatus, tantum doloris accepit, sibi ut inedia mortem conscisceret, Aelian.[8]

¶ Dicono che il gallo si agita come un pazzo e fa dei balzi quando spunta la luna, quasi fosse pervaso da un soffio divino. Il sorgere del sole non gli sfugge mai, e allora impegnandosi con una voce estremamente potente si dà da fare con il canto per superare sempre più se stesso, Eliano. ¶ Filone di Eraclea dice che colui che faceva da coppiere a Nicomede re di Bitinia fu amato appassionatamente da un gallo, Eliano ed Eustazio. Nicandro scrive che un servitore, che fu coppiere reale in Bitinia, venne amato in modo straordinario da un gallo il cui nome sarebbe stato Centauro, Lodovico Ricchieri. ¶ Sono venuto a conoscenza del fatto che un pollo sultano - Porphyrio porphyrio - e un gallo, che abitavano nella stessa casa, erano uniti tra loro in modo meraviglioso e si amavano a vicenda. Infine, dopo che il gallo venne ucciso per un banchetto, il pollo sultano, privato  del suo compagno, fu preso da un così grande dolore da procurarsi la morte col digiuno, Eliano.

Gallinacei terrori sunt etiam leonibus generosissimis ferarum, Plin.[9] Vide plura in Leone D. Stat cervix ardua, qualem | Praefert Marmaricis metuenda leonibus ales, | Ales quae vigili lucem vocat ore morantem, Politianus in Rustico. Leo et basiliscus gallinacei tum aspectum tum vocem extimescunt, Aelianus[10]. Iure gallinacei perunctos pantherae leonesque non attingunt, praecipue si et allium fuerit incoctum, Plinius[11]. Gallinaceorum cantus leones timent, Solinus. Leonem dicunt gallum album fugere, Rasis 8.8. Sed haec ipsa ales quae leones exterret, metu basiliscos exanimat, milvos extimescit, Aelianus.[12] Basiliscus et ad visum galli contremiscit, et ad vocem convulsus moritur. quare qui per Libyam iter faciunt, adversus hoc malum comitem itineris gallum sibi assumunt, Idem[13]. Aves cicures et domesticae audacter contemnunt equos, asinos, boves<, camelos>: ac si cum mansuefactis elephantis aluntur, non modo eos non timent, verum per eos etiam ipsos gradiuntur. Et gallinacei ut in eorundem dorsis considere audent: sic magnum eis metum mustela vel praeteriens inijcit. et qui vocem vel mugientium vel rudentium praeclare contemnunt, illius clamorem vehementer horrent, Idem[14]. Gallus et attagen inimici sunt, Aelianus[15]. Columbas etiam gallinaceo generi invisas esse aiunt. Vesparum examen metuit Phrynichus velut gallinaceus: Vide in Proverbiis infra[16]. De animalibus quae gallinaceum genus infestant, leges plura in Gallina E.

I galli sono causa di terrore anche per i leoni che sono i più coraggiosi tra gli animali feroci, Plinio. Vedi maggiori dati nel capitolo riguardante il leone, paragrafo D. Il collo se ne sta eretto, come quello che ostenta il temibile uccello ai leoni della Marmarica, l’uccello che con la bocca vigile chiama la luce che indugia, Angelo Poliziano in Rusticus. Il leone e il basilisco temono sia la vista che la voce del gallo, Eliano. Coloro che sono stati unti con il sugo del gallo le pantere e i leoni non li assalgono, specialmente se insieme vi è stato cotto dell’aglio, Plinio. I leoni temono il canto dei galli, Solino. Dicono che il leone fugge dal gallo bianco, Razi 8.8. Ma questo stesso uccello che atterrisce i leoni e fa morire di paura i basilischi, teme i nibbi, Eliano. Il basilisco trema alla vista del gallo, e nell’udire la sua voce muore assalito dalle convulsioni. Per cui coloro che viaggiano attraverso la Libia prendono con sé contro questa calamità un gallo come compagno di viaggio, ancora Eliano. Gli uccelli addomesticati e quelli domestici sfacciatamente non si curano dei cavalli, degli asini, dei buoi, dei cammelli: e se vengono allevati con gli elefanti resi docili, non solo non li temono, ma si aggirano pure in mezzo a loro. E i galli così come osano appollaiarsi sul loro dorso, altrettanto una donnola che passa anche solo loro davanti incute in essi una grande paura. E proprio essi che non si curano assolutamente della voce degli animali che muggiscono o che ragliano, inorridiscono in modo estremo quando sentono il suo squittio, ancora Eliano. Il gallo e il francolino sono nemici, Eliano. Dicono che anche i colombi sono antipatici al genere dei gallinacei. Frinico ebbe paura di uno sciame di vespe, come un gallo: vedi sotto nei proverbi. Degli animali che in gran numero tormentano il genere dei gallinacei leggerai parecchie cose nel paragrafo E della gallina.

