Ulisse Aldrovandi
Ornithologiae tomus alter - 1600
Liber
Decimusquartus
qui
est
de Pulveratricibus Domesticis
Libro
XIV
che tratta
delle domestiche amanti della polvere
trascrizione di Fernando Civardi - traduzione di Elio Corti - revisione di Roberto Ricciardi
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Ut
modo de utilitate [204] huiusmodi sive cantus, sive cucu<r>ritus,
quam hominibus praestat, dicamus, scire licet, veteres[1]
in primis gnomonibus horariis nondum repertis noctis deliquium,
et accessum diei eo metitos esse: etenim initium a prima mediae noctis
inclinatione ordiebantur, proximumque tempus Gallicinium vocabant, quod
eo tempore lucem multo ante praesentiens incipiat canere. Tertium
conticinium, cum et avis conticescat, et homines una conquiescant.
Quartum diluculum mane, cum clarus iam dies esset ab exorto Sole. Itaque
secundus Galli cantus multo Solis exortum antevenit, uti Iuvenalis[2]
quoque meminit inquiens: Quod tamen ad Galli cantum facit ille secundi P<r>oximus
ante diem Caupo sciet et Horatius[3] Sub Galli cantum consultor ubi ostia pulsat. |
Ora,
per parlare dell’utilità che un canto o un grido siffatto offre agli
uomini, bisogna innanzitutto sapere che quando gli orologi a gnomone
non erano ancora stati inventati gli antichi avevano misurato grazie ad
esso lo svanire della notte e l’avvicinarsi del giorno: e infatti
incominciavano a parlare di inizio dal primo volgere della mezzanotte, e
il periodo successivo lo chiamavano gallicinium
- canto del gallo, alba - poiché in quel momento il gallo comincia a
cantare percependo la luce molto in anticipo. Il terzo periodo lo
chiamavano conticinium - il momento del silenzio - quando anche
l’uccello se ne sta zitto e contemporaneamente gli uomini stanno
riposando. Chiamano quarto periodo il crepuscolo mattutino, quando il
giorno è già chiaro per il sole che è sorto. Pertanto il secondo
canto del gallo anticipa di molto la levata del sole, come anche
Giovenale
menziona dicendo: Tuttavia quello che fa in prossimità del canto
del secondo gallo Il prossimo oste lo saprà prima dello spuntar del
giorno Quando il cliente bussa alla porta al canto del gallo. |
Ab
hac veterum consuetudine, quod scilicet noctis deliquium, et accessum
diei Galli cantu iudicarent, sumptum est hoc vulgatum proverbium:
Priusquam
Gallus iterum cantet, id est, admodum mane, et antelucano.
Videtur autem desumptum ex Aristophane[4]: πόθεν; Ἀλεκτρυών
ἐφθέγγετο id
est: {minime gentium} Ne si quidem te illo appulisses tempore, Cum
Gallus iterum caneret. |
Da
questa consuetudine degli antichi, cioè di stabilire in base al canto
del gallo lo svanire della notte e l’avvicinarsi del giorno, è stato
tratto questo proverbio comune: Prima che il gallo canti per la
seconda volta, cioè, di buon mattino e sul far del giorno.