¶ Gallinaceis circulo e {sarmento} <ramentis> addito collo non canunt, Plinius[17].

I galli non cantano dopo che è stata loro messa  al collo una collana fatta con pagliuzze d’oro, Plinio.

E.

E

Gallus facile sentit aurae mutationes ex mo{n}tibus Solis contingentes. et ideo cantu horas distinguit: et nocte canens se erigit, et alis percutit, excutitque ut vigilantius cantet, Albertus. Hic praeter familiarem usum, quem in villam fert, dum gallinas plenas facit; et culinam dapibus opulentat, magno adiumento patrifamilias esse consuevit cantu suo, quo ad opera familiam revocat monetque, ut absterso ab oculis somno, expergiscantur, et vivere discant. ob id a Graecis ἀλέκτωρ, veluti ἀπολέκτωρ, hoc est, a lectis mortales revocans, Gyb. Longolius. Lege etiam supra in C. quomodo cantu suo ad opera mortales excitet, et diei noctisque tempora distinguat. ¶ Si galli noctu canant citius quam solent, mutatio aeris aut ventus ostenditur, Gratarolus. Gallinacei, caeteraeque domesticae aves, alarum percussione concrepantes, gestientes, exultantes, strepentes, tempestatem nunciant, Aelianus[18]. Nostri gallum tempestatis (ein Wetterhan) appellant, qui peculiari quadam facultate ad indicandum aeris suo cantu mutationes praeditus videatur. Gallum tempore pluvio canentem, serenitatem instantem polliceri plerique credunt[19]. Gallinae domesticae pediculos inquirentes, et maiori voce crocitantes, eo sono qui guttas aquarum crebras imitetur, pluviae signum faciunt, Aratus. Graeca eius verba sunt, καὶ τιτθαὶ (αἱ ἥμεροι καὶ πραεῖαι) ὄρνιθες, ταὶ ἀλέκτορος ἐξεγένοντο, | Εὖ ἐφθειρίσαντο, καὶ ἔκρωξαν μάλα φωνῇ, | Οἷόν τε σταλαίον ψοφέει ἐπὶ ὕδατι ὕδωρ.[20] ¶ De saginando gallinaceo genere dicetur in Capo et in Gallina E. Cum gallina altilis antiquis coenarum interdictis excepta esset, inventum diverticulum est gallinaceos pascendi lacte madidis cibis, multo ita gratiores approbantur, Plinius[21]. ¶ Gallinaceos non attingi a vulpibus qui iecur animalis eius aridum ederint: vel si pellicula ex eo collo inducta, galli inierint, {similia} <similiter> in felle mustelae legimus, Plinius[22].

I gallo percepisce con facilità i cambiamenti atmosferici che derivano dai movimenti del sole. E perciò scandisce le ore col canto: e di notte cantando si mette dritto, si percuote con le ali e si scuote per poter cantare con più zelo, Alberto. Costui – il gallo – oltre all’utilità domestica che fornisce nei confronti della fattoria quando rende gravide le galline e arricchisce con vivande la cucina, ha preso l’abitudine di essere di grande aiuto al capofamiglia attraverso il suo canto con cui richiama e sollecita la famiglia alle occupazioni, affinché, rimosso il sonno dagli occhi, si sveglino e imparino a vivere. Per questo motivo dai Greci viene detto aléktør, come se significasse apoléktør, cioè, colui che chiama fuori dal letto i mortali, Gisbert Longolius. Leggi anche sopra al paragrafo C in che modo con il suo canto incita i mortali alle loro occupazioni, e suddivide i periodi del giorno e della notte. ¶ Se i galli di notte dovessero cantare prima del solito, viene segnalato un cambiamento atmosferico o del vento, Guglielmo Grataroli. I galli e gli altri uccelli domestici, strepitando con lo scuotimento delle ali, smaniando, volteggiando, schiamazzando, annunciano il maltempo, Eliano. I nostri chiamano gallo del maltempo (ein Wetterhan) quello che sembrerebbe dotato di un certo qual potere nell’indicare con il suo canto i cambiamenti atmosferici. La maggior parte delle persone crede che un gallo quando canta mentre piove annuncia che il sereno è imminente. Le galline domestiche quando stanno dando la caccia ai pidocchi, e quando schiamazzano con voce piuttosto forte, con quel suono che imiterebbe le dense gocce di acqua, segnalano la pioggia, Arato di Soli. Le sue parole greche sono le seguenti: kaí titthaì (hai hëmeroi kaí praeîai) órnithes, taì aléktoros exegénonto, | Eû ephtheirísanto, kaí ékrøxan mála phønêi, | Oîón te stalaíon psophéei epì húdati húdør. ¶ Sull’ingrassamento del genere dei gallinacei si dirà nel capitolo del cappone e in quello della gallina al paragrafo E. Dal momento che fra gli antichi divieti riguardanti le portate era stata sancita la gallina ingrassata, si trovò la scappatoia di nutrire i galli con mangimi inzuppati di latte, e in questo modo vengono considerati di sapore molto più raffinato, Plinio. ¶ Non vengono assaliti dalle volpi quei polli che avranno mangiato il fegato essiccato di quell’animale: oppure se i galli li avranno montati – si spera solo le galline! - dopo che è stato loro messo al collo un pezzetto di pelle di tale animale, e leggiamo che accade più o meno la stessa cosa se si voltolano nella bile della donnola, Plinio.


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[1] Pseudo Aristotele Physiognomonica, 807a 20: tøn alektryónøn oi eýpsychoi barýphøna phthéggontai. – Già citato a pagina 383.

[2] Naturalis historia X,46-47: Proxime gloriam sentiunt et hi nostri vigiles nocturni, quos excitandis in opera mortalibus rumpendoque somno natura genuit. Norunt sidera et ternas distinguunt horas interdiu cantu. Cum sole eunt cubitum quartaque castrensi vigilia ad curas laboremque revocant nec solis ortum incautis patiuntur obrepere diemque venientem nuntiant cantu, ipsum vero cantum plausu laterum. [47] Imperitant suo generi et regnum in quacumque sunt domo exercent. Dimicatione paritur hoc inter ipsos velut ideo tela agnata cruribus suis intellegentium, nec finis saepe commorientibus. Quod si palma contigit, statim in victoria canunt seque ipsi principes testantur; victus occultatur silens aegreque servitium patitur. Et plebs tamen aeque superba graditur ardua cervice, cristis celsa, caelumque sola volucrum aspicit crebra, in sublime caudam quoque falcatam erigens. Itaque terrori sunt etiam leonibus ferarum generosissimis.

[3] Penso che il riferimento sia a Gli uccelli. Ecco la traduzione di Ettore Romagnoli del brano indiziato. Sperabene: Santi Numi! Ma tu, che bestia sei? Trottolino: Sono un uccello schiavo. Sperabene: E che, t'ha vinto qualche gallo? Trottolino: Macché! Quando il padrone prese forma di bubbola, m'impose che divenissi uccello anch'io, per stargli sempre a fianco, e servirgli da domestico.

[4] La natura degli animali IV,29: Anche questo tratto del suo carattere è indubbiamente meritevole di ammirazione: quando varca la soglia di una porta, anche se questa è molto alta, si china e lo fa con molto sussiego, come se in tal modo volesse proteggere la sua cresta.