D’altra parte sembra che sia stato desunto da Aristofane: póthen? oud’ei
mà Día tot’êlthes, hóte tò déuteron Alextryøn
ephthéngeto cioè:
{niente affatto} Neanche
se - per Zeus - tu fossi giunto in quel momento, quando
il gallo cantava la seconda volta. |
Quia vero ita
diem adventantem hominibus inclamet, ἡμερόφωνος[5]
Graecis vocari meruit, quasi diem canens. Qua in re equidem
maximam mortalibus utilitatem praestat: quod tunc sibi reliquendum
lectum sciant, cum eos Gallus a profundo saepe somno excitat, unde ἀλέκτορα,
et ἀλεκτρυόνα
dictum esse ante[6]
etiam diximus. |
Senza
dubbio, per il fatto che annuncia agli uomini a voce così alta
l’avvicinarsi del giorno, si è meritato dai Greci di essere chiamato hëmeróphønos
- che annuncia il giorno, in quanto annuncia
il giorno. Senza dubbio a questo proposito fornisce un
grandissimo servigio ai mortali: in quanto in quel momento vengono a
sapere che debbono abbandonare il letto, in quanto il gallo li desta da
un sonno spesso profondo, per cui già in precedenza abbiamo detto che
è stato chiamato aléktora e
alektryóna. |
Hinc
apud Theocritum[7]
duodecim puellae Thebanae Helenae pollicentur se mane reversuras
et novum epithalamion, seu carmen nuptiale cantaturas, ubi πρᾶτος
ἀοιδός,
id est primus cantor, nimirum Gallus Gallinaceus e cubili suo insonuerit. Νεύμεθα
κἄμμες ἐς
ὄρθρον,
ἐπείκα
πρᾶτος
ἀοιδός Ἐξ εὐνᾶς
κελαδήση,
ἀνασχὼν εὔτριχα
δειρήν Redibimus et nos mane, ubi primus cantor E
cubili suo insonuerit sustollens pulchre pennatam cervicem. |
Per
cui in Teocrito
dodici fanciulle tebane promettono a Elena che sarebbero tornate il
mattino seguente e che avrebbero cantato un nuovo epitalamio, o carme
nuziale, quando prâtos
aoidós, cioè il primo cantore, appunto il gallo, avrebbe cantato dal suo
nido. Neúmetha
kámmes es órthron, epeíka prâtos aoidós Ex
eunâs keladësë, anaschøn eútricha deirën Anche
noi torneremo domattina, quando il primo cantore Avrà
cantato dal suo nido sollevando il collo splendidamente impiumato. |
Ovidius[8]
eleganter
ab eiusmodi officio, nempe quod nos e {summo} <somno> excitet,
Gallum lucis praenuncium appellat, inquiens. Iam
{dederit} <dederat> cantus lucis praenuncius ales. |
Da
questo tipo di compito, e precisamente in quanto ci desta dal sonno, in
modo chiaro e corretto Ovidio
chiama il gallo messaggero di luce, dicendo: L’uccello
messaggero di luce aveva già emesso i canti. |
Sed
hoc alibi[9]
clarius indicat, dum ait. Iamque
{pruinosos} <pruinosus> molitur {lucifer}
<Lucifer> axes, Inque suum miseros excitat ales opus. |
Ma
altrove accenna a ciò in modo più chiaro, quando dice: E
ora il freddo Lucifero
mette in movimento i cieli, e
l’uccello chiama gli infelici al loro lavoro. |
Et Martialis[10]
pueros, qui frugi essent, eo tempore olim surrexisse innuere videtur,
dum alios qui tardius solito adhuc in lecto desidiose recubabant, sic
hortatur. {Surgite, nam pueri vendit ientacula pictor} <Surgite:
iam vendit pueris ientacula pistor> Cristataeque sonant undique lucis aves. |
E
sembra che Marziale
voglia indicare che un tempo i fanciulli perbene si alzavano in quel
momento, mentre esortava nel modo seguente gli altri che se ne stavano
ancora oziosamente sdraiati a letto più tardi del solito: Alzatevi:
il panettiere già vende ai fanciulli i pasticcini per la colazione E
dappertutto stanno cantando gli uccelli della luce forniti di cresta. |
Eodem modo
{somniculosum} <somniculosam> Pseca<de>m e somno excitans
Aelius Iulius Crottus, inquit: Exurgit
alma de rutilo mari dies, Et nox gelatis cedit irrepens {equis} <aquis,> Cristata cecinit pluries Psecas avis, Sustolle
tandem somno oculos pigro graves. |