[5] La natura degli animali IV,29: Il gallo, così dicono, diventa particolarmente eccitato e saltella quando spunta la luna. Non lascerebbe mai passare inosservato il levar del sole; quando appare, egli supera se stesso nell’intonare il suo canto. (traduzione di Francesco Maspero)

[6] La natura degli animali, XII,37: Un gallo di nome Centauro si innamorò del coppiere di un re (il re era Nicomede di Bitinia). Questa storia ci è stata tramandata da Filone. (traduzione di Francesco Maspero)

[7] The reference to Nicander is a false one since there is no mention of Gallus in the latest edition of his Theriaca and Alexipharmaca by A. S. F. Gow and A. F. Scholfield (Cambridge University Press, 1953); both stories of Gallus and Centoarates are in Aelian. (Lind, 1963) – La colpa di questa errata referenza è tutta di Lodovico Ricchieri.

[8] La natura degli animali V,28: Il pollo sultano, oltre a essere un uccello estremamente geloso, possiede questa peculiarità: dicono che è particolarmente attaccato alla propria stirpe e ama la compagnia dei suoi simili. Mi hanno raccontato che un pollo sultano e un gallo venivano allevati nella stessa casa, prendevano il pasto in comune, camminavano assieme e si stropicciavano con la stessa polvere. Si era dunque stabilito tra loro uno straordinario legame di amicizia. Un giorno, in occasione di una festa, il padrone di entrambi questi uccelli sacrificò il gallo e lo mangiò assieme ai familiari. Il pollo sultano, privato del compagno, non poté sopportare la solitudine e si lasciò morire di fame. (traduzione di Francesco Maspero)

[9] Naturalis historia X,47: Itaque terrori sunt etiam leonibus ferarum generosissimis.

[10] La natura degli animali VIII,28: Non è però compito mio criticare i misteriosi decreti della natura, perché per esempio il leone ha paura del gallo e lo teme anche il basilisco o perché l’elefante si spaventa se vede un maiale. Tutti coloro che consumano molti anni della vita nel ricercarne le cause, non solo disprezzano il valore del tempo, ma non arriveranno mai alla fine delle loro ricerche. (traduzione di Francesco Maspero)

[11] Naturalis historia XXIX,78: Carnibus gallinaceorum ita, ut tepebunt avulsae, adpositis venena serpentium domantur, item cerebro in vino poto. Parthi gallinae malunt cerebrum plagis inponere. Ius quoque ex iis potum praeclare medetur, et in multis aliis usibus mirabile. Pantherae, leones non attingunt perunctos eo, praecipue si et alium fuerit incoctum.

[12] La natura degli animali V,50: I galli con il loro canto impauriscono i leoni e annientano i basilischi; però non sopportano la vista di un gatto o di un nibbio. (traduzione di Francesco Maspero)

[13] La natura degli animali III,31: Il leone ha paura del gallo e dicono che anche il basilisco lo teme e che quando lo vede comincia a tremare; se poi lo sente cantare, viene preso da convulsioni e muore. È per questo motivo che coloro che viaggiano per la Libia, terra nutrice di tali mostri, per paura del basilisco si portano appresso come compagno di viaggio un gallo, perché li protegga contro un così grande malanno. (traduzione di Francesco Maspero)

[14] La natura degli animali V,50: È senza dubbio possibile anche attraverso queste altre osservazioni conoscere le caratteristiche degli animali. Noi vediamo ad esempio che gli uccelli domestici, allevati a contatto diretto con l’ambiente, non hanno più paura dei cavalli, degli asini, dei buoi e dei cammelli dato che si sono abituati alla loro presenza. Non temono neanche gli elefanti (se questi mostrano un’indole mite e mansueta) e addirittura si aggirano in mezzo a loro. I galli poi prendono tanta confidenza che non esitano a volare anche sulla loro schiena. Se invece una donnola corre vicino a loro, si sbigottiscono e vengono presi da un grande terrore. Non si preoccupano se odono il muggito dei bovini o il raglio degli asini, ma come sentono lo squittio della donnola tremano di paura.