Allo
stesso modo Elio Giulio Crotti,
destando dal sonno l’assonnata Psecade,
dice: Il
giorno che dà vita si alza dal mare rosseggiante, E
la notte svanisce insinuandosi nelle gelide acque, O
Psecade, l’uccello con la cresta ha cantato più volte, Alza
una buona volta gli occhi appesantiti dal pigro sonno. |
Huc spectat
Galli encomium, quod nobis Plinius[11]
his verbis exaratum reliquit: Proxime
gloriam sentiunt et hi nostri vigiles nocturni, quos excitandis in opera
mortalibus, rumpendoque somno natura genuit. Norunt sidera, et ternas
distinguunt horas interdiu cantu; cum sole eunt cubitum, quartaque
castrensi vigilia ad curas laboremque revocant, nec solis ortum incautis
patiuntur obrepere, diemque venientem {nunciant}<nuntiant>
cantu, ipsum vero cantum plausu laterum. Quae sane omnia
cantui eius potius, quam ingenio accepta referre debet humanum genus. |
È
questo il momento giusto per citare l’encomio del gallo che Plinio
ci ha lasciato scritto con queste parole: Quasi allo stesso modo -
dei pavoni - sentono il desiderio di gloria anche queste nostre
sentinelle notturne, che la natura ha creato per richiamare i mortali al
lavoro e per interrompere il sonno. Conoscono le stelle e sono capaci di
distinguere col canto, nell’arco del giorno, periodi di tre ore
ciascuno. Vanno a dormire col sole e al quarto turno di guardia ci
richiamano alle occupazioni e al lavoro. E non permettono che il sorgere
del sole ci colga alla sprovvista, e annunziano col canto che il giorno
sta giungendo, e il loro stesso canto viene annunciato sbattendo le ali.
Senza dubbio il genere umano deve attribuire tutte queste cose come
dovute più al canto che alla sua intelligenza. |
Amant
hunc cantorem milites, quia in castris illo[12]
vice pariter horarii gnomonici utuntur. Nam cum statis
<noctis> horis vigilias mutare coguntur hoc indice noctis
intervalla discriminant: <Crepusculo cubitum eunt, tribus ante noctis
statum (id est ante mediam noctem) horis cantant. medio eiusdem spatio
vocem iterant. tribus itidem ab intempesta nocte horis, iterum cantil{l}ant:
quod tempus ob id gallicinium appellatur.> quare bellicis curribus
aliquando singulis singulos Gallos alligant.[13]
Prisci itaque excubiarum, et vigiliarum signum indicaturi Gallum potius,
quam ullum aliud animal depingeba<n>t. |
I
soldati amano questo cantore in quanto negli accampamenti si servono di
lui al posto e allo stesso modo di un orologio a gnomone. Infatti,
quando alle ore stabilite della notte debbono cambiare i turni di
guardia, suddividono con questo segnale gli intervalli notturni:
<Vanno ad appollaiarsi al crepuscolo, cantano tre ore prima che sia
iniziata la notte (cioè, prima di mezzanotte). A metà di questo
intervallo notturno reiterano il canto. E così pure di nuovo
canticchiano tre ore dall’inizio del cuore della notte: e per questo
motivo questo momento è detto gallicinium - l’alba.> per
cui talora legano un gallo a ogni carro da guerra. Pertanto gli antichi,
quando dovevano indicare il segnale dei servizi e dei turni di guardia,
rappresentavano il gallo anziché qualsiasi altro animale. |
Disputant
multi, cur non multum ante solis ortum cantum illum suum repetat: sunt
qui causam eius ad avis naturam referant, sunt qui ad sympathiam eius
cum illo sidere. |
Molti
discutono sul perché ripeta quel suo canto non molto prima del sorgere
del sole: vi sono alcuni che ne attribuiscono la causa alla natura
dell’uccello, ci sono altri che l'attribuiscono alla sua simpatia per
quell’astro. |
[1] Confronta Macrobio, commento al Somnium Scipionis di Cicerone 1,3,12 dove si parla di contici<n>ium e gallicinium.
[2] Satira IX, 107-108: quod tamen ad cantum galli facit ille secundi|proximus ante diem caupo sciet, [...].
[3] Satirae I.1,10. È quella che inizia con: Qui fit, Maecenas, ut nemo, quam sibi sortem...
[4] Il passo di Aristofane è
introvabile, anche se per Lind (1963) il riferimento è a Le donne a
parlamento o Ecclesiazuse 30-31.
Fra l’altro alcuni lessici - Passow, Bailly - rimandano per ephthéngeto
ad
Aristofane Ecclesiazuse
191, come sembra anche
Aldrovandi <in Concion(antibus)>, mentre Liddel-Scott non registra
tale verbo. Franco Montanari lo riporta solo a proposito di Luciano Dialoghi delle cortigiane
10,3. Ad ogni modo la traduzione, eliminando il minime gentium
incomprensibile, sembra essere: “Da dove?” “Neppure se per Zeus tu
fossi giunto allora, quando il gallo cantava per la seconda volta”. - Il
passo è tratto da Gessner che a sua volta lo trae da Erasmo da Rotterdam.
Conrad Gessner, Historia Animalium III (1555) a pagina 405:
Hinc Iuvenalis, Quod tamen ad galli cantum facit ille secundi, Proximus ante
diem caupo sciet. Consimiliter Aristophanes in Concionatricibus, Οὐδ’εἰ
μὰ Δία τοτ’ἦλθες,
ὅτε τὸ
δεύτερον Ἀλεκτρυών
ἐφθέγγετο, Erasmus.
[5] Cfr Simonide, f. 47D = PMG 583, citato da Ateneo IX,16,374d. Aldrovandi leggeva il passo nell’edizione di Fulvio Orsini, Carmina...lyricorum...ex Bibliotheca Fulvii Ursini Romani, Antverpiae 1568, dato che segue la lezione hëmeróphønos, nuntius diei, e non quella dei codici di Ateneo himeróphønos = dalla voce soave.
[6] A pagina 184.
[7] Theocritus Idylls 18. 56-57. (Lind, 1963)
[8] Fasti II,767.
[9] Amores I.VI,65-66
[10] Epigrammata XIV, 223, Adipata: Surgite: iam vendit pueris ientacula pistor|Cristataeque sonant undique lucis aves.
[11] Già in parte citato a
pagina 183 - Naturalis historia X,46: Proxime gloriam sentiunt et hi
nostri vigiles nocturni, quos excitandis in opera mortalibus rumpendoque
somno natura genuit. Norunt sidera et ternas distinguunt horas interdiu
cantu. Cum sole eunt cubitum quartaque castrensi vigilia ad curas laboremque
revocant nec solis ortum incautis patiuntur obrepere diemque venientem
nuntiant cantu, ipsum vero cantum plausu laterum.
[12] Illo non viene emendato con illis. Il discorso fila liscio.
[13] Imperdonabile l’amputazione perpetrata da Aldrovandi al testo di Gessner, ricavato da Gisbert Longolius. Il discorso di Ulisse è monco e quasi insulso. Aldrovandi, se voleva ricavare spazio, poteva, per esempio, dare dei tagli abbondanti ai ripetitivi e nauseanti Moralia di Gregorio Magno. Ma non lo fece: doveva lisciare l’Inquisizione! - Pertanto si procede all’integrazione con il testo di Conrad Gessner Historia Animalium III (1555), pag. 383: Amant et hunc cantorem milites, quia in castris illis vice horarii gnomonici est. Nam cum statis noctis horis vigilias commutare coguntur, hoc indice noctis intervalla discriminant. Crepusculo cubitum eunt, tribus ante noctis statum (id est ante mediam noctem) horis cantant. medio eiusdem spatio vocem iterant. tribus itidem ab intempesta nocte horis, iterum cantil{l}ant: quod tempus ob id gallicinium appellatur. Itaque bellicis curribus aliquando singulis singulos gallos alligant, Gyb. Longolius.