[15] La natura degli animali VI,45: I francolini odiano i galli e i galli, a loro volta, odiano i francolini. (traduzione di Francesco Maspero).

[16] Eliano Variae historiae Libri XIIII - XIII,17: Proverbium, et de Phrynicho - Vesparum examen metuit Phrynichus velut gallinaceus: proverbium convenit in eos, qui damnum patiuntur. cum enim Phrynichus tragicus Mileti captivitatem ageret, Athenienses metuentem perhorrescentemque lachrymantes eiecerunt. (Claudii Aeliani opera quae extant omnia Graece Latineque, Tiguri, apud Gesneros Fratres, 1556, pagina 501– Iusto Vulteio VVetterano interprete)

[17] Naturalis historia, XXIX,80: At gallinacei ipsi circulo e ramentis addito in collum non canunt. - Evviva il passaparola che non è affatto un’invenzione della nostra TV: infatti Aldrovandi se ne servì a iosa e proprio grazie al passaparola è stato capace di trasformare delle scagliette d’oro in tralci di vite. Vediamo questo iter che sa quasi di magico – una magia inversa rispetto a quella di re Mida – un iter al quale come al solito sottende Gessner, e che ritroviamo a pagina 242 di Aldrovandi. Infatti Gessner in questa pagina della sua Historia Animalium fa un’errata citazione telegrafica di un passaggio di Plinio: Gallinaceis circulo e sarmento addito collo non canunt, Plinius. – Ma Plinio quando parla di un circulus messo al collo dei galli sta disquisendo di oro. Ecco il testo completo di Plinio Naturalis historia, XXIX,80: Non praeteribo miraculum, quamquam ad medicinam non pertinens: si auro liquescenti gallinarum membra misceantur, consumunt id in se; ita hoc venenum auri est. At gallinacei ipsi circulo e ramentis addito in collum non canunt. – Insomma, Plinio dice che le zampe delle galline sono in grado di distruggere l’oro, ma una collana fatta di pagliuzze d’oro ha il grande potere di far tacere i galli. - Questa magia opposta a quella di re Mida – trasformare pagliuzze d'oro in ramoscelli - doveva essere abbastanza diffusa nel 1500. Infatti anche Pierandrea Mattioli nel suo commento a Dioscoride – sia in quello latino del 1554 che in quello postumo in italiano del 1585 – affinché non cantino fa cingere il collo dei galli con una collana fatta di sarmentis, cioè con un sarmento di vigna. Probabilmente il testo in possesso di Mattioli, di Gessner, e quindi di Aldrovandi, era corrotto e riportava sarmentis invece di ramentis. Ma se Gessner e Aldrovandi enucleano la citazione pliniana dal suo contesto, Mattioli cita tutta quanta la frase di Plinio: pagina 186 - Liber ii – cap. xliiiGallinae, et Galli – Plinius cum de gallinis dissereret libro xxix. cap. iiii. haec inter caetera memoriae prodidit. Non praeteribo (inquit) miraculum, quanquam ad medicinam non pertinens: si auro liquescenti gallinarum membra misceantur, consumunt illud in se. Ita hoc venenum auri est. At gallinaceis ipsis circulo e sarmentis addito collo non canunt. - Neppure a Mattioli è balenato che quell’at ha un preciso significato: si tratta di una contrapposizione. Infatti l’oro, guastato dalle galline, è tuttavia in grado di prendersi una rivincita facendo ammutolire i galli. Ma nel 1500 nel testo di Plinio gironzolavano i sarmentis ed era giocoforza utilizzarli.

[18] La natura degli animali VII,7: I galli [alektryónes] e gli altri uccelli domestici, se svolazzano, se si mostrano irrequieti, se pigolano sommessamente, annunciano cattivo tempo. (traduzione di Francesco Maspero).

[19] Io sfaserei un pochino il momento del canto. Infatti, in base alla mia lunga e ripetuta esperienza, i galli cantano quando sta per smettere di piovere, non mentre piove a dirotto. Tant’è che sulla scia di quella vecchia canzone che dice “Quando i grilli cantano,|quando volano le lucciole,|quando mille stelle tremano,|io mi voglio innamorar!” ( - la canta Wilma De Angelis, Milano, 8 aprile 1931) ho coniato questa variante: “Quando i galli cantano|sta per smettere di piovere...”. Ed è vero! Poi magari, dopo una pausa più o meno lunga, riprende a piovere, ma quando sta per smettere, i galli cantano di nuovo.

[20] Fenomeni vv. 960-962.

[21] Naturalis historia X,139-140: Gallinas saginare Deliaci coepere, unde pestis exorta opimas aves et suopte corpore unctas devorandi. Hoc primum antiquis cenarum interdictis exceptum invenio iam lege Gai Fanni consulis undecim annis ante tertium Punicum bellum, ne quid volucre poneretur praeter unam gallinam quae non esset altilis, quod deinde caput translatum per omnes leges ambulavit. [140] Inventumque deverticulum est in fraudem earum gallinaceos quoque pascendi lacte madidis cibis: multo ita gratiores adprobantur. § Non si capisce in cosa consista la scappatoia stando alle parole di Plinio. Per la legge Fannia non si poteva porre in tavola alcun volatile eccetto una gallina che non doveva essere stata ingrassata. Ma i galli, nutriti con cibi inzuppati nel latte per renderli di sapore più raffinato, erano anch'essi dei volatili, salvo che li facessero passare per galline asportando cresta e speroni, oppure che i cibi inzuppati nel latte fossero capaci  - ma non lo erano - di castrarli e di farli somigliare a galline. Misteri interpretativi! Oltretutto, grazie al latino di Plinio, quae non esset altilis potrebbe magari tradursi con gallina che non fosse grassa = che doveva essere grassa, come ci permettiamo noi italiani di usare il non con il condizionale con finalità affermative anziché negative. Ma se la gallina doveva essere grassa, addio parsimonia nelle spese per le mense, perché ingrassare un volatile costa di più.

[22] Ho confrontato il testo di Gessner con due fonti latine, e ambedue riportano induta, non inducta. Anche la traduzione inglese (Natural History. Pliny the Elder. John Bostock, M.D., F.R.S. H.T. Riley, Esq., B.A. London. 1855), non corredata da testo latino a fronte, fa pensare a induta: “or if the cock, when treading the hen, has had a piece of fox's skin about his neck”. - Il verbo induo significa indossare, far indossare, mettere addosso, mentre induco ha come eminente significato quello di introdurre, e solo in lontana istanza quello di indossare. Le ipotesi interpretative dei telegrafici spezzoni di Plinio possono essere le più caleidoscopiche, visto che stiamo navigando in un mare colmo di magia tutta da verificare. Per un parallelismo con l’appena citato potere difensivo del cibarsi del fegato di volpe, potrebbe essere esatto inducta nel senso di aver mangiato un pezzetto di pelle del collo della volpe, reiterando così l’attività alimentare dei gallinacei, visto che oltretutto è difficile immaginare dei galli che da soli si fissano addosso un frammento di pelle di volpe. Quindi potremmo accettare inducta traducendolo con ingoiare. Per la bile il discorso è identico: essi, usando per la terza volta la bocca, la bevono. Però... C’è sempre un però: i galli potrebbero benissimo strofinarsi la bile di donnola in qualche area del corpo. Insomma: un maquillage, uno scudo antidonnola. Oppure qualcuno gliela strofina addosso, così come qualcuno gli ha messo al collo un pezzetto di pelle di volpe a mo’ di amuleto. Nel confronto del testo latino vince induta con un bel 3 a 1, per cui, senza emendare il testo, nella traduzione attribuiamo a inducta il significato primario di induta: mettere addosso. - Plinio Naturalis historia XXVIII,265-266: Gallinaceos non attingi a vulpibus, qui iocur animalis eius aridum ederint, vel si pellicula ex eo collo induta galli inierint; [266] similiter in felle mustelae; [...]